N. 60 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 novembre 2001

Ordinanza  emessa  il  5 novembre 2001 dal tribunale di Busto Arsizio
sez.  distaccata  di  Saronno  nel procedimento penale a carico di De
Marte Rocco

Processo   penale   -   Dibattimento   -   Contestazioni   nell'esame
  testimoniale  -  Dichiarazioni,  precedentemente rese, lette per le
  contestazioni  e  valutate  ai  fini della credibilita' del teste -
  Acquisizione  e valutazione anche quale prova dei fatti in mancanza
  di accordo delle parti - Mancata previsione - Lesione del principio
  di ragionevolezza - Lesione del diritto di difesa.
- Cod. proc. pen., art. 500, commi 2, 4 e 7.
- Costituzione, artt. 3, 24, secondo comma e 111, terzo comma.
(GU n.7 del 13-2-2002 )
                            IL TRIBUNALE

    Il  tribunale  di  Saronno,  in  composizione  monocratica, sulla
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 500 secondo comma
del  codice  di procedura penale in relazione agli articoli 2, 3, 24,
primo   comma,   25   secondo  comma,  e  101  secondo  comma,  della
Costituzione  sollevata  e  sviluppata  dal  pubblico ministero nelle
udienze   14  giugno  e  5  novembre  2001  del  procedimento  penale
n. 2890/96c  RGNR  e  21/99  RG  Trib.  pendente a carico di De Marte
Rocco;

