N. 61 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 novembre 2001

Ordinanza  emessa  il  12  novembre 2001 dal tribunale di Bolzano nel
procedimento  civile  vertente  tra Matzneller Sabine e Niederstatter
Josef

Procedimento  civile  - Processo "bilingue" in Provincia di Bolzano -
  Redazione   dei  verbali  nonche'  delle  sentenze  e  degli  altri
  provvedimenti del giudice - Facolta' delle parti di rinunciare alla
  stesura   contestuale  nelle  due  lingue -  Mancata  previsione  -
  Contrasto   con   i  principi  dell'economia  processuale  e  della
  congruita'  delle  forme  allo  scopo  - Violazione dei principi di
  ragionevolezza,  di  ragionevole  durata  del  giudizio  e di buona
  amministrazione -   Irrazionale   distinzione   rispetto  ad  altre
  categorie  di atti per i quali la rinuncia alla stesura bilingue e'
  consentita.
- D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, art. 20, come modificato dall'art. 8
  del d.lgs. 29 maggio 2001, n. 283.
- Costituzione, artt. 3, 97, 111, comma secondo.
(GU n.7 del 13-2-2002 )
                        IL GIUDICE DEL LAVORO


                          Premesso in fatto

    Che  con  ricorso  dep.  il 7 marzo 2001 Matzneller Sabine faceva
valere   nei  confronti  del  marito  Niederstätter  Josef,  nei  cui
confronti  aveva  gia' avviato procedimento di separazione personale,
il diritto agli utili ed incrementi di azienda familiare in cui aveva
collaborato  da novembre  1995  a settembre 2000 (art. 230-bis c.c.),
che  il ricorso era redatto in lingua tedesca, mentre il convenuto si
costituiva con comparsa in lingua italiana, con la conseguenza che il
processo  diventava "bilingue" ai sensi dell'art. 20 d.P.R. 15 luglio
1988  n. 574  ("Norme  di  attuazione  dello  statuto speciale per la
regione  Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e
della  lingua  ladina  nei  rapporti  dei  cittadini  con la pubblica
amministrazione  e  nei  procedimenti  giudiziari"),  come modificato
dall'art. 8  d.lgs.  29 maggio  2001  n. 283,  entrato  in  vigore il
29 luglio 2001,
        che  all'udienza del 5 ottobre 2001 la ricorrente rinunciava,
tuttavia,   a   un  uso  contestuale  da  parte  dell'ufficio,  nelle
verbalizzazioni  e  nella  stesura  dei  provvedimenti,  compresa  la
sentenza, anche della lingua tedesca,
        che   il   nuovo   testo   dell'art. 20   prevede  bensi'  la
possibilita'  per  "l'attore"  di  "aderire  alla lingua scelta dalle
altre  parti",  rispettivamente la facolta' delle parti "nel processo
divenuto  bilingue"  di  rinunciare alla traduzione nell'altra lingua
degli  atti  gia'  in  precedenza formati, degli atti di parte, delle
consulenze  tecniche  e  dei verbali delle prove testimoniali, ma non
anche  la  possibilita' di una rinuncia alla stesura bilingue di ogni
altro  verbale  e  dei  provvedimenti  del  giudice  (successivi alla
costituzione di una parte in lingua diversa);

