N. 223 ORDINANZA 22 - 29 maggio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Giustizia  amministrativa  -  Controversie  in  materia  di accesso -
  Diniego  di  accesso  ai documenti della pubblica amministrazione -
  Istruttoria  -  Richiesta  di  atti  e  informazioni alla autorita'
  giudiziaria  competente  (anche  in  deroga  al  divieto  stabilito
  dall'art. 329 cod. proc. pen.) - Esclusione - Limiti alla addizione
  richiesta - Manifesta inammissibilita' della questione.
- Cod.  proc.  pen.,  art. 117, comma 1; legge 7 agosto 1990, n. 241,
  art. 25,  comma  5;  r.d.  26 giugno  1924, n. 1054, art. 44, primo
  comma.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 113.
(GU n.22 del 5-6-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Massimo VARI;
  Giudici:  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 117, comma 1,
del  codice  di  procedura  penale  (Richiesta  di copia di atti e di
informazioni da parte del pubblico ministero), dell'art. 25, comma 5,
della  legge  7 agosto  1990,  n. 241  (Nuove  norme  in  materia  di
procedimento  amministrativo  e  di  diritto  di accesso ai documenti
amministrativi),  e  dell'art. 44,  primo  comma,  del r.d. 26 giugno
1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio
di Stato), promosso con ordinanza del 28 settembre 2000 dal Tribunale
amministrativo  regionale  della  Campania,  iscritta  al  n. 67  del
registro  ordinanze  2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 6, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visti  l'atto  di costituzione di Raffaele Sica nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 12 marzo 2002 il giudice relatore
Valerio Onida;
    Uditi  l'avvocato  Marco  Cocilovo per Raffaele Sica e l'avvocato
dello  Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
    Ritenuto  che,  con  ordinanza del 28 settembre 2000, pervenuta a
questa   Corte   l'11 dicembre   2000,  il  Tribunale  amministrativo
regionale  della  Campania  ha  sollevato  questione  di legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  agli  articoli  3,  24  e 113 della
Costituzione:  a)  dell'art. 117,  comma  1,  del codice di procedura
penale  (Richiesta  di  copia  di atti e di informazioni da parte del
pubblico  ministero),  "nella parte in cui non prevede che il giudice
amministrativo  possa ottenere dall'autorita' giudiziaria competente,
anche  in  deroga al divieto stabilito dall'art. 329 cod. proc. pen.,
copie  di  atti relativi a procedimenti penali e informazioni scritte
sul  loro  contenuto,  quando  e'  necessario  per  il  compimento di
indagini  istruttorie  nel processo amministrativo"; b) dell'art. 25,
comma 5, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento  amministrativo  e  di  diritto  di accesso ai documenti
amministrativi),  "nella parte in cui non prevede la possibilita' per
il   giudice   amministrativo   di  acquisire  atti  ed  informazioni
dall'autorita'  giudiziaria  competente,  ai sensi dell'art. 117 cod.
proc.  pen., quando e' necessario per la decisione di controversie in
materia di accesso"; c) dell'art. 44, primo comma, del r.d. 26 giugno
1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio
di  Stato),  "nella  parte  in cui non prevede la possibilita' per il
giudice    amministrativo   di   acquisire   atti   ed   informazioni
dall'autorita'  giudiziaria  competente,  ai sensi dell'art. 117 cod.
