N. 145 SENTENZA 22 aprile - 3 maggio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Impiego  pubblico  -  Condanna  penale  del  dipendente  (per  taluni
  individuati delitti) - Sospensione ex lege dal servizio - Lamentato
  irragionevole    automatismo    della   misura   -   Esercizio   di
  discrezionalita'  legislativa  in  materia  -  Non fondatezza della
  questione.
- Legge 27 marzo 2001, n. 97, art. 4, comma 1.
- Costituzione, artt. 3, 4, 24, 27, 35, 36 e 97.
Impiego  pubblico  -  Condanna  penale  del  dipendente  (per  taluni
  individuati  delitti)  -  Sospensione  obbligatoria  dal servizio -
  Termine  di  durata  -  Perdita  di  efficacia  della misura con il
  decorso  di  un  periodo di tempo pari a quello di prescrizione del
  reato   -   Violazione   del   principio   di   proporzionalita'  e
  ragionevolezza  -  Illegittimita'  costituzionale  in parte qua nei
  sensi  di  cui  in motivazione - Possibilita' di una diversa durata
  massima   della   misura   -  Individuazione  nel  vigente  sistema
  normativo, salva una nuova disciplina in materia.
- Legge 27 marzo 2001, n. 97, art. 4, comma 2; legge 7 febbraio 1990,
  n. 19, art. 9, comma 2.
- Costituzione, art. 3.
Ordinanza letta nell'udienza pubblica del 12 marzo 2002 (allegata).
Intervento  in giudizio - Soggetti che non siano parti nel giudizio a
  quo - Difetto di un interesse qualificato - Inammissibilita'.
(GU n.18 del 8-5-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Massimo VARI;
  Giudici:  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge
27 marzo  2001,  n. 97  (Norme sul rapporto tra procedimento penale e
procedimento   disciplinare  ed  effetti  del  giudicato  penale  nei
confronti  dei  dipendenti delle amministrazioni pubbliche), promossi
con ordinanze emesse il 13 giugno 2001, il 4 luglio 2001 e l'8 agosto
2001   dal   Tribunale   amministrativo   regionale  della  Campania,
rispettivamente  iscritte  ai  numeri  699,  778  e  949 del registro
ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
numeri 38, 40 e 49, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visti  gli  atti di costituzione di Falvo Sergio nonche' gli atti
di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  di
Calabrese Francesca;
    Udito nell'udienza pubblica del 12 marzo 2002 il giudice relatore
Annibale Marini;
    Uditi  gli  avvocati  Giovanni  Di  Gioia  per Falvo Sergio, Luca
Verrienti  per  Calabrese  Francesca e l'avvocato dello Stato Gaetano
Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  tre  ordinanze,  sostanzialmente identiche, emesse il
13 giugno  2001,  il  4 luglio  2001  e l'8 agosto 2001, il Tribunale
amministrativo  regionale della Campania ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 4, 24, 27, 35, 36 e 97 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 4,  commi  1 e 2, della legge
27 marzo 2001,  n. 97  (Norme  sul rapporto tra procedimento penale e
procedimento   disciplinare  ed  effetti  del  giudicato  penale  nei
confronti   dei   dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche).  La
disposizione impugnata stabilisce che i dipendenti di amministrazioni
o  di  enti  pubblici  ovvero  di  enti  a  prevalente partecipazione
pubblica, i quali abbiano riportato condanna anche non definitiva per
alcuno  dei  delitti  previsti  dall'art. 3, comma 1, della precitata
legge  n. 97 del 2001, sono sospesi dal servizio e che la sospensione
perde  efficacia  se  per  il  fatto  sia successivamente pronunciata
sentenza  di  proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e
in   ogni  caso  decorso  un  periodo  di  tempo  pari  a  quello  di
prescrizione del reato.
    La questione e' detta rilevante nei tre giudizi, avendo questi ad
oggetto  domande  di  annullamento  di  provvedimenti  di sospensione
cautelare dal servizio adottati dall'amministrazione di appartenenza,
ai sensi della norma denunciata, a seguito di condanne non definitive
inflitte  ai  ricorrenti  per  taluno  dei reati indicati nella norma
stessa.
