N. 19 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 11 maggio 2002

Ricorso  per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria l'11
maggio 2002 (del Tribunale di Roma)

Parlamento  -  Immunita'  parlamentari - Procedimento penale a carico
  dell'on.  Tiziana Parenti, per il reato di diffamazione aggravata a
  mezzo  stampa  in danno del dott. Antonio Di Pietro - Deliberazione
  di  insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati - Conflitto
  di  attribuzione  tra poteri dello Stato sollevato dal Tribunale di
  Roma,  nona  sezione penale - Ritenuta mancanza di nesso funzionale
  tra  opinioni  espresse  ed esercizio della funzione parlamentare -
  Ingiustificata    menomazione    della    sfera   di   attribuzioni
  costituzionali   dell'autorita'   giudiziaria   -   Disparita'   di
  trattamento tra cittadini e parlamentari - Lesione del diritto alla
  tutela giurisdizionale.
- Deliberazione della Camera dei deputati del 20 febbraio 2001.
- Costituzione,  artt.  3,  primo  comma,  24, primo comma, 68, primo
  comma, 101, comma secondo, 102, primo comma, e 104, primo comma.
(GU n.25 del 26-6-2002 )
                            IL TRIBUNALE

    A  scioglimento della riserva adottata - nell'ambito del processo
n. 4226/1998  RGTrib  nei  confronti  di  Parenti  Tiziana ed altri -
all'udienza  del  4  aprile  2001,  nel corso della quale il pubblico
ministero e la parte civile - rimettendosi i difensori degli imputati
-  hanno  chiesto  che il tribunale sollevi conflitto di attribuzione
tra  poteri  dello  Stato  in relazione alla delibera del 20 febbraio
2001 della Camera dei deputati, ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Con  decreto  del 22 maggio 1998 il g.i.p. presso il Tribunale di
Roma  disponeva il giudizio nei confronti di Parenti Tiziana, Collura
Laura  e  Carta  Piercarlo,  imputati  i  primi  due  di  concorso in
diffamazione aggravata a mezzo stampa per avere la Parenti rilasciato
alla  Collura  un'intervista, pubblicata nel settimanale "L'Italiano"
in  data  17 gennaio 1997 in un articolo dal titolo "Titti ha deciso:
presto lascera' la magistratura" contenente delle affermazioni con le
quali   si  offendeva  la  reputazione  di  Antonio  Di  Pietro,  con
l'aggravante  di  aver attribuito allo stesso un fatto determinato ed
in  particolare  di  aver  condotto le indagini per proprio vantaggio
personale  e  dei  suoi  superiori,  ed  il  Carta,  quale  direttore
responsabile del predetto settimanale, di omesso controllo ex art. 57
c.p. sul contenuto del predetto settimanale.
    Nel  corso  del processo dinanzi a questo collegio, il Presidente
della  Camera  dei deputati inviava in data 26 febbraio 2001 una nota
con  la quale informava che l'Assemblea, nella seduta del 20 febbraio
2001,  aveva deliberato nel senso che i fatti per i quali e' processo
concernono   opinioni   espresse   da   un   membro   del  parlamento
nell'esercizio  delle  sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art. 68, primo
comma,  della  Costituzione.  Allegava  copia  della  relazione della
Giunta  per  le  autorizzazioni  a  procedere  nonche'  del resoconto
stenografico  della  predetta seduta dell'Assemblea nell'ambito della
quale   (relazione  dell'on.le  Valter  Bielli)  veniva  testualmente
affermato che:
        "Dall'analisi dei fatti, e' emerso chiaramente come in questo
caso  le espressioni usate dal deputato si inseriscono in un contesto
prettamente  politico  parlamentare.  Le  affermazioni dell'onorevole
Parenti  costituiscono  infatti  una manifestazione del suo esercizio
del  diritto  di  testimonianza  e  critica  in ordine a temi oggetto
dell'attivita'  del  Parlamento  nonche'  al  centro  dell'attenzione
dell'opinione  pubblica,  quali  quelli della giustizia e del modo in
cui essa viene amministrata.
        Peraltro   e'  di  qualche  significato  che  le  riflessioni
dell'onorevole Parenti si collocavano in un'intervista nella quale la
stessa  illustrava  i  motivi per cui decise di candidarsi a deputato
prima,  e  di  lasciare  la  magistratura  poi. Il tono adoperato dal
deputato  Parenti  non  pare  intrinsecamente offensivo. Anzi esso e'
connotato  della  forma,  quella  dubitativa,  eminentemente  volta a
formulare  ipotesi  e  non  accuse aperte e ingiuriose. Anche in tale
ottica, le sue dichiarazioni si collocano sul piano della discussione
circa i rapporti tra politica e magistratura".
