N. 121 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 2002
Ordinanza emessa il 29 gennaio 2002 dalla Corte di appello di Torino nel procedimento civile vertente tra Monti s.a.s. di Monti Lona & C. ed altro e Vidali Riccardo ed altra Procedimento civile - Giudizio di appello - Precisazione delle conclusioni delle parti dopo l'esaurimento delle attivita' di cui agli artt. 350 e 351 cod. proc. civ. - Necessaria immediatezza (ancorche' l'appellato si sia costituito nella stessa udienza di comparizione ed abbia proposto eccezioni) - Conseguente impossibilita' per il giudice di fissare un'apposita nuova udienza - Irragionevole disparita' di trattamento in danno dell'appellante - Lesione in concreto del diritto di azione e difesa di quest'ultimo - Violazione del principio secondo cui ogni processo deve svolgersi in contraddittorio tra le parti in condizioni di parita'. - Codice di procedura civile, art. 352. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, comma secondo, e 111, comma secondo (come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2).(GU n.13 del 27-3-2002 )
LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa al n. 1750 R.G. 2000 avente ad oggetto: esecuzione in forma specifica, promossa da Monti s.a.s. di Monti Loana & C. e Pavan Paolo con gli avvocati Giuseppe Portigliotti e M. Rino Orioli, appellanti; Contro Vidali Riccardo elettivamente domiciliato in piazza Matteotti n. 11, Verbania (studio avv. Adreani) presso l'avv. Marco Barattini, procuratore costituito in primo grado, appellato, e in contraddittorio con Fortina Edilde, coerede dell'appellato Vidali Riccardo, rappresentata e difesa dagli avvocati Marco Barattini e Marco Bertuzzi, coerede dell'appellato. Udienza di discussione del 29 gennaio 2002. 1. - Premessa. La Corte di appello, premesso: che con atto di citazione in appello notificato il 25 ottobre 2000 s.a.s. Monti di Monti Loana & C. e Paolo Pavan hanno proposto impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Verbania del 25-26 agosto 1999, n. 459, che aveva deciso la controversia da essi promossa nei confronti di Riccardo Vidali; che in particolare il Tribunale aveva: dichiarato il difetto di legittimazione attiva del Pavan; respinto la domanda di esecuzione specifica di un contratto preliminare; accolto la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento del Vidali; respinto la domanda risarcitoria; condannato il Vidali alla rifusione delle spese processuali; che alla prima udienza del giudizio di appello l'appellato Riccardo Vidali non si e' costituito e la Corte, rilevato un vizio nella notificazione dell'atto introduttivo, ne ha ordinato la rinnovazione per l'udienza del 26 giugno 2001; che in tale udienza si e' costituito per l'appello l'avv. Bertuzzi, in sostituzione dell'avv. Barattini, dichiarando contestualmente l'intervenuto decesso di Riccardo Vidali in data 19 settembre 2000; che la Corte ha conseguentemento dichiarato interrotto il procedimento; che con ricorso depositato in data 21 settembre 2001 gli appellanti hanno richiesto la fissazione di udienza per la prosecuzione del giudizio; che il Presidente ha provveduto con decreto del 3 ottobre 2001 a fissare all'uopo udienza al 29 gennaio 2002, con termine al 31 ottobre 2001 per la notificazione; che il procuratore di parte appellante ha richiesto all'ufficio giudiziario la notificazione del ricorso e decreto impersonalmente e collettivamente nell'ultimo domicilio del defunto in via Cavour n. 105, Arona; che il plico contenente l'atto, notificato dall'ufficiale giudiziario tramite il servizio postale in data 18 ottobre 2001, e' stato peraltro indirizzato non gia' agli eredi del defunto ma allo stesso Riccardo Vidali; che in data 21 novembre 2001 la parte appellante ha richiesto una nuova notificazione, questa volta eseguita effettivamente con plico indirizzato agli eredi, ritirata in data 24 novembre 2001 da Carla Vidali, qualificatasi quale "erede"; che all'udienza del 29 gennaio 2002 si e' costituita in giudizio Edilde Fortina, qualificandosi quale moglie e coerede del defunto Riccardo Vidali, per eccepire in via pregiudiziale l'inesistenza della notificazione del ricorso per la riassunzione del giudizio, in quanto eseguita solo dopo il decorso dell'anno dal decesso del defunto Riccardo Vidali (anche tenuto conto della sospensione feriale); che il difensore della parte appellante ha chiesto la concessione di un termine per poter esaminare l'avversaria eccezione, contenuta in comparsa costituiva depositata in udienza, e comunque il beneficio della "rimessione in termini" ad ogni effetto