                         Ritenuto in diritto

    Che  non sia manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3,
97,  comma  primo  -  per  quanto di ragione -, e 111, comma secondo,
Cost.,  la questione di costituzionalita' della nuova normativa nella
parte  in  cui  prevede  unicamente la possibilita' da un lato di una
rinuncia  totale  all'uso  della lingua in origine scelta ("adesione"
alla  lingua  diversa  usata  dalla/e  altra/e parte/i), e dall'altro
quella di una rinuncia a una traduzione di scritti difensivi, verbali
di prove testimoniali, consulenze tecniche, ma non anche alla stesura
bilingue   dei  verbali  delle  fasi  di  mera  trattazione  e  degli
interrogatori   liberi  e  formali,  nonche'  dei  provvedimenti  del
giudice;
        cio'  in  quanto  la necessita' di un uso "contestuale" delle
due  lingue  anche  di  fronte  a  una  espressa rinuncia delle parti
apparirebbe  tradursi  in un inutile aggravamento della procedura, in
contrasto  non  solo con i principi, di perlomeno indiretta rilevanza
anche  costituzionale,  dell'economia  processuale e della congruita'
delle  forme  allo  scopo,  ma anche direttamente confliggente con il
principio   della   ragionevolezza   (art. 3  Cost.),  l'esigenza  di
contenere  la durata del processo entro termini ragionevoli (art. 111
novellato,  secondo  comma  -  a meno di non volere ritenere a priori
"ragionevole"  una  piu'  lunga  durata del processo bilingue, il che
sembrerebbe  pero'  ingiustamente  penalizzante  nei  confronti delle
parti  che  non  si trovino nelle condizioni di potere "aderire" alla
lingua  prescelta  dall'avversario),  nonche',  perlomeno  per quanto
riguarda  la  stesura  dei  verbali,  che  incombe  sul  personale di
cancelleria,  con  il  principio  di  buona  amministrazione  di  cui
all'art. 97 Cost.;
    Ritenendo,   con   riferimento   al  cit.  art. 111  cpv.  Cost.,
ipotizzabile un conflitto tra il rigore della novella e l'interesse a
un piu' celere svolgimento del processo, della parte che sia in grado
di  rinunciare,  ancorche'  non  all'uso attivo della propria lingua,
perlomeno alla stesura anche nella stessa degli atti dell'ufficio (e,
al  di  la'  del procedimento singolo, va considerato anche l'effetto
aggregato, ossia quello di un generale rallentamento dei processi, se
le  necessariamente  limitate risorse degli uffici giudiziari vengono
in non trascurabile misura assorbite da adempimenti che sembrerebbero
costituire fine a se stessi);
    Osservato  che,  mentre  la  traduzione  nell'altra  lingua degli
scritti   difensivi  delle  parti,  dei  verbali  di  prove  e  delle
consulenze  tecniche,  avviene  a cura del personale di appositamente
istituito  "ruolo  locale  dei  traduttori interpreti" (art. 3 d.lgs.
21 aprile  1993  n. 133),  e  quindi  dovrebbe  essere un adempimento
"neutro"  sotto  il  profilo  della  durata  del  processo, in quanto
suscettibile  di  essere  nei  "tempi  morti"  tra le udienze e senza
distogliere risorse agli organi preposti allo svolgimento delle altre
attivita'  processuali,  proprio  la  stesura  degli  atti che devono
essere  bilingui  senza possibilita' di deroga, fa carico a giudice e
cancelliere, e non e' demandabile all'ufficio degli interpreti (va al
riguardo  anche  ricordato che, salvo per l'istituzione del ruolo dei
traduttori,  gli  organici  degli  uffici  giudiziari locali non sono
stati  incrementati  in  concomitanza  con  l'entrata in vigore della
normativa sul bilinguismo);
    Ritenuto che sia stato senz'altro stato opportuno prevedere, come
nel  testo  novellato  del  d.P.R.  n. 574  si e' fatto, accanto alla
facolta'  della  parte di "aderire" alla scelta della lingua compiuta
dagli  altri  contendenti, con completa rinuncia all'uso della lingua
propria,  la  facolta'  di  rinunciare,  piu'  limitatamente,  a  una
traduzione  di  atti di altri soggetti del procedimento: ed invero e'
nozione  del  tutto triviale che la padronanza attiva che si abbia di
una  lingua  -  soprattutto,  per quanto qui di interesse: diversa da
quella  materna  - (cd. "competenza produttiva"), sia tendenzialmente
piu'  ristretta  di  quella  passiva  ("competenza  ricettiva"); piu'
concretamente  e  nell'esperienza  altoatesina:  che  molti residenti
siano  perfettamente  in  grado  di  comprendere  l'altra  lingua, ma
abbiano  obiettivamente,  o  avvertano  anche  solo  soggettivamente,
insicurezze nel suo uso attivo;
    Ritenuto che un elemento di irrazionalita', e quindi di contrasto
con  l'art. 3  Cost., possa pero' ravvisarsi nella distinzione che la
nuova  normativa fa tra le varie categorie di atti, obbligatoriamente
bilingui  gli  uni  (e, ripetesi, proprio quelli che vanno formati da
giudice  e  cancelliere,  senza  possibilita' di delega agli staff di
traduttori  ed  interpreti),  e  invece  con  il consenso della parte
interessata   in   lingua   unica  gli  altri,  e  questo  del  tutto
indipendentemente  dal  grado  di difficolta' linguistica che possono
presentare  (non  si vede, ad es., la differenza che vi possa essere,
sotto  questo  profilo,  tra  il verbale di un interrogatorio, sempre
obbligatoriamente bilingue, e quello di una prova testimoniale);
    E  si  consideri  anche  che  quale sanzione del mancato rispetto
delle  regole  sull'uso  della  lingua  e'  ora  prevista la nullita'
rilevabile  anche  d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento -
mentre  prima  della  novella  la  Cassazione  aveva  sentenziato, da
ultimo,  che la violazione del d.P.R., n. 574 nel processo civile non
integrasse   nemmeno   una   nullita'   relativa,   ma  una  semplice
irregolarita':   C.  5  ottobre  2000  n. 13.295  (e'  ben  vero  che
l'art. 23-bis  d.P.R.  n. 574/1988,  inserito  con  l'art. 11  d.lgs.
n. 283/2001,  prevederebbe  la  nullita' assoluta solo in caso di uso
della "lingua diversa", al singolare, e che quindi un'interpretazione
meramente  letterale  potrebbe  far ritenere assolutamente nullo solo
l'atto  processuale in lingua diversa che si inserisca in un processo
monolingue,  senonche'  un'interpretazione  sistematica e teleologica
impone di ritenere colpiti da nullita' anche gli atti compiuti in una
sola  lingua  in  un  processo bilingue: anche in questo caso vengono
potenzialmente  lesi  gli stessi diritti ed interessi che la norma ha
voluto garantire nel caso del processo monolingue);
    Ne'   appare  potersi  sostenere  che  il  "bilinguismo"  imposto
all'ufficio  (giudice/cancelliere)  nella  formazione dei propri atti
rispondesse  a  un  interesse  pubblicistico piu' pregnante di quello
sotteso  al  diritto  alla  traduzione  degli  atti  di parte e delle
testimonianze   (che   pur  sempre  dall'ufficio  vengono  ridotte  a
verbale);  e'  ben  vero  che le norme speciali sull'uso della lingua
vigenti  in  Trentino-Alto  Adige  mirano  non  solo  e  non  tanto a
garantire  alle  parti  private un contraddittorio adeguato alla loro
personale competenza linguistica, ma anche e soprattutto alla "tutela
di  un  bene  - l'identita' di una minoranza linguistica - che non e'
propriamente   del   processo,   ma   nel   processo  trova  soltanto
un'occasione   per   essere  realizzata"  (cosi',  da  ultimo,  Corte
Costituzionale  n. 213/1998); senonche' la stessa norma di attuazione
dello Statuto dimostra di non considerare imprescindibile, al fine di
salvaguardare adeguatamente tale "identita'" linguistica (del gruppo,
piu' che delle singole persone parti di un procedimento giudiziario),
l'uso  in  ogni caso anche della madrelingua di ogni singolo, tant'e'
che   prevede  addirittura  la  possibilita'  di  un  atto  di  parte
integralmente  abdicativo  qual'e'  l'adesione  completa  alla lingua
dell'avversario;  riconoscere,  accanto a questa facolta' di rinuncia
radicale,  anche quella di rinunciare solo a un uso contestuale anche
della  seconda  lingua  da  parte dell'ufficio, amplierebbe quindi le
possibilita'  di  raggiungere  un  giusto equilibrio, rispondente nel
caso concreto alle esigenze e preferenze delle parti processuali, tra
i  contrapposti  interessi  in  gioco,  quello  superindividuale alla
tutela  dell'identita'  linguistica degli appartenenti alla minoranza
etnica,  e  quello  individuale  della singola parte processuale a un
piu' spedito svolgimento del procedimento;
    Rilevato che anche lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
(T.U.   approvato   con   d.P.R.,  31 agosto  1972  n. 670)  prevede,
all'art. 100,  comma  quarto,  "l'uso disgiunto dell'una o dell'altra
delle  due lingue" come regola, e l'uso congiunto" come eccezione, in
particolare  "negli  atti  destinati  alla generalita' dei cittadini,
negli  atti  individuali  destinati  ad  uso  pubblico  e  negli atti
destinati  a  pluralita' di uffici" - e nessuna di queste tre ipotesi
nella  specie  appare  ricorrere (e' ben vero che le sentenze vengano
"pubblicate", mediante deposito in cancelleria, ma cio' non significa
che  siano istituzionalmente "destinate" a un "uso pubblico: se cosi'
fosse anche nel processo monolingue la sentenza dovrebbe essere stesa
in entrambe le lingue);
    Ritenendo  la  questione  rilevante  nel  presente  giudizio, pur
iniziato  ancora  sotto  il  regime  previgente, ma che in virtu' del
principio  "tempus  regit  actum"  perlomeno  in  relazione agli atti
formati  in  epoca successiva alla sua entrata in vigore, appare gia'
soggetto alla disciplina novellata, cio' perche' ove venisse ritenuta
fondata,   gli  ulteriori  provvedimenti  e  verbali  e  la  sentenza
definitiva,  stante  la rinuncia come sopra espressa dalla parte, non
dovrebbero piu' essere stesi - come invece la presente ordinanza - in
entrambe  le  lingue,  il che (in una con il concomitante snellimento
anche  di  altre  procedure  bilingui  pendenti  davanti  allo stesso
ufficio) permetterebbe una definizione piu' celere del procedimento.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953;
    Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata, in relazione
agli   artt.  3,  97  e  111  della  Costituzione,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 20 d.P.R. 15 luglio 1988 n. 574
("Norme   di   attuazione  dello  statuto  speciale  per  la  regione
Trentino-Alto  Adige  in  materia di uso della lingua tedesca e della
lingua   ladina   nei   rapporti   dei   cittadini  con  la  pubblica
amministrazione  e  nei  procedimenti  giudiziari"),  come modificato
dall'art. 8  d.lgs.  29 maggio  2001  n. 283,  nella parte in cui non
consente  alle  parti  del  processo  "bilingue"  di  rinunciare alla
stesura  contestuale  nelle  due  lingue  dei  verbali  nonche' delle
sentenze e degli altri provvedimento del giudice;
    Sospende  il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Bolzano, addi' 12 novembre 2001
                    Il giudice del lavoro: Bonell
02C0065