N. 149 ORDINANZA 22 aprile - 3 maggio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Impiego  pubblico  - Dipendenti di enti pubblici economici - Nomina a
  cariche   elettive   -   Trattamento  economico  di  aspettativa  -
  Inapplicabilita',  in  base  a  diritto vivente, delle disposizioni
  vigenti per il personale statale e di enti pubblici non economici -
  Asserita   irragionevole  disparita'  di  trattamento  normativo  -
  Erroneita'  del presupposto interpretativo assunto dal rimettente -
  Manifesta infondatezza della questione.
- Legge 20 maggio 1970, n. 300, artt. 31, 37 e 40.
- Costituzione, artt. 3 e 51.
(GU n.18 del 8-5-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK, Francesco AMIRANTE;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 31, 37 e 40
della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta'
e  dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita'
sindacale  nei  luoghi  di lavoro e norme sul collocamento), promosso
con  ordinanza  emessa il 7 febbraio 2001 dal Tribunale di Savona nel
procedimento  civile vertente tra Enel s.p.a. e la Regione Liguria ed
altro,  iscritta  al  n. 314 del registro ordinanze 2001 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 18, 1a serie speciale,
dell'anno 2001.
    Visti  gli  atti  di  costituzione  dell'Enel  S.p.a.  e  di Mori
Giancarlo,  nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  26 febbraio  2002  il giudice
relatore Riccardo Chieppa;
    Uditi  l'avvocato Massimo Luciani per Mori Giancarlo e l'Avvocato
dello  Stato  Giorgio  D'Amato  per  il  Presidente del Consiglio dei
ministri.
    Ritenuto  che  nel  corso di un giudizio di rinvio dalla Corte di
cassazione  il Tribunale di Savona ha sollevato, con ordinanza emessa
il  7 febbraio  2001,  questione di legittimita' costituzionale degli
artt. 31,  37  e  40  della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla
tutela  della  liberta'  e  dignita'  dei  lavoratori, della liberta'
sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento),  nella parte in cui avrebbero abrogato gli artt. 1 e 3
della  legge  12 dicembre  1966, n. 1078 (Posizione e trattamento dei
dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, eletti a cariche presso
enti   autonomi  territoriali),  con  conseguente  privazione  per  i
dipendenti  di  enti pubblici economici, chiamati a cariche elettive,
del trattamento indennitario riservato ai dipendenti di enti pubblici
non economici;
        che il giudice rimettente premette che il ricorrente in primo
grado,   dipendente   dell'Enel,  eletto  consigliere  della  Regione
Liguria,  aveva  ottenuto  la  condanna,  confermata  in  appello, di
entrambi  gli  enti al pagamento delle prestazioni economiche, per il
collocamento   in   aspettativa,  previste  dall'art. 3  della  legge
12 dicembre 1966, n. 1078;
        che,  sempre secondo il giudice a quo la Corte di cassazione,
con  sentenza  del 10 maggio 1995, n. 5083 aveva cassato la decisione
d'appello,  rinviando  la  causa  al  Tribunale,  con  fissazione del
principio  di  diritto  secondo  cui  le  disposizioni della legge da
ultimo  richiamata  non  si  applicherebbero  ai  dipendenti  di enti
pubblici  economici,  operando rispetto ad essi l'art. 31 della legge
20 maggio 1970, n. 300 o, se piu' favorevoli ai lavoratori, eventuali
condizioni dei contratti collettivi e degli accordi sindacali;
        che,   secondo   l'ordinanza   di   rimessione,   l'anzidetta
interpretazione,   contraria   a   quanto  affermato  nella  sentenza
interpretativa di rigetto n. 698 del 1988 della Corte costituzionale,
sarebbe   stata  confermata  dalla  decisione  del  23 ottobre  1995,
n. 11014  della  stessa  Cassazione (di cui si riporta nell'ordinanza
parte  della motivazione), con consequenziale formazione di un vero e
proprio diritto vivente;
        che,  sulla  base di quanto esposto, il giudice a quo ritiene
che   detta   interpretazione   determinerebbe,   ex   art. 3   della
Costituzione,  una ingiustificata disparita' di trattamento normativo
tra  dipendenti  dello  Stato e di enti pubblici non economici, da un
lato, e dipendenti di enti pubblici economici dall'altro, "essendo ai
primi  corrisposto  il  trattamento economico di cui all'art. 3 della
legge  n. 1078  del 1966, e venendo per contro gli altri collocati, a
richiesta,  in  aspettativa  non  retribuita ex art. 31, primo comma,
della  legge  n. 300  del  1970, dovendosi ritenere abrogata, secondo
tale  indirizzo giurisprudenziale, ai sensi dell'art. 40 della stessa
legge, ogni diversa disposizione al riguardo";
        che  la  rilevanza  della  questione,  conclude  il Tribunale
rimettente,  discenderebbe  dal vincolo, ex art. 384 cod. proc. civ.,
del principio di diritto enunciato da Cassazione n. 5083 del 1995;
        che si e' costituito in giudizio il ricorrente nel processo a
