N. 13 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 10 aprile 2002

Ricorso  per  conflitto  di attribuzione depositato in cancelleria il
10 aprile 2002 (della Regione autonoma della Sardegna)

Elezioni  -  Regione  Sardegna  -  Decadenza di consigliere regionale
  deliberata  in  data  31  maggio  2001  dal Consiglio regionale per
  sopravvenuta incompatibilita' (elezione alla Camera dei deputati) -
  Annullamento  della  predetta  delibera  regionale con sentenza del
  Tribunale  di  Cagliari in data 15 novembre 2001 - Dichiarazione di
  decadenza,  a  seguito di azione popolare, dello stesso consigliere
  con  sentenza  del Tribunale di Cagliari n. 257 del 25 marzo 2002 -
  Conflitto  di  attribuzioni  sollevato  dalla  Regione  Sardegna  -
  Lamentata  illegittima  disapplicazione,  da parte del Tribunale di
  Cagliari,  della  normativa  regionale disciplinante la fattispecie
  (in  primis  la  legge  regionale n. 71/1979) ed applicazione della
  legge   statale  n. 154/1981  -  Dedotta  lesione  della  sfera  di
  competenza  del  Consiglio  regionale  in  tema di eleggibilita' ed
  incompatibilita' dei consiglieri regionali.
- Sentenza Tribunale di Cagliari in data 25 marzo 2002, n. 257.
- Costituzione, art. 116; Statuto Regione Sardegna, art. 27.
(GU n.21 del 29-5-2002 )
    Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  della Regione autonoma
della Sardegna, in persona del Presidente pro-tempore on. Mauro Pili,
giusta  deliberazione  della  Giunta  regionale  del  27 marzo  2002,
rappresentata  e difesa - in virtu' di procura a margine del presente
atto  -  dal  prof. avv.  Roberto  Nania,  presso  il  cui  studio e'
elettivamente domiciliato in Roma, Carlo Poma n. 2;
    Contro  il Presidente del Consiglio dei ministri, a seguito e per
l'effetto  della sentenza n. 257/02 del 25 marzo 2002 (ricorso numero
R.G.  8421/01)  con  cui  il  Tribunale di Cagliari ha dichiarato che
"Nuvoli  Giovanni  Paolo  e' decaduto dalla carica di consigliere del
Consiglio regionale della Regione autonoma della Sardegna".

                              F a t t o

    Con delibera in data 31 maggio 2001, il Consiglio regionale della
Sardegna  su proposta della Giunta per le elezioni - in ragione della
sopravvenuta  incompatibilita'  di  un  proprio  componente risultato
eletto  alla  Camera  dei  deputati  e della partecipazione di questi
nella  detta  qualita'  alle  attivita'  deliberative della Camera di
appartenenza - ne stabiliva la decadenza da Consigliere regionale.
    Tale  delibera  consiliare,  impugnata  dal consigliere decaduto,
veniva  annullata  dal  Tribunale  civile  di  Cagliari  che,  con la
sentenza  n. 2598/01,  ripristinava  il  ricorrente  nella  carica di
consigliere.
    Avverso  la  decisione  del  tribunale, la Regione autonoma della
Sardegna  sollevava  conflitto  innanzi  a codesta Corte deducendo la
illegittima    invasione,    interferenza   e/o   menomazione   delle
attribuzioni  costituzionalmente riservate al Consiglio regionale (il
relativo ricorso veniva iscritto nel registro conflitti con il numero
4/02).
    Nelle  more  interveniva  la  sentenza n. 257/02 impugnata con il
presente  ricorso,  con  la  quale  sempre  il  medesimo Tribunale di
Cagliari  - a seguito, questa volta, di azione popolare esercitata da
un  elettore  del Consiglio regionale - dichiarava decaduto lo stesso
Consigliere precedentemente reintegrato.
    Anche tale ulteriore sentenza assume portata lesiva rispetto alle
attribuzioni  costituzionali  del  Consiglio  regionale,  cosi'  come
dedotto  nel precedente conflitto; sicche' a suo carico devono essere
reiterate le medesime censure in quella sede denunziate.