di legge; Vista pertanto e in particolare l'istanza del procuratore di parte appellante-riassumente diretta ad ottenere la fissazione di una nuova udienza per "disamina e replica alla comparsa avversaria con cui l'avv. Bertuzzi si e' costituito solo oggi nel presente giudizio"; Ritenuto che ai fini della valutazione di tale istanza e della possibilita' di fissazione di nuova udienza per la precisazione delle conclusioni sia necessario effettuare preliminarmente alcune considerazioni Osserva quanto segue 2. - Il sistema di diritto positivo. Come e' noto, il principio del doppio grado di giurisdizione puo' essere inteso in due modi completamente diversi dal punto di vista dei rapporti fra il primo e il secondo giudizio. In dottrina, a tale proposito, si e' precisato che un primo modo e' quello di considerare il processo di appello come un novum judicium, cioe' come un giudizio nel quale le parti possono liberamente dedurre, entro i limiti segnati dalla domanda, nuove difese, nuove eccezioni, nuove prove. Sempre in dottrina si e' notato che, secondo tale concezione, la causa e' devoluta al giudice superiore (effetto devolutivo dell'appello), il quale ha cognizione piena, cosi' che la sua decisione puo' essere difforme da quella del primo giudice indipendentemente dall'errore che questi abbia commesso, per effetto del nuovo materiale apportato nel processo (beneficium nondum deducta deducendi, nondum probata probandi). Pertanto, in tale ipotesi, i limiti della nuova indagine sono segnati solamente dalle preclusioni verificatesi nel precedente giudizio. Un secondo modo, si precisa in dottrina, e' invece quello di considerare il processo di appello come una revisio prioris instantiae, e cioe' come un riesame delle sole questioni trattate nel primo grado di giudizio, con esclusione di nuove eccezioni e di nuove prove. La giustificazione ideologica di questa concezione sta nella tutela della buona fede e della fedelta' processuale, che impongono di manifestare apertamente, fin dal primo momento, tutti i mezzi di difesa e di offesa ai quali si affidano le rispettive domande delle parti. Appare ovvio considerare che entrambi questi sistemi presentano i loro vantaggi e correlativi svantaggi. Il secondo sistema, gia' accolto dal c.p.c. del 1940 (in contrasto con il c.p.c. del 1865), sia pure con qualche temperamento era stato decisamente rifiutato dalle norme modificatrici introdotte dalla legge n. 581/1950. La riforma introdotta dalla legge n. 353/1990 ha restaurato l'architettura originaria del c.p.c. del 1940, dalla quale emerge, senza ombra di dubbio la struttura dell'appello quale revisio prioris instantiae. La struttura tipica di questo appello presenta: una fase preparatoria, con eventuali incidenti relativi all'esecuzione provvisoria; una fase di trattazione vera e propria; una eventuale fase istruttoria; una fase decisoria. Il contenuto della fase preparatoria e' il seguente: a) il giudice verifica se sussistono le condizioni per la procedibilita' dell'appello (costituzione nei termini e comparizione nella prima udienza dell'appellante: art. 348); b) in difetto di tali condizioni, il giudice dichiara, anche d'ufficio, con ordinanza l'improcedibilita' dell'appello; ovvero in caso di mancata comparizione dell'appellante, rinvia la causa e, se l'appellante non compare alla nuova udienza, dichiara improcedibile l'appello; c) il giudice verifica la regolare costituzione del contraddittorio nelle due ipotesi di causa inscindibile e di cause scindibili e, se rileva un vizio di notificazione dell'atto di appello, dispone la rinnovazione della notifica; d) verificata la procedibilita' dell'appello e la regolare costituzione del contraddittorio, il collegio dichiara la contumacia dell'appellato, che non si sia costituito, e provvede alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza. Nella seconda fase di trattazione, dopo la prima fase preparatoria, non e' possibile scambiare memorie scritte, perche' la fase necessaria di trattazione scritta, che inizia quando il giudice concede il "termine perentorio di sessanta giorni dalla rimessione della causa al collegio ai sensi dell'art. 190 c.p.c. ("Deposito delle difese scritte )" presuppone che le difese precedenti debbano necessariamente essere orali: art. 352 c.p.c. A norma dell'art. 352 c.p.c., esaurita l'attivita' prevista negli articoli 350 e 351, il giudice, ove non provveda a norma dell'art. 356, disponendo l'eventuale istruzione probatoria, il Collegio deve invitare le parti a precisare le conclusioni e disporre lo scambio delle comparse conclusionali. L'art. 