N. 277 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 aprile 2002
Ordinanza emessa l'8 aprile 2002 dal tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Alessandrini Pietro Reato in genere - Reati di contraffazione, alterazione o riproduzione di opere di pittura, scultura o grafica Esclusione del reato, secondo il giudice rimettente, per le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquanta anni - Contrasto con i principi della legge delegante n. 352/1997 - Eccesso di delega. - D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 166. - Costituzione, artt. 76 e 77, primo comma.(GU n.24 del 19-6-2002 )
IL TRIBUNALE DI TORINO Riunito in camera di consiglio ha pronunciato la seguente ordinanza sulle questioni di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 166 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, nella parte in cui dispone l'abrogazione degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge 20 novembre 1971, n. 1062, anche relativamente alla contraffazione, alterazione o riproduzione di "un'opera di pittura, scultura o grafica" di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, in relazione all'art. 76 Cost.; b) dell'art. 127 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, nella parte in cui sottopone a sanzione penale la contraffazione, alterazione o riproduzione di un'opera la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, in relazione all'art. 76 Cost.; Sollevate - rispettivamente - dal p.m. e dagli avv. Antonio Forchino e Oreste Verazzo, nella loro qualita' di difensori di Alessandrini Pietro, persona indagata per i reati di cui agli artt. 110, 648 e 416 c.p., in relazione all'art. 3 legge 20 novembre 1971, n. 1062, come modificato dall'art. 127 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, nel procedimento di appello proposto dai suddetti difensori avverso il decreto del 5 gennaio 2002 con cui il p.m. ha respinto la richiesta di restituzione dei dipinti contraffatti, a firma del pittore Mario Schifano, deceduto nel 1998, sequestrati il 9 ed il 12 maggio 2000. Considerazioni in fatto 1. - Nell'ambito di una vasta indagine diretta alla repressione di una associazione criminale estesa in tutta Italia, finalizzata alla contraffazione, alla falsa autenticazione e successiva commercializzazione di dipinti a falsa firma del pittore Mario Schifano, deceduto nel 1998, il p.m. presso il Tribunale di Torino - dopo avere identificato le persone che (a Roma e a Lecce) realizzavano i falsi dipinti, quelle che (a Roma) li autenticavano e quelle che li vendevano - il 3 maggio 2000 disponeva, assieme ad altre, la perquisizione dei luoghi nella disponibilita' di un noto gallerista torinese: l'attuale appellante, Alessandrini Pietro. All'esito delle perquisizioni i C.C. il 9 maggio 2000 sequestravano n. 41 quadri, a firma Schifano, rinvenuti nell'abitazione dell'Alessandrini, ed il successivo 12 maggio altri due quadri dello stesso autore, esposti per la vendita presso l'Hotel "Atlantic" di Borgaro Torinese, di proprieta' del medesimo Alessandrini. Dalla consulenza disposta dal p.m. e' emerso che tutte le suddette opere "sono false". 2. - Con istanza del 24 dicembre 2001 la difesa ha chiesto al p.m. la restituzione delle opere sequestrate, sostenendo che, anche ad ammettere la loro contraffazione, "vi e' oggi inesistenza del reato". Cio' in considerazione che gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge 20 novembre 1971, n. 1062, che prevedevano tale reato, sono stati espressamente abrogati dall'art. 166 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, e che l'art. 127 di detto decreto legislativo, anche se ha una formulazione letterale identica a quella delle abrogate disposizioni della legge del 1971 - ai sensi dell'art. 2 comma 6 dello stesso decreto - non e' applicabile alle "opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni". Il p.m. con decreto del 5 gennaio 2002 ha respinto l'istanza di restituzione, argomentando che il cit. art. 127 punisce, nella stessa maniera dell'abrogato art. 3 della legge del 1971, la contraffazione di tutte le opere d'arte, anche se non risalenti ad oltre cinquanta anni. Rileva, inoltre, il p.m. che, se fosse corretta l'opposta interpretazione sostenuta dalla difesa, il d.lgs. n. 490/1999 sarebbe viziato da illegittimita' costituzionale, in quanto emanato in violazione della legge delega che non attribuiva al legislatore delegato alcun potere di depenalizzare le figure di reato previste dalle leggi vigenti. 3. - Nell'odierna udienza in camera di consiglio sia il p.m. e sia la difesa, dopo avere sostenuto le rispettive opposte interpretazioni dell'art. 127, hanno sollevato le questioni di legittimita' costituzionale in epigrafe specificate. Considerazioni in diritto 4. - Esame della legislazione vigente. Con legge 8 ottobre 1997, n. 352, il Parlamento ha delegato il Governo "ad emanare ... un decreto legislativo recante un testo unico nel quale siano riunite e coordinate tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali ed ambientali", fissando il criterio direttivo che "alle disposizioni devono essere apportate le modificazioni necessarie per il loro coordinamento formale e sostanziale, nonche' per assicurare il riordino e la semplificazione dei procedimenti" (art. 1, comma 2, lett. b). Il Governo, nell'ambito di tale delega, ha emanato il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, intitolato "testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali". Il testo unico e' suddiviso in due titoli: il primo e' dedicato ai "Beni culturali"; il secondo ai "Beni paesaggistici e ambientali". Il titolo primo, dopo avere nell'art. 2 indicato quali sono i "Beni culturali che compongono il patrimonio storico e artistico nazionale" (elencando le medesime categorie di beni gia' tutelate dalle precedenti disposizioni legislative ed inserendo, nel comma 6 dell'art. 2, la medesima disposizione contenuta nell'ultimo comma dell'art. 1 della legge 1 giugno 1939, n. 1089: "Non sono soggette alla disciplina di questo titolo ... le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni"), negli articoli successivi riproduce, coordinandole opportunamente tra loro, le disposizioni contenute nelle varie leggi di tutela del patrimonio storico e artistico nazionale. Nell'art. 127, intitolato "Contraffazione di opere d'arte" (che dispone la punizione di "chiunque, al fine di trarne profitto, contraffa, altera o riproduce un'opera di pittura, scultura o grafica, ovvero un oggetto di antichita' o di interesse storico o archeologico", ovvero "pone in commercio, o detiene per farne commercio... come autentici, esemplari contraffatti... di opere di pittura, scultura, grafica o di oggetti di antichita', o di oggetti di interesse storico o archeologico"), riproduce, con la medesima formulazione letterale, gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge 20 novembre 1971, n. 1062, intitolata "Norme penali sulla contraffazione od alterazione di opere d'arte". Per ultimo nell'art. 166, nell'elenco delle "norme abrogate" in quanto inserite nel testo unico, comprende anche la summenzionata legge n. 1062/1971, "ad eccezione degli articoli 8, secondo comma, e 9". 