N. 251 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 gennaio 2002
Ordinanza emessa il 9 gennaio 2002 dal tribunale di Savona nel procedimento penale a carico di Grisolia Catia ed altri Processo penale - Dibattimento - Contestazioni nell'esame testimoniale - Dichiarazioni precedentemente rese, lette per le contestazioni e valutate ai fini della credibilita' del teste - Acquisizione e valutazione quale prova dei fatti in queste affermati - Mancata previsione - Contrasto con il principio del libero convincimento del giudice, in relazione al principio di legalita'. - Codice di procedura penale, art. 500, commi 2 e 4, come introdotto dalla legge 1 marzo 2001, n. 63. - Costituzione, artt. 101, comma secondo, e 25, comma secondo.(GU n.22 del 5-6-2002 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Decidendo sulla questione di costituzionalita' proposta dal p.m. e cui si sono associati i difensori degli imputati, O s s e r v a 1. - All'udienza del 19 dicembre 2001 il p.m. ha chiesto l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento (art. 431 c.p.p.) dei verbali delle dichiarazioni rese, nel corso delle indagini preliminari da Magliano Rosa, Peloso Mara, Gramaglia Marcellino, Giorgino Patrizia, imputati di reato in procedimento connesso, concluso con sentenza passata in giudicato (testimoni ai sensi del nuovo testo dell'art. 197 e dell'art. 197-bis c.p.p., come tali obbligati a rispondere alle domande e a dire la verita), dichiarazioni tutte utilizzate per le contestazioni durante l'esame dibattimentale; il tribunale ha respinto l'istanza non essendo l'acquisizione consentita dal nuovo testo dell'art. 500, commi 2 e 4 c.p.p., introdotto con l'art. 16 della legge 1 marzo 2001, n. 63. Il p.m. ha allora sollevato eccezione di illegittimita' costituzionale delle dette norme per contrasto con gli art. 2, 3, 24 comma 1, 101 comma 2 con riferimento all'art. 25, comma 2 e 112 della Costituzione e i difensori degli imputati si sono associati. 2. - Il sistema previsto dal nuovo testo dei commi 2 e 4 dell'art. 500 c.p.p. - che segna il ritorno all'originaria disciplina del codice del 1988, caduta con la sentenza 255 del 1992 di codesta Corte - seppure consente alle parti di portare a piena conoscenza del giudice le dichiarazioni assunte durante le indagini dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, cosi' facendo emergere nel dibattimento una doppia verita' processuale, vieta, sia pure implicitamente, che tali dichiarazioni possano costituire prova dei fatti in esse affermati, consentendone la valutazione soltanto per stabilire la credibiita' della persona esaminata. Sicche' - come rilevato nella sentenza 255 del 1992 di codesta Corte - la norma in esame e' suscettibile di imporre (nuovamente) al giudice di contraddire la propria motivata convinzione nel contesto della stessa decisione. 2.1 - Non ignora questo tribunale le tesi che in dottrina sono risolutamente contrarie alla utilizzabilita' delle dichiarazioni raccolte dal p.m. e dalla p.g. nel corso delle indagini preliminari: si afferma che la non utilizzabilita' sarebbe conforme al principio - ora costituzionalizzato - della formazione della prova nel contradditorio, e che percio' anche la sentenza 255 del 1992 di codesta Corte dovrebbe considerarsi superata; che la soluzione scelta dal legislatore ordinario, con la formulazione del nuovo testo dei commi 2 e 4 dell'art. 500 c.p.p. sarebbe imposta dalla norma costituzionale, come l'unica con essa compatibile. Si afferma ancora, che "consentire l'utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali significherebbe inserire nel processo valutativo materiale investigativo assunto unilateralmente", senza contraddittorio e in violazione del principio costituzionale; per altro verso, che "il carattere strumentale del processo penale rispetto all'eserciziodella funzione giurisdizionale non postula affatto un modello di processo penale che non contempli limiti all'assunzione della prova"; che anzi "essi sono