    Il  dubbio  di costituzionalita' della norma di cui al comma 1 si
incentra    essenzialmente,   ad   avviso   del   rimettente,   sulla
"ragionevolezza  del  bilanciamento  operato  dal  legislatore tra le
esigenze   di   buon   andamento   e   imparzialita'  della  pubblica
amministrazione  e  la  tutela  dei  diritti  compressi  dalla misura
cautelare".
    Il rimettente afferma di non ignorare che la Corte costituzionale
si  e'  gia'  espressa  in argomento con la sentenza n. 206 del 1999,
dichiarando  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art. 15,  comma
4-septies della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la
prevenzione  della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme
di   manifestazione  di  pericolosita'  sociale).  Si  dice  altresi'
consapevole  del  fatto  che,  con  la norma denunciata, si e' inteso
proprio  reinserire  nel sistema una disposizione analoga a quella di
cui  al  predetto  art. 15  della legge n. 55 del 1990, nel frattempo
abrogato  dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali).
    Assume,  peraltro,  che la sentenza n. 206 del 1999 riguarderebbe
esclusivamente  la  legittimita'  costituzionale  della previsione di
sospensione  automatica dal servizio nell'ipotesi di condanna (recte:
rinvio  a  giudizio) per reato associativo di stampo mafioso e che la
motivazione  della sentenza sarebbe incentrata solo sulla particolare
gravita' di quel reato, mentre, per ogni altro caso, la previsione di
una misura cautelare automatica per il dipendente pubblico condannato
con  sentenza  non  definitiva dovrebbe ritenersi contrastante con il
principio di ragionevolezza.
    Aggiunge  il rimettente, in via evidentemente subordinata, che la
Corte "dovra' inoltre valutare se la discrezionalita' del legislatore
nel  determinare per legge il periodo di sospensione dal servizio sia
stata razionalmente esplicata nell'art. 4 della legge n. 97/2001 ove,
come  gia' notato, la sospensione si rapporta ad un periodo di tempo,
pari  a  quello di prescrizione del reato, e percio' di durata quanto
mai  lunga,  tanto  da  dubitarsi che la stessa abbia il carattere di
provvedimento fondato su "esigenze cautelari".
    2.  -  Si  e'  costituito nel primo dei tre giudizi il ricorrente
Sergio   Falvo,   il   quale  ha  concluso  per  la  declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale della norma impugnata, "nella parte in
cui  dispone l'obbligatoria sospensione dal servizio per i dipendenti
delle   amministrazioni   pubbliche   condannati   con  sentenza  non
definitiva per i delitti richiamati nella stessa norma, per contrasto
con gli artt. 3, 4, 24, 27, 33, 35, 36 e 97 della Costituzione".
    Assume  la parte privata che la sospensione de qua costituirebbe,
in  realta', non una misura cautelare, ma una sanzione anticipata, in
quanto  per  sua  natura  disposta  a  notevole distanza di tempo dal
fatto, in base al dato meramente formale della pronunzia giudiziale e
senza  alcuna  possibilita'  di  valutare  l'effettiva  ricorrenza di
esigenze  cautelari  e la congruita', rispetto a queste, della misura
stessa.
    La  previsione  della sospensione in esame contrasterebbe percio'
con   i   principi  di  ragionevolezza  e  proporzionalita',  di  cui
all'art. 3  della  Costituzione,  nonche' - per il rigido automatismo
che  la  caratterizza  - con quelli di imparzialita' e buon andamento
dell'amministrazione, garantiti dall'art. 97 della Costituzione.
    Per il suo carattere anticipatamente afflittivo essa si porrebbe,
inoltre,  in  contrasto con la presunzione di non colpevolezza di cui
all'art. 27, secondo comma, della Costituzione, nonche' con i diritti
del lavoratore tutelati dagli artt. 4, 35 e 36 della Costituzione.
    Afferma la parte privata di non ignorare che il legislatore ha la
facolta',  espressamente  riconosciutagli  dalla  sentenza  di questa
Corte  n. 206  del  1999, di identificare ipotesi circoscritte, nelle
quali  l'esigenza  cautelare  che  fonda  la  sospensione puo' essere
apprezzata  in  via  generale  ed  astratta  dalla  stessa legge. Ma,
aggiunge  che  nella circostanza si trattava di vere e proprie misure
cautelari   previste   in   relazione   a   delitti  di  criminalita'
organizzata, tali cioe' da far sorgere il sospetto di un inquinamento
dell'apparato pubblico da parte di organizzazioni criminali e rendere
percio'  necessaria  l'adozione  di provvedimenti idonei ad escludere
anche solo l'apparenza di simili infiltrazioni.