5. - La tesi della difesa sulla attuale irrilevanza penale della contraffazione (e detenzione per il commercio) di opere di arte aventi meno di cinquanta anni. La difesa dal rilievo: a) che l'art. 3 della legge n. 1062/1971, che puniva la contraffazione delle opere contemporanee di pittura, scultura o grafica e la loro detenzione a fine di commercio, e' stato espressamente abrogato dall'art. 166 del d.lgs. n. 490/1999; b) che l'art. 127 di detto decreto, pur avendo la medesima formulazione letterale dell'abrogato art. 3, non e' applicabile alle opere d'arte contemporanee in quanto l'art. 2, comma 6 del decreto legislativo limita la disciplina del titolo primo alle opere che hanno oltre cinquanta anni, deduce che non esistono piu' nel nostro ordinamento giuridico i reati di contraffazione di opere artistiche contemporanee, ne' quelli di commercio e di detenzione a fine di commercio di siffatte opere. Secondo la difesa, siccome la contraffazione - anche se eseguita al fine di trarne profitto - di opere di pittura la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni e la loro detenzione a fine di commercio sono fatti penalmente leciti, le opere poste in commercio dall'Alessandrini, anche se contraffatte, devono essere restituite. 6. - La tesi che ritiene ancora oggi illecito penale la contraffazione delle opere d'arte contemporanee. Questo Tribunale, in diversa composizione collegiale, gia' in sede di riesame e di successivo appello, proposti dai medesimi difensori avverso una ordinanza applicativa di misura cautelare personale, aveva valutato infondata la tesi secondo cui per effetto dell'emanazione del decreto legislativo n. 490/1999 la contraffazione di opere d'arte contemporanee ed il loro commercio non costituiscono piu' reato. Nelle suindicate ordinanze il Tribunale - sulla base di una molteplicita' di argomenti non solo logici, ma anche letterali - aveva ritenuto: a) che in tanto il legislatore delegato del 1999 ha abrogato la legge n. 1062 del 1971, in quanto ha trasfuso la relativa disciplina nell'art. 127; b) che, conseguenzialmente, la contraffazione delle opere di pittura, scultura e grafica contemporanee e la detenzione a fine di commercio delle opere contraffatte sono attualmente punite dall'art. 127 del decreto legislativo n. 490/1999. 6.1. - Del tutto pacifico in dottrina ed in giurisprudenza e' che l'art. 3 della legge 1962/1971 puniva la contraffazione di tutte le opere d'arte, sia se contemporanee, sia se antiche. La norma, infatti, parlando di "opera di pittura, scultura e grafica", senza alcuna specificazione, chiaramente si riferiva a tutte le opere di pittura, scultura e grafica, senza tenere conto della data della loro esecuzione. Accanto alle opere di pittura, scultura e grafica l'art. 3 menzionava anche gli "oggetti di antichita' o di interesse storico o archeologico". Tenuto conto che questi ultimi oggetti - a differenza delle opere d'arte contemporanee - fanno parte dei beni che gia' la dottrina e le convenzioni internazionali dell'epoca qualificavano "beni culturali", cio' che e' rilevante notare e' che l'art. 3 puniva la contraffazione sia di cose (gli oggetti di antichita' o di interesse storico o archeologico) appartenenti alla categoria dei "beni culturali" e sia di cose (le opere di pittura, scultura e grafica contemporanee) non appartenenti alla categoria dei "beni culturali". 6.2. - Ricevuta la delega di riunire e coordinare in un testo unico tutte (e solo) le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali (ed ambientali), il legislatore delegato nell'art. 127 ha riprodotto l'identico testo letterale dell'art. 3 (ed anche quello degli artt. 4, 5, 6 e 7) della legge n. 1062/1971 e nell'art. 166 ha abrogato l'intera legge n. 1062/1971 (tranne gli artt. 8, secondo comma, e 9). Siccome, come gia' detto, l'art. 3 aveva per oggetto non solo le res appartenenti ai beni culturali, ma anche tutte le opere di pittura, scultura e grafica - le quali, se non presentano un particolare interesse artistico o storico, certamente non sono comprese nella categoria dei beni culturali - tenuto conto che la delega, invece, aveva per oggetto solo i beni culturali, le ipotesi interpretative astrattamente possibili sono soltanto due: 1) - o si ritiene che il legislatore delegato, quando parla di "opere di pittura, scultura e grafica" - anche se non aggiunge alcuna specificazione - intendeva riferirsi solamente alle opere di pittura, scultura e grafica che per il loro particolare "interesse artistico o storico" fanno parte dei beni culturali menzionati nell'art. 2 del decreto legislativo; 2) - o si ritiene che il legislatore delegato, in tanto ha riprodotto l'intero art. 3 senza mutare la sua formulazione letterale, in quanto intendeva riferirsi - similmente all'art. 3 - a tutte le opere di pittura, scultura e grafica. La scelta tra le due diverse interpretazioni astrattamente possibili ha rilievo anche sul piano della legittimita' costituzionale del decreto legislativo. Se fosse esatta la prima ipotesi, l'art. 166, che ha abrogato l'intera legge del 1971, sarebbe di dubbia legittimita' costituzionale per avere, eccedendo la delega (limitata al riordino e coordinamento soltanto delle disposizioni in materia di beni culturali), e, quindi, in violazione dell'art. 76 Cost., abrogato le disposizioni penali che punivano la contraffazione delle opere di pittura, scultura e grafica contemporanee. Nel secondo caso, invece, l'abrogazione della legge del 1971 non sarebbe viziata da alcuna illegittimita' costituzionale, in quanto la disciplina penale contenuta nella legge del 1971, "essendo stata riprodotta interamente nell'art. 127, e' restata immutata. 6.3. - Nell'analisi diretta ad individuare quale delle due opposte interpretazioni sia corretta, si puo' cominciare col notare che dall'esame dei lavori preparatori non si evince alcun elemento da cui desumere che il legislatore delegato abbia avuto l'intenzione, eccedendo l'oggetto e i criteri direttivi fissati dalla legge delega, di abrogare totalmente la tutela penale prevista dalla legislazione previgente per le opere di pittura, scultura e grafica contemporanee. La legge del 1971, notasi, era l'unica legge che nel nostro ordinamento giuridico proteggeva in maniera specifica le opere di pittura, scultura e grafica. Essa puniva non solo la contraffazione, l'alterazione e la riproduzione di dette opere, ma anche il commercio, la detenzione a fine di commercio, l'introduzione nel territorio dello Stato, la circolazione, la falsa autenticazione ... etc., delle opere contraffatte. Prevedeva anche particolari pene accessorie: l'interdizione ex art. 30 c.p.; la pubblicazione della sentenza di condanna su tre quotidiani a diffusione nazionale e la confisca, anche in assenza di condanna, degli esemplari contraffatti. Non puo', dunque, non destare perplessita' la tesi che ritiene che il legislatore delegato, pur senza manifestare espressamente una tale intenzione ed in violazione della legge delega, abbia soppresso la speciale protezione penale prevista dalla legge del 1971 per le opere di pittura, scultura e grafica, lasciandole prive di qualsiasi tutela contro la loro contraffazione. 