352 infatti non prevede alcuna cesura temporale fra l'esaurimento delle attivita' di cui agli artt. 350 e 351 e l'invito alla precisazione delle definitive conclusioni e tale espressa ed incompatibile disciplina preclude l'applicabilita' residuale delle norme dettate per il procedimento di primo grado ai sensi dell'art. 359 c.p.c. Tale inderogabile disciplina, che si e' illustrata in linea generale, vale anche per il caso di specie dal momento che l'odierna udienza, fissata in conseguenza della rituale richiesta di riassunzione del giudizio interrotto, deve ritenersi pur sempre regolata agli effetti delle attivita' processuali esperibili dagli artt. 350 e 352 c.p.c., ossia dalle norme cardine che disciplinano la trattazione dei procedimenti di appello. 3. - La questione di costituzionalita'. L'assetto che si e' descritto si pone peraltro in termini difficilmente compatibili con i principi costituzionali, anche se e' stato varato al fine di accelerare al massimo il raggiungimento del giudicato. L'art. 3, primo comma, della Costituzione richiede che ogni discriminazione normativa di trattamento (incluse quelle fra le parti di un processo) abbia un fondamento di ragionevolezza. L'art. 24, secondo comma, della Costituzione, sancisce il principio dell'inviolabilita' del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento. L'art. 111, secondo comma, della Costituzione impone che ogni processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita'. Tale principi risultano chiaramente vulnerati da una disciplina positiva, quale quella sopra ricostruita, che priva una parte in una specifica fase processuale del potere di interloquire, eventualmente integrando le conclusioni, in relazione agli assenti di controparte quando questa si costituisce in cancelleria o all'udienza di trattazione. E' pur vero infatti che il sistema processuale strutturato dalla Novella del 1990, e in particolare l'art. 347 c.p.c., prevede che la parte appellata si debba costituire secondo le forme e nel rispetto dei termini fissati per i procedimenti dinanzi al Tribunale, e quindi nel rispetto del termine di cui all'art. 166 c.p.c. (almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione). Tuttavia la costituzione successiva a tale termine, quando l'appellante si sia invece costituito tempestivamente, come e' suo peculiare interesse, non e' assistito da alcuna sanzione, eccezion fatta per l'impossibilita' di dispiegare un ammissibile appello incidentale (art. 343 c.p.c.), a meno che l'interesse ad impugnare non sia stato ingenerato dall'impugnazione proposta da una parte diversa dall'appellante principale. Il sistema, come sopra ricostruito, espone quindi l'appellante, a fronte della costituzione della controparte in un momento successivo alla scadenza del termine (e quindi a partire dal diciannovesimo giorno anteriore all'udienza) o addirittura, come spesso accade, a fronte della costituzione in giudizio dell'appellato effettuata proprio nell'udienza di comparizione, a dover orientare le proprie difese e addirittura a dover rassegnare le proprie definitive conclusioni, di merito ed istruttorie, senza aver potuto adeguatamente esaminare, e men che meno ponderare e valutare, le difese svolte dalla parte appellata. Si obiettera' che cio' non e' cosi' grave a fronte di un appello incidentale comunque proposto, fuori termine, dalla parte appellata, perche' la diligenza e la professionalita' dell'avvocato di parte appellante non avranno bisogno di un particolare spatium deliberandi per poter congruamente formulare il rilievo dell'inammissibilita' del gravame incidentale, comunque sanzionabile anche ex officio. Si dira' altresi' che la parte appellata, che non abbia proposto incidentale impugnazione, non avra' ampliato in alcun modo la materia controversa, cosicche' alla parte appellante sara' sufficiente reagire difensivamente criticando le avversarie argomentazioni nel modo piu' idoneo con la comparsa conclusionale e la memoria di replica ed eventualmente anche in sede di orale discussione della controversia. Cio' peraltro non e' sufficiente perche' la parte appellata puo' non essersi affatto limitata a proporre mere argomentazioni critiche alle censure di parte appellante. E' possibile, infatti, a titolo meramente esemplificativo, che la parte appellata: abbia dedotto prove nuove, ex art. 345 c.p.c, sia in via autonoma, sia in replica alle prove nuove dedotte dalla parte appellante principale, con la conseguente necessita' di una presa di posizione sul punto e eventualmente della deduzione di una controprova; abbia prodotto