    Si  deve osservare innanzi tutto che alla predetta delibera della
Camera   dei   deputati,   con   la   quale   e'  stata  riconosciuta
l'operativita'   della   prerogativa   di   cui   all'art. 68   della
Costituzione,  consegue  necessariamente  l'effetto  preclusivo  alla
prosecuzione  del  giudizio  penale  che  ci  occupa.  Peraltro  deve
ritenersi - alla stregua della costante giurisprudenza costituzionale
(cfr.  tra le altre le ordinanze della Corte costituzionale 363/1999,
319/1999, 459/1999 e 10/2000) che all'autorita' giudiziaria, e quindi
anche  a  questo  tribunale,  spetti  la legittimazione a sollecitare
controllo  sulla  correttezza dell'esercizio del potere conferito dal
richiamato art. 68, mediante lo strumento del ricorso al conflitto di
attribuzione,  ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953 n. 87,
nel  senso  di verificare se vi sia stato un uso distorto, arbitrario
del  potere  parlamentare,  tale  da  vulnerare le attribuzioni degli
organi della giurisdizione o di interferire sul loro esercizio.
    Tale  verifica  non puo' avere per oggetto solo la validita' e la
congruenza  delle  motivazioni - ove siano espresse - con le quali la
Camera    di   appartenenza   del   parlamentare   abbia   dichiarato
insindacabile  una  sua opinione, ma anche, al fine di controllare la
correttezza,   sul   piano   costituzionale,   della   pronuncia   di
insindacabilita',   anche   "se,   nella  specie,  l'insindacabilita'
sussista,  cioe'  se l'opinione di cui si discute, sia stata espressa
nell'esercizio  delle  funzioni parlamentari, alla luce della nozione
di  tale  esercizio  che  si desume dalla Costituzione (cfr. sentenza
Corte  cost.  n. 10/2000)  e  cioe'  la  riferibilita' dell'atto alle
funzioni  parlamentari:  e'  il  nesso  funzionale  il discrimine fra
quell'insieme delle dichiarazioni, giudizi e critiche - che ricorrono
cosi' di frequente nell'attivita' politica di deputati e senatori - e
le   opinioni   che  godono  della  particolare  garanzia  introdotta
dall'art. 68,  primo  comma  della  Costituzione (sentenze 375/1997 e
289/1998).
    Sul   c.d.   "nesso   funzionale"  e  cioe'  sulla  delimitazione
"funzionale" della prerogativa, la Corte ha avuto modo di intervenire
piu' volte, sempre ribadendo che "costituisce premessa ormai costante
il  principio,  concernente  i  presupposti  di  applicabilita' della
prerogativa  di insindacabilita', per cui quest'ultima non si estende
a  tutti  i  comportamenti  di chi sia Membro delle Camere, ma solo a
quelli funzionali all'esercizio delle attribuzioni proprie del potere
legislativo...  "  (sentenza  289/1998),  mentre, al di fuori di tali
funzioni,   il  diritto  del  parlamentare  alla  manifestazione  del
pensiero incontra gli stessi limiti espressivi degli altri cittadini.
    E,  ad  ulteriore  specificazione  dei  criteri da osservarsi per
distinguere,  in concreto tra le dichiarazioni rese dai parlamentari,
quelle   a   cui   non  puo'  estendersi  l'insindacabilita'  di  cui
all'art. 68  la  Corte ha sottolineato che - pur riconoscendosi ormai
superata,   in   ragione   dei   fattori   di   trasformazione  della
comunicazione  politica  nella societa' contemporanea la tradizionale
interpretazione  che considera compiuti nell'esercizio delle funzioni
parlamentari,  e  quindi  coperti  dall'immunita', i soli atti svolti
all'interno  dei  vari  organi  parlamentari o anche paraparlamentari
(quali  ad  esempio  i  "gruppi"  o  le  "deputazioni"  - e' tuttavia
evidente  che  l'estensione del regime di insindacabilita' anche agli
atti  compiuti al di fuori dell'ambito dei lavori di tali organi, non
puo'  essere automatica, atteso che l'interpretazione del primo comma
dell'art. 68   Cost.   non  soltanto  porta  ad  escludere,  per  non
trasformare  la  prerogativa  in  un privilegio personale - come piu'
volte  si  e'  affermato nella giurisprudenza costituzionale (cfr. da
ultimo   s.   nn. 329/1999   e   289/1998)   -   che   sia   compresa
nell'insindacabilita'  tutta la complessiva attivita' politica che il
singolo  membro  del  parlamento pone in essere, ma porta altresi' ad
affermare  -  come  anche  la  Corte  ha  di  recente  statuito (v.s.
n. 10/2000)  che  lo  stesso  nesso  tra  le  opinioni  espresse  dal
parlamentare  e  l'esercizio  delle  relative finzioni, costantemente
considerato  come  indefettibile  presupposto  di  legittimita' della
dichiarazione   di   insindacabilita',  deve  qualificarsi  non  come
"semplice  collegamento  di  argomento  o  di  contesto fra attivita'
parlamentare   e  dichiarazione,  ma  della  identificabilita'  della
dichiarazione  stessa  quale  espressione di attivita' parlamentare".