6.4. - Vi sono molteplici argomenti non solo logici, ma anche letterali da cui si deduce che il legislatore delegato, lungi dall'avere l'intenzione di abrogare il complesso precettivo contenuto nella legge del 1971, aveva l'intenzione di lasciare immutata la protezione penale da dette disposizioni prevista per le opere di pittura, scultura e grafica contemporanee. Innanzitutto non e' senza significato che il legislatore delegato, nel riprodurre nell'art. 127 del decreto legislativo gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971, abbia lasciato del tutto immutata la loro formulazione letterale. Se si tiene presente che al legislatore delegato era ben noto che le disposizioni della legge del 1971, data la formulazione e letterale del loro testo, chiaramente si riferivano a tutte le opere di pittura, scultura e grafica e che in tale maniera erano pacificamente interpretate da consolidata giurisprudenza e dalla dottrina, appare privo di adeguata logica ritenere che, se vi fosse stata veramente l'intenzione di limitare la loro applicazione ai beni culturali - come sostenuto dalla difesa - non sia stata apportata alcuna modifica al loro testo, per l'ovvia ragione che il legislatore delegato non poteva non comprendere che, riproducendo l'identico testo della legge del 1971, l'interpretazione dell'art. 127 non poteva che essere identica. 6.5. - L'interpretazione letterale e, ancor piu' quella logico-sistematica, dell'art. 127 confermano che a questa disposizione non puo' essere attribuito un significato diverso da quello che la giurisprudenza e la dottrina pacificamente attribuivano all'art. 3 della legge del 1971. Si puo' cominciare col notare che in tutte le fattispecie incriminatici contenute nel capo VII, intitolato "Sanzioni penali", del titolo primo del d.lgs. 490/1999 (da art. 118 ad art. 129) il legislatore delegato, per indicare l'oggetto tutelato, usa le espressioni: "Beni culturali indicati nell'art. 2" (artt. 118, 119 e 125), "beni culturali dichiarati a norma dell'art. 6" (art. 120), "beni culturali indicati nell'art. 55" (art. 122), "cose di interesse artistico, storico, archeologico, demo-etno-antropologico, bibliografico, documentale o archivistico, nonche' quelle indicate nell'art. 3" (art. 123). Solo nell'art. 127 il legislatore delegato, per indicare l'oggetto tutelato, non solo non usa l'espressione "bene culturale", ne' menziona alcun collegamento tra l'oggetto tutelato e i beni culturali disciplinati nei capi precedenti, ma si limita a parlare, cosi' come l'art. 3 della legge del 1971, genericamente e senza alcuna specificazione, di "opera di pittura, scultura o grafica". Applicando i tradizionali canoni ermeneutici (attribuendo, cioe', alla legge - come prescrive l'art. 12 preleg. - il "senso ... fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse"), nessun dubbio puo' esservi che l'espressione "opera di pittura, scultura o grafica", senza alcuna altra specificazione, si riferisca a tutte le opere di pittura, scultura o grafica, anche se contemporanee, nella stessa maniera che a tutte dette opere si riferiva, secondo la pacifica interpretazione della dottrina e della giurisprudenza, l'identica espressione contenuta nell'art. 3 della legge del 1971. L'essersi il legislatore delegato riferito all'ampio genus "opera di pittura, scultura o grafica", invece che alla species "opera di pittura, scultura o grafica indicate nell'art. 2" (ovvero "opera di pittura, scultura o grafica di interesse artistico o storico") non consente di ritenere che l'art. 127 si riferisca solo alla contraffazione delle opere che per il loro "interesse artistico o storico" sono da qualificarsi "beni culturali". Ne' puo' ritenersi che il legislatore delegato nell'art. 127 abbia usato l'espressione "opera di pittura, scultura o grafica" in maniera impropria, in considerazione che lo stesso legislatore negli articoli immediatamente precedenti utilizza correttamente le espressioni "beni culturali indicati nell'art....." e le altre similari gia' esaminate. Il fatto che solo nell'art. 127, modificando la terminologia adottata nelle precedenti disposizioni, ne utilizzi una che in nessun modo puo' essere ritenuta limitata soltanto alla categoria dei "beni culturali" (e identica - notasi - a quella contenuta nel previgente art. 3), e' sicuro indice da cui si desume che non intendeva riferirsi solo alla contraffazione delle opere di pittura, scultura o grafica che per il loro particolare interesse storico o artistico sono da qualificarsi "beni culturali", ma - similmente al previgente art. 3 - alla contraffazione di tutte, nessuna esclusa, opere di pittura, scultura o grafica. 6.6. - Ma v'e' di piu'. L'art. 166 del decreto legislativo abroga l'intera legge del 1971 "ad eccezione degli articoli 8, secondo comma, e 9". L'art. 9 della legge del 1971, dopo avere disposto nel primo comma: "Nei procedimenti penali per i reati di cui ai precedenti articoli ... il giudice deve" (rectius: "puo'", v. Corte cost. 24 marzo - 14 aprile 1988, n. 440) "avvalersi di periti indicati dal Ministro della pubblica istruzione ", nel secondo comma aggiunge: "Nei casi di opere d'arte moderna e contemporanea il giudice e' tenuto altresi' ad assumere come testimone l'autore a cui l'opera d'arte sia attribuita o di cui l'opera stessa rechi la firma". L'avere il decreto legislativo espressamente mantenuto in vita l'art. 9 della legge del 1971 - che statuisce che nei processi per i reati di cui agli artt. 3, 4. 5, 6 e 7 che hanno ad oggetto "opere d'arte moderna e contemporanea" il giudice deve assumere come testimone l'autore cui l'opera e' attribuita - indica che, secondo il legislatore delegato, pure dopo l'abrogazione degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7, i reati da essi previsti (vale a dire quelli di contraffazione, alterazione e riproduzione di un'opera di pittura, scultura o grafica, sia antica e sia moderna, nonche' quelli di commercio, detenzione per farne commercio, introduzione nel territorio dello Stato, circolazione, falsa autenticazione ... ... etc. di siffatte opere contraffatte) ancora sussistono nel nostro ordinamento giuridico. Se cosi' non fosse, infatti, inutile sarebbe stato escludere espressamente l'art. 9 dalla disposta abrogazione dell'intera legge, per l'ovvia ragione che - se i reati di contraffazione, e gli altri reati summenzionati, di opere d'arte moderna e contemporanea non sussistessero piu' - l'art. 9, che si riferisce soltanto a questi reati, non sarebbe applicabile in alcun caso. 6.7. - Contro le conclusioni cui si e' giunti dall'analisi sulla omessa abrogazione dell'art. 9, la Sezione III penale della Corte di cassazione - in una sentenza in cui accoglie l'interpretazione restrittiva dell'art. 127 (quella secondo cui questa disposizione punisce esclusivamente la contraffazione delle opere pittoriche che siano anche beni culturali), osserva che e' "inconferente ai fini di una diversa interpretazione dell'ambito di applicazione del citato art. 127 la rilevata omessa abrogazione dell'art. 9 della legge n. 1062/1971, stante la natura esclusivamente processuale della disposizione citata" e stante l'applicabilita' dell'art. 9 nei giudizi concernenti la contraffazione di opere moderne, "per l'accertamento di reati diversi da quelli previsti dal testo unico, quale ad esempio il delitto di truffa" (Cass. Sez. III, 18.9 - 20 ottobre 2001, ric. Patara Augusto). Nonostante l'autorevolezza dell'organo che l'ha espressa, la suddetta tesi non appare condivisibile. Che