N. 85 ORDINANZA 1 - 21 marzo 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Giuoco  e  scommesse  -  Accettazione  e  raccolta  di  scommesse nel
  territorio  dello  Stato  da  parte  di  impresa estera comunitaria
  autorizzata   nel  paese  di  appartenenza  -  Condotta  penalmente
  sanzionata  -  Assunta  discriminazione  tra  operatori stranieri e
  nazionali  in contrasto con il principio comunitario di liberta' di
  stabilimento  di  impresa  e di liberta' di prestazione dei servizi
  transfrontalieri   -   Contemporanea   proposizione   di  questione
  pregiudiziale  interpretativa  avanti  alla  Corte  di  giustizia -
  Contraddittorieta'   dell'ordinanza   di   rimessione  -  Manifesta
  inammissibilita' della questione.
- Legge  13  dicembre  1989, n. 401, art. 4, come novellato dall'art.
  37, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388.
- Costituzione, artt. 3, 10, secondo comma, 11 e 41.
(GU n.13 del 27-3-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI;  Riccardo  CHIEPPA;  Gustavo  ZAGREBELSKY;
Valerio ONIDA; Carlo MEZZANOTTE; Fernanda CONTRI; Guido NEPPI MODONA;
Piero Alberto CAPOTOSTI; Annibale MARINI; Franco BILE; Giovanni Maria
FLICK; Francesco AMIRANTE;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'articolo 4 della
legge  13  dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e
delle   scommesse   clandestine  e  tutela  della  correttezza  nello
svolgimento    delle   manifestazioni   sportive),   come   novellato
dall'articolo  37,  comma  5,  della  legge  23 dicembre 2000, n. 388
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato),  promosso,  nell'ambito di un procedimento penale, con
ordinanza  emessa il 30 marzo 2001 dal tribunale di Ascoli Piceno con
ordinanza iscritta al n. 600 del registro ordinanze 2001 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 33, 1a serie speciale,
dell'anno 2001.
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  alcuni  degli  indagati  nel
giudizio  a  quo,  nonche'  l'atto  di  intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  febbraio  2002 il giudice
relatore Guido Neppi Modona;
    Uditi  gli  avvocati  Roberto  Jacchia  e  Beniamino  Caravita di
Toritto  per  le  parti  private  e  l'Avvocato  dello  Stato  per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che  il  tribunale  di  Ascoli  Piceno ha sollevato, in
riferimento   agli   artt. 3,  10,  secondo  comma,  11  e  41  della
Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4
della  legge  13  dicembre  1989,  n. 401 (Interventi nel settore del
giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello
svolgimento    delle   manifestazioni   sportive),   come   novellato
dall'art. 37,   comma   5,  della  legge  23  dicembre  2000,  n. 388
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato);
        che  il tribunale ha contestualmente sottoposto alla Corte di
giustizia,  ai  sensi  dell'art. 234  del  trattato che istituisce la
Comunita'  europea del 25 marzo 1957, ratificato e reso esecutivo con
la  legge  14  ottobre 1957, n. 1203 (come modificato dal trattato di
Amsterdam  del  2  ottobre  1997,  ratificato e reso esecutivo con la
legge  16 giugno 1998, n. 209), "questione pregiudiziale comunitaria"
per  verificare  se gli artt. 43-55 del trattato CE, che sanciscono i
principi di liberta' di stabilimento e di liberta' di prestazione dei
servizi  transfrontalieri,  possano  essere interpretati nel senso di
ritenere ad essi conforme la disciplina contenuta nel medesimo art. 4
della legge n. 401 del 1989;
        che  l'art. 4  della  legge  n. 401 del 1989 viene in rilievo
sotto  entrambi  i  profili  in  quanto  sanziona penalmente anche la
condotta di chi favorisce nel territorio dello Stato l'accettazione e
la  raccolta  di  scommesse  da  parte  di  una  impresa  comunitaria
debitamente autorizzata nel paese di appartenenza;
        che, in ordine alla rilevanza, il collegio premette di essere
investito   della   richiesta   di  riesame  avverso  il  decreto  di
perquisizione  locale  e  personale  e  del  conseguente sequestro ex
art. 252  del  codice di procedura penale, nonche' avverso il decreto
di  sequestro  preventivo  ex  art. 321  dello  stesso codice, emessi
rispettivamente  dal pubblico ministero e dal giudice per le indagini
preliminari  nei  confronti  di numerosi indagati per il reato di cui