nuovi documenti o nei limiti consentiti dall'art. 345 c.p.c., o indipendentemente da detti limiti, come una parte della giurisprudenza della Suprema Corte, sensibile alla natura precostituita della prova e agli influssi della giurisprudenza lavoristica, risulta orientata a consentire (Cass. 13.670 del 13 ottobre 2000); abbia riproposto ex art. 346 c.p.c. domande ed eccezioni rimaste assorbite in primo grado, al cui proposito l'andamento del primo giudizio abbia lasciato spazi difensivi non preclusi da alcuna decadenza; abbia articolato domande nuove ammissibili ai sensi della seconda parte del primo comma dell'art. 345 c.p.c.; abbia svolto istanze istruttorie nell'ipotesi in cui lo svolgimento del primo giudizio abbia troncato il normale svolgimento del processo per la decisione del giudice, tuttora lecita ex artt. 184 e 187 c.p.c., indipendentemente dall'accordo delle parti, di rimettere la causa in decisione senza bisogno di assunzione di mezzi di prova (ad esempio per aver reputato la causa suscettibile di decisione in diritto, o per aver ravvisato la opportunita' di immediato esame di questioni attinenti la giurisdizione, la competenza o di questioni preliminari di merito). In tutte queste ipotesi costringere il difensore della parte appellante a prendere immediatamente posizione, a controdedurre e financo a precisare le sue definitive conclusioni, costituisce un intollerabile lesione del diritto di agire e difendersi in giudizio, diritto costituzionalmente tutelato dall'art. 24 della Costituzione non solo nella sua espressione formale ma anche nel suo sostanziale contenuto di effettivita' che esige che il soggetto titolare del diritto abbia la materiale possibilita' di determinarsi in modo ragionevole. In ogni caso la precisazione delle definitive conclusioni e' atto processuale di grande rilievo che dovrebbe essere posto in essere alla luce dell'esame, approfondito e consapevole, delle difese svolte, degli argomenti sollevati e dei mezzi di prova proposti dalla controparte, non foss'altro, per esempio, che per decidere se insistere o meno nell'impugnazione esperita, in tutto o in parte. Verrebbe da obiettare che il difensore della parte appellante potrebbe comunque esaminare la comparsa avversaria in udienza e ivi determinarsi nelle sue scelte processuali. L'assunto tuttavia non persuade perche': da un lato, l'esame sereno e approfondito di un atto processuale, magari ponderoso e complesso, e dei documenti prodotti non appare compatibile con il ridotto tempo a disposizione e le condizioni disagevoli in cui l'esame deve avvenire; d'altra parte, e' del tutto ragionevole che il difensore avverta la necessita' di consultare il cliente sia sulle scelte processuali, sia circa i fatti sostanziali connessi alla memoria avversaria (ad esempio in ordine ad un documento prodotto o alla deduzione di una prova orale) tanto piu' che il codice non esige affatto la presenza della parte personalmente all'udienza (a differenza di quanto previsto per il 1o grado dall'art. 183 c.p.c., come conferma la mera eventualita' della previsione di cui al trentesimo comma dell'art. 350 c.p.c.); inoltre il nostro ordinamento processuale non conosce, almeno a livello normativamente esplicito, l'istituto della sospensione dell'udienza per un breve intervallo di riflessione, opzione che comunque non necessariamente risolverebbe il problema. La Corte ritiene quindi che le norme processuali (e in particolare gli artt. 350 e 352 c.p.c., che precludono per incompatibilita' l'operativita' del residuale richiamo di cui all'art. 359 c.p.c. alle norme vigenti per il giudizio di primo grado) impediscano al giudice di disporre il rinvio della causa ad altra udienza per la precisazione delle conclusioni. Da cio' discendono, innanzitutto, gravi inconvenienti organizzativi, fra cui, ad esempio, l'impossibilita' per il giudice di scaglionare e programmare nel tempo la decisione e la motivazione delle controversie che ha in carico, in un sistema che non consente, stante la citazione ad udienza fissa scelta dal difensore dell'appellante, neppure la programmazione della prima udienza (a differenza del rito previsto per le controversie di lavoro e previdenza sociale per cui alla concentrazione del procedimento si accompagna la proposizione della domanda con ricorso e la fissazione della prima udienza da parte del giudice). Ne deriva - e cio' e' piu' grave! - anche la lesione di diritti costituzionalmente protetti a causa della violazione di specifiche norme della Costituzione. E cioe': l'art. 3, primo comma, della Costituzione per l'irragionevole