N. 106 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 giugno 2001
Ordinanza emessa il 12 giugno 2001 dal tribunale di Siracusa (pervenuta dalla Corte costituzionale il 14 febbraio 2002) nei procedimenti penali riuniti a carico di Nocito Francesco ed altri Processo penale - Prove - Testimonianza indiretta - Divieto di testimonianza degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalita' di cui agli artt. 351 e 357, lett. a), cod. proc. pen. - Operativita' del divieto in caso di indagini svolte di propria iniziativa e non anche nel caso di indagini delegate dal pubblico ministero - Disparita' di trattamento - Lesione del diritto di difesa - Violazione del principio di parita' tra accusa e difesa. - Cod. proc. pen., art. 195, comma 4, come modificato dall'art. 4 della legge 1 marzo 2001, n. 63. - Costituzione, artt. 2, 3, 24 e 111.(GU n.12 del 20-3-2002 )
IL TRIBUNALE Sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 195 comma 4 c.p.p. per violazione degli artt. 2, 3, 24, 111 della Costituzione, sollevata dai difensori degli imputati, sentito il p.m.; O s s e r v a Nell'odierno procedimento, n. 51-52/2001 R.G. contro Nocito Francesco piu' altri, all'udienza del 13 aprile 2001 e' stata assunta la testimonianza del m.llo Domenico Di Somma, il quale ha riferito dichiarazioni da lui ricevute, e regolarmente verbalizzate nel corso delle indagini preliminari, da parte di persone informate sui fatti, citate in dibattimento come testimoni. Il difensore dell'imputato Nocito Francesco ha eccepito il divieto per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria di testimoniare sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalita' di cui agli art. 351 e 357, comma 2, lettera a) e b), ai sensi dell'art. 195, comma 4, c.p.p., cosi' come riformulato dalla legge n. 63/2001. Il pubblico ministero ha replicato chiedendo il rigetto dell'eccezione, sul presupposto che la norma che la difesa assume violata, limita il divieto alle sole ipotesi in cui dichiarazioni siano state assunte dalla polizia giudiziaria ai sensi degli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b), e quindi nell'ambito di attivita' d'indagine di iniziativa della polizia giudiziaria, facendo salve, negli altri casi, le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 dello stesso art. 195 c.p.p. Il tribunale ha rigettato l'eccezione della difesa, aderendo alla prospettazione teorica del p.m., secondo un'interpretazione letterale della norma: appreso dallo stesso pubblico ministero che le informazioni testimoniali sono state acquisite dal testimone di polizia giudiziaria nel corso di attivita' d'indagine delegata, si e' ammessa la deposizione sul contenuto delle stesse, valorizzando il chiaro dato letterale, che a parere del tribunale e' insuperabile, dell'art. 195, comma 4, c.p.p. riformulato, che espressamente limita il divieto ai casi di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettera a) e b) c.p.p. I difensori unanimemente hanno quindi eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 195, comma 4, c.p.p., nell'interpretazione data dal tribunale e dai medesimi non condivisa, in relazione agli art. 2. 3, 24 e 111 della Costituzione, atteso che la norma contraddirebbe i diritti inviolabili alla difesa e al contraddittorio nella formazione della prova e disciplinerebbe diversamente situazioni identiche, cosi' determinando un'igiustificata disparita' di trattamento, sulla base di una scelta assolutamente discrezionale del legislatore, a fronte dell'eguale situazione di fatto derivante dall'assunzione delle stesse dichiarazioni su delega del p.m. o su iniziativa della stessa polizia giudiziaria. Preliminarmente il tribunale ribadisce l'interpretazione data dell'art. 195, comma 4 c.p.p. Tale interpretazione appare al collegio l'unica consentita alla luce del principio fondamentale e primario in materia di interpretazione di norme giuridiche: in claris verbis non fit interpretatio. La precisa indicazione di specifiche norme giuridiche, anziche' il ricorso a locuzioni concettuali, non consente alcuna valutazione discrezionale del giudice: il divieto di testimoniare della polizia giudiziaria e' limitato ai casi