all'art. 4,  comma  1,  della legge n. 401 del 1989 per aver posto in
essere  una "organizzazione, diffusa e capillare, di agenzie italiane
collegate via Internet con il bookmaker inglese Stanley international
betting  di  Liverpool,  con compiti di raccolta nel territorio dello
Stato  di  scommesse  ad esso riservate per legge", in violazione del
regime   di   monopolio  riservato  al  Comitato  olimpico  nazionale
italiano;
        che, secondo il giudice a quo, poiche' dagli atti risulta che
gli  indagati  "non solo hanno coadiuvato il bookmaker nell'attivita'
di  raccolta  delle  scommesse, ma hanno anche espletato un'attivita'
economica  e un servizio in favore dell'impresa straniera", sarebbero
integrate  anche  le  fattispecie  previste  nei  commi 4-bis e 4-ter
dell'art. 4, introdotti dalla legge n. 388 del 2000;
        che  nel merito il rimettente rileva che l'istanza di riesame
"solleva  -  insieme  a  profili  di  diritto interno - pregiudiziali
questioni  di  compatibilita'  di  norme  nazionali  con disposizioni
sovraordinate  di  diritto  comunitario,  la cui risoluzione potrebbe
definire il presente giudizio";
        che  nell'illustrare  in  via  preliminare  i  termini  della
"questione  pregiudiziale  comunitaria" il tribunale, pur consapevole
della  giurisprudenza della Corte di giustizia in materia, afferma di
ritenere  necessario  un  nuovo intervento della Corte, a causa della
diversita'  delle  fattispecie oggetto di giudizio nel procedimento a
quo  (rispetto  a  quelle  a  suo  tempo  esaminate)  e delle recenti
modifiche legislative recate dalla legge n. 388 del 2000;
        che  in  particolare,  a  giudizio  del tribunale, il comma 1
dell'art. 4  della  legge  n. 401 del 1989, in quanto "non esclude la
punibilita' nell'ipotesi in cui l'agente abbia la qualita' di impresa
estera comunitaria (abilitata dalle competenti autorita' del paese di
appartenenza)",  determina  una "inaccettabile discriminazione" degli
operatori  stranieri "rispetto agli operatori nazionali (muniti delle
prescritte  concessioni  o  autorizzazioni  abilitanti)  impegnati in
identiche  attivita'  di  raccolta  ed  accettazione  di  proposte di
scommesse sportive per conto del CONI", in violazione dei principi di
liberta'  di  stabilimento  e  di liberta' di prestazione dei servizi
transfrontalieri sanciti dagli artt. 43-55 del trattato CE;
        che  tale  discriminazione  non risulterebbe giustificata dal
soddisfacimento   di   alcuna   delle   esigenze,   che   secondo  la
giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia  (sentenza del 21 ottobre
1999,  causa  c-67/98,  Zenatti,  e sentenza del 24 marzo 1994, causa
c-275/92,  Schindler)  e  la giurisprudenza della Corte di cassazione
(Cass.,  Sez.  III,  n. 1680  del  2000),  possono invece legittimare
l'adozione di una disciplina restrittiva in danno di soggetti diversi
dai cittadini di uno Stato membro;
        che  infatti,  secondo  il  giudice  a  quo,  nell'ipotesi di
impresa  estera  comunitaria  le  esigenze  di  ordine  pubblico  ben
potrebbero   ritenersi   salvaguardate  attraverso  i  controlli  cui
l'impresa  straniera  e'  assoggettata nel Paese di appartenenza, ne'
potrebbe   ritenersi   sussistente   il   rischio   di   un'ulteriore
"incitazione  alla  spesa",  "anche  per la marginalita' del fenomeno
delle  scommesse  con  operatori esteri rispetto al mercato nazionale
dei giochi";
        che,   ancora,  il  divieto  posto  dall'art. 4  non  sarebbe
giustificato   dall'esigenza  di  finanziamento  delle  attivita'  di
pertinenza  del  CONI,  in  quanto  l'area  delle condotte penalmente
rilevanti si estende ora, per effetto dell'aggiunta dei commi 4-bis e
4-ter al menzionato art. 4, anche ad "attivita' di raccolta su eventi
sportivi  internazionali  o  eventi  mondani o di altro genere, sulle
quali lo Stato non ha alcun interesse fiscale";
        che  quanto  alla questione di legittimita' costituzionale il
rimettente  dubita  della  conformita' dell'art. 4 della legge n. 401
del 1989, come novellato dalla legge n. 388 del 2000, con gli artt. 3
e  41  della  Costituzione,  per la irragionevole limitazione imposta
alla   liberta'   di   impresa   con   riferimento  all'attivita'  di
intermediazione  delle  scommesse  su  eventi  sportivi  o  su eventi
mondani,  per  i quali non sussiste alcun interesse di natura fiscale