    Nel  caso  disciplinato  dalla norma censurata non sussisterebbe,
invece,  ragione  alcuna  per privare l'amministrazione del potere di
valutare  discrezionalmente l'esigenza di disporre la sospensione dal
servizio  e, pertanto, la norma stessa, comportando un ingiustificato
sacrificio   dei  diritti  del  singolo,  sarebbe  costituzionalmente
illegittima.
    L'automatismo  della misura cautelare contrasterebbe, sotto altro
aspetto,   anche   con  l'art. 24  Cost.,  in  quanto  priverebbe  il
dipendente pubblico del potere di far valere concretamente le proprie
ragioni,   in   sede  amministrativa  e  giurisdizionale,  contro  il
provvedimento di sospensione dal servizio.
    3.  -  E'  intervenuto  nei  tre  giudizi, con memorie di analogo
contenuto,  il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  concludendo  per la
declaratoria di non fondatezza della questione.
    La   parte   pubblica,   affermata   la   natura   cautelare  del
provvedimento  di  sospensione previsto dalla norma impugnata, rileva
come  la  legge  n. 97 del 2001 rappresenti l'epilogo del processo di
revisione  operato  in  tema  di responsabilita' penale per fatti che
ledono  l'interesse  dello  Stato  al  regolare, proficuo svolgimento
dell'attivita' della pubblica amministrazione.
    Il  legislatore  si  sarebbe  mosso,  nell'occasione,  lungo  due
direttive:  l'una finalizzata a potenziare la risposta punitiva dello
Stato  di  fronte alle condotte illecite poste in essere dai soggetti
rivestiti di funzioni pubbliche, nell'esercizio delle stesse; l'altra
intesa  a  limitare l'area di sindacato discrezionale delle pubbliche
amministrazioni  nell'adozione  di  misure cautelari, limitatamente a
quelle fattispecie di reato atte ad incidere sul raggiungimento degli
scopi propri dell'attivita' amministrativa.
    In  tale  ottica sarebbe stata dunque prevista la sospensione ope
legis  dal  servizio,  in  riferimento  a quei delitti per i quali la
semplice  sussistenza  di  un'accusa in capo ai pubblici impiegati fa
sorgere   nell'opinione   pubblica   il   sospetto   di  inquinamento
dell'intero    apparato,   cosi'   da   eliminare   il   rischio   di
condizionamenti  dell'Amministrazione  che  potrebbero  alterarne  le
valutazioni  ed  evitare  al  tempo stesso le possibili disparita' di
trattamento    conseguenti    al    diverso    atteggiamento    delle
amministrazioni di appartenenza.
    Premesso  che  la  norma  censurata  - diversamente dall'art. 15,
comma  4-septies  della  legge n. 55 del 1990, oggetto della sentenza
n. 206  del  1999  -  opera  non gia' a seguito del semplice rinvio a
giudizio  del dipendente, bensi' solo in presenza di una pronuncia di
condanna,    ancorche'    non   definitiva,   l'Avvocatura   sostiene
innanzitutto l'infondatezza della censura riferita all'art. 27 Cost.,
in  quanto  tutte  le  misure  cautelari sarebbero destinate per loro
natura ad operare prima dell'accertamento definitivo di colpevolezza.
    La  norma  impugnata non contrasterebbe, sotto altro aspetto, con
il   canone   di   ragionevolezza,   in  quanto  un  accertamento  di
responsabilita'   penale   del  pubblico  dipendente,  anche  se  non
definitivo,  sarebbe  senz'altro  idoneo  ad incrinare il rapporto di
fiducia  che  dovrebbe  esistere  tra  lo  Stato  ed i cittadini. Ne'
d'altro  canto  potrebbe  ravvisarsi  sproporzione  tra la situazione
tutelata  e  la  misura  cautelare  della  sospensione  dal servizio,
prevista dalla norma stessa.
