N. 140 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 gennaio 2002
Ordinanza emessa il 15 gennaio 2002 dal tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Alves Mendes Andreia ed altri Processo penale - Prove - Testimonianza indiretta - Divieto di testimonianza degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalita' di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b), cod. proc. pen. - Trattamento ingiustificatamente diverso rispetto ai testi non qualificati. - Codice di procedura penale, art. 195, comma 4. - Costituzione, art. 3.(GU n.14 del 3-4-2002 )
IL COLLEGIO Sulla richiesta avanzata dal p.m. di formulare al sovrintendente della polizia di Stato una domanda sul contenuto delle informazioni assunte da Nunez Villabon Anna Milena e sull'opposizione alla domanda avanzata dai difensori degli imputati; O s s e r v a Che la decisione non puo' prescindere dalla preventiva valutazione della questione di costituzionalita' della norma processuale che regola la fattispecie, atteso che la nuova formulazione dell'art. 195 c.p.p. non consente che venga ammessa la domanda posta dal p.m. all'ufficiale di polizia giudiziaria sulle dichiarazioni a lui rese da Nunez Villabon Anna Milena. Ed, invero, con legge 1 marzo 2001, n. 63, e' stato ripristinato il divieto gia' presente nell'originaria formulazione dell'art. 195 cit., poi dichiarato incostituzionale con sentenza della Corte costituzionale 31 gennaio 1992, n. 24, ed e' stato previsto che l'ufficiale di polizia giudiziaria non possa deporre "sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalita' di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b). Tale divieto, pur alla luce delle modifiche apportate all'art. 111 della Costituzione con legge 23 novembre 1999, n. 2, appare in contrasto con i principi costituzionali introducendo una ingiustificata differenziazione tra la disciplina applicabile alla testimonianza indiretta resa da un ufficiale di polizia giudiziaria e quella prevista per le testimonianze indirette rese dai testi non qualificati. Sul punto si era gia' pronunciata la Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 31 gennaio 1992 affermando che il divieto posto dal comma 4 dell'art. 195 c.p.p alla testimonianza indiretta degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria "rappresenta un'eccezione sia rispetto alla disciplina dell'art. 195 nel suo complesso, sia rispetto alla regola generale sulla capacita' a testimoniare, in quanto gli appartenenti alla polizia giudiziaria hanno capacita' di testimoniare come ogni persona (art. 196), non essendovi nei loro confronti alcuna previsione di incompatibilita' (art. 197)". La Corte aveva ritenuto che tale eccezione fosse sfornita di ragionevole giustificazione rilevando che, non avendo il legislatore previsto una incompatibilita' a testimoniare nei confronti degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, "non si comprende perche' a questi ultimi debba essere inibita quella particolare forma di testimonianza, che e' la testimonianza indiretta, ammessa dall'art. 195". Il motivo del divieto non poteva, certo, essere individuato nella affermazione che "gli appartenenti alla polizia giudiziaria siano da ritenersi meno affidabili del teste comune" poiche' "a prescindere dalla palese assurdita' di una ipotesi siffatta, essa risulterebbe in insanabile contraddizione col ruolo e la funzione che la legge attribuisce alla polizia giudiziaria", ne' una giustificazione poteva rinvenirsi nell'attivita' svolta nella fase delle indagini preliminari poiche' "se si trattasse di un'incompatibilita' di tale natura, essa avrebbe dovuto trovare esplicita collocazione nell'art. 197 c.p.p." ed, in ogni caso, non appare nemmeno minimamente accettabile che essa valga soltanto per quella particolare specie di testimonianza che e' la testimonianza indiretta". Ne', secondo la Corte, il divieto trovava adeguata giustificazione nei principi generali del processo penale ed, in particolare, in quelli dell'oralita' della prova e del diritto di difesa atteso che ad entrambi "si conforma pienamente la testimonianza degli appartenenti alla polizia giudiziaria su fatti conosciuti attraverso le dichiarazioni loro rese da altre persone, testimonianza da assumersi nei modi e con le forme rigorosamente prescritte dell'esame diretto e del controesame" sicche' "l'oralita' della prova e' fuori discussione mentre il diritto di difesa e' comunque tutelato attraverso l'interrogatorio diretto ed il controinterrogatorio del testimone". Reputa il collegio che le argomentazioni svolte nella predetta sentenza siano tuttora valide pur a fronte della novella dell'art. 