dello  Stato; con l'art. 10, secondo comma, della Costituzione per il
diverso  trattamento  riservato  agli operatori stranieri all'interno
dello   Stato   italiano   in   violazione   di   norme   e  trattati
internazionali,   nonche'   con   l'art. 11   della  Costituzione  in
riferimento  agli  obblighi  assunti  dall'Italia  con  l'adesione al
trattato  CE  (in  particolare a quello di accettare limitazioni alla
propria  sovranita'  nazionale  nel settore economico e di assicurare
condizioni di parita' con gli altri Stati);
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile e
comunque manifestamente infondata;
        che   secondo  l'Avvocatura  l'inammissibilita'  deriverebbe,
oltre  che dal difetto di rilevanza o, quantomeno, dall'insufficiente
motivazione sulla rilevanza, anche dal fatto che la questione pone in
realta'  un  problema  di  compatibilita'  delle  norme interne con i
principi  di  liberta'  di  stabilimento e di prestazione dei servizi
stabiliti  dal  trattato  CE,  con la conseguenza che la competenza a
deciderla  spetterebbe alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 234
del trattato CE;
        che  nel merito la questione sarebbe, a giudizio della difesa
erariale, comunque infondata, in quanto la liberta' di stabilimento e
di  prestazione  dei servizi ha esclusivamente un contenuto negativo,
vietando  agli  Stati  membri  di  porre  limitazioni  ingiustificate
all'operativita'  nel  proprio ordinamento delle imprese appartenenti
agli  altri  Stati  membri, ma non comporta necessariamente l'obbligo
del  "mutuo  riconoscimento"  tra  gli  Stati delle autorizzazioni ad
operare  concesse  da  ciascuno  ai  soggetti appartenenti al proprio
ordinamento,  obbligo  che puo' derivare soltanto da specifiche fonti
comunitarie  subordinate  ai  trattati  (direttive o regolamenti) che
disciplinano  organicamente  lo  svolgimento in ambito comunitario di
una certa attivita' economica;
        che del resto la stessa Corte di giustizia nella sentenza del
21 ottobre 1999-Zenatti, anche in ragione della pericolosita' sociale
del  giuoco  e  della  necessita'  che  esso  sia assoggettato ad uno
stretto   regime   di   controllo   pubblico,   ha   riconosciuto  la
compatibilita'  dell'art. 4 della legge n. 401 del 1989 e delle altre
norme  che riservano allo Stato il diritto di esercitare le scommesse
su  eventi  sportivi  con  il  principio  di  libera  prestazione dei
servizi;
        che,  infine,  infondata  sarebbe  anche  la censura relativa
all'art. 41  Cost.,  atteso  che  il terzo comma di tale disposizione
prevede  che  la  legge determina i programmi e i controlli opportuni
perche' l'attivita' economica possa essere indirizzata e coordinata a
fini sociali e non c'e' dubbio che il giuoco sotto forma di scommesse
su  eventi  vari  per  la  sua  pericolosita'  sociale  debba  essere
assoggettato a controlli da parte dello Stato;
        che  si sono costituiti in giudizio alcuni degli indagati nel
procedimento  a  quo,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
ammissibile e fondata;
        che   nell'atto   di   costituzione,   premessa   una   breve
ricostruzione    del    quadro   normativo   e   degli   orientamenti
giurisprudenziali  in  materia,  le parti rilevano come la disciplina
censurata   -  per  il  tramite  della  incriminazione  penale  delle
attivita'  volte  a "favorire" le scommesse - impedisce ai privati lo
svolgimento  di  attivita'  telematiche per le quali, peraltro, hanno
gia'   ottenuto   le   prescritte   autorizzazioni   delle  autorita'
competenti;
        che,  inoltre,  tale  disciplina, spingendosi fino a impedire
l'invio  di  dati  telematici  all'estero  per  conto di societa' che
svolgono  attivita'  di  raccolta  di  scommesse  in  altro Stato, e'
espressione  di  una politica legislativa volta ad escludere con ogni
mezzo  l'accesso  al  mercato  nazionale  delle scommesse da parte di
operatori diversi da quelli gia' presenti;
        che  pertanto  sarebbe  violato  l'art. 41 della Costituzione
poiche',  quand'anche  si  riconoscesse  che la disciplina e' volta a
soddisfare  finalita'  di raccolta erariale, queste non rientrano fra
quelle   che,   ai   sensi   del  secondo  comma  dell'art. 41  della
Costituzione   (utilita'  sociale,  sicurezza,  liberta'  e  dignita'
umana),  possono  consentire  limitazioni alla liberta' di iniziativa