    Privo di pregio - ad avviso ancora della parte pubblica - sarebbe
poi il riferimento all'art. 24 Cost., in quanto il diritto di difesa,
costituzionalmente garantito, riguarderebbe la possibilita' effettiva
di  far  valere  in  giudizio  le  proprie  situazioni giuridicamente
protette  ma  non  l'esistenza  ed  il  contenuto  di  queste ultime,
cosicche' non potrebbe essere invocato quando manchi la situazione di
diritto sostanziale che si vorrebbe tutelare.
    L'esclusione    di    qualsiasi    discrezionalita'    in    capo
all'amministrazione nell'adozione del provvedimento non comporterebbe
poi    alcuna    lesione    del    principio    di   buon   andamento
dell'amministrazione, tutelato dall'art. 97 dela Costituzione. Assume
infatti   l'Avvocatura  che  non  potrebbe  negarsi  al  legislatore,
nell'esercizio di una non irragionevole discrezionalita', la facolta'
di identificare ipotesi circoscritte nelle quali l'esigenza cautelare
che  fonda  la  sospensione e' apprezzata in via generale ed astratta
dalla  stessa  legge  unitamente  all'opportunita'  di  far prevalere
l'esigenza  cautelare  su  altri  eventuali  interessi  della  stessa
amministrazione.
    I  parametri  evocati  dal rimettente non risulterebbero, infine,
lesi dalla norma impugnata nemmeno nella parte in cui questa fissa la
durata  massima  della sospensione fino al termine della prescrizione
del  reato. La disposizione censurata, infatti, risulterebbe in linea
con   quella  previgente,  che,  nello  stabilire  la  cessazione  di
efficacia  dei  provvedimenti  di sospensione cautelare alla scadenza
del  quinquennio, non avrebbe comportato l'automatica riassunzione in
servizio  del  dipendente non essendo esclusa ne' preclusa l'adozione
del  distinto  provvedimento  di  sospensione  cautelare  facoltativa
previsto  dalla legge n. 833 del 1961, concernente lo stato giuridico
dei finanzieri.
    4.  -  Con atto depositato il 28 febbraio 2002 e' intervenuta nel
giudizio  Francesca  Calabrese  "in adesione all'atto di costituzione
[...] di Falvo Sergio del 19 ottobre 2001".
    La  Calabrese,  premesso  di  essere stata a sua volta colpita da
provvedimento  di  sospensione  dal  servizio  ai  sensi  della norma
impugnata,  ritiene  di  essere  titolare  di un interesse diretto ed
individualizzato  tale da giustificare il suo intervento nel presente
giudizio, pur non essendo parte in nessuno dei giudizi a quibus.
    5.  - Con ordinanza emessa all'udienza pubblica del 12 marzo 2002
e' stata dichiarata l'inammissibilita' dell'intervento spiegato dalla
Calabrese.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale amministrativo regionale della Campania, con
tre  distinte  ordinanze, dubita, in riferimento agli artt. 3, 4, 24,
27, 35, 36 e 97 della Costituzione, della legittimita' costituzionale
dell'art. 4  della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul rapporto tra
procedimento  penale  e  procedimento  disciplinare  ed  effetti  del
giudicato  penale  nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche),  secondo  cui i dipendenti pubblici, in caso di condanna,
anche   non   definitiva,  per  alcuno  dei  delitti  previsti  dagli
artt. 314,  primo  comma,  317,  318,  319,  319-ter e 320 del codice
penale  e  dall'art. 3  della  legge  9 dicembre  1941, n. 1383, sono
sospesi dal servizio e la sospensione perde efficacia se per il fatto
e'  successivamente  pronunciata  sentenza  di  proscioglimento  o di
assoluzione  anche  non definitiva ed in ogni caso decorso un periodo
di tempo pari a quello di prescrizione del reato.
    Il rimettente solleva in effetti due distinte questioni.
    La  censura  formulata  in via principale si riferisce al comma 1
della  norma  impugnata  e  - nonostante i numerosi parametri evocati
riguarda   in  realta'  l'esclusivo  profilo  rappresentato  dal  non
ragionevole  bilanciamento  che  la  disposizione,  per il suo rigido
automatismo,   opererebbe  tra  le  esigenze  di  buon  andamento  ed
imparzialita'  della pubblica amministrazione e la tutela dei diritti
del dipendente, compressi dalla misura cautelare.