111 della Carta costituzionale che, lungi dal modificare i principi che la Corte aveva richiamato, li ha confermati e rafforzati e pur a fronte della nuova formulazione dell'art. 195, comma 4 c.p.p. Quanto alla modifica apportata alla norma processuale dalla legge n. 63 del 2001 si ricorda che la nuova formulazione del quarto comma introduce il divieto per gli ufficiali e gli agenti della polizia giudiziaria di "deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalita' di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b)" e prevede che "negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3" che contemplano la possibilita' della testimonianza indiretta e l'utilizzabilita' delle dichiarazioni rese dal teste in seguito all'audizione del testimone fonte ovvero quando detta audizione risulti impossibile per morte, infermita' o irreperibilita'. Ritiene il collegio che la nuova formulazione del divieto sia del tutto analoga a quella contenuta nell'art. 195, comma 4, previgente la cui illegittimita' costituzionale era stata affermata dalla Corte con la sentenza prima citata. L'eccezione introdotta dalla novella alla regola generale della ammissibilita' della testimonianza indiretta riguarda, infatti, tutte le ipotesi in cui gli ufficiali od agenti di polizia giudiziaria abbiano, nell'ambito dei poteri loro attribuiti dall'ordinamento, acquisito dichiarazioni. Non puo', infatti, sfuggire che l'esplicito richiamo operato agli art. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), comporta l'estensione del divieto di testimonianza indiretta a tutti i casi in cui la polizia giudiziaria assume informazioni dalle persone informate sui fatti o nei cui confronti vengono svolte indagini ovvero riceve denunce, querele, istanze redigendo il relativo verbale. Arduo, quindi, appare identificare quali siano gli "altri casi" cui si riferisce la norma per riconoscere l'applicazione ad essi delle disposizioni dei commi 1, 2 e 3. Si ripropone, pertanto, il problema gia' posto dall'originaria formulazione dell'art. 195, comma 4 c.p.p., ritenuta incostituzionale dalla Corte. Quanto ai principi costituzionali introdotti con la legge n. 2 del 1999, si osserva che il nuovo testo dell'art. 111 della Costituzione fa assurgere al rango di principio costituzionale il principio del necessario contraddittorio stabilendo, tra l'altro, che "il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova". La testimonianza indiretta dell'ufficiale di polizia giudiziaria non sfugge a tale principio atteso che verrebbe resa proprio nel contraddittorio delle parti e la sua utilizzabilita', cosi' come avviene per tutte le altre testimonianze indirette, sarebbe condizionata all'assunzione del teste fonte, sempre in contraddittorio, ovvero al verificarsi di quelle condizioni che, secondo la legge cui la stessa norma costituzionale demanda la regolamentazione delle eccezioni al principio del contraddittorio, ne consentono l'utilizzabilita'. Ne' l'ammissibilita' della testimonianza indiretta dell'ufficiale di polizia giudiziaria lederebbe il principio della parita' delle parti, pure sancito dal nuovo testo dell'art. 111 della Costituzione. Il nuovo impianto normativo, infatti, consente di superare anche le argomentazioni dell'intervento della Corte costituzionale sul previgente art. 195, comma 4 c.p.p., da coloro che ne avevano ritenuto la costituzionalita'. Tali argomentazioni si basavano, sostanzialmente, sulla disparita' tra accusa e difesa nella raccolta delle prove nella fase delle indagini, disparita' ora superata dalla novella sulle indagini difensive, e sulla conseguente disparita' che tale differenza cagionava durante il dibattimento in relazione agli atti utilizzabili per le contestazioni. Alla luce di quanto sin qui esposto il divieto reintrodotto al comma 4 dell'art. 195 c.p.p. dalla legge n. 63/2001 appare del tutto irragionevole e, quindi, in contrasto con l'art. 3 della Carta costituzionale prevedendo un trattamento ingiustificatamente diverso nei confronti dei testi ufficiali di polizia giudiziaria rispetto ai testi non qualificati. La questione di legittimita' della norma e' rilevante nel presente giudizio che vede imputate numerose persone cui e' stato contestato di aver organizzato o di aver partecipato ad un'associazione a delinquere finalizzata alla commissione, tra l'altro, dei reati di sfruttamento della prostituzione, favoreggiarnento dell'immigrazione clandestina e corruzione. Nell'ambito di tale procedimento la prova richiesta dall'accusa e' rappresentata, in larga parte, dalle testimonianze degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria che avevano assunto, nella fase