economica;
        che  del resto la tutela dell'ordine pubblico - rileva ancora
la    difesa   degli   indagati   -   tradizionalmente   indicata   a
giustificazione delle particolari restrizioni imposte nel settore del
giuoco e delle scommesse ben potrebbe essere attuata attraverso forme
di  controllo  che non impediscano la progressiva e naturale apertura
del  mercato,  per  esempio,  ad  operatori  stranieri  soggetti alle
autorizzazioni (e quindi ai controlli) degli Stati di appartenenza;
        che  sotto  questo  profilo  sarebbe quindi evidente anche la
violazione  dell'art. 11  Cost.,  che secondo la giurisprudenza della
stessa   Corte  costituzionale  "offre  copertura  costituzionale  al
trattato di Roma e piu' in generale al diritto comunitario" (sentenza
n. 85  del  1999),  in  quanto  la  disciplina  censurata  si pone in
contrasto  con  i  principi di liberta' di stabilimento e di liberta'
dei  servizi transfrontalieri sanciti dal trattato CE che riconoscono
a tutti gli appartenenti alla Comunita' europea il diritto di fissare
la  sede (principale o secondaria) delle proprie attivita' economiche
in  qualsiasi  Stato  dell'Unione, senza dover subire discriminazioni
per  ragioni  di  nazionalita'  e  di  fornire, nell'ambito dell'area
geografica  comunitaria,  i propri servizi, senza incontrare barriere
nell'accesso nei mercati degli altri Stati;
        che  ancora,  ad avviso delle parti, le misure restrittive di
cui  all'art. 4  censurato  appaiono  lesive  del  principio  di  non
discriminazione (art. 10 Cost.), perche' vietano l'accesso al mercato
interno  degli  operatori  comunitari,  impedendo  loro  di  ricevere
persino  dati  telematici  rilevati  in Italia, cosi' discriminandoli
rispetto agli operatori interni;
        che   nell'atto  di  costituzione  si  prospettano  ulteriori
profili  di illegittimita' costituzionale della disciplina censurata,
non  dedotti  dal  giudice  a  quo, con riferimento in primo luogo ai
principi  di  ragionevolezza,  di  proporzionalita'  della  pena,  di
determinatezza e tassativita' della fattispecie, nonche' al principio
dell'obbligatorieta' dell'azione penale e al diritto di difesa;
        che  in  prossimita' dell'udienza l'Avvocatura generale dello
Stato   ha   presentato   una  memoria  nella  quale  vengono  svolte
considerazioni  ulteriori  rispetto  a quelle sviluppate nell'atto di
intervento;
        che,   in   particolare,   nella   memoria  viene  contestata
l'affermazione,  contenuta  nell'atto  di  costituzione  delle  parti
private,  secondo cui l'attivita' di raccolta e di trasmissione delle
scommesse  su  eventi  sportivi  nazionali ed esteri costituiva prima
della legge n. 388 del 2000 attivita' lecita e si precisa che nessuna
discriminazione   sarebbe   ravvisabile   in  danno  degli  operatori
stranieri  poiche'  tali  soggetti  possono,  al pari degli operatori
nazionali,   richiedere   l'autorizzazione   per  lo  svolgimento  di
attivita'  di organizzazione di scommesse non riservate allo Stato in
totale aderenza a quanto previsto dagli artt. 43-55 del trattato CE;
        che  anche le parti private hanno depositato una memoria, con
allegata   una  copiosa  documentazione,  nella  quale,  riportandosi
integralmente  agli  argomenti  esposti nell'atto di costituzione, si
soffermano  su  alcuni  aspetti  posti in evidenza dall'Avvocatura di
Stato nell'atto di intervento;
        che,   in   particolare,  circa  l'eccepita  inammissibilita'
derivante  dall'avere  il rimettente proposto questione pregiudiziale
interpretativa  davanti  alla  Corte  di  giustizia,  precisano  che,
indipendentemente  da  tale  giudizio,  la  Corte  costituzionale ben
potrebbe  "verificare  la  conformita'  della  normativa nazionale al
diritto  comunitario"  in  forza  dell'art. 11 Cost., anche alla luce
della  recente  modifica  del  titolo  V  della  parte  seconda della
Costituzione  ad  opera  della  legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3, e della nuova formulazione dell'art. 117, primo comma, che, nel
prevedere  che  "la  potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e
dalle  regioni  nel  rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli
derivanti    dall'ordinamento    comunitario    e    dagli   obblighi
internazionali",   darebbe   "nuovo   fondamento   alla  legittimita'
costituzionale delle leggi ordinarie".
