N. 128 ORDINANZA 11 - 22 aprile 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Consulenti  del  giudice - Compenso - Attivita' strumentale svolta da
  terzi  quali  ausiliari  del  consulente - Liquidazione della spesa
  sostenuta  per  tale  operato  -  Criteri  - Possibile ricorso alle
  tariffe  vigenti  o  agli  usi  locali  - Asserito contrasto con il
  principio  di  ragionevolezza  e di eguaglianza, per ingiustificata
  disparita' di trattamento tra i consulenti e tra i consulenti e gli
  ausiliari del giudice - Manifesta infondatezza della questione.
- Legge 8 luglio 1980, n. 319, art. 7, terzo comma.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.17 del 24-4-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Valerio  ONIDA, Carlo
MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,
Francesco AMIRANTE;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, terzo comma,
della  legge  8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai
consulenti   tecnici,  interpreti  e  traduttori  per  le  operazioni
eseguite  a  richiesta  dell'autorita'  giudiziaria),  promosso,  con
ordinanza  emessa  il  28 marzo  2001, dal Tribunale di Velletri, nel
procedimento   civile  vertente  tra  Palitti  Massimo  e  l'Istituto
italiano  Credito Fondiario ed altri, iscritta al n. 494 del registro
ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 26, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 30 gennaio 2002 il giudice
relatore Massimo Vari.
    Ritenuto che il Tribunale di Velletri, con ordinanza del 28 marzo
2001, ha sollevato, in relazione all'art. 3 della Costituzione ed "al
principio  generale  di  ragionevolezza",  questione  di legittimita'
costituzionale  dell'art. 7,  terzo comma, della legge 8 luglio 1980,
n. 319   (Compensi   spettanti  ai  periti,  ai  consulenti  tecnici,
interpreti  e  traduttori  per  le  operazioni  eseguite  a richiesta
dell'autorita'  giudiziaria),  secondo  il  quale,  ove il consulente
tecnico  sia  stato autorizzato dal giudice ad avvalersi dell'ausilio
di  altri  prestatori  d'opera  per attivita' strumentale rispetto ai
quesiti  posti  per  l'incarico,  "la  relativa  spesa e' determinata
gradatamente,  secondo  i criteri stabiliti nella presente legge alla
stregua delle tariffe vigenti o degli usi locali";
        che  il  rimettente  -  premesso  di  essere  stato adito, ex
art. 11  della  legge  n. 319  del  1980, in sede di impugnazione del
provvedimento  giudiziale  di liquidazione al consulente del compenso
per  l'incarico  svolto nel corso di una procedura esecutiva, a causa
del  mancato riconoscimento delle spese relative all'attivita' svolta
da  un  ausiliario della cui opera lo stesso era stato autorizzato ad
avvalersi  -  osserva  che,  secondo la interpretazione accolta dalla
dottrina  e  dalla  giurisprudenza e sulla base, altresi', dei lavori
preparatori  della  legge,  la disposizione denunciata andrebbe letta
nel  senso  che troverebbero applicazione le disposizioni di cui alla
predetta  legge  n. 319  del 1980 (ed oggi di cui al d.P.R. 27 luglio
1988,  n. 352),  mentre le tariffe vigenti (da intendere come tariffe
professionali)  e,  in  subordine, gli usi, troverebbero applicazione
solo in via residuale;
        che,  peraltro,  sulla  scorta  di  tale interpretazione, non
esistendo  prestazione  d'opera  che  non  possa essere valutata alla
stregua  del  criterio  di cui all'art. 4 della legge n. 319 del 1980
(per  vacazioni), le tariffe non giudiziarie e gli usi non potrebbero
mai essere applicati quali criteri di liquidazione del compenso;
        che   il   rilevato   elemento  di  contraddittorieta'  della
disposizione  permarrebbe,  secondo il rimettente, anche se la stessa
dovesse interpretarsi nel senso che il legislatore, con l'espressione
"tariffe vigenti", abbia inteso fare riferimento proprio alle tariffe
giudiziarie,   atteso   che,   in  tal  caso,  non  troverebbero  mai
applicazione gli usi locali;
        che  l'impossibilita'  di  attribuire  alla  disposizione "un
senso  compiuto e razionale" induce a dubitare, ad avviso del giudice
a   quo  della  sua  legittimita'  costituzionale,  segnatamente  per
contrasto   con  il  "principio  di  intrinseca  ragionevolezza  come
riconosciuto dalla Corte costituzionale";
        che,   sempre  sotto  il  profilo  della  ragionevolezza,  la
disposizione  in  questione  suscita, secondo il rimettente, dubbi di
costituzionalita'  anche  perche'  considera  il  compenso  spettante
all'ausiliario  del  consulente come una spesa del consulente stesso,
consentendone,  tuttavia,  il  rimborso solo nei limiti delle tariffe
giudiziarie,  le  quali  non  si  applicano  al  rapporto,  di natura
privatistica, tra consulente e ausiliario, che "non e' ausiliario del
giudice",  e  non  costituiscono  neppure  un parametro di congruita'
della  spesa affrontata, la quale dipende dai valori di mercato della
prestazione;
        che,  secondo  il  giudice  a  quo  la disposizione censurata