proc.  pen.,  quando  e'  necessario  per  l'istruttoria di una causa
rientrante nella giurisdizione del giudice amministrativo";
        che   il  tribunale  remittente  espone  che  il  ricorrente,
ufficiale  dell'Arma  dei  carabinieri,  aveva  chiesto  l'accesso ai
documenti relativi al procedimento di revoca della assegnazione dello
stesso  ricorrente alla Direzione investigativa antimafia, revoca che
e'   oggetto   di   altri   giudizi   pendenti   davanti  al  giudice
amministrativo;  che  l'istanza  di  accesso  era  stata  accolta, ma
escludendo,  mediante l'apposizione di "omissis", parti di documenti,
costituite     da    relazioni    indirizzate    dall'amministrazione
all'Avvocatura  dello  Stato  in  merito  al contenzioso proposto dal
ricorrente contro la revoca della propria assegnazione alla Direzione
investigativa antimafia; che l'amministrazione aveva negato l'accesso
a  tale  parte  di documentazione invocando il segreto di indagine di
cui  all'art. 329  cod.  proc.  pen;  che  il  ricorrente ha proposto
ricorso  per  l'annullamento del diniego parziale di accesso e per il
riconoscimento     del    relativo    diritto;    che    la    difesa
dell'amministrazione  ha  obiettato che il diritto di accesso vantato
dal  ricorrente  troverebbe  ostacolo  nella  sottrazione all'accesso
della  categoria  di documenti indicati dall'art. 3, comma 1, lettera
d)  del  decreto  del  Ministro  dell'interno 10 maggio 1994, n. 415,
emanato  sulla  base  dell'art. 24,  comma  4, della legge n. 241 del
1990,   vale   a   dire   degli   "atti   e   documenti   concernenti
l'organizzazione  ed  il  funzionamento  dei  servizi di polizia, ivi
compresi  quelli  relativi  all'addestramento,  all'impiego  ed  alla
mobilita'  del  personale delle Forze di polizia, nonche' i documenti
sulla condotta dell'impiegato rilevanti ai fini di tutela dell'ordine
e  della  sicurezza  pubblica  e quelli relativi ai contingenti delle
Forze   armate   poste  a  disposizione  dell'autorita'  di  pubblica
sicurezza",   mentre,   a  dire  della  stessa  difesa,  il  richiamo
all'art. 329     cod.     proc.     pen. sarebbe     stato    operato
dall'amministrazione  in  via  cautelativa  e, se pure improprio, non
invaliderebbe   il   rifiuto  di  accesso,  che  troverebbe  comunque
fondamento nel citato decreto ministeriale;
        che  il  remittente  reputa  di  dover  decidere  sul ricorso
proposto  in  base  al  contenuto  dell'atto  impugnato  e  ai motivi
dedotti,  senza  riguardo  ad  argomentazioni  ad  esso  estranee che
vengano allegate in sede di giudizio;
        che, secondo il giudice a quo, la documentazione esistente in
giudizio non consentirebbe di risolvere la controversia stabilendo se
gli  atti  cui  e'  stato negato l'accesso siano o meno qualificabili
come  "atti  di  indagine  della  polizia  giudiziaria", onde sarebbe
necessario un adempimento istruttorio;
        che,  tuttavia,  secondo  lo  stesso  giudice,  nessuno degli
strumenti    istruttori    previsti    dall'ordinamento   processuale
amministrativo   sarebbe  idoneo  a  verificare  la  sussistenza  del
presupposto  asserito  dall'amministrazione,  in  quanto l'esecuzione
dell'incombente  istruttorio determinerebbe essa stessa la violazione
dell'obbligo  di  segreto,  se esistente, e il giudice amministrativo
sarebbe  escluso  dalla  possibilita'  di venire a conoscenza di atti
coperti  da  segreto  di  indagine:  onde il giudice, allo stato, non
potrebbe  ne'  accogliere il ricorso, ne' respingerlo, ne' esercitare
il potere istruttorio;
        che il remittente osserva come deroghe al segreto istruttorio