Alla  luce  di  tale interpretazione, pertanto, non possono ritenersi
insindacabili   quelle  dichiarazioni  che,  fuoriuscendo  dal  campo
applicativo  del  "diritto  parlamentare",  non  siano immediatamente
collegabili   con   specifiche  forme  di  esercizio  delle  funzioni
parlamentari  anche  se  siano caratterizzate da un asserito contesto
politico,  o  ritenute,  per  il contenuto delle espressioni o per il
significato  e  la  sede  in  cui  sono state rese, manifestazioni di
sindacato  ispettivo,  giacche'  tale  forma  di  controllo  politico
rimessa  al singolo parlamentare puo' aver rilievo solo se si esplica
come    funzione    parlamentare,   attraverso   atti   e   procedure
specificamente  previste  dai  regolamenti parlamentari. A sua volta,
quindi,  il  problema  specifico  della  riproduzione, all'esterno di
organi  parlamentari,  di  dichiarazioni  gia' rese nell'esercizio di
funzioni   parlamentari,   si   puo'   risolvere   nel   senso  della
insindacabilita'   solo  ove  sia  riscontrabile  una  corrispondenza
sostanziale   di  contenuti  con  l'atto  parlamentare,  non  essendo
sufficiente  a questo riguardo una mera comunanza di tematiche" (cfr.
sentenza 11/2000).
    Si  tratta  di  principi  ormai  del tutto pacifici, che anche la
Corte  di  Cassazione  ha  ribadito,  affermando  che  gli  atti  "di
finzione"  (quegli  atti  cioe',  che,  compiuti  da  parlamentari in
relazione  a  tale specifica qualita', si rendono insindacabili anche
da  parte  dell'autorita'  giudiziaria perche' espressione della loro
indipendenza    ed   autonomia)   sono   soltanto   quelli   relativi
all'esercizio delle funzioni proprie di membro del parlamento, vale a
dire  gli  atti  tipici  del  mandato  parlamentare (presentazione di
disegni  di  legge,  interpellanze ed interrogazioni, relazioni ecc.)
compiuti nei vari organi parlamentari e paraparlamentari (gruppi), ad
eccezione  di  tutte quelle attivita' che, pur latamente connesse con
l'esercizio  di  tali  funzioni,  ne  sono  tuttavia  estranee, quali
l'attivita'  politica  extraparlamentare  esplicata  all'interno  dei
partiti.  Ne  consegue che non possono farsi rientrare nell'attivita'
coperta   dalla   prerogativa   dell'insindacabilita'   tutte  quelle
manifestazioni   di  pensiero  che  -  espresse  in  comizi,  cortei,
trasmissioni  radiotelevisive  o durante lo svolgimento di scioperi -
non  possono  vantare  alcun  collegamento funzionale con l'attivita'
parlamentare,  se  non meramente soggettivo in quanto poste in essere
da  persona  fisica  che  e'  anche menbro del Parlamento (cfr. Cass.
Sez. V 16 dicembre 1997 n. 11667).
    Passando ora ad applicare tali principi al caso di specie si deve
rilevare   come   le   espressioni   contestate   alla  Parenti  come
diffamatorie  non possano ritenersi collegate funzionalmente alla sua
attivita'  parlamentare, in quanto non risultano - alla stregua delle
stesse  apodittiche  ed  astratte  affermazioni  della  relazione  di
Giunta,  prive  di puntuali e concreti riferimenti - connesse ad atti
tipici  della funzione parlamentare, ne' mosse da intenti divulgativi
di  scelte  o  di  attivita'  parlamentari  (dibattiti  parlamentari,
interrogazioni,  interpellanze, inchieste, discussioni di progetti di
legge):  si  tratta  infatti di opinioni e valutazioni espresse dalla
Parenti  nel corso di intervista a giornalista sui motivi per i quali
aveva  deciso  di  lasciare  la  magistratura,  sulla  sua  pregressa
militanza  politica,  sui  rapporti  con ex colleghi magistrati ed in
particolare con Di Pietro, sul suo asseritamente criticabile ingresso
come  ministro  nella  compagine  governativa presieduta da un suo ex
inquisito  e  sul  comportamento di quest'ultimo e dei suoi superiori
nella  conduzione delle pregresse indagini (nell'inchiesta c.d. "Mani
Pulite")  -  specificamente  nella  vicenda  Greganti - asseritamente
tutti  mossi  dall'intento  di  proprio  tornaconto  personale  e  di
contestuale protezione giudiziaria del PCI-PDS.