    In  via  subordinata,  il  rimettente solleva invece questione di
legittimita'  costituzionale  del  comma  2 della stessa norma, nella
parte in cui prevede una durata della sospensione pari al decorso del
termine di prescrizione del reato e, percio', eccessivamente lunga.
    Attesa  l'identita'  delle  questioni  sollevate, i giudizi vanno
preliminarmente riuniti per essere decisi con unica sentenza.
    2. - La questione sollevata in via principale non e' fondata.
    2.1.  -  Questa  Corte  ha  gia' avuto modo di affermare che, pur
dovendo  essere,  in  via  ordinaria,  la  stessa  amministrazione  a
valutare   l'opportunita'  di  disporre  la  misura  cautelare  della
sospensione   dal   servizio,  non  si  puo',  tuttavia,  "negare  al
legislatore,     nell'esercizio     di    una    non    irragionevole
discrezionalita',  la  facolta'  di identificare ipotesi circoscritte
nelle   quali  l'esigenza  cautelare  che  fonda  la  sospensione  e'
apprezzata   in   via   generale   ed  astratta  dalla  stessa  legge
(compiendosi  dunque  per  legge quella valutazione della particolare
gravita'  della  "natura  del  reato"  che  normalmente  e'  affidata
all'amministrazione   in   sede  di  adozione  del  provvedimento  di
sospensione  ai  sensi  dell'art. 91, comma 1, d.P.R. n. 3 del 1957)"
(sentenza n. 206 del 1999).
    Contrariamente  a  quanto ritenuto dalle ordinanze di rimessione,
deve,  pertanto,  escludersi  che  l'ambito  delle  misure  cautelari
automatiche sia stato da questa Corte circoscritto al solo delitto di
associazione per delinquere di stampo mafioso, essendo, invece, nella
citata  sentenza  esplicito  l'assunto  secondo  cui l'individuazione
delle  pur  limitate  ipotesi  alle  quali ricollegare la sospensione
obbligatoria   dal   servizio   rientra  nella  discrezionalita'  del
legislatore.  Fermo  sempre  restando  il controllo di ragionevolezza
sull'esercizio della discrezionalita' legislativa.
    2.2.  -  Passando all'esame di tale ultimo profilo va, anzitutto,
osservato  che  sia  l'interesse  generale  al  buon  andamento della
pubblica  amministrazione  che  il  rapporto di fiducia dei cittadini
verso  quest'ultima  possono  risultare  gravemente compromessi dalla
permanenza  in servizio di un dipendente condannato - sia pure in via
non  definitiva  -  per  taluno  dei  delitti  riguardati dalla norma
impugnata.  E  cio'  in considerazione della particolare gravita' dei
delitti  stessi,  comportanti la violazione dei fondamentali obblighi
di fedelta' del pubblico dipendente.
    Emerge, d'altro canto, con chiarezza, dai lavori preparatori, che
l'intervento  del legislatore, a tutela dei suddetti interessi, si e'
reso  necessario  per  ovviare  ad  una situazione di diffusa inerzia
della  pubblica  amministrazione  nell'esercizio  del  suo  potere di
sospensione  facoltativa  dal  servizio  del  dipendente sottoposto a
procedimento  penale  per  reati  di notevole gravita' e, sotto altro
aspetto,  per ristabilire in materia il principio di pari trattamento
per tutti i pubblici dipendenti.
    2.3.  -  La totale assenza di motivazione riguardo agli ulteriori
parametri   evocati  nelle  ordinanze  di  rimessione  risulta,  poi,
preclusiva di qualsiasi valutazione al riguardo.
    3.  -  In via subordinata il rimettente dubita della legittimita'
costituzionale  della  norma impugnata nella parte in cui prevede che
la  misura perda efficacia "decorso un periodo di tempo pari a quello
di  prescrizione  del  reato",  trattandosi  -  a  suo avviso - di un
termine  eccessivamente  lungo, in relazione alla finalita' cautelare
della misura stessa.
    La censura e' fondata, nei sensi di seguito precisati.
    3.1.  -  La  norma  impugnata  prevede, al comma 2, che la misura
cautelare  perde  efficacia  in  due diversi casi: se per il fatto e'
successivamente   pronunciata   sentenza   di  proscioglimento  o  di
assoluzione anche non definitiva ovvero dopo il decorso di un periodo
di tempo pari a quello di prescrizione del reato.
