N. 211 ORDINANZA 20 - 23 maggio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Azione  civile - Trasferimento dell'azione dalla
  sede  propria  nel  processo  penale - Condizione dell'accettazione
  delle  parti costituite che siano interessate alla prosecuzione del
  giudizio  -  Omessa  previsione - Prospettata irragionevolezza, con
  violazione  del  diritto  del  convenuto  a una pronuncia di merito
  nonche' del principio del giudice naturale - Manifesta infondatezza
  della questione.
- Cod. proc. pen., art. 75, comma 1.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 25.
(GU n.21 del 29-5-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Massimo VARI;
  Giudici:  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 75, comma 1,
del  codice  di  procedura  penale,  promosso con ordinanza emessa il
25 giugno  2001  dal  Tribunale  di  Padova  nel  procedimento civile
vertente  tra  Roberto Lanaro e Fabrizio Castania, iscritta al n. 740
del  registro  ordinanze  2001  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica, 1a serie speciale, n. 39 dell'anno 2001.
    Visti  l'atto di costituzione di Fabrizio Castania nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 12 marzo 2002 il giudice relatore
Giovanni Maria Flick.
    Udito l'avvocato dello Stato Francesco Sclafani per il Presidente
del Consiglio dei ministri;
    Ritenuto  che il Tribunale di Padova ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 3,  24 e 25 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 75, comma 1, del codice di procedura penale,
nella  parte  in  cui  tale  disposizione  non  prevede, analogamente
all'art. 306,  primo  comma,  del  codice di procedura civile, che il
trasferimento della azione civile nel processo penale avvenga solo se
vi  e'  l'accettazione  delle  parti  costituite che potrebbero avere
interesse alla prosecuzione del giudizio;
        che  agli  effetti dello scrutinio di rilevanza, il giudice a
quo   premette   di  essere  stato  investito,  quale  giudice  della
cognizione  civile,  della  domanda di restituzione o di risarcimento
del  danno  promossa da una persona in relazione alla appropriazione,
da parte del convenuto, di un oggetto asseritamente dato in prestito,
e  per  la  quale  l'attore aveva gia' proposto rituale querela; che,
giunto  successivamente  il procedimento alla fase della precisazione
delle  conclusioni,  l'attore  esponeva  di  essersi  tempestivamente
costituito  parte  civile  nel  processo penale pendente a carico del
convenuto, nel frattempo rinviato a giudizio, e chiedeva pertanto che
il  procedimento civile fosse dichiarato estinto a norma dell'art. 75
cod.  proc.  pen., senza alcuna liquidazione delle spese di giudizio,
essendo essa di competenza del giudice penale;
        che,  alla  stregua  di  tali premesse, il giudice rimettente
reputa  che  la possibilita' di trasferire l'azione civile dalla sede
propria  a  quella  penale, sancita dall'art. 75, comma 1, cod. proc.
pen., "senza che il convenuto abbia la benche' minima possibilita' di
interloquire",  contrasti con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in
quanto  irragionevolmente consente all'attore di sottrarsi ad libitum
all'esito   del   giudizio   civile   da   lui  stesso  instaurato  e
irragionevolmente costringe il convenuto a difendersi due volte dalla
stessa  azione  civile, prima in sede civile, poi in sede penale. Ne'
tale  irragionevolezza,  sottolinea  il giudice a quo, puo' ritenersi
contemperata  dal potere del giudice penale di provvedere sulle spese
del  procedimento  civile,  in  quanto  la questione riguarda il piu'
pregnante  diritto  del  convenuto di ottenere dal giudice civile una
pronuncia  di  merito  sulla  domanda  proposta dall'attore: diritto,
questo,  che  rappresenta  uno  degli  aspetti del diritto di difesa,
garantito dall'art. 24 della Carta fondamentale;
        che  compromesso  sarebbe  anche  il  principio  del  giudice
naturale   precostituito   per   legge,  sancito  dall'art. 25  della
Costituzione,   in   quanto   attribuendosi   all'attore  il  diritto
potestativo  di sottrarsi all'esito del giudizio civile da lui stesso
instaurato,  gli verrebbe consentito, per questa via, di scegliere il
giudice - civile o penale - che piu' gli aggrada;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  dichiararsi inammissibile o infondata la questione
proposta.  La questione sarebbe infatti inammissibile, a parere della
Avvocatura,  per insufficiente motivazione sulla rilevanza, in quanto
dalla  ordinanza di rimessione non risulterebbe se il convenuto abbia
manifestato  la  sua opposizione al trasferimento della azione civile
in   sede   penale   oppure  abbia  acconsentito  a  tale  iniziativa
dell'attore. Nel merito, la questione sarebbe, ad avviso della difesa
erariale,  infondata, in quanto la disposizione oggetto di censura ha
inteso  trovare un punto di equilibrio tra l'esigenza, da un lato, di
favorire  la  separazione  tra  giudizio  civile  e giudizio penale e
quella, dall'altro, di evitare possibili contrasti tra giudicati;
        che  si e' costituita anche la parte privata, rappresentata e
difesa  dagli  avvocati  Luigi  Berardi del Foro di Padova e Vincenzo
Vecchioni  del  Foro  di  Roma, chiedendo dichiararsi, attraverso una
sentenza  interpretativa  ovvero, in subordine, mediante declaratoria
di  illegittimita' costituzionale, che "l'operativita' della rinunzia
agli  atti  del  processo  civile  conseguente al trasferimento della
relativa  azione  civile in sede penale a' sensi dell'art. 75 comma 1
c.p.p., e' scevra da profili di illegittimita' costituzionale solo se
soggetta  al  regime  processuale preveduto dall'art. 306 c.p.c., che
subordina  l'effetto  estintivo del processo, nel quale tale rinunzia
e'  proposta,  all'accettazione  della  stessa,  da parte delle parti
costituite  che  potrebbero  avere  interesse  alla  prosecuzione del
giudizio gia' instaurato".