violerebbe,  altresi',  il principio di uguaglianza, in quanto non vi
sarebbe  alcun  ragionevole  motivo  per  il quale il consulente, che
affronti  spese  non  consistenti  nell'opera  personale di terzi, ha
diritto  all'intera  rifusione  delle  stesse,  purche'  sostenute  e
necessarie,  mentre  il  consulente che si avvale dell'opera di terzi
deve   in   parte  accollarsi  le  spese  relative  al  compenso  del
prestatore,   non   essendo  a  quest'ultimo  opponibili  le  tariffe
giudiziarie;
        che,  inoltre,  ad  avviso  del  rimettente,  la disposizione
censurata,  con il pretendere che il consulente debba subire un danno
patrimoniale,  pari  alla  differenza  tra  il  costo effettivo della
prestazione  dell'ausiliario  ed  il  corrispettivo, come determinato
dalle  tariffe  giudiziarie,  darebbe  luogo  ad  una  ingiustificata
disparita'  di  trattamento  sia  all'interno  "dei  rapporti d'opera
professionale pubblicistici", sia all'interno del mondo del lavoro in
senso ampio;
        che,  infine,  secondo  il  giudice  a  quo la razionalita' e
l'equita'  della  disciplina  posta dalla disposizione denunciata non
possono  "essere  difese  sulla  base di ragioni di equo contenimento
delle spese giudiziali";
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha  concluso  per  l'infondatezza  della questione, evidenziando, tra
l'altro, la disomogeneita' delle fattispecie poste a confronto.
    Considerato che la disposizione denunciata - nell'interpretazione
fatta propria dal rimettente, nel senso che il criterio delle tariffe
vigenti  e  degli  usi  locali  svolge un ruolo residuale, valido ove
manchi  un  parametro nelle tabelle giudiziarie - non puo' certamente
reputarsi incostituzionale solo per il dubbio espresso dal rimettente
stesso  e  cioe'  che  i  criteri previsti come residuali possano, di
fatto, non trovare mai applicazione;
        che,  quanto  alle  altre  censure,  deve  osservarsi  che la
disposizione  in esame ha inteso innovare profondamente la previgente
disciplina, la quale, mentre prevedeva che il compenso agli ausiliari
dei  consulenti fosse "valutato alla stregua delle tariffe vigenti o,
in  mancanza,  degli usi locali" (art. 6, ultimo comma, della legge 1
dicembre  1956, n. 1426, recante disposizioni in materia di "Compensi
spettanti  ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per
le  operazioni  eseguite  a  richiesta  dell'autorita' giudiziaria"),
stabiliva come regola generale, per i consulenti tecnici, il criterio
del compenso "a vacazioni" (artt. 3 e 4);
        che   tale   sistema   di   remunerazione  determinava,  come
evidenziato  da piu' parti, una palese discriminazione tra consulenti
del giudice e ausiliari degli stessi;
        che  la legge n. 319 del 1980, optando per un sistema che non
riproponesse   la   sperequazione   della  precedente  normativa,  ha
mantenuto  solo  in  via residuale il criterio della commisurazione a
tempo  per  la  liquidazione  degli onorari del consulente (art. 4) e
stabilito,  altresi',  per gli ausiliari della cui opera quest'ultimo
si sia avvalso, che il relativo compenso debba essere determinato, in
via  principale,  sulla base delle tariffe giudiziarie previste dalla
legge (art. 7, terzo comma);
        che  il  rimettente  muove  dall'erroneo  presupposto  che le
tariffe   giudiziarie  non  siano  opponibili  all'ausiliario,  senza
avvertire  che  il  sistema  introdotto  dal legislatore, in luogo di
quello  precedente, ha voluto assumere dette tariffe come criterio di
valutazione  della  prestazione  resa dall'ausiliario stesso; e cio',
anche,  in  virtu'  della  natura  di munus publicum che caratterizza
l'incarico  assegnato  al consulente, del quale l'ausiliario non puo'
ignorare l'esistenza, e che, inevitabilmente, finisce per riflettersi
anche sul rapporto tra l'ausiliario e il consulente;
        che, alla luce di quanto detto, vanno considerati infondati i
dubbi sollevati dal rimettente, con la proposizione dell'incidente di
costituzionalita',  in  vista della reintroduzione di quel sistema di
remunerazione  degli  ausiliari  dei  consulenti, gia' previsto dalla
legge  n. 1426  del  1956,  che  il  legislatore, con la disposizione
denunciata,  ha  inteso, per le motivazioni dianzi esposte, del tutto
ragionevolmente superare;
        che,  pertanto,  la  questione  deve reputarsi manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 7,  terzo  comma, della legge
8 luglio  1980,  n. 319  (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti
tecnici,  interpreti  e  traduttori  per  le  operazioni  eseguite  a
richiesta   dell'autorita'   giudiziaria),  sollevata,  in  relazione
all'art. 3   della  Costituzione,  dal  Tribunale  di  Velletri,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 aprile 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Vari
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 22 aprile 2002.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
02C0330