                            O s s e r v a

    La questione di costituzionalita' prospettata dal p.m. appare non
manifestamente     infondata    quanto    all'ipotizzato    contrasto
dell'art. 500  secondo  comma  del codice di procedura penale - e dei
coordinati  commi  quarto  e  settimo - con gli articoli 3 e 24 della
Costituzione.   Il   giudicante  intravede  altresi'  un  profilo  di
contraddizione  della  norma  del codice di rito con l'art. 111 terzo
comma   della   Costituzione,   per   come   novellato   dalla  legge
costituzionale 23 novembre 1999 n. 2.
    La  previsione censurata consente che siano valutate ai soli fini
della  credibilita'  del  deponente  le  dichiarazioni  contenute nel
fascicolo  del  p.m.  -  in  quanto  rese  nel  corso  delle indagini
preliminari  -  e utilizzate dalle parti onde contestare il contenuto
dell'esame  testimoniale.  Secondo  il  combinato  disposto dei commi
quarto e settimo dell'art. 500 del codice di procedura penale - salvo
che  in  base  ad  elementi concreti debba ritenersi che il teste sia
stato sottoposto a violenza, minaccia o promessa di denaro e di altra
utilita'   affinche'   non  deponesse  o  deponesse  il  falso  -  le
dichiarazioni  precedentemente rese, derivate dal fascicolo del p.m.,
anche  se  utilizzate  per  le  contestazioni,  non  potranno  essere
acquisite al fascicolo dibattimentale - e quindi valutate per il loro
contenuto -  a  meno che sul punto non vi sia accordo delle parti. Il
sistema  delineato dalla legge 1 marzo 2001 n. 63 sul giusto processo
- con la sola deroga dell'accordo dei soggetti processuali costituiti
-  vieta  dunque al giudice di utilizzare quale materiale istruttorio
significativo  e  rilevante  le  dichiarazioni liberamente rese dalla
persona  informata  sui fatti in fase investigativa del procedimento,
anche  quando  la stessa, divenuta testimone, smentisca o contraddica
in   modo   irreparabile  detti  enunciati  e  la  discrasia  fra  le
deposizioni  emerga  nel  contraddittorio  processuale  attraverso le
contestazioni  mosse  ai sensi dell'art. 500, primo comma, del codice
di   procedura   penale.   L'organo  giudicante,  reso  edotto  dalla
dialettica  dibattimentale  del contrasto insuperato esistente fra le
varie  versioni,  extra  ed endoprocessuali, del testimone, potra' da
questo  inferire soltanto un risultato "minimo" e "negativo" quale la
valutazione  di inattendibilita' della prova testimoniale, mentre gli
restera'  inibita  qualsiasi  utilizzazione istruttoria del materiale
preformato;  pur  quando  in  base  al proprio libero convincimento e
sulla scorta delle residue prove aliunde acquisite, abbia maturato la
convinzione della inattendibilita' della deposizione dibattimentale e
della corrispondenza al vero di quella pregressa.
    La  vigente  disciplina contrasta palesemente ed irresolubilmente
con   il   principio   di   ragionevolezza   codificato   a   livello
costituzionale  dall'art. 3.  Va  detto che il legislatore del giusto
processo  ha reintrodotto nel codice di rito uno sbarramento che gia'
la Corte costituzionale con sentenza 3 giugno 1992 n. 255 riteneva di
caducare,   riconoscendolo  illegittimo  proprio  per  contrasto  con
l'indicata  norma  parametro. Ben evidenziava allora il giudice delle
leggi  che,  essendo fine primario ed ineludibile del processo penale
la  ricerca  della  verita',  l'oralita',  pur  assunta  a  principio
ispiratore del sistema, non puo' costituire - ne' costituisce secondo
la  disciplina  ad oggi vigente (si pensi alle disposizioni circa gli
atti  irripetibili  del p.m. e della PG e la originaria inclusione di
essi    nel   fascicolo   dibattimentale,   l'incidente   probatorio,
l'utilizzabilita',  anche  contra  se,  delle  dichiarazioni  rese in
precedenza   dall'imputato   assente,  contumace  o  che  rifiuti  di
sottoporsi  ad  esame, la persistente utilizzabilita' ex art. 512 del
codice  di procedura penale delle dichiarazioni assunte dalla persona
informata  sui fatti quando, per circostanze allora imprevedibili, la
deposizione  sia divenuta irripetibile, l'analogo regime previsto per
le dichiarazioni della persona residente all'estero dall'art. 512-bis
del  codice di procedura penale) - il veicolo esclusivo di formazione
della  prova  in  dibattimento.  Se  dunque  il  principio  della non
dispersione  del  materiale  probatorio  acquisito,  quale corollario
della  destinazione del processo a stabilire la verita' storica degli
accadimenti,  coesiste con quello della immediatezza e della naturale
formazione   della  prova  in  sede  dibattimentale  (come  da  Corte
costituzionale  n. 258/1991, n. 24/1992, n. 254/1992), non risponde a
logica  che  le  dichiarazioni rese dal testimone durante le indagini
preliminari  (al  pubblico  ministero  o alla polizia giudiziaria), e
gia' entrate nel contraddittorio dibattimentale attraverso il veicolo
delle  contestazioni,  non  possano  essere  compiutamente utilizzate
dall'organo  giudicante  al fine dell'accertamento dei fatti, nemmeno
quando   questi  le  ritenga  cosi'  pienamente  veritiere  da  dover
disattendere  la  difforme  deposizione  resa  in dibattimento1. Come
evidenziato    dal    p.m.    nell'enunciare    la    questione    di
costituzionalita',    derivano   da   tale   impostazione   normativa
conseguenze   processuali   paradossali   e   percio'  inaccettabili:
quand'anche  il giudice si convinca della fondatezza della primigenia
versione   testimoniale   ed   invece  della  inattendibilita'  della
deposizione resa dallo stesso soggetto nel processo, del materiale su
cui  il  convincimento  si  poggia  non potra' fare alcun utilizzo in
termini decisori.
    Parimenti  irragionevole appare la disciplina in commento laddove
consegna  al  potere  dispositivo delle parti (o meglio di una o piu'
parti,  secondo  la caratterizzazione soggettiva del dibattimento) la
facolta'  -  esercitabile,  quindi,  anche per intenti manipolatori e
distorsivi  che  in  nulla si coniugano con l'obiettivo della ricerca
della  verita'  -  di  rendere  efficace sotto il profilo probatorio,
ovvero  di  azzerarne  la  valenza,  la  dichiarazione  raccolta  dal
testimone in fase d'indagine. In altre parole, la possibilita' per il
