N. 24 SENTENZA 11 - 15 febbraio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Procedimento  per  decreto - Inapplicabilita' ai
  reati  militari  procedibili a richiesta del comandante del corpo o
  di  altro  ente  superiore  -  Assunta disparita' di disciplina tra
  reati  comuni  e  reati militari, nonche' incidenza sul trattamento
  sanzionatorio e sul principio della durata ragionevole del processo
  - Non fondatezza della questione.
-Cod. proc. pen., art. 459, comma 1.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 111, secondo comma.
(GU n.8 del 20-2-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 1,
del  codice  di  procedura penale, come modificato dall'art. 37 della
legge  16 dicembre  1999,  n. 479  (Modifiche  alle  disposizioni sul
procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre
modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e
all'ordinamento  giudiziario.  Disposizioni in materia di contenzioso
civile  pendente,  di  indennita'  spettanti  al giudice di pace e di
esercizio  della  professione forense), promosso con ordinanza emessa
il  14 marzo  2001  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale  militare  di Torino nel procedimento penale a carico di F.
S., iscritta al n. 328 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 19,  1a  serie  speciale,
dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 21 novembre 2001 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick;

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  giudice  per  le  indagini  preliminari  del Tribunale
militare di Torino solleva, in riferimento agli artt. 3, primo comma,
e  111,  secondo comma, della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 459,  comma  1,  del  codice  di  procedura
penale,  nella  parte in cui non prevede la possibilita' di applicare
il  procedimento  per  decreto ai reati militari punibili a richiesta
del  comandante  di  corpo, a norma dell'art. 260, secondo comma, del
codice  penale  militare  di  pace.  Il  rimettente  premette  che il
pubblico  ministero,  esercitando l'azione penale nei confronti di un
militare  per  il delitto di allontanamento illecito, aveva richiesto
l'emissione   di   decreto   penale   di   condanna   nei   confronti
dell'imputato;  che  tuttavia,  trattandosi  di imputazione per reato
punito  con pena edittale massima di mesi sei di reclusione militare,
esso  risultava perseguibile soltanto previa richiesta del comandante
di  corpo, a norma dell'art. 260, secondo comma, cod. pen. mil. pace.
Peraltro  - soggiunge il giudicea quo l'art. 459 cod. proc. pen., pur
ammettendo,  a seguito delle modifiche apportate ad esso dall'art. 37
della  legge 16 dicembre 1999, n. 479, la possibilita' di adottare il
procedimento  per  decreto  anche per i reati perseguibili a querela,
non  ha  fatto  menzione  alcuna  dei  reati militari per i quali sia
prevista   la   condizione  di  procedibilita'  della  richiesta  del
comandante  di  corpo.  A  parere  del rimettente risulterebbe dunque
impossibile   -   contrariamente  alla  tesi  espressa  dal  pubblico
ministero  in  sede  di  richiesta  -  procedere  ad una applicazione
analogica del nuovo disposto dell'art. 459 cod. proc. pen. al caso in
esame,   attesa  la  diversita'  dell'istituto  della  richiesta  del
comandante  di  corpo rispetto alla querela: da cio' la necessita' di
sollevare il quesito di legittimita' costituzionale.
    Al  riguardo,  il  giudice a quo sottolinea di essere consapevole
del  fatto  che  sulla  identica  questione  questa  Corte si e' gia'
pronunciata  in  senso  negativo  con la sentenza n. 274 del 1997, ma
tuttavia  ritiene  legittima la riproposizione del quesito in ragione
del  fatto  che  quella  pronuncia  aveva  preso in considerazione il
"vecchio"  testo  dell'art. 459 cod. proc. pen; e che pertanto - alla
luce  della  modifica  normativa  che  ha  reso ora possibile il rito
monitorio anche per i reati procedibili a querela - le argomentazioni
poste  a  fondamento  della  pronuncia  in  questione risulterebbero,
ormai,  non  piu' "condivisibili". La normativa impugnata si porrebbe
dunque  in  contrasto  con l'art. 3, primo comma, Cost., in quanto da
essa  deriverebbero  sia "una disparita' di trattamento, dal punto di
vista  della  legge  processuale,  relativamente  a  reati  comuni  e
militari,  aventi lo stesso nucleo di condotta penalmente rilevante";
sia  una  "disparita'  di  trattamento dal punto di vista della legge
penale  sostanziale,  tra  imputati  di  reati  militari della stessa
indole",  giacche'  per  gli  imputati di reati militari perseguibili
d'ufficio  -  e  quindi  di  piu'  intensa  gravita'  -  risulterebbe
applicabile  il  procedimento  per decreto, a differenza dei militari
responsabili  di  reati  a  procedibilita' condizionata, per i quali,
invece,  quel  rito  resta  precluso. Sarebbe leso anche il principio
della  ragionevole  durata  del processo di cui all'art. 111, secondo
comma,   Cost.,   in  quanto  verrebbe  imposta  la  definizione  del
procedimento con le forme ordinarie - con conseguente dilatazione dei
tempi  processuali  -  per  i  reati  perseguibili  a  richiesta  del
comandante  di corpo, benche' aventi caratteristiche di lieve entita'
e  la  cui  prova  e',  di  regola, sufficientemente assicurata dalle
risultanze cartolari della indagine.