sarebbero  previste  dall'art. 117 del codice di procedura penale, ai
cui  sensi,  quando  e'  necessario  per  il compimento delle proprie
indagini,   il   pubblico   ministero  puo'  ottenere  dall'autorita'
giudiziaria   competente,   anche   in   deroga  al  divieto  di  cui
all'art. 329  cod.  proc.  pen.,  copie  di  atti  relativi  ad altri
procedimenti  e  informazioni  scritte  sul  loro contenuto, salva la
potesta' dell'autorita' giudiziaria, destinataria della richiesta, di
respingerla con decreto motivato;
        che  l'art. 117  cod.  proc.  pen.,  nella  parte  in cui non
prevede  analoga possibilita' in capo al giudice amministrativo, allo
scopo  di  verificare la sussistenza stessa e la portata dell'obbligo
di  segreto,  sarebbe  in  contrasto:  con l'art. 24, primo e secondo
comma, della Costituzione, in quanto comporterebbe uno squilibrio tra
le  parti  del processo amministrativo e in definitiva impedirebbe la
tutela delle posizioni giuridiche lese in base a presupposti di fatto
non dimostrati e non dimostrabili; con l'art. 113 della Costituzione,
in  quanto  l'impossibilita'  di  accertamenti  istruttori renderebbe
nella  sostanza non sindacabile in sede giurisdizionale il diniego di
accesso almeno per quanto attiene alla deduzione del vizio di eccesso
di  potere  per  errore sui presupposti o per travisamento dei fatti;
con   l'art. 3,   primo  comma,  della  Costituzione,  non  sembrando
ragionevole  che si consenta una deroga ai precetti dell'art. 329 del
codice di procedura penale solo per necessita' connesse all'esercizio
della  giustizia  penale e non anche per altre esigenze di giustizia,
aventi   pari   valore,  sempre  che  non  vi  siano  pregiudizi  per
l'attivita'  investigativa,  e  perche' vi sarebbe una ingiustificata
disparita' di trattamento dei soggetti destinatari di atti emanati da
autorita'  amministrative  investite  anche  di  compiti  di  polizia
giudiziaria;
        che,  per  gli  stessi  motivi,  i dubbi di costituzionalita'
investirebbero  altresi'  l'art. 25,  comma 5, della legge n. 241 del
1990   -   che   disciplina   i  ricorsi  giurisdizionali  contro  le
determinazioni  concernenti  il  diritto  di  accesso -, e l'art. 44,
primo  comma,  del  testo  unico  delle  leggi sul Consiglio di Stato
(applicabile  anche  nei  giudizi davanti ai tribunali amministrativi
regionali)   -   che  disciplina  i  poteri  istruttori  del  giudice
amministrativo -,  nella  parte  in cui non prevedono la possibilita'
per  il  giudice  amministrativo  di  acquisire  atti  e informazioni
dall'autorita'  giudiziaria  competente,  ai  sensi dell'art. 117 del
codice di procedura penale e in deroga al divieto di cui all'art. 329
dello stesso codice;
        che si e' costituito in giudizio il ricorrente nel giudizio a
quo,   chiedendo  che  le  disposizioni  impugnate  siano  dichiarate
costituzionalmente illegittime;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
secondo  il  quale  la questione sarebbe inammissibile per difetto di
rilevanza  o  di motivazione sulla rilevanza, in quanto il segreto di
indagine  e'  solo  temporaneo,  e  dunque impedirebbe l'accesso solo
temporaneamente,  analogamente  a  quanto avviene con l'esercizio del
potere   dell'amministrazione   di   differire  l'accesso  quando  la
conoscenza  dei  documenti possa ostacolare gravemente lo svolgimento
dell'azione  amministrativa (art. 24, comma 6, della legge n. 241 del
1990),  e  nella  specie  non sarebbe prevista ne' dedotta una tutela
immediata  dell'interesse  all'accesso; la questione sarebbe comunque
infondata.