delle indagini preliminari, le informazioni di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b) anche da testi successivamente divenuti irreperibili. Il divieto posto dall'art. 195, comma 4 c.p.p., impedisce al collegio di assumere la testimonianza indiretta degli ufficiali di polizia giudiziaria in relazione a temi probatori indispensabili per una completa e corretta ricostruzione processuale della vicenda sottoposta a giudizio, ricostruzione non altrimenti raggiungibile, vanificando, altresi', tutta quella copiosa attivita' di polizia giudiziaria svolta legittimamente. Cio' ulteriormente si ripropone con la questione che ha dato origine alla presente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale ove, in specie, il p.m. ha chiesto di essere ammesso ad esaminare il teste ufficiale di polizia giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni a lui rese dalla sig.ra Nunez Villabon Anna Milena, all'epoca persona informata sui fatti e successivamente indagata, in relazione a fatti concernenti altri imputati. Il divieto in esame, quindi, pregiudica l'accertamento dei fatti nella sua complessita' vanificando la rilevanza probatoria di ulteriore attivita' di polizia giudiziaria relativa al complesso delle contestazioni mosse a tutti gli imputati ed anche e in particolare all'imputato Iannazzo. Il pregiudizio di cui si discute rileva ai fini della valutazione della prova che il collegio deve operare sia in relazione alla raccolta, ex art. 192, comma 2, di indizi gravi, precisi e concordanti, sia in relazione all'esame di attendibilita' delle dichiarazioni rese dal coimputato, ex art. 192, comma 3. Ritiene, poi, il collegio che non ha rilievo la circostanza che le dichiarazioni sulle quali il teste e' chiamato a riferire siano state rese da persona che, in quel momento, veniva correttamente sentita in qualita' di persona informata sui fatti ed ha assunto, successivamente, la qualita' di coimputata. Sul punto si e' espressa la Corte di cassazione, con indirizzo cui si ritiene di aderire, affermando che "le dichiarazioni del coimputato sono analoghe alle testimonianze quanto a natura e ad efficacia probatoria, salvo l'esigenza di un piu' rigoroso riscontro dell'attendibilita' imposto dall'art. 192, comma 3 c.p.p." e che, pertanto, dopo la sentenza n. 24/1992 della Corte costituzionale, l'ufficiale di p.g. puo' deporre sul contenuto delle dichiarazioni assunte nel corso delle indagini "a nulla rilevando che il dichiarante sia divenuto poi coimputato" (Cass. Sez. I 27 marzo 1992, n. 3753). Ne consegue che la testimonianza indiretta dell'ufficiale di p.g. sul contenuto delle dichiarazioni rese da chi abbia, poi, assunto la qualita' di imputato possono essere utilizzate, nei confronti dei coimputati, nei casi indicati dall'art. 195, commi 1, 2 e 3 c.p.p. Nella fattispecie, inoltre, va aggiunto al fine della valutazione della rilevanza della questione che la sig.ra Nunez ha reso dichiarazioni in ordine all'ipotesi di corruzione oggi contestata all'imputato Antonio Iannazzo nella sua qualita' di militare appartenente alla Guardia di finanza. Emerge dagli atti che non e' stato piu' possibile sentire la donna redigendo il relativo verbale, perche' risultata irreperibile nonostante le complete ricerche effettuate. Il divieto posto dall'art. 195, comma 4 c.p.p., impedisce, pertanto, di compiere l'unica attivita' di istruttoria dibattimentale idonea ad acquisire una prova sul punto. Reputa, pertanto il collegio che, anche alla luce del principio stabilito dalla Corte di cassazione, dovrebbe trovare applicazione nella specie il disposto dell'art. 195 c.p.p., norma che, tuttavia, nell'attuale formulazione non consente in nessun caso di assumere la testimonianza indiretta dell'ufficiale di polizia giudiziaria, introducendo quella ingiustificata disparita' che con la presente ordinanza si rileva.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Dichiara rilevante nel presente procedimento e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 195, comma 4 c.p.p., in riferimento all'art. 3 della Carta Costituzionale nella parte in cui prevede il divieto per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria di deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite dai testimoni. Sospende il presente procedimento. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale previa notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' previa comunicazione della stessa al Presidente del Senato ed al Presidente della Camera dei deputati. Della presente ordinanza e' data integrale lettura in udienza alle parti. Milano, addi' 15 gennaio 2002 Il Presidente: Gatto 02C0225