    Considerato  che  il  giudice  rimettente,  chiamato a dichiarare
l'estinzione  del  procedimento  civile  per  rinuncia  agli atti del
giudizio,  a  seguito dell'avvenuto trasferimento della azione civile
nel  processo penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e
25  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 75, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in
cui  tale  norma  -  a  differenza  di  quanto  e'  invece  stabilito
dall'art. 306  del  codice  di  rito civile in tema di estinzione del
processo  per  rinuncia  agli  atti del giudizio - non prevede che il
trasferimento della azione civile nel processo penale avvenga solo se
vi  e'  l'accettazione  delle  parti costituite, che potrebbero avere
interesse alla prosecuzione del giudizio;
        che  vulnerati  risulterebbero  gli  artt. 3  e  24 Cost., in
quanto  irragionevolmente  il  convenuto  verrebbe  costretto  ad una
doppia difesa, in sede civile e penale, in rapporto ad una arbitraria
scelta  dell'attore,  senza  poter  quindi  ottenere una pronuncia di
merito dal giudice civile, con evidente compromissione del diritto di
difesa costituzionalmente preservato;
        che  di  riflesso risulterebbe violato anche l'art. 25 Cost.,
in   quanto,  attribuendosi  all'attore  il  diritto  potestativo  di
sottrarsi  all'esito del giudizio civile da lui stesso instaurato, si
consentirebbe al medesimo di prescegliere la giurisdizione - civile o
penale - davanti alla quale azionare le proprie pretese;
        che,  preliminarmente,  deve  essere disattesa l'eccezione di
inammissibilita'  sollevata  dalla  Avvocatura,  in  quanto  la norma
evocata  a raffronto (art. 306 cod. proc. civ.) - e che additivamente
si  vorrebbe  inserire  nell'art. 75  cod. proc. pen. - richiede, per
l'estinzione del processo, una dichiarazione positiva di accettazione
che  rende  ex  se rilevante il quesito, a prescindere dalla concreta
voluntas  del  convenuto nel caso di specie: giacche' il condizionare
il   trasferimento   della  azione  civile  alla  accettazione  della
controparte,  mantiene  la propria rilevanza tanto in caso di assenso
che di diniego da parte di quest'ultima;
        che   nel  merito  la  questione  e',  peraltro,  palesemente
destituita  di  fondamento.  La  logica,  infatti,  per  la quale nel
processo civile la rinuncia agli atti del giudizio (una rinuncia - va
osservato  -  di  tipo  meramente "processuale", che non coinvolge il
diritto    sostanziale   controverso)   richiede,   per   determinare
l'estinzione  del giudizio, l'accettazione incondizionata delle parti
costituite  "che  potrebbero  aver  interesse  alla prosecuzione", e'
ispirata  all'esigenza  di  consentire  alla parte non rinunciante di
conseguire una pronuncia che realizzi le proprie pretese e che quindi
accerti - con la forza del giudicato - l'eventuale infondatezza della
domanda  proposta  nei  suoi  confronti  da  chi  ha poi formulato la
rinuncia.  Una  esigenza, dunque, che viene ad essere necessariamente
soddisfatta  nell'ipotesi  di trasferimento della azione civile dalla
sede  propria  a  quella  penale,  posto  che in tale evenienza e' la
stessa  azione  -  e  quindi il medesimo "processo" - a proseguire in
altra  sede:  con  la  conseguenza che l'accertamento di merito sulla
fondatezza  della domanda - che sta alla base del capo civile - viene
ad  essere  compiutamente  espletato,  addirittura  con  possibilita'
difensive maggiori  per l'imputato-convenuto, considerato che in sede
penale  non  valgono  le  limitazioni  di prova operanti nel processo
civile;
        che  del  tutto  improprio  si rivela il richiamo all'art. 25
Cost.,  avendo  questa Corte piu' volte affermato che la garanzia del
giudice  naturale  non  e' lesa quando, come nella specie, il giudice
sia  designato  in  modo  non  arbitrario  ne'  a  posteriori, oppure
direttamente  dal  legislatore  in  conformita' alle regole generali,
ovvero  attraverso  atti  di  soggetti  ai  quali  sia  attribuito il
relativo  potere  nel rispetto della riserva di legge stabilita dallo
stesso parametro (cfr., ex plurimis, sentenza n. 152 del 2001);
        che,   pertanto,   la   questione   deve   essere  dichiarata
manifestamente infondata.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 75,  comma  1,  del codice di
procedura  penale,  sollevata  in  riferimento  agli artt. 3, 24 e 25
della  Costituzione,  dal  Tribunale  di  Padova  con  l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2002.
                         Il Presidente: Vari
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 23 maggio 2002.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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