                            D i r i t t o

    1. - In  primo  luogo,  si  eccepisce la insussistenza del potere
giurisdizionale (quale che ne possa essere l'organo giudicante che se
ne  arroghi  l'esercizio)  di  conoscere ricorsi aventi ad oggetto la
materia   delle  incompatibilita'  e  delle  relative  decadenze  dei
consiglieri  regionali  sardi,  e segnatamente quelli che, come nella
specie,  si  attengano alla specifica fattispecie di incompatibilita'
concernente  la  contemporanea  posizione  di  parlamentare  ai sensi
dell'art. 17   comma   2  dello  Statuto  della  Regione  Sardegna  e
dell'art. 122 comma 2 della Costituzione.
    Che  si  tratti  di  materia sottratta alla cognizione del potere
giurisdizionale  dello  Stato, siccome attribuita in via esclusiva al
Consiglio  nel  quadro  dell'ordinamento costituzionale della Regione
Sardegna,   e'   comprovato  -  ad  avviso  della  ricorrente  -  sia
dall'assenza  in  tale  ordinamento  di una qualunque disposizione di
legge  che  riconosca,  appunto,  agli  organi della giurisdizione la
cognizione  di  gravami  in  tale materia, sia dalla pluralita' delle
disposizioni  regionali  che  al  riguardo  deferiscono  ogni  potere
cognitivo al Consiglio regionale sardo.
    Sotto  il  primo  profilo,  e'  da  rammentare  che codesta Corte
costituzionale,  con  la  sentenza  n. 85/1988, ha escluso in termini
univoci   che   la   normativa   in   tema   di   ineleggibilita'  ed
incompatibilita'   di  cui  alla  legge  n. 154/1981,  riguardante  i
consiglieri   delle   regioni   ad  autonomia  ordinaria,  fosse  mai
applicabile  all'ordinamento  sardo (essendo all'uopo indispensabile,
in  forza  dello  Statuto, l'intervento di apposita legge statale, ed
oggi  regionale  a  seguito della legge costituzionale n. 2/2001). Ne
deriva  la  conferma  di  quanto  sopra dedotto, posto che egualmente
inapplicabile  all'ordinamento  sardo  deve ritenersi l'art. 7, della
menzionata  legge n. 154 (la' dove fosse ancora in vigore, nonostante
la  intervenuta  abrogazione di tale legge da parte dell'articolo 274
della   legge   n. 267/2000),   con   il  quale  e'  disciplinato  il
procedimento   in   sede   giurisdizionale  per  l'impugnativa  delle
deliberazioni  degli  organi consiliari in punto di ineleggibilita' e
di incompatibilita'.
    A  fronte  di  cio'  -  passando  ora  al  secondo degli elementi
probatori  preannunciati  - l'art. 82 della legge regionale n. 7/1979
statuisce  puntualmente  che  "al Consiglio regionale e' riservata la
convalida  della  elezione  dei  propri  componenti.  Esso  pronuncia
giudizio  definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale,
su  tutti  i  reclami";  per  di  piu', l'art. 17 del regolamento del
Consiglio  regionale  sardo  sancisce che "alla Giunta delle elezioni
competono  la  verifica  dei  titoli  di ammissione dei consiglieri e
l'esame   delle  cause  di  ineleggibilita'  e  di  incompatibilita',
comprese quelle sopraggiunte nel corso della legislatura".
    Attesa  la  stretta  correlazione sussistente tra le disposizioni
appena  menzionate  e  gli  articoli  116,  Cost., 17, comma 2, e 19,
Statuto,  nonche' attesa la prassi consuetudinaria del tutto uniforme
nel  senso  della intangibilita' delle decisioni consiliari in ordine
alla   incompatibilita'   tra  la  posizione  di  parlamentare  e  di
consigliere  (cfr.  a  conferma,  da  ultimo, il caso del consigliere
Serra), ne viene comprovato che nell'ambito dell'ordinamento sardo si
e'  affermata,  ed e' operativa, una garanzia di grado autenticamente
costituzionale  deducibile  dalle  citate disposizioni, a mente della
quale  garanzia  il  carattere  definitivo delle decisioni consiliari
preclude   ogni   ulteriore  intervento  giurisdizionale  in  merito.
Peraltro, gia' da tempo era stato messo efficacemente in luce in sede
dottrinale  tale dato di caratterizzazione dell'ordinamento sardo, un
dato   che   rimane  tuttora  salvo  ed  impregiudicato,  almeno  con
riferimento  alle  decisioni  assembleari in tema di incompatibilita'
tra  l'assolvimento  del  mandato parlamentare e di quello consiliare
(cfr.  T.  Martines, Il Consiglio regionale, Milano, 1981, pagg. 24 e
26-27).
