N. 231 ORDINANZA 3 - 7 giugno 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Termini  normativi  della  questione  -  Erroneita' delle indicazioni
  contenute nell'ordinanza di rimessione - Correzione.
- Legge 24 novembre 1981, n. 689 [artt. 22, terzo comma e 23, secondo
  e quarto comma - rectius:] art. 23, quarto e quinto comma.
Sanzioni   amministrative   -  Ordinanza-ingiunzione  -  Giudizio  di
  opposizione   -   Notificazioni   all'opponente   che   si  difende
  personalmente  - Effettuazione presso la sua residenza anagrafica -
  Mancata  previsione - Asserita lesione del principio di eguaglianza
  e  del  diritto  alla  difesa  in giudizio - Manifesta infondatezza
  della questione.
- Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, quarto e quinto comma.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111, secondo comma.
(GU n.23 del 12-6-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Massimo VARI;
  Giudici:  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli articoli 22, terzo
comma,  e  23, secondo e quarto comma [rectius dell'art. 23, quarto e
quinto  comma],  della  legge  24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
sistema  penale),  promossi con ordinanze emesse il 5 aprile, l'8, il
22,  il  29 marzo  2001  (n. 2  ordinanze), e il 19 aprile 2001 (n. 2
ordinanze)  dal giudice di pace di Locri, rispettivamente iscritte ai
numeri  da  475  a  479,  563  e  564  del  registro ordinanze 2001 e
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 25 e 32,
1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 13 marzo 2002 il giudice
relatore Franco Bile.
    Ritenuto che con l'ordinanza iscritta al n. 475 r.o. del 2001, il
giudice  di  pace  di  Locri  ha  prospettato  -  in riferimento agli
articoli  3,  24  e  111,  secondo  comma,  della  Costituzione  - la
questione  di  legittimita'  costituzionale  degli articoli 22, terzo
comma,  e  23,  secondo e quarto comma, della legge 24 novembre 1981,
n. 689  (Modifiche  al  sistema  penale),  nella  parte  in cui - nei
procedimenti  di opposizione all'ordinanza di irrogazione di sanzioni
amministrative   -   non   prescriverebbero   che  "le  notificazioni
all'opponente" vengano effettuate presso la sua residenza anagrafica;
        che  la questione e' stata sollevata nel corso di un giudizio
di  opposizione  a  sanzione  amministrativa,  introdotto da Giovanni
Zappavigna  nei  confronti  del  comune  di  Portigliola,  avverso un
verbale  di  contestazione  elevato  dai  vigili  urbani dello stesso
comune  -  per  una  pretesa violazione dell'articolo 142 del decreto
legislativo  30 aprile  1992,  n. 285  (Nuovo  codice  della strada),
accertata   tramite   misuratore   di   velocita'   -   e  notificato
all'opponente  solo  successivamente, nell'asserita impossibilita' di
procedere alla contestazione immediata all'atto dell'accertamento;
        che  l'opponente  si  e'  avvalso  della facolta' di stare in
giudizio  personalmente,  a  norma  dell'art. 23, quarto comma, della
legge  n. 689 del 1981 ed ha dedotto l'illegittimita' del verbale, in
difetto dei presupposti per la contestazione successiva e comunque di
una  valida  motivazione  circa  l'impossibilita'  di  procedere alla
contestazione immediata;
        che,  secondo  il  rimettente,  a  seguito  del  deposito del
ricorso  in  cancelleria,  l'udienza  di  comparizione  sarebbe stata
fissata  al  29 marzo  2001  e "la notificazione avveniva nelle forme
della consegna nell'ufficio di Cancelleria del giudice adito" e, "per
conseguenza, il ricorrente non compariva alla prima udienza fissata";
        che  il  rimettente  in  detta  udienza  si  e'  riservato di
decidere  e  successivamente,  sciogliendo la riserva, ha pronunciato
l'ordinanza  di  rimessione,  nella quale - richiamata l'ordinanza di
questa  Corte  n. 42  del  1988  e  ricordato  che  essa  esamino' la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 22, terzo comma
[rectius  quarto],  della  legge  n. 689 del 1981, nella parte in cui
allora   poneva   l'obbligo   dell'opponente   che   avesse  proposto
l'opposizione  personalmente  di  eleggere  domicilio  nel comune ove
aveva  sede  il  pretore  - sollecita il riesame della questione, sul
rilievo  che  l'odierna  estrema mobilita' del cittadino non dovrebbe
"essere cadenzata dall'obbligo di reperire, per ogni dove, il proprio
domicilio  eletto"  e  che  l'opponente a sanzione amministrativa con
residenza  anagrafica  nel  comune  sede dell'ufficio avanti al quale
l'opposizione  dev'essere  proposta  "non avrebbe verun problema, ne'
economico,  ne'  motorio,  non  solo per difendersi personalmente, ma
anche   per  vedersi  recapitato,  a  casa  propria,  ogni  atto  del
procedimento che si celebra dinanzi" al giudice adito;
        che,  ad  avviso  del rimettente, precludere la notificazione
degli  atti  del  giudizio  di  opposizione  ad ordinanza-ingiunzione
presso  la residenza dell'opponente contrasterebbe con l'art. 3 della
Costituzione,  ledendo  il  principio  di  eguaglianza; con l'art. 24
della  Costituzione "nella parte in cui non riconosce al cittadino la
libera facolta' di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti
ed  interessi  legittimi,  essendo  la  difesa  inviolabile  sempre e