l'art. 9 sia una norma processuale e che le norme processuali - almeno di regola - siano ininfluenti sull'interpretazione delle norme sostanziali e' indubbio. Ma, la questione, nel caso che si esamina, e' diversa. Il problema da risolvere nell'attuale procedimento penale e' se la contraffazione di un'opera d'arte moderna e la detenzione per farne commercio di siffatte opere contraffatte, gia' previste come reato dall'art. 3 della legge del 1971 (abrogato dall'art. 166 del d.lgs. n. 490/1999), siano ancora oggi previste come reato dall'art. 127 del decreto legislativo (che riproduce integralmente il testo letterale dell'art. 3). Siccome l'abrogazione della legge del 1971, la riproduzione nell'art. 127 dell'identico testo letterale dell'art. 3 e l'omessa abrogazione dell'art. 9 della legge del 1971 sono state disposte con un unico atto normativo (il decreto legislativo n. 490/1999), appare logico ritenere che le tre suindicate disposizioni abbiano una identica ratio. Ne consegue che, dopo avere esaminato quale sia l'interpretazione letterale e logico-sistematica dell'art. 127, al limitato fine di accertare se l'intenzione del legislatore delegato sia conforme a detta interpretazione, non puo' ritenersi inconferente l'analisi sulla intenzione del legislatore sottesa alla omessa abrogazione dell'art. 9. In questo ambito, dal fatto che il legislatore delegato abbia mantenuto in vita l'art. 9 (il quale - notasi - detta la disciplina processuale da applicare ai reati previsti dall'art. 127 nel caso in cui abbiano ad oggetto la contraffazione di "opere d'arte moderna e contemporanea"), non puo' non dedursi che, secondo il legislatore delegato, l'art. 127 punisce anche la contraffazione di "opere d'arte moderna e contemporanea". Se cosi' non fosse, infatti, si dovrebbe ritenere che l'art. 9 (che si riferisce esclusivamente ai reati previsti dall'art. 127) sia una norma inutile e pleonastica in quanto non applicabile ad alcun caso. 6.8. - La Sezione terza della Corte di cassazione nella summenzionata sentenza, allo scopo di giustificare la mancata abrogazione dell'art. 9 ed individuare i casi cui si riferisce, assume che - relativamente alle opere d'arte contemporanea - l'art. 9 e' applicabile per l'accertamento di reati diversi da quelli previsti dal testo unico, quale ad esempio il delitto di truffa". L'assunto non appare condivisibile. L'art. 9 non parla genericamente di reati relativi alla contraffazione di opere d'arte moderna, ma il suo incipit specifica "Nei procedimenti penali per i reati di cui ai precedenti articoli", e continua "nei casi di opere d'arte moderna e contemporanea il giudice e' tenuto ...", dal che si desume che la disposizione non abrogata si riferisce espressamente ed esclusivamente ai reati previsti dai "precedenti articoli". Siccome i reati previsti nei precedenti articoli della legge del 1971 sono: la contraffazione, l'alterazione e la riproduzione di un'opera di pittura, scultura o grafica, anche se moderna (art. 3, comma 1); il commercio, la detenzione per farne commercio e la messa in commercio di siffatte opere contraffatte (art. 3, comma 2); la falsa autenticazione delle opere contraffatte (art. 4, n. 1); le dichiarazioni, le perizie, le pubblicazioni, l'apposizione di timbri ed etichette e l'uso di qualsiasi altro mezzo che accrediti come autentiche le opere contraffatte (art. 4, n. 2), significa che e' a questi specifici reati (e non a quelli generali previsti dal codice penale) che il legislatore delegato, nel momento in cui nell'art. 166 del decreto legislativo ha espressamente escluso l'abrogazione dell'art. 9 della legge del 1971, intendeva riferirsi. Ora, tenuto conto che tutti questi delitti attualmente nel nostro ordinamento giuridico sono previsti solo dall'art. 127 (notasi che non esiste nel nostro ordinamento alcuna altra disposizione che punisca tutte le suindicate figure criminose), appare logico dedurre che il legislatore delegato in tanto ha riprodotto nell'art. 127 l'identico testo letterale degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 ed ha omesso di abrogare l'art. 9 della medesima legge, in quanto voleva lasciare immutate le previgenti fattispecie incriminatici a tutela delle opere d'arte moderna. Se cosi' non fosse, si dovrebbe ritenere che il legislatore delegato, pur riproducendo nell'art. 127 l'identico testo letterale degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 e pur omettendo di abrogare l'art. 9 della medesima legge, abbia voluto modificare il contenuto precettivo delle disposizioni che riproduceva e non abrogava, escludendo dalle figure criminose da esse previste le opere d'arte moderna. Il che - data la singolare tecnica legislativa con cui sarebbe stata attuata siffatta rilevante modifica (dalla quale consegue la depenalizzazione di parte delle attivita' finalizzate al fraudolento commercio di opere d'arte moderna contraffatte) - rende questa tesi scarsamente sostenibile. 7. - Il comma 6 dell'art. 2 del decreto legislativo n. 490/1999. A sostegno della tesi che esclude l'applicabilita' dell'art. 127 alle opere d'arte moderna e contemporanea la Sezione terza della Corte di cassazione e la difesa - pur non contestando che l'interpretazione letterale appare favorevole all'opposta tesi che ritiene che questa disposizione si riferisca anche alle opere d'arte moderna e contemporanea - adducono, in realta', un unico argomento: la presenza nel dereto legislativo del comma 6 dell'art. 2 che dispone: "Non sono soggette alla disciplina di questo titolo, a norma del comma 1, lettera a), le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni". Si assume che siccome l'art. 127 e' contenuto nel capo VII del titolo primo, la sanzione penale da esso prevista, per precisa scelta del legislatore delegato, non puo' essere applicata alle opere pittoriche di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni. 7.1. - Per valutare la suddetta tesi si puo' cominciare col notare che in essa sono individuabili due diversi indirizzi interpretativi che giungono a sostenere due diversi ambiti di applicazione del comma 6 dell'art. 2. Il primo indirizzo, dando rilievo al solo dato letterale, sostiene che dal comma 6 consegue che l'art. 127 e' applicabile soltanto alle opere d'arte la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni e i cui autori non siano piu' viventi. Il secondo indirizzo (sostenuto anche dalla Sezione terza della Corte di cassazione nella sentenza gia' citata) - dal rilievo che i precedenti cinque commi dell'art. 2 hanno la funzione di individuare le cose cui per l'interesse artistico, storico, archeologico o demo-etnoantropologico che presentano deve essere attribuita la qualifica di "beni culturali" e sono assoggettate alla particolare disciplina vincolistica prevista dal titolo primo - deduce che anche il sesto comma si riferisce ai beni culturali. Il comma 6 ha unicamente la funzione di limitare l'ambito di operativita' della classificazione contenuta nei commi precedenti, statuendo che le cose immobili e mobili elencate nei primi cinque commi non sono soggette alla disciplina del titolo primo se i loro autori siano viventi o la loro esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni. Da questo secondo indirizzo consegue che l'art. 127 non e' applicabile a tutte le opere d'arte la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni e i cui autori non siano piu' viventi come sostiene l'indirizzo precedentemente esaminato), ma solo - ed esclusivamente - alle opere d'arte cui il comma 1 dell'art. 2 attribuisce la qualifica di bene culturale (e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni e i cui autori non siano piu' viventi). 