    Ne' sarebbe opponibile a quanto svolto che nel caso della Regione
Sardegna (cosi' come delle Regioni nel loro insieme, sia ad autonomia
ordinaria che ad autonomia speciale) farebbe difetto una disposizione
costituzionale   altrettanto   esplicita   quanto   quella  contenuta
nell'art. 66,    Cost.,    il    cui   tenore   rende   pacifica   ed
incontrovertibile  la  regola  fondamentale della insindacabilita' in
sede  giudiziaria delle decisioni assunte dalle Camere del Parlamento
relativamente, oltre che ai titoli di ammissione dei suoi componenti,
alle cause sopraggiunte di ineleggibilita' e di incompatibilita'.
    Ed  invero,  occorre  considerare  che  comunque  cio'  non  puo'
impedire  il  riconoscimento  in  capo  al Consiglio regionale di una
siffatta  guarentigia costituzionale, quando essa scaturisca - com'e'
nella  specie  - in modo lineare ed automatico dal sistema, in virtu'
di  una  piena  convergenza  di  fattori  normativi  e  di tradizione
applicativa   che   ne  testimoniano,  appunto,  la  esistenza  e  la
operativita'.
    D'altro  canto,  ne  rappresenta riprova il fatto che non sarebbe
neppure  sufficiente, allo scopo di affermare una pretesa sussistenza
di  potere  giurisdizionale  in  materia,  richiamarsi  al  principio
generale  della  tutela  giurisdizionale  dei  diritti.  E' risaputo,
infatti, che quando si tratti di fondare il potere giurisdizionale di
emettere sentenze costitutive, ossia sentenze che abbiano la forza di
modificare  la  preesistente  situazione  giuridica  - come fa, nella
sostanza,  la  sentenza impugnata in violazione dell'art. 101, Cost.,
in  relazione  all'art. 2908,  c.c.,  che  ridonda  in  lesione delle
attribuzioni  statutariamente riservate al Consiglio - occorre che vi
sia  una  specifica  disposizione  di legge attributiva al giudice di
tale  potere  conformativo: ma di una simile attribuzione, come si e'
detto, non vi e' traccia nell'ordinamento sardo.
    Sotto  un  diverso  ma  convergente  profilo,  si  puo'  altresi'
eccepire che il tribunale abbia leso le competenze costituzionali del
Consiglio  ricorrente - garantite dagli artt. 116, Cost., e 27, St. -
per   aver  proceduto,  in  definitiva,  alla  disapplicazione  delle
disposizioni  normative  regionali regolanti la fattispecie (in primo
luogo,  la  legge regionale n. 71/1979), sostituendovi l'art. 7 della
legge  n. 154/1981.  Ed  invero  - come ha avuto modo di precisare la
Corte  nella  sentenza  n. 285/1990  proprio  in sede di conflitto di
attribuzione  tra  Stato e Regione - non e' consentito alle pronunzie
giurisdizionali  di  disapplicare  leggi regionali neppure in caso di
dubbio  in  ordine  alla loro legittimita' costituzionale, occorrendo
all'uopo  adire  la  Corte cui soltanto, e senza eccezione alcuna, e'
rimesso tale sindacato.
    2. - A  questa  difesa  e'  noto,  secondo  quanto e' stato sopra
ricordato,  lo  schema,  che talvolta sembra adottato nelle pronunzie
della  Corte,  del  carattere  pretesamente  chiuso  ed enumerato che
avrebbero  le  garanzie  di  cui  dispongono in via costituzionale le
assemblee regionali.
    A  riguardo  -  ferme  restando le argomentazioni di cui al punto
precedente,  relative  alla  specifica ricostruzione dell'ordinamento
costituzionale  sardo  - occorre nondimeno avanzare un duplice ordine
di considerazioni.
    La  prima  considerazione  e'  che  non sembra che tale schema, a
parte  ogni  altra  notazione  critica,  possa  comunque escludere la
operativita'  in  favore delle assemblee regionali di una guarentigia
che  -  come  quella  di  cui  si parla, prescindendo dunque da altre
ipotesi  di  autodichia,  e  segnatamente  da  quella  concernente  i
rapporti  con  i  dipendenti  -  costituisce  un  requisito minimo ed
indispensabile  ai  fini della tutela degli organi rappresentativi da
interferenze  e  condizionamenti esterni: e' indubitabile difatti che
il  sindacato  giurisdizionale in materia di incompatibilita' sarebbe
suscettibile  di  incidere  in via diretta sulla composizione e sugli
stessi interna corporis dell'organo assembleare.