    Ci  si  trova  all'evidenza  -  come  emerge dall'occasione delle
esternazioni e dal contenuto complessivo delle dichiarazioni stesse -
di fronte ad opinioni espresse dall'onorevole Parenti al di fuori dei
compiti  e  delle  attivita'  propri  dell'Assemblea  di cui fa parte
ovvero  nell'ambito  di  estrinsecazione  di  facolta' della medesima
quale  membro  di  tale  Assemblea,  e  rapportabili  solo ad una sua
"generica"  attivita'  politica,  del  tutto  avulsa  dalla specifica
attivita'   istituzionale   di   parlamentare  della  medesima  o  da
specifiche   attivita'   dell'Assemblea,   e  quindi  certamente  non
"identificabile"  come espressione di attivita' parlamentare, ma solo
come  mero  esercizio  della  facolta'  di manifestazione di pensiero
riconosciuta  a  tutti  i  consociati,  e  come  tale  non rientrante
nell'ambito   della   prerogativa  costituzionale  in  questione,  ma
soggetta ai limiti previsti per tutti dall'ordinamento penale.
    Il    deliberato    della    Camera   dei   deputati,   motivando
l'insindacabilita'   con  la  natura  di  "testimonianza  e  critica"
"politica"  delle  espressioni  attribuite  all'onorevole  Parenti  -
riferita anche alla sua pregressa attivita' di magistrato - in ordine
ai  temi  della  giustizia  e  dei  modi  dell'amministrazione  della
medesima,  rientranti  nell'ambito dell'attivita' del Parlamento e al
centro   dell'attenzione   dell'opinione   pubblica   (cfr.  predetta
relazione    di    Giunta),    si   basa   palesemente   sull'erronea
interpretazione  che  la  prerogativa  costituzionale  copra  tutti i
comportamenti  riconducibili  all'attivita'  politica  del  deputato,
cosi'  vanificando il requisito, di cui all'art. 68 primo comma Cost.
della  connessione  tra opinioni espresse dal parlamentare e relative
funzioni.
    Ad  avviso  di questo tribunale tale estensione delle prerogative
previste  dall'art. 68 primo comma della Costituzione a comportamenti
non    strettamente    funzionali    all'esercizio   delle   funzioni
parlamentari,   esorbita  dall'ambito  derogatorio  consentito  dalla
citata  norma  costituzionale e comporta l'ingiustificata menomazione
della    sfera    di   attribuzioni   costituzionali   dell'Autorita'
giudiziaria,  in  violazione degli artt. 101 secondo comma, 102 primo
comma   e  104  primo  comma  della  Costituzione,  che  tutelano  la
titolarita'    della    funzione   giurisdizionale   spettante   alla
magistratura, nonche' la legalita' ed indipendenza del suo esercizio,
ed  appare  violatrice  altresi' degli articoli 3, primo comma Cost.,
per   la  disparita'  di  trattamento  che  verrebbe  introdotta  tra
cittadini  e  parlamentari,  nonche' l'art. 24 primo comma Cost., con
riguardo  all'inibizione  alla  parte  lesa  Di  Pietro  della tutela
giuridizionale solo perche' offeso da un parlamentare.
    Rendendosi  pertanto  necessario,  alla luce delle argomentazioni
esposte, il controllo sul legittimo esercizio del potere della Camera
dei  deputati  nella  vicenda  in  esame, vanno rimessi gli atti alla
Corte  costituzionale per la soluzione del conflitto tra poteri dello
Stato, con conseguente necessaria sospensione del presente processo.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 37  della  legge 11 marzo 1953 n. 87 e 68 della
Costituzione;
    Solleva  conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei
deputati, richiedendo che la Corte costituzionale:
        dichiari   che   non  spetta  alla  Camera  dei  deputati  di
pronunciarsi  sull'insindacabilita',  ai  sensi  dell'art. 68 comma 1
della  Costituzione,  delle  opinioni espresse dal deputato onorevole
Tiziana Parenti, come effettuato con delibera adottata il 20 febbraio
2001,  relativamente  al  processo  penale  pendente dinanzi a questo
tribunale nei confronti della stessa Parenti;
        annulli  conseguentemente  la  predetta  delibera 20 febbraio
2001.
    Dispone la sospensione del presente processo penale nei confronti
dell'onorevole Tiziana Parenti.
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    Manda la cancelleria per gli adempimenti di rito.
    Rinvia  all'udienza del 12 dicembre 2001, ore 10, in attesa della
decisione della Corte costituzionale.
    Manda la cancelleria per le comunicazioni di rito.
        Roma, addi' 4 maggio 2001
                    Il Presidente: Sante Spinaci
02C0450