quo, chiedendo l'accoglimento della questione nei termini prospettati
dall'ordinanza di rimessione;
        che  si e', altresi', costituita l'Enel S.p.a. la quale, dopo
avere  ripreso  le  argomentazioni  svolte  da Cassazione n. 5083 del
1995, ha sottolineato che la questione di legittimita' costituzionale
e'  irrilevante  essendo stata "mal posta" dal giudice rimettente; la
Corte di cassazione, nell'enunciare il principio di diritto, avrebbe,
infatti,  dichiarato  applicabile  alla  fattispecie  il solo art. 31
dello  Statuto  dei  lavoratori  (e le norme del contratto collettivo
nazionale  di  lavoro,  ove piu' favorevoli), senza affermare che gli
artt. 1  e  3  della  legge n. 1078 del 1966, sono stati abrogati; la
censura avrebbe dovuto, pertanto, investire l'interpretazione con cui
il giudice di legittimita' ha escluso che l'art. 3 della legge citata
possa  riferirsi  anche  ai dipendenti degli enti pubblici economici;
una  eventuale  sentenza  di accoglimento lascerebbe conseguentemente
ferma  la  decisione  della Cassazione nella parte in cui ha ritenuto
comunque  inapplicabili  le  disposizioni legislative richiamate agli
enti pubblici economici;
        che,  nel  merito, la difesa della societa' ritiene infondata
la  questione,  attese  le  differenze  esistenti  tra il rapporto di
lavoro  pubblico  e  quello degli enti pubblici economici, piu' volte
evidenziate  dalla Corte costituzionale (sentenze n. 193 e n. 194 del
1981)   con   consequenziale  giustificazione  della  diversita'  del
trattamento normativo;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  sostenendo,  in via preliminare, che la questione prospettata
e'  inammissibile  per  due ordini di motivi: innanzitutto perche' la
Cassazione  (sentenza  n. 5083 del 1995), nel fissare il principio di
diritto  sopra  riportato, ha affermato che la legge n. 1078 del 1966
non  e' applicabile ai dipendenti degli enti pubblici economici e, se
anche  lo  fosse  stata, gli artt. 31, 37 e 40 della legge n. 300 del
1970  per  questa parte l'avrebbero abrogata; pertanto, anche qualora
venisse   dichiarata   l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme
denunciate,  la  domanda  dovrebbe,  nondimeno, essere respinta sulla
base  del  primo  postulato interpretativo, vincolante per il giudice
del rinvio, con consequenziale irrilevanza della questione sollevata;
        che, inoltre, la difesa dello Stato sottolinea come l'art. 71
del  decreto  legislativo  3 febbraio  1993, n. 29 (Razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina  in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della
legge  23 ottobre  1992,  n. 421)  ha  previsto,  per i dipendenti di
pubbliche   amministrazioni   eletti   nei   Consigli  regionali,  il
collocamento  in aspettativa senza assegni per la durata del mandato,
con  la  facolta'  per  gli interessati di mantenere, a richiesta, il
trattamento   economico  in  godimento  presso  l'amministrazione  di
appartenenza;   tale   facolta'   sarebbe   venuta   meno  a  seguito
dell'emanazione dell'art. 22, comma 39, della legge 23 dicembre 1994,
n. 724  (Misure  di razionalizzazione della finanza pubblica), che ha
ritenuto, con interpretazione autentica, applicabile retroattivamente
l'art. 31 della legge n. 300 del 1970 ai dipendenti pubblici;
        che,  sempre  secondo la Avvocatura dello Stato, il descritto
quadro  normativo  farebbe  conseguentemente  venir meno la censurata
differenziazione   di  trattamento  normativo,  in  quanto  anche  ai
dipendenti  pubblici si applicherebbe il regime delle aspettative non
retribuite;
        che  la  difesa  dello  Stato  mette in rilievo come, in ogni
caso,   sarebbe   giustificata,  ex  art. 3  della  Costituzione,  la
differenza  di disciplina in esame tra enti pubblici non economici ed
economici  per  la  diversa struttura che connota questi ultimi e che
non  tollererebbe l'imposizione di oneri aggiuntivi incompatibili con
i  criteri  di  economicita'  sui  cui  si  fonda  la  loro attivita'
d'impresa;
        che,   con  memoria  depositata  nell'imminenza  dell'udienza
pubblica,  la  parte  privata  ha  replicato, in ordine al difetto di
rilevanza  eccepito  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che la
valutazione  del  contenuto  e  dei  confini del principio di diritto
spetta  esclusivamente  al giudice rimettente e che, in ogni caso, la
vera ratio decidendi della sentenza della Cassazione n. 5083 del 1995
si  incentrerebbe  sulla avvenuta abrogazione della legge n. 1078 del
1966 ad opera delle norme impugnate; ha osservato, inoltre, sempre in
punto  di rilevanza: a) che il Tribunale a quo anche se avesse omesso
di  indicare  tutte  le  disposizioni  da censurare, avrebbe comunque
correttamente  individuato  le norme illegittime (che costituirebbero