    Detto  in  altre parole, nella tradizione costituzionale italiana
quello che si trae dall'art. 66 della Costituzione e' un principio di
natura    istituzionale    che,    indipendentemente    da   apposite
codificazioni,  e'  destinato  ad  assistere  gli  organi che, come i
Consigli  regionali,  siano  qualificati  dalla  loro natura politico
rappresentativa  e  dalla  titolarita'  di  funzione legislativa e di
indirizzo   (dovendo   restare   ovviamente  ininfluente,  da  questa
angolazione,  il  dato  puramente  quantitativo,  ma non qualitativo,
della circoscritta efficacia territoriale dei relativi atti).
    D'altro canto, la Corte ha gia' mostrato di voler dare l'adeguato
risalto  al  valore della tutela della autonomia e della indipendenza
degli  organi  rappresentativi  regionali,  muovendo  proprio  da  un
criterio  di  parallelismo  con  la  posizione del Parlamento e con i
principi  costituzionali, scritti o non scritti, che sono preordinati
a presidiare detta posizione (cfr., tra le altre, sentenza n. 143 del
1968  in  tema di sottrazione a riscontri esterni delle spese operate
per  il  funzionamento  del  Consiglio regionale; sentenza n. 382 del
1998,  in tema di insindacabilita' dei consiglieri regionali anche al
di  la'  degli atti tipici posti in essere; sentenza n. 392 del 1999,
in   tema   di   autonomia  contabile  del  Consiglio  rispetto  alla
giurisdizione   della   Corte   dei   conti,   secondo  il  principio
consuetudinario operante in materia per le assemblee parlamentari).
    Per  di  piu',  e'  da  rimarcare  che  nel  caso specifico della
incompatibilita'  tra  la carica di consigliere e di parlamentare, si
tratta  di  ipotesi  che  investe  ad  un  tempo sia le Camere che le
Assemblee  regionali:  sicche'  -  sempre  per  quanto  riguarda tale
fattispecie - sembra plausibile postulare che la materia richieda dal
punto  di  vista  costituzionale  un  trattamento  giuridico omogeneo
(ossia   quello   della  insindacabilita'  delle  relative  decisioni
assembleari)  e che tale omogeneita' sia voluta dal sistema, anche in
considerazione   delle   possibili  interferenze  che  nell'autonomia
decisionale  delle  stesse  Camere  potrebbero derivare dal sindacato
giurisdizionale sulle determinazioni regionali.
    A cio' si aggiunge l'incidenza che non puo' non avere sul tema in
esame  la  riforma  del Titolo V della Costituzione di cui alla legge
della  Costituzione  n. 3  del  2001  (applicabile  nei  sensi di cui
all'art. 10  della  legge  medesima alle Regioni a Statuto speciale),
assunta  sia  nella sua ratio complessiva, officializzata mediante le
nuove    formulazioni    dell'art. 114   Cost.,   volta   a   rendere
incontrovertibile     la    consistenza    autenticamente    politica
dell'autonomia  regionale e della funzione legislativa in cui essa si
esprime  in  via  prioritaria,  sia negli specifici aspetti in cui la
stessa  si  manifesta  (l'inversione  del  criterio del riparto delle
materie tra Stato e Regioni, la caduta del controllo preventivo sulle
leggi   regionali,  nonche'  l'esclusione  di  una  potenzialita'  di
condizionamento innominato da parte dell'interesse nazionale, ecc.).
    Si  e'  dunque in presenza di uno scenario costituzionale davanti
al  quale  non  suonerebbero  piu'  persuasivi  i fattori a suo tempo
addotti  allo scopo di disconoscere talune prerogative a favore delle
assemblee regionali (cfr., l'antica sentenza n. 66/1964): cio' almeno
con  riguardo  a  quella  fatta valere nel presente ricorso che - per
quanto spiaccia ripetersi - tocca proprio l'essenza del ruolo assolto
dagli organi rappresentativi regionali, naturalmente nella differenza
dei  compiti  rispettivamente  giocati  nel complessivo sistema delle
assemblee  elettive  in  cui  si  articola  il nostro attuale assetto
istituzionale.
    Ne discende, pertanto, anche sotto tale aspetto la conferma della
attribuzione  costituzionale  in  via  esclusiva  ai  Consigli  della
guarentigia  in  tema  di  incompatibilita'  racchiusa  nell'art. 122
Cost.,  secondo  l'interpretazione  che e' resa ineludibile alla luce
del nuovo assetto costituzionale.