    Quanto  alla  prima  delle  due  ipotesi, la sospensione resta in
questo  caso  caducata  in quanto la sentenza di proscioglimento o di
assoluzione  determina  il  venir  meno  del presupposto stesso della
misura,  rappresentato  appunto  dall'esistenza  di  una  sentenza di
condanna.
    Sicche', deve escludersi che, nella specie, ricorra la previsione
di un mero termine di durata della misura cautelare.
    Conclusivamente,  l'unico  termine di durata previsto dalla norma
e'  quello,  fissato dal legislatore per relationem rappresentato dal
decorso  di un periodo di tempo pari al termine di prescrizione dello
specifico reato cui la condanna non definitiva si riferisce.
    3.2.  - Nella sentenza n. 206 del 1999 si afferma che "una misura
cautelare,  proprio  perche'  tale,  e cioe' tendente a proteggere un
interesse  nell'attesa  di  un  successivo accertamento (nella specie
giudiziale),  deve  per  sua  natura  essere  contenuta nei limiti di
durata    strettamente    indispensabili   per   la   protezione   di
quell'interesse, e non deve essere tale da gravare eccessivamente sui
diritti  che essa provvisoriamente comprime", in ossequio al criterio
di  proporzionalita' della misura cautelare, riconducibile all'art. 3
della Costituzione.
    Tale principio risulta violato dalla disposizione in esame.
    Va  considerato infatti che, in relazione ad alcuni fra i delitti
indicati dalla norma, il termine di prescrizione puo' raggiungere una
durata  ultradecennale  tenuto conto anche degli effetti interruttivi
della  sentenza di condanna ai sensi dell'art. 160, ultimo comma, del
codice penale.
    Un  siffatto periodo di tempo, se assunto quale termine di durata
di  una  misura  cautelare,  non  puo'  che  ritenersi manifestamente
eccessivo, comportando, nel bilanciamento dei contrapposti interessi,
una  evidente  quanto  irragionevole  compressione  dei  diritti  del
singolo.
    A  cio'  si aggiunga che il termine in tal modo individuato viene
evidentemente a coincidere - almeno astrattamente - con il compimento
di  una  causa  di  estinzione del reato, cosicche' la durata massima
della  misura  risulta in sostanza ricollegata non tanto (o non solo)
al  decorso  di  un  determinato periodo di tempo quanto piuttosto al
(simultaneo)  verificarsi  di un fatto tale da determinare in realta'
il  venir  meno, insieme al reato, di qualsiasi esigenza cautelare ad
esso  connessa. Con ulteriore, intrinseca violazione del principio di
proporzionalita' e ragionevolezza della misura cautelare.
    Si  consideri, da ultimo, che la norma, prevedendo - accanto alla
sentenza  di  proscioglimento - quale autonoma causa di cessazione di
efficacia  della  misura cautelare, il decorso di un periodo di tempo
pari  a quello della durata della prescrizione, comporta valutazioni,
precluse   alla   pubblica   amministrazione,  che  solo  l'autorita'
giudiziaria  puo'  compiere: si pensi all'incidenza sul decorso della
prescrizione delle circostanze aggravanti e attenuanti del reato. Con
la conseguenza che la suddetta causa di cessazione di efficacia della
misura  cautelare  viene  necessariamente  a  coincidere  con  quella
rappresentata dalla sentenza di proscioglimento.
    La   norma   impugnata   risulta,   dunque,  sotto  differenti  e
concorrenti profili, lesiva del principio di ragionevolezza garantito
dall'art. 3  della  Costituzione  e  deve essere, sotto tale aspetto,
dichiarata  costituzionalmente illegittima nella parte in cui dispone
che la sospensione perde efficacia decorso un periodo di tempo pari a
quello di prescrizione del reato.
    3.3.  -  Va,  a  questo  punto,  chiarito  che la declaratoria di
incostituzionalita',  nei  termini  sopra  specificati,  non rende la
sospensione obbligatoria dal servizio priva del necessario termine di
durata e non ne comporta, pertanto, l'illegittimita' costituzionale.