    Considerato che - a parte la discutibile affermazione del giudice
a  quo  (incidente sulla rilevanza della questione), secondo cui, pur
ammettendosi  in  sostanza  dalla  stessa difesa dell'amministrazione
che, nella specie, il richiamo al segreto di indagine potrebbe essere
improprio,  trovando  il  diniego  di  accesso asserito fondamento in
altra previsione normativa, egli si dovrebbe pronunciare in base alla
motivazione   addotta   nell'atto   di  diniego -  nell'ordinanza  di
rimessione  non  si  tengono  adeguatamente  distinti  due  ordini di
problemi:  quello  dei limiti di conoscibilita', da parte del giudice
amministrativo,  del  contenuto  di  atti  coperti  da segreto, nella
specie  da  (ipotetico) segreto di indagine, e quello degli strumenti
attraverso  i  quali  il  giudice  amministrativo  puo' verificare la
fondatezza dei motivi addotti dall'amministrazione a fondamento di un
diniego  di  accesso  a documenti. Su quest'ultimo piano, infatti, il
giudice  amministrativo  ben  puo'  esperire  le indagini istruttorie
eventualmente  necessarie, interpellando sia l'amministrazione che ha
negato   l'accesso  ai  documenti,  sia  altre  amministrazioni,  sia
autorita'  giudiziarie, quanto meno al fine di acquisire informazioni
circa  l'esistenza  di  indagini  penali in atto, i loro estremi e la
riferibilita'  ad  esse  di  atti in possesso dell'amministrazione, e
chiedendo    "schiarimenti    o   documenti"   o   ordinando   "nuove
verificazioni"  (art. 44, primo comma, r.d. n. 1054 del 1924); mentre
i  limiti  di  accesso  alla  conoscenza  di  atti coperti da segreto
dipendono dalla disciplina sostanziale del segreto medesimo;
        che  l'art. 117  del  codice  di  procedura penale, su cui si
appuntano  le  censure del remittente, riguarda l'ambito e la portata
del  segreto  di indagine, e la previsione di deroghe a tale segreto,
in  favore  di altri uffici del pubblico ministero, i quali intendano
avvalersi  degli  atti  ai  fini delle loro indagini: esso e' volto a
soddisfare finalita', tutte interne all'attivita' di indagine penale,
e non comparabili con interessi esterni che possano in qualsiasi modo
essere   avvantaggiati   o   pregiudicati   dalla   (temporanea)  non
conoscibilita' degli atti coperti da segreto;
        che,  dunque,  il  procedimento  previsto  dall'art. 117 cod.
proc.  pen. non  si  presta  in  alcun  modo  ad  essere esteso, come
vorrebbe il remittente, ad ipotesi del tutto estranee alla sua ratio;
        che, peraltro, il giudice a quo nemmeno si pone il problema -
suscettibile  in ipotesi di avere riflessi sull'interesse sostanziale
all'accesso ai documenti, in relazione al contenzioso in funzione del
quale  tale  accesso  e' richiesto - dei limiti di utilizzabilita' da
parte  dell'amministrazione,  ai  fini dell'adozione di provvedimenti
incidenti  negativamente  sullo  status  di  un dipendente, di atti o
informazioni  sui  quali, in forza di obblighi di segreto, non possa,
in  ipotesi,  realizzarsi  il  contraddittorio  (cfr.,  in argomento,
sentenza n. 460 del 2000);
        che,  alla  luce delle considerazioni svolte, la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 117 cod. proc. pen. si palesa
manifestamente inammissibile;
        che   le   altre   questioni,   concernenti   rispettivamente
l'art. 25,  comma  5,  della legge n. 241 del 1990 e l'art. 44, primo
comma,  del  r.d. n. 1054 del 1924, non hanno autonomia rispetto alla
prima   questione   proposta,   risolvendosi   nella   richiesta   di
introduzione,  nell'ambito dei procedimenti decisori e istruttori ivi
previsti,  del procedimento regolato dall'art. 117 cod. proc. pen.: e
dunque si palesano pur esse manifestamente inammissibili.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 117,  comma  1, del codice di
procedura  penale  (Richiesta  di  copie di atti e di informazioni da
parte  del  pubblico  ministero),  dell'art. 25, comma 5, della legge
7 agosto  1990,  n. 241  (Nuove  norme  in  materia  di  procedimento
amministrativo  e di diritto di accesso ai documenti amministrativi),
e  dell'art. 44,  primo  comma,  del  r.d.  26 giugno  1924,  n. 1054
(Approvazione  del  testo  unico delle leggi sul Consiglio di Stato),
sollevate,   in   riferimento   agli  articoli  3,  24  e  113  della
Costituzione,  dal  Tribunale amministrativo regionale della Campania
con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2002.
                         Il Presidente: Vari
                         Il redattore: Onida
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 29 maggio 2002.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
02C0514