7.2. - Osserva il collegio che la tesi sostenuta dal secondo indirizzo interpretativo esaminato, nella parte in cui assume che il sesto comma dell'art. 2 si riferisce alle res menzionate nei precedenti cinque commi, e' condivisibile. E' indubbio che l'intero art. 2 ha la funzione di individuare quali sono le cose che per l'"interesse artistico, storico, archeologico o demo-etno-antropologico che presentano" sono qualificati "beni culturali che compongono il patrimonio storico e artistico nazionale (e) sono tutelati secondo le disposizioni di questo titolo, in attuazione dell'art. 9 della Costituzione". L'art. 2, intitolato "Patrimonio storico, artistico, demo-etno-antropologico, archeologico, archivistico, librario", dopo avere nel primo comma disposto "Sono beni culturali disciplinati a norma di questo titolo:" e (dopo i due punti), elencato nei commi successivi le varie categorie di beni culturali, nel sesto (ed ultimo) comma aggiunge "Non sono soggette alla disciplina di questo titolo ... le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni". Chiaro e', dunque, che il comma 6, come i cinque precedenti, si riferisce ai beni culturali. Esso si limita a statuire che alle res menzionate nei commi precedenti la disciplina prevista nel titolo primo per tutti i beni culturali non e' applicabile nel caso in cui i loro autori siano ancora viventi o la loro esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni. Che il comma sesto si riferisca solo ed esclusivamente alle cose menzionate nei precedenti cinque commi (vale a dire: alle "cose immobili e mobili che per l'interesse storico e artistico che presentano ... sono beni culturali" deriva oltre che dal locus in cui la disposizione e' inserita (nell'art. 2 che ha la funzione di individuare le res che, presentando detto interesse, sono sottoposte alla disciplina prevista dal titolo primo) e dai precedenti legislativi (nel comma 6 il legislatore delegato riproduce l'ultimo comma dell'art. 1 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, che ugualmente si riferiva solo alle "cose d'interesse artistico o storico" elencate nei commi precedenti), anche da argomenti logici. Ad accogliere l'opposta tesi, che assume che il comma 6 si riferisce a tutte le cose immobili e mobili la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, si giungerebbe all'assurda conseguenza che qualsiasi cosa, dopo la morte dell'Autore, trascorsi cinquanta anni dalla sua esecuzione, sarebbe sottoposta alla rigida disciplina vincolistica prevista dal titolo primo del decreto legislativo. Ora, se si tiene presente che detta disciplina fortemente limitativa del diritto di proprieta' sul piano costituzionale e' giustificata dall'essere i beni culturali considerati parte integrante del "patrimonio storico e artistico della Nazione" (art. 9 Cost. e 1 d.lgs. n. 490/1999), ben si comprende che non tutte le cose mobili ed immobili, ne' tutte le opere di pittura, scultura o grafica, dopo cinquanta anni dalla loro esecuzione possono essere considerate appartenere al "patrimonio storico e artistico della Nazione" - e, quindi, essere sottoposte alla disciplina prevista per le cose che a tale patrimonio appartengono - ma solo quelle cose e quelle opere, elencate nei primi cinque commi dell'art. 2, che per il particolare "interesse storico e artistico che presentano" sono qualificate "beni culturali". 7.3. - Stabilito che il sesto comma dell'art. 2 si riferisce solo alle cose cui i precedenti cinque commi attribuiscono la qualifica di "bene culturale", consegue che esso sul problema oggetto dell'attuale procedimento (vale a dire: se la contraffazione di un'opera di pittura moderna - non qualificabile, ai sensi dell'art. 2, bene culturale - sia o non sia assoggettata alle sanzioni penali previste dall'art. 127) e' del tutto ininfluente. Gia' si e' detto che due sono i possibili significati da attribuire alla espressione "opere di pittura, scultura o grafica" contenuta nell'art. 127: o si ritiene, secondo l'interpretazione accolta dalla Sezione terza della Corte di cassazione, che essa si riferisca esclusivamente alle opere di pittura, scultura e grafica qualificabili, ai sensi dell'art. 2, "beni culturali"; o si ritiene che essa, non contenendo alcuna specificazione, si riferisca a tutte le opere di pittura, scultura e grafica, comprese quelle d'arte moderna e contemporanea. Ebbene, nel primo caso l'art. 127 non e' applicabile alle opere di pittura moderna, non per la presenza del comma 6, ma in quanto le opere di pittura moderna e contemporanea non sono beni culturali; nel secondo caso il comma 6 e' irrilevante sull'applicabilita' dell'art. 127 alle opere di pittura moderna e contemporanea in considerazione che esso si riferisce solo alle opere cui e' attribuita dall'art. 2 la qualifica di bene culturale. Nell'uno e nell'altro caso la soluzione del problema se la contraffazione di un'opera d'arte moderna o contemporanea sia o non sia punibile ai sensi dell'art. 127 non dipende, come ritiene la Sezione terza della Corte di cassazione, dal sesto comma dell'art. 2, ma - esclusivamente - dall'interpretazione del medesimo art. 127. Nessun dubbio, infatti, puo' esservi che, accogliendo l'interpretazione secondo cui l'espressione "opera di pittura, scultura o grafica" si riferisce alle opere d'arte qualificate beni culturali, la contraffazione di un'opera d'arte moderna, indipendentemente dal comma 6, non sarebbe punibile ai sensi dell'art. 127; se - invece - si accogliesse l'altra interpretazione, secondo cui la suddetta espressione si riferisce alle opere d'arte moderna, la contraffazione di un'opera moderna o contemporanea sarebbe certamente punibile, nonostante la presenza del comma 6, ai sensi dell'art. 127. Su detta punibilita', notasi, nessuna influenza puo' essere attribuita al sesto comma dell'art. 2, in considerazione che esso si riferisce ai beni culturali e non alle opere d'arte moderna e contemporanea che non sono beni culturali. Siccome gia' si e' detto nei paragrafi precedenti che dall'interpretazione letterale, logico-sistematica e dall'intenzione del legislatore delegato si evince che l'espressione contenuta nell'art. 127 "opera di pittura, scultura o grafica", senza alcuna aggettivazione, si riferisce a tutte le opere d'arte, comprese quelle d'arte moderna o contemporanea, il Tribunale ritiene che la contraffazione di un'opera di pittura moderna, che prima dell'emanazione del d.lgs. n. 490/1999 era punita dall'art. 3 della legge n. 1962/1971, attualmente sia punita dall'art. 127 del suddetto decreto che riproduce integralmente l'identico testo letterale del previgente art. 3. 