in cui le dichiarazioni siano state assunte con le modalita' di cui agli artt. 351 e 357 comma 2, lettera a) e b) c.p.p. e non e' esteso in generale al contenuto delle dichiarazioni ricevute in corso di indagine. Il codice di procedura infatti distingue, e tratta in diverse disposizioni normative, l'attivita' della polizia giudiziaria, a seconda se compiuta di propria iniziativa o delegata dal p.m.: l'art. 348, comma 2, c.p.p. disciplina gli atti di polizia giudiziaria precedenti l'intervento del p.m., includendo tra tali atti quelli "indicati negli articoli seguenti". Tra questi ultimi devono sicuramente includersi gli atti tipici d'investigazione indiretta (art. 349, 350 e 351 c.p.p.) e in particolare proprio l'assunzione di sommarie informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili alle indagini (art. 351 c.p.p.); viceversa l'art. 370 c.p.p. invece disciplina l'attivita' delegata della polizia giudiziaria. Il divieto di testimoniare degli appartenenti alla polizia giudiziaria quindi e' limitato al contenuto delle dichiarazioni dagli stessi ricevute mediante assunzione d'informazioni testimoniali di propria iniziativa. L'espressione "modalita'", contenuta nell'art. 195 comma 4 c.p.p. riformulato, a parere del tribunale non puo' essere univocamente interpretata, come vorrebbero i difensori, come "modalita' di documentazione" delle dichiarazioni, nel senso di porre un divieto in tutti i casi in cui l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria abbia documentato in apposito verbale le dichiarazioni ricevute e consentire invece la deposizione sulle dichiarazioni non trascritte in apposito verbale, atteso che cio' non e' consentito ne' dal tenore letterale dell'espressione utilizzata, ne' dall'interpretazione sistematica delle norme. In particolare non puo' essere ritenuto decisivo, come sostengono i difensori, il richiamo all'art. 357 c.p.p., proprio per il fatto che tale richiamo, come gia' sottolineato, e' limitato al comma 2, lettera a) e b) e non e' alla norma tout court. D'altro canto, va aggiunto che, se con l'espressione "modalita'" il legislatore avesse voluto intendere le modalita' di documentazione, piu' lineare sarebbe stato il richiamo solo all'art. 357 c.p.p., e in particolare al comma 2 lettera a) b) e anche c) lettera quest'ultima che fa riferimento proprio alle "informazioni assunte a norma dell'art. 351 c.p.p.": proprio il richiamo all'art. 351 c.p.p. al di fuori della norma che lo contiene con riferimento alla documentazione degli atti d'indagine, e' evidente indizio di una piu' ampia interpretazione dei limiti del divieto di testimonianza indiretta della polizia giudiziaria, non delimitato dall'avvenuta o meno verbalizzazione delle dichiarazioni acquisite. L'espressione "modalita'" invece puo', e a parere del collegio deve, essere intesa in senso generale come modalita' di svolgimento dell'attivita' di assunzione di informazioni da parte della polizia giudiziaria e quindi l'unico discrimine rintracciabile - attesa l'assenza, come meglio si precisera' nel prosieguo, di ogni altra distinzione tra l'assunzione di informazioni ai sensi dell'art. 351 c.p.p. e ai sensi dell'art. 370 c.p.p. - appare essere quello dell'iniziativa propria anziche' derivata dalla delega del p.m. Inoltre la ricostruzione interpretativa dei difensori degli imputati Nocito e Musumeci, che perviene al risultato di consentire la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria solo nell'ipotesi in cui non siano state verbalizzate le dichiarazioni ricevute, a meno di non voler essere restrittiva al punto di limitarla all'ipotesi in cui le dichiarazioni, essendo rivolte ad altri, siano solo occasionalmente percepite dall'agente o dall'ufficiale di polizia giudiziaria, non tiene conto del generale dovere di verbalizzazione che incombe, anche se non a pena di nullita' e inutilizzabilita' delle dichiarazioni stesse, sulla polizia giudiziaria che assuma dichiarazioni testimoniali che certo sarebbe tenuta a fornire una plausibile giustificazione della violazione di tale dovere di documentazione. Tutto cio' premesso, deve osservarsi che la questione sollevata appare rilevante in quanto decisiva ai