giudice di prendere atto e di apprezzare il contenuto della pregressa
deposizione  e' demandata alla "discrezionalita'" delle parti, ovvero
alla  volonta' dei soggetti - secondo i casi, il p.m., l'imputato, la
parte  civile  -  direttamente interessati alla decisione dell'organo
terzo  ed  imparziale.  Non  solo  quindi e' immotivatamente limitato
l'esercizio  della  capacita'  decisionale  del  giudicante, ma si fa
dipendere  dalla  libera  opzione  delle  parti  la possibilita' che,
secondo convenienza, il limite venga o meno rimosso.
    L'irrazionalita'  della previsione, in ultima analisi, deriva dal
constatare  che,  in ragione dei diversi orientamenti delle parti del
processo,  il  giudicante  puo' passare da una condizione di radicale
inutilizzabilita'  istruttoria  delle dichiarazioni del teste formate
anteriormente  al dibattimento, ad altra di acquisibilita' e quindi -
deve  ritenersi  -  di  utilizzabilita'  completa ed illimitata delle
stesse (non potendosi sotto il profilo probatorio scindere il momento
acquisitivo   dell'atto   da   quello   di   utilizzazione  dei  suoi
contenuti2).
    Il  combinato  disposto  dei  commi secondo, quarto e settimo del
codice di procedura penale si pone altresi' in contrasto - in termini
speculari rispetto alla denunciata lesione dell'art. 3 - con la piena
esplicazione del diritto di difesa sancito dagli articoli 24, secondo
comma, e 111, terzo comma della Costituzione.
    L'art. 11  della  legge  7 dicembre 2000 n. 397 ha introdotto nel
codice di procedura penale il titolo Vl-bis del libro V dedicato alla
disciplina  delle  indagini  difensive.  Fra  le  piu'  significative
prerogative  della difesa vi e' quella, a mente dell'art. 391-bis del
codice  di  procedura penale, di ricevere dichiarazioni e di assumere
informazioni   dalle   persone   informate   sui  fatti:  debitamente
documentato,  il  materiale  conoscitivo cosi' formato e' destinato a
confluire  nel  c.d.  fascicolo  del  difensore  e  di  esso le parti
processuali  potranno servirsi - fra l'altro - per le contestazioni a
norma   dell'art. 500   del  codice  di  procedura  penale  (v.  art.
391-decies).  E'  allora  di  tutta  evidenza  che  non solo la parte
pubblica  o  la parte civile, ma anche l'imputato ed il suo difensore
possano avere interesse a che il giudice del processo conosca, valuti
ed   apprezzi   per   intero   le   dichiarazioni   rese   in   corso
d'investigazione  difensiva dal teste che, esaminato in dibattimento,
le  modifichi,  le smentisca o le contraddica (identica situazione e'
comunque   gia'   astrattamente  ipotizzabile  rispetto  alle  stesse
dichiarazioni  testimoniali  raccolte dal p.m. o dalla Pg). Di nuovo,
quindi,   la   disciplina   che   vieta  al  giudicante  di  vagliare
integralmente    la   valenza   istruttoria   del   contenuto   delle
dichiarazioni   utilizzate   per   le   contestazioni   si  manifesta
irragionevole, e, ad un tempo, in palese contrasto con l'esplicazione
dibattimentale  del  diritto  di  difesa, inviolabile in ogni stato e
grado   del   procedimento.  Componente  essenziale  di  un'effettiva
capacita'  difensiva  dell'imputato,  oggi  riconosciuta  anche dalla
Carta  costituzionale con l'esplicito art. 111 della Costituzione, e'
rappresentata  dalla  facolta' di convocare ed interrogare dinanzi al
giudice  sia  le  persone che rendono dichiarazioni a suo carico, sia
coloro  che  lo discolpano, ma balza evidente che la piena attuazione
di   tali   prerogative,   in   caso  di  smentita  o  contraddizione
processuale,  puo'  rendere  essenziale  l'acquisizione  agli atti di
dichiarazioni in precedenza rese dal testimone agli organi inquirenti
o al difensore.
    La   rilevanza  nel  procedimento  pendente  della  questione  di
costituzionalita'  sollevata dal p.m. e' dimostrata dall'osservazione
che  nell'udienza  dibattimentale  del  14 giugno  2001  i  testimoni
d'accusa  Biziak  Maria  e  Franchi Roberto hanno reso deposizioni in
piu'  momenti  contrastanti  con  quelle  che  da  loro  stessi la Pg
raccolse  in  corso  d'indagine, che le puntuali contestazioni svolte
dal  p.m.  non  hanno  composto  il contrasto, che il difensore di De
Marte  Rocco  non ha acconsentito alla richiesta dell'organo d'accusa
di   acquisizione   al   fascicolo   processuale   delle   precedenti
dichiarazioni  utilizzate  per  le contestazioni. La questione appare
nella  specie,  almeno  astrattamente,  decisiva  per  le  sorti  del
processo  in  quanto  in  entrambi i verbali di sommarie informazioni
redatti  da  personale  della  Compagnia  CC di Saronno i dichiaranti
enunciarono  specifiche  circostanze  di  fatto a carico dell'odierno
imputato  De  Marte  Rocco  e  proprio  detti enunciati costituiscono
l'oggetto della smentita dibattimentale.
                              P. Q. M.
    Letti  gli  articoli 23  e  ss.  legge cost. 11 marzo 1953 n. 87,
denuncia  l'illegittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con  gli
articoli 3, 24, secondo comma e 111, terzo comma Cost., dell'art. 500
commi  secondo,  quarto  e settimo c.p.p, e per l'effetto sospende il
giudizio in corso disponendo l'immediata trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale.
    Dispone  la  notifica  della  presente ordinanza all'imputato, al
difensore fiduciario, al pubblico ministero nonche' al Presidente del
Consiglio  dei  ministri.  Ne  ordina  la comunicazione ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
        Saronno, addi' 5 novembre 2001
                   Il giudice: (firma illeggibile)
      1 Il  corsivo  indica  la  riproduzione  letterale di passi del
pronunciamento della Corte cost.
      2 A meno che, come nell'art. 500 del codice di procedura penale
riformato,  non  sia  lo stesso legislatore ad introdurre specifici e
limitativi  criteri  di  valutazione  della prova. Si rammenti che il
quarto  comma,  mentre  consentiva sempre l'acquisizione al fascicolo
dibattimentale,  al  persistere  di  difformita', delle dichiarazioni
utilizzate  per le contestazioni al teste, ne condizionava la valenza
probatoria  rispetto  ai  fatti in esse affermati alla sussistenza di
altri elementi di prova a conferma dell'attendibilita'.
02C0064