8. - La questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.m. Il p.m. ha chiesto, del caso in cui il tribunale ritenesse fondata l'interpretazione dell'art. 127 proposta dalla difesa, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Secondo il p.m., siccome la legge delega attribuiva al Governo esclusivamente il potere di riunire e coordinare in un testo unico le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali, il decreto legislativo emanato in attuazione della delega, nella parte in cui ha abrogato le fattispecie criminose previste dagli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge n. 1062/1971, relative anche alla contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea, e' viziato - in relazione agli artt. 76 e 77, comma 1, Cost. - da illegittimita' costituzionale per un duplice ordine di ragioni: a) in quanto la delega aveva ad oggetto solo i beni culturali e non le opere d'arte moderna e contemporanea, le quali certamente non possono essere qualificate "beni culturali"; b) in quanto la delega autorizzava il Governo solo a riunire e coordinare le disposizioni legislative vigenti, e non gia' ad abrogare interamente la protezione penale da esse prevista per le opere d'arte moderna e contemporanea. 8.1. - La questione sollevata dal p.m., a parere del tribunale, e' fondata. La locuzione "beni culturali", adoperata dalla legge delega, ha nel nostro ordinamento giuridico un preciso, pacifico, consolidato ed univoco significato. Gia' la "Commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose d'interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio", istituita con la legge 26 aprile 1964, n. 310 (nota, dal nome del suo presidente, come "Commissione Franceschini"), da' una definizione giuridica unitaria dei beni culturali, cosi' articolata: "Appartengono a patrimonio culturale della Nazione tutti i beni aventi riferimento alla storia della civilta'. Sono assoggettati alla legge i beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientali e paesistico, archivistico e librario, ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civilta'". La legislazione successiva recepisce i capisaldi di questa definizione ed usa la locuzione "beni culturali" sempre in relazione ai beni che per il loro particolare interesse storico, artistico, etc. costituiscono una testimonianza della storia della civilta' e, proprio per questa ragione, si ritengono appartenere al patrimonio della Nazione (v., ad es., il d.P.R. 3 dicembre 1975, n. 805, "Organizzazione del Ministero per i beni culturali e ambientali" e l'art. 48 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616). Sono certamente questi i beni cui la legge 8 ottobre 1997, n. 352, si riferisce quando, nell'individuare - ai sensi dell'art. 76 Cost. - l'oggetto della delega, autorizza il Governo "ad emanare ... un decreto legislativo ... nel quale siano riunite e coordinate tutte le disposizioni legislative in materia di beni culturali". E che il legislatore delegato abbia inteso bene l'oggetto e i limiti della delega e' provato dalla considerazione che il decreto legislativo, dopo avere nell'art. 1 indicato l'oggetto della materia disciplinata ("I beni culturali che compongono il patrimonio storico e artistico nazionale sono tutelati secondo le disposizioni di questo titolo, in attuazione dell'art. 9 della Costituzione") e nell'art. 2 (intitolato: "Patrimonio storico, artistico, demo-etno-antropologico, archeologico, archivistico, librario") elencato le varie categorie di beni culturali che, per essere testimonianza della storia della civilta', "sono disciplinati a norma di questo titolo", in tutti i successivi articoli del titolo primo riproduce esclusivamente le disposizioni contenute nella previgente legislazione in tema di cose di interesse storico, artistico, archeologico, etc. 8.2. - Stabilito: a) che la legge delega aveva per oggetto solo i beni culturali; b) che gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 punivano (anche) la contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea; ad accogliere l'interpretazione sostenuta dalla difesa, seguita anche dalla Sezione terza della Corte di cassazione - secondo cui l'art. 127 del decreto legislativo, pur riproducendo l'identico testo letterale degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971, si riferisce esclusivamente alle opere d'arte che l'art. 2 del medesimo decreto qualifica beni culturali - ne consegue che l'art. 166 di detto decreto, nella parte in cui abroga totalmente gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della citata legge del 1971, e' di dubbia legittimita' costituzionale per avere - eccedendo l'oggetto e i criteri direttivi fissati nella delega, abrogato le fattispecie incriminatici previste in tema di contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea, materia per la quale il Governo non aveva ricevuto alcuna delega. 9. - La manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' sollevata dalla difesa. La difesa, muovendosi dai medesimi presupposti della questione di costituzionalita' sollevata dal p.m. - a) che la legge delega ha per oggetto solo i beni culturali; b) che le opere d'arte moderna non sono beni culturali -, assume che, se si accogliesse l'interpretazione dell'art. 127 proposta dal p.m (secondo cui l'art. 127 punisce anche la contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea), il decreto legislativo sarebbe viziato da illegittimita' costituzionale per avere, oltrepassando i limiti fissati dalla legge delega, legiferato in tema di contraffazione di opere d'arte moderna e contemporanea, materia per la quale il Governo non aveva ricevuto alcuna delega. 9.1. - L'eccezione, cosi' come prospettata, e' manifestamente infondata. Dal rilievo che, siccome la delega riguardava solo i beni culturali, il legislatore delegato non poteva disporre nell'art. 127 la punizione della contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea, deriva - quale logica conseguenza - che il legislatore delegato non avrebbe potuto nemmeno nell'art. 166 disporre l'abrogazione degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 che punivano la contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea. Se, dunque, per eccesso di delega si dovesse dichiarare l'incostituzionalita' dell'art. 127 nella parte in cui, riproducendo l'identico testo letterale degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971, punisce la contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea, si dovrebbe necessariamente - per la medesima ragione - dichiarare l'incostituzionalita' dell'art. 166 del decreto legislativo, nella parte in cui abroga gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 che punivano nell'identica maniera la contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea. Per effetto della duplice dichiarazione d'incostituzionalita' la situazione resterebbe sostanzialmente immutata, in quanto la contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea resterebbe assoggettata alla medesima disciplina penalistica (in considerazione che la fattispecie incriminatrice contenuta nell'art. 127 riproduce le fattispecie incriminatici contenute negli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971), il che rende priva di qualsiasi rilevanza l'eccezione d'incostituzionalita' proposta dalla difesa. 