fini delle modalita' e dell'estensione delle testimonianze degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria citati dalle parti nel presente procedimento. La questione inoltre, a parere del tribunale, non appare manifestamente infondata. In relazione all'art. 3 della Costituzione, infatti, non si ravvisa alcuna ragione logico giuridica per differenziare l'ipotesi in cui l'ufficiale di p.g. abbia assunto s.i.t. di propria iniziativa e quella in cui invece abbia acquisito dichiarazioni testimoniali su delega del p.m., facendosi divieto nel primo caso, diversamente dal secondo, di testimoniare sul contenuto delle dichiarazioni stesse. Invero le due situazioni appaiono identiche, trattandosi in entrambi i casi di attivita' di assunzione di informazioni da parte della polizia giudiziaria. In particolare sono identiche le modalita' di documentazione, atteso che l'art. 357 c.p.p. per l'attivita' di iniziativa della p.g. richiama le modalita' dettate dall'art. 373 c.p.p. per la documentazione degli atti del p.m. e della stessa p.g. su delega del p.m.; identica e' la destinazione dell'atto al fascicolo del p.m., salvi i casi di irripetibilita'; identica e' l'utilizzabilita' per le contestazioni, sia con riferimento all'ammissibilita' sia con riferimento agli effetti delle stesse; in entrambi i casi e' ammessa la lettura delle dichiarazioni ai sensi degli artt. 512 e 512-bis c.p.p. Conseguentemente, il fatto che nell'un caso le dichiarazioni siano assunte su iniziativa autonoma della p.g. e viceversa nell'altro a seguito di apposita delega d'indagini da parte del p.m. non appare circostanza tale, da poter discriminare il trattamento riservato alla testimonianza indiretta dell'ufficiale o dell'agente di polizia giudiziaria in dibattimento, che solo nel caso in cui avesse operato su delega del p.m. sarebbe legittimato a deporre sul contenuto delle informazioni testimoniali assunte. Non appare pertanto infondato ritenere che tale diversa disciplina della testimonianza indiretta dell'ufficiale o dell'agente di polizia giudiziaria non apparendo giustificata da alcuna differenza sostanziale, confligga con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, che invece e' posto a presidio della parita' di trattamento delle situazioni uguali, che devono essere regolate da disciplina unitaria. Nella stessa ottica di discriminazione di situazioni identiche, e solo entro tali limiti, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 195, comma 4 c.p.p., sollevata con riferimento agli artt. 2 e 24 Cost. Ritiene il collegio che la legittimazione alla testimonianza indiretta dell'ufficiale o dell'agente di polizia giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni assunte su delega del p.m. (che deriva dalla precisazione del divieto di cui all'art. 195, comma 4 c.p.p. come riferito al solo caso di dichiarazioni assunte dalla p.g. di propria iniziativa) non appare di per se' comprimere il diritto di difesa, se non nei limiti in cui rimette alla discrezionalita' del p.m. la decisione di delegare o meno l'atto e quindi di consentire o meno la testimonianza sul contenuto dello stesso all'ufficiale o agente di polizia giudiziaria, consentendo cosi' al p.m. di sottrarre un teste alle domande del difensore dell'imputato (anche se non appare illogico immaginare che il p.m. si riservi sempre la possibilita' di sentire come testimone la p.g., delegando sempre l'assunzione di informazioni). Viceversa non appare sussistere la compressione del diritto di difesa, individuata dai difensori degli imputati Nocito e Musumeci nella vanificazione della redazione formale del verbale, quale atto idoneo a garantire la conformita' delle dichiarazioni dibattimentali con quelle predibattimentali e idoneo ad evitare l'ingresso in dibattimento di dichiarazioni diverse da quelle fedelmente documentate. Infatti, anche per l'ufficiale e l'agente di polizia giudiziaria vale la stessa disciplina applicabile ai testimoni de relato, contenuta nei primi tre commi dell'art. 195 c.p.p., con la possibilita' delle parti e quindi del difensore dell'imputato di chiedere, e l'obbligo del giudice di disporre, la testimonianza della fonte diretta e nel caso