connaturati agli ordinamenti democratici che adottano sistemi processuali di stampo accusatorio o tendenzialmente tale, in quanto volti a garantire proprio una maggiore rispondenza della verita' processuale alla verita' reale, attraverso la preclusione all'impiego di materiale cognitivo nelle cui modalita' acquisitive il legislatore non rinviene un adeguato livello di affidabilita'"; che "ritenere viceversa che, nell'esercizio della funzione giurisdizionale, il giudice possa "comunque pervenire all'accertamento dei fatti, equivarrebbe a disconoscere la stessa necessita' del processo penale, la cui unica funzione e' appunto quella di disciplinare le forme e gli strumenti attraverso i quali il giudice puo' legittimamente pervenire all'accertamento della responsabilita' penale"; che infine "il libero convincimento del giudice potrebbe legittimamente formarsi soltanto attraverso quel modello di processo e sulla scorta di quelle sole prove che da quel modello non sono escluse e quindi non potrebbe formarsi sulla base di prove assunte al di fuori del contraddittorio perche' a cio' osterebbe apertamente il comma 4 dell'art. 111 della Costituzione". Si sottolinea altresi' che, per il nuovo art. 111 Cost., il contraddittorio deve riguardare la formazione, non soltanto la critica, delle prove, e che la dichiarazione utilizzata per le contestazioni e' certamente un mezzo che serve al contraddittorio, in quanto costringe l'esaminato a render conto del mutamento nella versione dei fatti, ma non e' formata in contraddittorio e pertanto non puo' essere prova: contraddittorio dunque nel senso forte di contradditorio per l'assunzione e nell'assunzione della prova, non nel senso debole o ridotto di contraddittorio sulla prova. Cio' escluderebbe anche la possibilita' che la dichiarazione raccolta nelle indagini preliminari e sottoposta al vaglio delle parti tramite la contestazione, possa considerarsi parte integrante di una prova formata nel contraddittorio dibattimentale. 2.2 - Ritiene questo tribunale che il quadro normativo risultante dal nuovo art. 111 della Costituzione non sia radicalmente mutato al punto da togliere valore ad alcuni dei principi affermati da codesta Corte nella sentenza n. 255 del 1992, e segnatamente: che "fine primario e ineludibile del processo penale non puo' che rimanere quello della ricerca della verita' (in armonia coi principi della Costituzione: come reso esplicito nell'art. 2, prima parte, e nella direttiva n. 73, della legge di delega, tradottasi nella formulazione degli articoli 506 e 507 c.p.p.) di guisa che in taluni casi, in cui la prova non possa, di fatto, prodursi oralmente e' dato rilievo, nei limiti ed alle condizioni di volta in volta indicate, ad atti formatisi prima e al di fuori del dibattimento"; (il quinto comma dell'art. 111 della Costituzione consente tuttora al legislatore ordinario di regolare i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio "per accertata impossibilita' di natura oggettiva"); che la volonta' del legislatore esprime anche "un principio di non dispersione dei mezzi di prova" e che cio' emerge con evidenza da tutti quegli istituti che recuperano al fascicolo del dibattimento, e quindi alla utilizzazione probatoria, atti non suscettibili di essere surrogati (o compiutamente e genuinamente surrogati) da una prova dibattimentale"; che "il principio dell'oralita' e dell'immediatezza dibattimentale ... non e' regola assoluta bensi' criterio-guida del nuovo processo", in linea con il criterio tendente a contemperare "il rispetto del metodo orale con l'esigenza di evitare la "perdita , ai fini della decisione, di quanto acquisito prima del dibattimento e che sia irripetibile in tale sede"; che l'art. 500 comma 2 c.p.p. (l'originario art. 500, comma 3 c.p.p. cosi' formulato: "La dichiarazione utilizzata per la contestazione, anche se letta dalla parte, non puo' costituire prova dei fatti in essa affermati. Puo' essere valutata dal giudice per stabilire la credibilita' della