il   vero   oggetto   del  giudizio  costituzionale)  denunciando  la
discriminazione  subita dai dipendenti di enti pubblici economici; b)
che,  se non si condividesse questo assunto, l'eventuale imprecisione
nell'identificazione  delle  disposizioni  potrebbe  essere  corretta
dalla  stessa  Corte  costituzionale;  c)  che,  in  ogni caso, i non
impugnati artt. 1 e 3 della legge n. 1078 del 1966, potrebbero essere
dichiarati  illegittimi  in via consequenziale ex art. 27 della legge
11 marzo  1953,  n. 87  (Norme sulla costituzione e sul funzionamento
della Corte costituzionale);
        che  nel  merito  la  parte  privata insiste sulla fondatezza
della  questione  sollevata,  sottolineando la insostenibilita' della
tesi   che   giustifica   la  diversita'  del  trattamento  normativo
denunciato   sulla   base   dell'assimilazione  degli  enti  pubblici
economici  agli  operatori privati piu' che agli altri enti pubblici;
viene  richiamato,  a  tal proposito, il particolare regime giuridico
cui sono sottoposti gli enti pubblici economici che li distanzierebbe
dai  privati,  accomunandoli,  senz'altro,  agli  enti  pubblici, con
consequenziale  irragionevolezza  della  diversita'  della disciplina
censurata;
        che  anche  l'Avvocatura  generale dello Stato ha depositato,
nell'imminenza   dell'udienza   pubblica,  una  memoria  integrativa,
ribadendo le conclusioni gia' rassegnate.
    Considerato  che,  contenendo l'ordinanza del Tribunale di Savona
una   motivazione   ampiamente   plausibile   della  rilevanza  della
questione,  le  eccezioni  pregiudiziali sollevate non possono essere
accolte;
        che  la  tesi,  sostenuta  dal giudice a quo in ordine ad una
ingiustificata  discriminazione  dei  dipendenti  degli enti pubblici
economici  rispetto  al  migliore trattamento riservato ai dipendenti
dello  Stato  e  degli  enti  pubblici non economici, e' basata su un
presupposto  erroneo  sia  dal  punto di vista interpretativo, che da
quello  delle  disposizioni  normative  applicabili  alla fattispecie
prospettata,  relativa  a  un  dipendente  di ente pubblico economico
eletto a carica elettiva regionale nel maggio del 1990;
        che,  infatti, il quadro normativo si e' man mano modificato,
per  cui deve ritenersi superata la situazione che aveva giustificato
l'originaria  interpretazione  di  questa  Corte  e  della Cassazione
richiamata dall'ordinanza di rimessione e dalle difese delle parti;
        che  il  legislatore e', infatti, intervenuto con l'obiettivo
di   razionalizzare  e  tendenzialmente  parificare,  per  i  profili
essenziali,   le   discipline   relative   ai  trattamenti  economici
dell'aspettativa dei dipendenti pubblici chiamati a cariche elettive,
alla disciplina dettata per i lavoratori privati;
        che,  in  realta',  le  garanzie  costituzionali,  per chi e'
chiamato  a funzioni pubbliche elettive, sono quelle "di disporre del
tempo  necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di
lavoro",  oltre  che  di poter accedervi in condizioni di eguaglianza
(art. 51  della  Costituzione), essendo rimesso alla discrezionalita'
legislativa  (influenzabile  anche da una valutazione degli interessi
attinenti   alla   situazione   economica  generale)  il  trattamento
economico   e   giuridico   del  lavoratore  chiamato  alle  funzioni
anzidette,  con  il  vincolo,  in ogni caso, derivante dalle predette
garanzie costituzionali;
        che per quanto attiene specificatamente ai dipendenti di enti
pubblici  (in genere) eletti nei Consigli regionali, significativo e'
l'intervento  di  interpretazione  autentica,  operato con l'art. 22,
comma  39,  della  legge  23 dicembre  1994,  n. 724  (Misure  per la
razionalizzazione  della  finanza  pubblica), con cui si e' stabilito
che  la  normativa  prevista dall'art. 31 della legge 20 maggio 1970,
n. 300  e  successive  modificazioni,  deve intendersi applicabile ai
dipendenti  pubblici  eletti  - tra l'altro - nei Consigli regionali,
attuando, cosi', una parificazione di disciplina al riguardo;
        che  sulla base delle predette considerazioni la questioni di
legittimita' costituzionale sollevata e' manifestamente infondata.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  degli  artt. 31,  37  e  40 della legge
20 maggio  1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita'
dei  lavoratori,  della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale
nei  luoghi  di  lavoro  e  norme  sul  collocamento),  sollevata, in
riferimento  all'art. 3  della  Costituzione, dal Tribunale di Savona
con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                        Il redattore: Chieppa
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 3 maggio 2002.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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