diversita' di trattamento delle parti processuali, poiche' la necessita' dell'immediata precisazione delle conclusioni pregiudica la parte appellante rispetto alla parte appellata, costituitasi in ritardo rispetto al termine di cui agli artt. 347 e 166 e magari alla stessa udienza di comparizione, costringendo l'appellante a prender posizione, diversamente dalla controparte, rispetto a difese non ancora compiutamente esaminate e studiate, e senza aver potuto consultare il proprio patrocinato, compromettendo l'esito successivo della causa; l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, secondo cui la difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, perche' comunque la situazione descritta ingenera una evidente lesione del diritto di azione e difesa nel suo coessenziale profilo di effettivita' concreta, a nulla valendo l'astratto riconoscimento di un diritto processuale che non sia peraltro possibile esercitare consapevolmente, ragionevolmente e quindi compiutamente; l'art. 111, secondo comma, della Costituzione (come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2) che impone che ogni processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti a giudice terzo e imparziale, mentre nella fattispecie in esame la condizione di parita' fra i contendenti appare solo formale ma non sostanziale ed effettiva. Il tutto, senza che sussista una necessita' inderogabile a determinare l'assetto del sistema di diritto positivo, dal momento che un differimento della precisazione delle conclusioni ad apposita ulteriore udienza non determinerebbe affatto la trasformazione del processo da orale a scritto (non essendo prevista alcuna ulteriore memoria prima delle difese scritte finali), ne' causerebbe alcun eccessivo ritardo nella definizione del giudizio di secondo grado (trattandosi di un unico rinvio del procedimento). Nella fattispecie la questione di legittimita' costituzionale, oltre che non manifestamente infondata per le ragioni esposte, e' altresi' indubitabilmente rilevante dal momento che: la coerede Edilde Fortina si e' costituita solo in udienza (come le era indubbiamente consentito), cosicche' la parte appellante non ha avuto modo di conoscere in anticipo le difese svolte; la coerede intervenuta ha formulato un'eccezione processuale di notevole rilievo, diretta a far valere l'inesistenza della notificazione dell'atto di riassunzione (avvenuta, da un lato, fuori dal termine concesso dal giudice, e, d'altra parte, agli eredi in modo collettivo ed impersonale dopo il decorso dell'anno di cui all'art. 303, secondo comma, c.p.c.); la parte appellante e' quindi costretta a determinarsi immediatamente in udienza prendendo posizione sull'avversa eccezione e sulle sue conseguenze processuali (sia ai fini della riassunzione, sia, piu' in generale, ai fini della possibilita' di ulteriore prosecuzione del giudizio di appello); che la necessita' di immediata precisazione delle conclusioni non consente alla parte appellante una adeguata riflessione e valutazione circa le proprie strategie processuali, dal momento che la fase delle difese scritte non costituisce sede idonea per la formulazione di rituali istanze, ma puo' servire solamente all'illustrazione di tesi difensive gia' svolte e di domande gia' ritualmente formulate. Pertanto la Corte intende promuovere d'ufficio la predetta questione di costituzionalita', come previsto dal terzo comma del citato art. 23. Il giudizio in corso, ai sensi del secondo comma dell'art. 23, deve essere sospeso. Il cancelliere dovra': notificare la presente ordinanza a tutte le parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri; comunicare la presente ordinanza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
P. Q. M. Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 352 c.p.c., nella parte in cui non prevede, o perlomeno non consente, la fissazione di nuova udienza per la precisazione delle conclusioni per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 111, secondo comma (come modificato dalla legge cost. 23 novembre 1999, n. 2) della Costituzione; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende ai sensi dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 il presente giudizio di appello; Manda alla cancelleria di: notificare la presente ordinanza a tutte le parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri; comunicare la presente ordinanza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso nella camera di consiglio del 29 gennaio 2002 dalla seconda sezione civile della Corte di appello di Torino. Il Presidente: Vitro' 02C0184