persona esaminata", dettava una norma nella sostanza identica all'attuale art. 500, comma 2 "Le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilita' del teste") "istituisce una irragionevole regola di esclusione che, non solo puo' giocare cosi' a vantaggio come a danno dell'imputato, ma e' suscettibile di ostacolare la funzione stessa del processo penale proprio nei casi nei quali si fa piu' pressante l'esigenza della difesa della societa' dal delitto, quando per di piu' il ricorso all'intimidazione dei testimoni si verifica assai di frequente; che, "posto che il nuovo codice fa salvo (e, in aderenza ai principi costituzionali, non poteva essere altrimenti) il principio del libero convincimento, inteso come liberta' del giudice di valutare la prova secondo il proprio prudente apprezzamento, con l'obbligo di dare contoin motivazione dei criteri adottati e dei risultati conseguiti (art. 192), la norma in esame impone al giudice di contraddire la propria motivata convinzione nel contesto della stessa decisione, in quanto, se la precedente dichiarazione e' ritenuta veritiera, e per cio' stesso sufficiente a stabilire l'inattendibilita' del teste nella diversa deposizione resa in dibattimento, risulta chiaramente irrazionale che essa, una volta introdotta nel giudizio, entrata quindi nel patrimonio di conoscenze del giudice, ed esaminata nel contraddittorio delle parti (con la presenza del teste che rimane comunque sottoposto all'esame incrociato), non possa essere utilmente acquisita al fine della prova dei fatti in essa affermati". La saldezza di tali proposizioni e l'autorevolezza della fonte dalla quale provengono, la stessa cautela del legislatore ordinario (che nella formulazione del comma 2 dell'art. 500 afferma soltanto per implicito - a differenza del legislatore del 1988 - la non idoneita' delle dichiarazioni in parola a costituire prova dei fatti con esse affermati) induce a ritenere non manifestamente infondata - per contrasto con l'art. 101 secondo comma della Costituzione, in relazione al principio di legalita' posto dall'art. 25 secondo comma della Costituzione. la questione di costituzionalita' dell'art. 500 comma 2, nella parte in cui non prevede che possano essere valutate anche quali fonti di prova e dell'art. 500 comma 4 c.p.p. nella parte in cui non prevede l'acquisizione nel fascicolo per il dibattimento, se utilizzate per le contestazioni previste dal primo comma, delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Come osservato dal giudice remittente nell'ordinanza con cui ha sollevato la questione di costituzionalita' ritenuta fondata da codesta Corte con la sentenza n. 255 del 1992, le suddette norme della Costituzione postulano "strumenti giuridici che integrino un processo giusto, ma al contempo non impediscano al giudice la piena cognizione del fatto - reato per la effettiva attuazione della legge che ha il dovere di applicare". Non sembrano emergere attualmente i profili di contrasto con l'art. 3 della Costituzione delineati nell'ordinanza di remissione alla Corte che dette luogo alla sentenza n. 255 del 1992. 2.3 - La questione proposta attiene sia all'assunzione degli elementi di prova, mediante l'acquisizione al fascicolo ex art. 431 c.p.p. delle dichiarazioni rese dai suddetti testimoni nelle indagini preliminari - ora non piu' consentita dalla norma impugnata - sia alla valutazione che di tali elementi potra' farsi nella fase decisionale ed e' dunque rilevante per la decisione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 500, comma 2 e comma 4 del codice di procedura penale nella formulazione testuale introdotta con legge 1 marzo 2001, n. 63 per violazione dell'art. 101, comma 2, con riferimento all'art. 25, comma 2, della Costituzione, nei termini chiariti in motivazione; Sospende il processo in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria copia della presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Savona, addi' 9 gennaio 2002 Il Presidente: Frascherelli 02C0475