di irripetibilita' di produrre il verbale delle dichiarazioni. Anzi, a ben vedere, la testimonianza indiretta dell'ufficiale e dell'agente di polizia giudiziaria appare anche piu' garantista per la difesa dell'imputato, proprio nell'ipotesi in cui il medesimo riferisca dichiarazioni da lui ricevute e formalmente verbalizzate, attesa la possibilita' per il difensore nel corso del controesame di far rilevare le difformita' tra quanto indirettamente testimoniato e quanto invece verbalizzato e riferito in proprio dalla fonte diretta, mostrando al testimone il verbale, da lui sempre consultabile in quanto atto a propria firma. Quanto alla compatibilita' tra l'art. 195 comma 4 c.p.p., nell'interpretazione resa dal tribunale - che consente la testimonianza della polizia giudiziaria sulle dichiarazioni ricevute nelle sommarie informazioni testimoniali delegate - e l'art. 111 della Costituzione, non si ravvisa nemmeno alcun contrasto tra la norma medesima e il principio di parita' tra accusa e difesa, sancito dalla Costituzione con l'introduzione del predetto articolo a seguito dell'adozione della legge costituzionale n. 2/1999, all'infuori del predetto potere del p.m. di scegliere preventivamente di delegare o meno l'atto di indagine e quindi di consentire o meno la testimonianza dell'appartenente alla polizia giudiziaria, in modo assolutamente discrezionale e in posizione di preminenza rispetto alla difesa, che si vedrebbe privata della possibilita' di esaminare un teste in dibattimento, senza alcuna possibilita' di intervenire nella scelta dell'accusa. Infatti, da un lato e' evidente innanzitutto che la deposizione dell'ufficiale o dell'agente di p.g. non e' sottratta alle regole del contraddittorio, con l'ulteriore garanzia di veridicita' sopra detta, derivante dal riscontro del verbale alle dichiarazioni riferite in dibattimento quale testimone de relato, e quindi e' perfettamente compatibile e in sintonia con i principi del contraddittorio e della parita' delle parti introdotti dalla nuova formulazione dell'art. 111 Cost. In secondo luogo non puo' nemmeno dirsi violato il diritto dell'imputato di interrogare o fare interrogare davanti al giudice le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, previsto dall'art. 111 comma 2 Cost., atteso quanto gia' osservato con riferimento alla previsione generale per cui il giudice e' tenuto a disporre la citazione del testimone diretto su richiesta di parte, a pena di inutilizzabilita' della testimonianza indiretta. Pertanto l'unico profilo di illegittimita' che residua in relazione all'art. 111 della Costituzione e' il medesimo gia' rilevato con riferimento al conflitto con gli artt. 2 e 24 Cost., e cioe' nei limiti in cui si profila una posizione di preminenza della pubblica accusa sulla difesa, nell'attribuire alla discrezionalita' del p.m. la decisione di delegare o meno l'atto, con la predetta conseguenza di consentire al p.m., nella seconda ipotesi, di decidere di sottrarre un testimone alle domande del difensore dell'imputato. Contenuto entro tali limiti il conflitto tra la nuova formulazione dell'art. 195, comma 4, c.p.p. e l'art. 111 della Costituzione, non e' illogico ne' contradditorio che il tribunale sollevi d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale della norma in questione, sotto il profilo proprio della reintroduzione del divieto di testimonianza indiretta dell'ufficiale o agente di polizia giudiziaria, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Infatti, a parere del tribunale, l'introduzione, con la legge n. 63/2001, del divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali e degli agenti di p.g., sebbene nei limiti in cui e' riferito ai soli casi degli artt. artt. 351 e 357, comma 2, lettera a) c.p.p., riproduce sostanzialmente la medesima illegittimita' gia' dichiarata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 31 gennaio 1992. La Corte infatti con la predetta sentenza rilevava come il divieto originariamente introdotto di testimonianza indiretta degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria costituiva un'eccezione assolutamente ingiustificata rispetto alla disciplina dell'art. 195 c.p.p. nel suo