    2.  - Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata non fondata. A
parere  della  Avvocatura,  la  diversita' sussistente tra l'istituto
della  querela  e  quello  della  richiesta  del  comandante di corpo
impedirebbe  di ravvisare "quel requisito di omogeneita' che consente
di  invocare  la  lesione  dell'art. 3  Cost.";  mentre  per cio' che
attiene  alla pretesa violazione dell'art. 111, secondo comma, Cost.,
l'ampia  discrezionalita'  di cui il legislatore gode nell'assicurare
la  durata  ragionevole  del  processo non sarebbe stata nella specie
indebitamente superata.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  giudice  per  le  indagini  preliminari  del Tribunale
militare  di  Torino  solleva,  in  riferimento  agli  artt. 3 e 111,
secondo   comma,   della   Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 459,  comma  1,  del  codice  di  procedura
penale,  nella parte in cui non consente di applicare il procedimento
per  decreto ai reati punibili a richiesta del comandante del corpo o
di altro ente superiore da cui dipende il militare colpevole, a norma
dell'art. 260,  secondo  comma, del codice penale militare di pace. A
parere  del giudice a quo, le modifiche apportate all'art. 459, comma
1,  cod. proc. pen. ad opera dell'art. 37 della legge n. 479 del 1999
- estendendo la possibilita' di procedere con il rito monitorio anche
nei confronti dei reati procedibili a querela - avrebbero fatto venir
meno  la  ratio  essendi della sentenza n. 274 del 1997, con la quale
questa  Corte  disattese  la fondatezza di analoga questione, facendo
leva,  appunto, sulla circostanza che il procedimento per decreto era
allora  consentito  unicamente per i reati procedibili di ufficio, in
considerazione  della  ritenuta  "...  incompatibilita'  tra  il rito
monitorio  e la complessita' degli accertamenti richiesti per i reati
a procedibilita' condizionata ...".
    Venuta  meno  l'anzidetta  preclusione per i reati perseguibili a
querela;   e   considerato   che   la   invocata  complessita'  degli
accertamenti  e' di regola collegata all'intrecciarsi tra gli aspetti
penalistici   e  quelli  civilistici  (problematica,  questa,  invece
estranea all'istituto della richiesta previsto dall'art. 260, secondo
comma,   cod.  proc.  mil.  pace):  ne  deriverebbe,  ad  avviso  del
rimettente,  una  irragionevole  divergenza  di  disciplina tra reati
comuni  e  reati  militari  "..  aventi  lo stesso nucleo di condotta
penalmente rilevante ...". Siffatta divergenza sarebbe idonea anche a
ledere   il  canone  della  uguaglianza  sul  piano  del  trattamento
sanzionatorio  (attesa  la  possibilita'  di  fruire  di  un cospicuo
"sconto  di  pena"  attraverso  la applicazione del decreto penale di
condanna),  ed  avrebbe  dei  riflessi  negativi  sul  versante della
ragionevole  durata  del  processo,  sancita  dall'art. 111,  secondo
comma, della Carta fondamentale.
    2. - La questione non e' fondata.
    La  omologabilita' delle situazioni poste a raffronto e' impedita
dalle stesse prospettazioni che il rimettente adduce a sostegno delle
proprie censure.
    Come infatti emerge dalla ordinanza di rimessione, da un lato, il
giudice a quo sottolinea la nutrita gamma di elementi che impediscono
di ritenere fra loro sovrapponibili o assimilabili gli istituti della
richiesta  del  comandante  di  corpo  e  della  querela,  essendo la
richiesta  "volta  alla  tutela  di interessi di natura pubblicistica
quali  il  servizio  e  la disciplina militare, valori che potrebbero
subire  un  pregiudizio  anche  dalla  pubblicita'  conseguente  alla
celebrazione  di processi per episodi di lieve entita'", a differenza
della  querela,  che  "soddisfa  invece  l'interesse  (privato) della
vittima  del  reato":  cosi'  da  escludere qualsiasi possibilita' di
estensione  analogica della novella concernente l'art. 459 cod. proc.
pen. ai  reati  militari  a  procedibilita' condizionata. Da un altro
lato  - in modo del tutto contraddittorio - il rimettente finisce per
affermare   che,  proprio  a  seguito  di  quest'ultima  innovazione,
risulterebbe  irragionevole  il  mancato "allineamento", agli effetti
che  qui  rilevano,  delle due figure di condizione di procedibilita'
messe a confronto.
    E'  dunque  evidente  che,  una  volta  esclusa  - come lo stesso
rimettente  mostra  di  escludere - la comparabilita' della querela e
della  richiesta  del  comandante  di  corpo,  tanto  sul piano della
struttura che delle rispettive finalita', l'intera problematica della
"estensione"  del  rito  monitorio  ai  reati  militari procedibili a
richiesta  viene  di  per  se'  a  trasferirsi  sul  piano della pura
discrezionalita'  legislativa; non diversamente, d'altra parte, dalla
eventuale  ulteriore  "estensione"  del  medesimo rito anche ai reati
comuni  subordinati  a  condizioni  di  procedibilita'  diverse dalla
querela.  Posto  che  la pronuncia additiva sollecitata dal giudice a
quo  -  lungi dall'operare secondo un meccanismo di conseguenzialita'
costituzionalmente   imposto   -   presupporrebbe   una   scelta   di
opportunita',  estranea all'accertamento dei vizi tipico del giudizio
devoluto  a questa Corte, ne deriva che la questione proposta risulta
non fondata.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 459, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in
riferimento  agli  artt. 3,  primo comma, e 111, secondo comma, della
Costituzione,  dal  giudice per le indagini preliminari del Tribunale
militare di Torino con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 15 febbraio 2002.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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