10. - La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.m. Da quanto gia' detto risulta evidente la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 166 del d.lgs. n. 490/1999. A fondamento dell'appello con cui si chiede la restituzione dei quadri sequestrati a firma del pittore Mario Schifano la difesa assume che a seguito dell'abrogazione degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 disposta dall'art. 166, anche se i dipinti sono contraffatti, "vi e' oggi inesistenza del reato". Ne consegue che, per decidere l'attuale appello, e' rilevante la questione sulla eventuale incostituzionalita' dell'art. 166. 11. - Sull'ammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale in materia penale. La Sezione terza della Corte di cassazione, cui la medesima questione era stata sollevata, pure ammettendo non potersi escludere "un eventuale sospetto di eccesso del legislatore delegato nell'ambito della delega conferitagli", non ha proposto il giudizio di legittimita' costituzionale sul rilievo che "la Corte costituzionale con innumerevoli pronunce ha reiteramente dichiarato manifestamente inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale tese ad ampliare o introdurre nuove ipotesi di reato, avendo in proposito sempre ribadito che, avuto riguardo al secondo comma dell'art. 25 della Costituzione - il quale afferma il principio che nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso - rimane esclusa per la Corte costituzionale la possibilita' di introdurre nell'ordinamento penale in via additiva nuovi reati ed altresi' di ampliare o aggravare figure di reato gia' esistenti". (Cass. Sez. III, 18.9 - 20 ottobre 2001, cit.). L'indirizzo interpretativo adottato dalla Corte costituzionale e', sul piano generale, indubbiamente condivisibile. Due sono le ragioni per cui il principio di legalita', codificato nell'art. 25, comma 2, della Costituzione ( "Nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso".), impedisce alla Corte costituzionale d'introdurre nell'ordinamento penale in via additiva nuovi reati o ampliare o aggravare le figure di reato gia' esistenti. In primo luogo in quanto, se la Corte introducesse una nuova figura di reato, non si sarebbe puniti "in forza di una legge", ma in forza di una decisione della Corte costituzionale. In secondo luogo, tenuto conto che le decisioni della Corte esplicano i loro effetti dal giorno successivo alla pubblicazione (v., art. 136 Cost.), una norma penale introdotta a seguito della pronuncia d'incostituzionalita' non potrebbe essere applicata nel procedimento penale in cui la questione e' stata sollevata perche' - se cosi' fosse - si sarebbe puniti da una norma che e' entrata in vigore dopo la commissione del fatto. Il tribunale, pur condividendo questi principi, ritiene che nel caso che si esamina la questione di costituzionalita' sia ammissibile. 11.1. Innanzitutto si deve rilevare che il caso che si esamina riguarda un decreto legislativo che, disponendo in una materia del tutto estranea a quella indicata dalla legge delega, ha abrogato una legge. In questa ipotesi il tribunale ritiene che nessuna preclusione derivi dal secondo comma dell'art. 25 Cost. alla eventuale dichiarazione d'incostituzionalita' del decreto legislativo, per l'ovvia ragione che anche dopo l'intervento della Corte costituzionale si continuerebbe ad essere puniti "in forza di una legge" (in forza della legge illegittimamente abrogata). Il secondo comma dell'art. 25, nel momento in cui costituzionalizza il principio che nessuno puo' essere punito se non in forza di una legge", attribuisce al Parlamento in maniera esclusiva il potere di emanare norme in materia penale, escludendo che si possa essere puniti in forza di un atto normativo non riconducibile alla volonta' del Parlamento. Mentre, dunque, nel caso in cui una norma sia introdotta nell'ordinamento penale dalla Corte costituzionale, ricavandola dai principi generali fissati dalla Costituzione (p.es. dall'art. 3), vi e' una lesione dell'art. 25, comma 2, in quanto la suddetta norma non e' riconducibile alla volonta' del Parlamento, nel caso in cui la Corte Costituzionale si limiti a dichiarare l'incostituzionalita' di un atto del Governo (il decreto legislativo) che, senza alcuna delega del Parlamento, in violazione degli artt. 76 e 77, comma 1, Cost. abbia abrogato una legge, non v'e' alcuna lesione dell'art. 25, comma 2, perche' la norma che per effetto della dichiarazione d'incostituzionalita' rivive e' proprio la norma voluta dal Parlamento, illegittimamente abrogata dal Governo. Per comprendere la rilevanza di quanto sostenuto, facciamo un esempio. Ammettiamo che il Governo, senza avere ricevuto dal Parlamento alcuna delega, con un decreto legislativo abroghi un intero libro o un intero titolo del codice penale. In questo caso nessun dubbio puo' sussistere che l'art. 25, comma secondo, non costituisce un ostacolo a che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' costituzionale della suddetta abrogazione, compiuta in violazione degli artt. 76 e 77, comma l. Se cosi' non si ritenesse, gli artt. 76 e 77 in materia penale sarebbero pressoche' svuotati di contenuto perche' il Governo potrebbe, in violazione dei principi cardini del nostro ordinamento costituzionale, abrogare - senza avere ricevuto alcuna delega dal Parlamento - qualsiasi figura criminosa. 11.2. In secondo luogo deve rilevarsi che questo Tribunale non e' chiamato a pronunciarsi sulla penale responsabilita' dell'indagato (nel qual caso sulla ammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale potrebbe avere rilevanza l'art. 25, comma 2, Cost. nella parte in cui dispone che si puo' essere puniti solo in forza di una legge "che sia entrata in vigore prima del fatto commesso"), ma deve solo decidere se all'indagato debbano essere restituiti i dipinti a firma contraffatta del pittore Mario Schifano. L'art. 7 della legge del 1971 (il cui testo letterale e' integralmente riprodotto nell'art. 127, comma 4, del decreto legislativo), abrogato dall'art. 166, dispone: "E' sempre ordinata la confisca degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti delle opere o degli oggetti indicati nei precedenti articoli, salvo che si tratti di cose appartenenti a persona estranea al reato". L'interpretazione di questa disposizione (che riecheggia quella prevista dall'art. 240 c.p.v. n. 2 c.p., relativa alle cose la cui fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione costituiscono reato) e' pacifica: le opere contraffatte, anche in assenza della sentenza di condanna, vanno confiscate, per la ragione che la loro restituzione costituirebbe la premessa per la realizzazione di un nuovo reato. Ne consegue che - qualora fosse dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 166 del decreto legislativo, nella parte in cui ha abrogato gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 - la reviviscenza di tali disposizioni dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, anche se e' vero che non potrebbe comportare la condanna dell'indagato, sarebbe rilevante in questo procedimento incidentale in cui si deve soltanto decidere se le opere di pittura moderna sequestrate, di cui e' stata accertata la contraffazione al fine di trarne profitto, debbano o non debbano essere restituite a persona non estranea alla illecita attivita' di contraffazione. 