    Come si afferma nella piu' volte citata sentenza n. 206 del 1999,
e', infatti, possibile rinvenire nel sistema una previsione di durata
massima  della  misura cautelare sospensiva - quella, di cinque anni,
contenuta  nell'art. 9,  comma  2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19
(Modifiche  in  tema  di  circostanze, sospensione condizionale della
pena  e  destituzione  dei  pubblici  dipendenti)  -  alla quale deve
attribuirsi  il carattere di una vera e propria clausola di garanzia,
avente  portata generale e dunque comprensiva - in difetto di diversa
disciplina  legislativa - di ogni e qualsiasi ipotesi di "sospensione
cautelare   dal  servizio  a  causa  del  procedimento  penale",  sia
facoltativa che obbligatoria.
    L'art. 4, comma 2, della legge 27 marzo 2001, n. 97, deve essere,
dunque,   letto   -   a   seguito   della  presente  declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale  -  nel  senso  che la sospensione dal
servizio disposta a norma del comma 1 perde efficacia se per il fatto
e'  successivamente  pronunciata  sentenza  di  proscioglimento  o di
assoluzione  anche non definitiva e, in ogni caso, decorsa una durata
complessivamente  non  superiore  a  cinque  anni  della sospensione,
facoltativa  o  obbligatoria,  riferibile  al  medesimo  procedimento
penale.
    Resta  ferma,  ovviamente,  la  possibilita'  che il legislatore,
nell'esercizio  della  sua  discrezionalita'  ed  entro  i  limiti di
ragionevolezza   e  proporzionalita'  individuati  da  questa  Corte,
disciplini  nuovamente  la  materia,  anche  fissando termini massimi
eventualmente  differenti  rispetto  a quello di cui al citato art. 9
della legge n. 19 del 1990 ovvero modulati in relazione alla gravita'
del reato ed alla fase del procedimento.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
        1) Dichiara l'illegittimita' costituzionale, nei sensi di cui
in  motivazione,  dell'art. 4,  comma  2,  della legge 27 marzo 2001,
n. 97  (Norme  sul  rapporto  tra  procedimento penale e procedimento
disciplinare  ed  effetti  del  giudicato  penale  nei  confronti dei
dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche),  nella  parte  in cui
dispone  che  la  sospensione  perde  efficacia decorso un periodo di
tempo pari a quello di prescrizione del reato;
        2)   Dichiara   non  fondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 4,  comma  1,  della  citata legge 27 marzo
2001,  n. 97,  sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 27, 35,
36  e  97  della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale
della Campania con le ordinanze in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2002.
                         Il Presidente: Vari
                        Il redattore: Marini
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 3 maggio 2002.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
                                                             Allegato
                                 Reg. Ord. n. 699, 778 e 949 del 2001
       Ordinanza letta nell'udienza pubblica del 12 marzo 2002
    Ritenuto  che  nei  giudizi promossi dal Tribunale amministrativo
regionale  della  Campania  con le ordinanze emesse il 13 giugno 2001
(r.o.  n. 699  del  2001),  il 4 luglio 2001 (r.o. n. 778 del 2001) e
l'8 agosto 2001 (r.o. n. 949 del 2001) ha spiegato atto di intervento
Francesca   Calabrese  deducendo,  a  sostegno  della  legittimazione
all'intervento  medesimo,  di  essere  dipendente  dell'INPS, sede di
Torino, e di essere stata colpita da provvedimento di sospensione dal
servizio  adottato  dall'ente  datore  di lavoro ai sensi dell'art. 4
della legge 27 marzo 2001, n. 97;
        che  la  interveniente,  pur  non essendo parte nei giudizi a
quibus   si   reputa   portatrice   di   un   interesse   diretto  ed
individualizzato  rispetto  all'esito  del  giudizio  di legittimita'
costituzionale.
    Considerato  che la giurisprudenza di questa Corte e' consolidata
nell'affermare  la  inammissibilita',  nel  giudizio  incidentale  di
legittimita'  costituzionale,  dell'intervento  di  soggetti  che non
siano parti in causa nel giudizio a quo;
        che  tale  principio e' stato ritenuto derogabile soltanto in
favore   di   soggetti   titolari   di   un   interesse  qualificato,
immediatamente  inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio
a quo;
        che  siffatta  situazione  evidentemente  non  ricorre  nella
specie.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara    l'inammissibilita'   dell'intervento   di   Francesca
Calabrese.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 marzo 2002.
                         Il Presidente: Vari
02C0370