complesso e rispetto altresi' alla regola generale sulla capacita' di testimoniare (non essendo prevista alcuna incompatibilita' dall'art. 197 c.p.p. nei loro confronti) e dichiarava l'illegittimita' costituzionale della norma per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. La Corte in particolare osservava come non potesse rinvenirsi alcuna differenza tra l'appartenente alla polizia giudiziaria e il testimone comune, risultando una tale distinzione palesemente "assurda" e in insanabile contraddizione col ruolo e la funzione attribuiti dalla legge alla polizia giudiziaria. Non puo' nemmeno rinvenirsi nessuna giustificazione della differenza tra la generale capacita' a testimoniare dell'appartenente alla polizia giudiziaria e il divieto di testimonianza indiretta, che non e' altro che una particolare forma di testimonianza, ammessa dalla legge sebbene con precisi limiti e garanzie. L'attivita' svolta dalla polizia giudiziaria nella fase di indagini non puo' essere la giustificazione del divieto di testimonianza indiretta, atteso che in tal caso dovrebbe essere prevista una generale incompatibilita' con l'ufficio di testimone e non solo un divieto di testimonianza indiretta. Tali argomentazioni della corte appaiono tuttora valide e utilizzabili a sostegno dell'incostituzionalita' del divieto di testimonianza indiretta reintrodotto dal legislatore sebbene nei limiti attuali. Infatti la modifica dell'art. 111 della Costituzione nella sua attuale formulazione non appare incidere sulle considerazioni svolte dalla corte con riferimento alla violazione del principio di uguaglianza da parte della norma come originariamente formulata. Il legislatore, a parere del tribunale, ha reintrodotto e riformulato un divieto che appare in evidente ed insanabile contraddizione con l'art. 3 della Costituzione per i motivi gia' individuati dalla corte con la sentenza n. 24/1992 e che non si giustifica minimamente con il mutato quadro costituzionale alla luce del nuovo art. 111 Cost. Al riguardo va tenuto presente che gia' nella suddetta sentenza la Corte osservava come l'originario divieto di cui all'art. 195, comma 4, c.p.p. non potesse ritenersi, come si affermava nella relazione al progetto preliminare, dare attuazione alla direttiva 31 della legge delega, che mira a garantire il diritto di difesa, atteso che il diritto di difesa e' comunque tutelato attraverso le generali regole del contradditorio e quindi attraverso l'esame e il controesame del testimone. Tali affermazioni sono sicuramente riproponibili per l'attuale divieto di cui all'art. 195, comma 4, c.p.p., nei casi di cui agli artt. 351 e 357 comma 2 lettera a), atteso che le generali regole del contradditorio applicate all'esame dell'ufficiale o agente di polizia giudiziaria sono idonee e sufficienti ad escludere che le parti processuali non si trovino in condizioni di parita' e uguaglianza nell'acquisizione della prova, nel rispetto dei principi dell'art. 111 Cost. commi 1, 2 e 3. Inoltre la generale disciplina della testimonianza indiretta, che impone, su richiesta delle parti, la citazione della fonte diretta, sicuramente applicabile anche al testimone ufficiale o agente di p.g., consente il rispetto del diritto dell'imputato di interrogare e fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, come sancito nell'art. 111, comma 2, Cost.
P. Q. M. Vista la legge 11 marzo 1953 n. 87; Ritenuta la rilevanza nel presente processo; Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 195, comma 4, c.p.p., nell'attuale formulazione introdotta dalla legge n. 63/2001, nella parte in cui disciplina il divieto dell'ufficiale o dell'agente di polizia giudiziaria di riferire sulle dichiarazioni acquisite dai testimoni con le modalita' di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettera a), per contrasto con gli artt. 2, 3, 24 e 111 della Costituzione, per i motivi di cui in narrativa; Sospende il giudizio in corso e ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale. Manda alla cancelleria gli adempimenti di competenza, relativi alla notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Siracusa, addi' 12 giugno 2001 Il Presidente: Panebianco 02C0141