12. - Considerazioni finali. Si e' gia' detto che questo Tribunale in due precedenti ordinanze - pronunciate il 24 gennaio ed il 3 maggio 2001 in sede di riesame e di appello proposti da tutti gli indagati di questo procedimento penale avverso ordinanze applicative di misure cautelari personali - non ha ritenuto rilevante l'identica questione di legittimita' costituzionale in quanto ha accolto interpretazione secondo cui l'art. 127 del decreto legislativo, in cui il legislatore delegato ha riprodotto l'identico testo letterale degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge 1971, e' applicabile anche alle opere d'arte moderna e contemporanea. Da questa interpretazione consegue che poiche' il decreto legislativo non ha in alcun modo modificato la disciplina penale prevista dagli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 in materia di contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 166 non sussiste. E' da notare che l'interpretazione dell'art. 127, accolta da questo tribunale nelle due suindicate ordinanze, era all'epoca condivisa sia dai giudici di merito e sia dalla Corte di cassazione (per quest'ultima, v., tra le altre, Sez. III 20 febbraio - 31 marzo 2000, n. 4084, imp. Ginori, in Cass. pen., 2001, 318). Successivamente la medesima Sezione terza della Corte di cassazione ha mutato indirizzo. Nella sentenza piu' volte citata del 18 settembre 2001 (pronunciata in una fattispecie del tutto identica a quella oggetto dell'attuale appello: ricorso avverso un'ordinanza con cui il Tribunale del riesame di Roma aveva respinto l'istanza di restituzione di quadri contraffatti del pittore Mario Schifano) la Corte - ritenendo non piu' in vigore gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge del 1971 perche' abrogati dall'art. 166 del d.lgs. n. 490/1999, e non applicabile l'art. 127 del medesimo decreto legislativo alle opere d'arte moderna e contemporanea perche' il comma 6 dell'art. 2 limita la disciplina del titolo primo, in cui l'art. 127 e' contenuto, alle opere i cui autori non siano piu' viventi o la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni - ha ordinato la restituzione dei quadri sequestrati. Dopo la pubblicazione della suddetta sentenza anche alcuni giudici di merito hanno recepito l'interpretazione restrittiva dell'art. 127 (v., in questo senso, Tribunale del riesame di Roma, ordinanza n. 625/2001 del 13 dicembre 2001, che ha annullato il decreto di sequestro di un catalogo contenente riproduzioni fotografiche di opere pittoriche attribuite alla mano dell'artista Mario Schifano, ma in realta' false, nonche' delle opere contraffatte indicate nel catalogo), per cui oggi si assiste al consolidarsi di una linea interpretativa tesa a sostenere che la contraffazione a scopo di lucro di opere d'arte moderna e contemporanea, il commercio degli esemplari contraffatti, le false autentiche e la pubblicazione di cataloghi contenenti riproduzioni fotografiche di opere contraffatte non integrano estremi di reato. Il consolidamento di questo nuovo indirizzo interpretativo impone a questo tribunale di riesaminare la questione. 12.1. - Il tribunale, anche dopo avere valutato le ragioni addotte a favore del nuovo indirizzo interpretativo - a sostegno del quale si adduce esclusivamente il comma 6 dell'art. 2 (v., retro, parag. 7) - ritiene, come gia' detto, che il legislatore delegato con l'art. 127 abbia inteso punire anche la contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea. Ricevuta la delega di riunire e coordinare in un testo unico tutte le disposizioni legislative in materia di beni culturali e di, conseguenzialmente, abrogare le previgenti disposizioni legislative inserite nel decreto, il legislatore delegato, attenendosi a quanto prescritto dalla legge delega, ha inserito nel decreto legislativo tutte le disposizioni legislative relative ai beni culturali e nell'art. 166 ha elencato le leggi che, per essere state inserite nel decreto, erano abrogate. Una unica legge, la n. 1062 del 1971 ("Norme penali sulla contraffazione od alterazioni di opere d'arte") riguardava sia le opere d'arte moderna e sia i beni culturali (l'art. 3 recita, infatti, "Chiunque ... contraffa' ... un'opera di pittura, scultura, o grafica o un oggetto di antichita' o di interesse storico o archeologico". Per questa legge al legislatore delegato si presentavano due vie: o inserirla nel decreto legislativo, escludendo le parole "un'opera di pittura, scultura o grafica" e, quindi, nell'art. 166 abrogare solo le parole "o un oggetto di antichita' o di interesse storico o archeologico", o inserirla totalmente, anche nella parte relativa alla contraffazione delle opere d'arte moderna. Il legislatore delegato ha scelto questa seconda via, ritenendo non opportuno mantenere nell'ordinamento penale due disposizioni - l'art. 127 e gli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 - del tutto identiche, a seconda se la contraffazione avesse ad oggetto un'opera d'arte moderna o un bene culturale. E che il legislatore delegato, scegliendo questa via, non avesse alcuna intenzione di violare la legge delega, depenalizzando la contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea, e' provato dalla considerazione che ha mantenuto in vita l'art. 9 della legge del 1971 che espressamente parla di "opere d'arte moderna e contemporanea" (v., retro, parag. 6.6). Si e' gia' detto che, secondo questo tribunale, l'interpretazione letterale, logico-sistematica e l'intenzione del legislatore delegato indicano in maniera concorde che l'art. 127 si riferisce anche alle opere d'arte moderna e contemporanea. Si deve ora aggiungere che tra due interpretazioni ugualmente possibili, di cui una conforme al dettato costituzionale e l'altra che comporta un vizio di legittimita' costituzionale, il magistrato ordinario e' tenuto a scegliere la prima. 12.2. - Nonostante quanto detto, il tribunale non puo' non tenere conto che tra i giudici di merito e quelli di legittimita' v'e' la tendenza ad accogliere, pur nella consapevolezza della sua illegittimita' costituzionale, l'interpretazione secondo cui la contraffazione delle opere d'arte moderna e contemporanea ed il commercio degli esemplari contraffatti non sono piu' punibili. Poiche' nell'esercizio della giurisdizione il magistrato non puo' non tener conto del c.d. "diritto vivente, il Tribunale ritiene doveroso rimettere gli atti alla Corte costituzionale, affinche' l'organo cui e' affidato il controllo di legittimita' costituzionale sugli atti aventi forza di legge, dica se la suddetta interpretazione sia costituzionalmente corretta.
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 166 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, nella parte in cui dispone l'abrogazione degli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge 20 novembre 1971, n. 1062 anche per le opere d'arte moderna e contemporanea, in relazione agli artt. 76 e 77, comma 1, della Costituzione; Dispone la sospensione dell'attuale procedimento e l'immediata trasmissione degli atti, a cura della cancelleria, alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria di notificare l'ordinanza: all'indagato: Alessandrini Pietro, ai difensori: avv. Antonio Forchino e Oreste Verazzo, al p.m., al Presidente del Consiglio dei ministri e di comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Torino all'esito dell'udienza camerale del 25 febbraio 2002. Il Presidente: Palmisano 02C0529