    Considerato  che  il  rimettente  solleva,  in  riferimento  agli
artt. 3,  10, secondo comma, 11 e 41 della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 13 dicembre 1989,
n. 401, come novellato dall'art. 37, comma 5, della legge 23 dicembre
2000,  n. 388,  in quanto non esclude la punibilita' nei confronti di
chi favorisce nel territorio dello Stato l'accettazione e la raccolta
di   scommesse  da  parte  di  una  impresa  comunitaria  debitamente
autorizzata  nel  paese di appartenenza, sul presupposto che la norma
censurata sia in contrasto con i principi di liberta' di stabilimento
e  di liberta' dei servizi transfrontalieri sanciti dagli artt. 43-55
del trattato CE (come modificato dal trattato di Amsterdam);
        che  il  rimettente  contestualmente  sottopone alla Corte di
giustizia,   a   norma  dell'art. 234  del  trattato  CE,  "questione
pregiudiziale  comunitaria"  proprio per verificare la compatibilita'
dello  stesso  art. 4 della legge n. 401 del 1989 con gli artt. 43-55
del trattato CE;
        che  il  rimettente,  pur  essendo a conoscenza di precedenti
decisioni  in  materia,  ritiene necessario un nuovo intervento della
Corte  di  giustizia,  a causa sia della diversita' delle fattispecie
oggetto  del giudizio a quo rispetto a quelle in precedenza esaminate
dalla   predetta  Corte,  sia  delle  recenti  modifiche  legislative
introdotte dalla legge n. 388 del 2000;
        che,  in  particolare,  il rimettente rileva che la decisione
che  e'  chiamato  ad  assumere  in  qualita'  di giudice del riesame
coinvolge,   insieme   a   profili   di  diritto  interno,  questioni
pregiudiziali   di  compatibilita'  della  disciplina  censurata  con
disposizioni  di  diritto  comunitario,  "la  cui  soluzione potrebbe
definire il presente giudizio";
        che    da    questa    impostazione   emerge   la   manifesta
contraddittorieta' dell'ordinanza di rimessione, in quanto il giudice
solleva  contemporaneamente  "questione pregiudiziale" interpretativa
dei  principi del trattato CE avanti alla Corte di giustizia, al fine
di  accertare se la norma censurata sia compatibile con l'ordinamento
comunitario  e,  quindi,  applicabile  nell'ordinamento  italiano,  e
questione  di  legittimita'  davanti alla Corte costituzionale, cosi'
presupponendo  che  la  norma,  di  cui  egli  stesso  ha sollecitato
l'interpretazione della Corte di giustizia, sia applicabile;
        che   la  questione  va  pertanto  dichiarata  manifestamente
inammissibile.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 13 dicembre 1989,
n. 401   (Interventi   nel  settore  del  giuoco  e  delle  scommesse
clandestini  e  tutela  della  correttezza  nello  svolgimento  delle
manifestazioni sportive), come novellato dall'art. 37, comma 5, della
legge  23 dicembre  2000,  n. 388 (Disposizioni per la formazione del
bilancio   annuale   e   pluriennale   dello  Stato),  sollevata,  in
riferimento   agli   artt. 3,  10,  secondo  comma,  11  e  41  della
Costituzione,  dal  tribunale  di  Ascoli  Piceno, con l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1 marzo 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                     Il redattore: Neppi Modona
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 21 marzo 2002.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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