    3. - Vi  e'  inoltre  da  eccepire  - sia pure in via subordinata
rispetto  ai motivi del ricorso sopra dedotti - una ulteriore lesione
delle attribuzioni regionali, con specifico riferimento all'autonomia
regolamentare  del  Consiglio  regionale della Sardegna quale risulta
codificata dall'art. 19 dello Statuto.
    Invero,  e'  da  notare  che  il Tribunale di Cagliari, ribadendo
quanto  gia'  affermato  nella  sentenza  n. 2598/01  -  ossia che il
Consiglio   regionale   avrebbe  dovuto  osservare  la  procedura  di
decadenza  di  cui  alla  legge  n. 154  del  1981  - e sostituendosi
all'organo   assembleare   nell'applicazione   della  predetta  legge
statale,  ha  leso  le attribuzioni proprie del medesimo Consiglio in
campo  organizzativo (in forza, appunto, del menzionato art. 19 dello
Statuto,   nonche'   dei   principi   fondamentali   che  reggono  il
funzionamento degli organi rappresentativi): attribuzioni che si sono
tradotte  nella  disciplina  dettata sia dall'art. 17 del regolamento
consiliare  sia  dall'art. 15  del  regolamento  della  Giunta  delle
elezioni  (anch'esso  approvato  dal Consiglio a maggioranza assoluta
dei  componenti).  Disposizioni  queste  ultime  che sotto il profilo
procedimentale  prevedono  -  in  casi,  come  quello  sub judice, di
riconoscimento   unanime   da  parte  della  Giunta  della  causa  di
incompatibilita'   -   si   possa  prescindere  dal  procedimento  di
contestazione (seguito invece dal Tribunale).
    Ulteriormente lesivo appare l'atto giudiziario impugnato per aver
negato  che  al  Consiglio  regionale  potesse competere un qualunque
potere   delibativo   in   ordine   alla  ricorrenza  di  ipotesi  di
incompatibilita'  con  la  carica di parlamentare: e specificatamente
che  detta  ponderazione fosse suscettibile di apprezzare l'effettivo
esercizio  da  parte  dell'interessato  delle  funzioni connesse alla
carica  di  parlamentare  nonche' la inequivoca opzione effettuata in
tal guisa a favore dell'anzidetta carica (cfr. sentenza, pag. 14).
    La  Regione odierna ricorrente ritiene, difatti, che dalla regola
costituzionale  e  statutaria  che  fissa  la incompatibilita' tra la
carica  di  consigliere  e  quella  di parlamentare - unitamente agli
elementari principi che elevano a valore costituzionale l'esigenza di
funzionalita'  dell'organo - derivi in capo al Consiglio il potere di
esprimersi  sulla  decadenza del consigliere; ossia valutando, ove se
ne  presenti il caso, il significato obiettivo - sempre e soltanto ai
fini  della integrazione della ipotesi di decadenza di cui si parla -
dei  suoi  esteriori comportamenti istituzionali. A conferma di cio',
e'  appena  il  caso  di precisare che sarebbe riduttivo risolvere la
ratio    del    criterio    costituzionale   della   incompatibilita'
nell'ampliamento,  sul  piano  soggettivo,  del diritto di elettorato
passivo  (rispetto  al  diverso criterio della ineleggibilita); nella
specie infatti opera anche un'istanza - la cui valutazione e' rimessa
all'apprezzamento  dell'Assemblea  regionale  -  di  protezione della
funzionalita'  dell'organo  legislativo,  posto  il pregiudizio che a
tale interesse costituzionale arrecherebbe la permanenza in carica di
un  consigliere  che,  a  prescindere  dalla ampiezza temporale della
anomalia,  si  trovi simultaneamente ad adempiere anche all'esercizio
delle funzioni parlamentari.
                              P. Q. M.
    La  Regione  Sardegna,  come sopra rappresentata e difesa, chiede
che  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale voglia dichiarare che non
spetta allo Stato, e per esso al Tribunale di Cagliari, dichiarare la
decadenza   dalla   carica   del Consigliere  regionale  indicato  in
epigrafe, e per l'effetto voglia annullare la sentenza del menzionato
Tribunale n. 257/02.
      Roma, addi' 27 marzo 2002
                          Prof. Avv. Nania
02C0306