dovunque";  e infine "con tutto lo spirito etico e morale della carta
costituzionale secondo il quale sul destino del cittadino non possono
ne'  devono  pesare  fatti  ed atti da esso non voluti: siano essi la
nascita, il suo sito ed il suo nome";
        che   inoltre   il   rimettente  -  rammentato  che,  secondo
l'orientamento  della  Corte di cassazione, il ricorso in opposizione
all'ordinanza-ingiunzione  deve  essere  materialmente  consegnato al
personale  dell'ufficio  giudiziario  e  non  puo' essere inviato per
posta  o  con  altre forme di trasmissione, come ad esempio il fax, e
che   "nel  ricorso  l'opponente,  ove  non  abbia  in  loco  un  suo
procuratore  ...  e' obbligato a dichiarare od eleggere domicilio nel
comune  in  cui  ha sede il giudice adito, e a presentarsi alla prima
udienza,  per  evitare  la  convalida del provvedimento opposto ... a
differenza  dell'ordinario  rito  civilistico  per quanto riguarda la
cancellazione  della causa dal ruolo (art. 181 c.p.c.)" - afferma che
questo  quadro normativo non garantirebbe "a chi intende opporsi alla
sanzione,   che   non   sia  assistito  da  un  legale,  la  concreta
possibilita'  di difendersi, tenuto conto dei gravami procedurali che
vengono  a  trovarsi  sull'iter  processuale del ricorrente, in tema,
peraltro, di modesta offensivita', ed in particolare impone "di adire
il giudice del luogo in cui e' stata commessa la presunta violazione,
anziche' quello di residenza del ricorrente";
        che, con le ordinanze di rimessione iscritte ai nn. 476, 477,
478, 479, 563 e 564, lo stesso rimettente - in giudizi di opposizione
a  sanzione  amministrativa  promossi  nei  confronti  del  comune di
Sant'Ilario   dello  Jonio,  avverso  verbali  di  contestazione  non
immediatamente  notificati,  per  violazioni dell'art. 142 del d.lgs.
n. 285 del 1992 - ha sostanzialmente proposto la stessa questione;
        che,  in  particolare,  l'ordinanza n. 564 ha una motivazione
assolutamente  identica  alla  n. 475,  mentre le altre mancano della
parte  nella  quale  questa  ordinanza  da'  atto che a seguito della
presentazione  del ricorso era stata fissata udienza di comparizione,
che  la  notificazione  era avvenuta in cancelleria e che l'opponente
non  era  comparso,  nonche'  della  parte  di motivazione successiva
all'enunciazione  del preteso contrasto con "tutto lo spirito etico e
morale  della  carta  costituzionale"  di  cui  sopra si e' detto, ed
inoltre  invocano  solo  i  parametri  di cui agli artt. 3 e 24 della
Costituzione;
        che  e'  intervenuto  in  tutti  i  giudizi il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  tramite l'Avvocatura generale dello Stato,
che  ha depositato memorie, nella quale ha sostenuto che le sollevate
questioni   sarebbero   inammissibili   e   comunque   manifestamente
infondate.
    Considerato  che  i giudizi promossi dalle ordinanze in epigrafe,
proponendo   sostanzialmente   la  stessa  questione,  devono  essere
riuniti;
        che  dal  coordinamento fra la motivazione delle ordinanze di
rimessione   ed   il   tenore   del  loro  dispositivo,  che  impugna
espressamente il disposto degli articoli 22, terzo comma, e 23 quarto
comma,  della  legge  24 novembre  1981, n. 689 (Modifiche al sistema
penale)  "nella  parte  in  cui  non  prescrive, al comma secondo del
medesimo  art. 23,  la notifica all'opponente presso la sua residenza
anagrafica"  si evince che la lamentata lesione della Costituzione e'
ravvisata   dal   rimettente  esclusivamente  nella  circostanza  che
l'opponente,    il    quale   proponga   l'opposizione   a   sanzione
amministrativa  con  esercizio  della  facolta' di difesa personale e
senza  fare  dichiarazione  di  residenza o elezione di domicilio nel
comune  ove  ha  sede  il  giudice  adito,  debba  ricevere  tutte le
notificazioni presso la cancelleria del giudice adito;
        che,  invece,  dall'esame  coordinato della motivazione e del
dispositivo,  emerge  che  nessuna questione il rimettente propone in
ordine  alla regola di competenza territoriale per cui le opposizioni
a  sanzione  amministrativa  si propongono al giudice del luogo della
commessa  violazione,  ed  in  particolare ai correlativi effetti sul
diritto  di  azione,  anche in relazione agli oneri di partecipazione
personale dell'opponente alle udienze;
        che,  peraltro,  la  norma  alla  quale  si  correla  l'unica
questione proposta non e' contenuta nei commi dell'art. 22 e 23 della
legge  n. 689  del  1981,  evocati  dal  rimettente, ma si ricava dal
combinato  disposto  dell'art. 22,  quarto  e  quinto  comma, onde la
questione  va  evidentemente  riferita  a  questi  due  commi,  cosi'
correggendosi la palese erroneita' dell'indicazione normativa, in cui
e' incorsa l'ordinanza;
        che inesattamente il rimettente assume che la questione cosi'
proposta  comporterebbe  il  riesame  di quella considerata da questa
Corte con l'ordinanza n. 42 del 1988, la quale, invece, concerneva la
mancata  previsione  di  una dichiarazione di residenza o elezione di
domicilio della parte opponente in un comune sito nel circondario del
giudice  adito  (allora il pretore), piuttosto che nel comune sede di
quel giudice;
        che,  a  differenza  di  tale questione (peraltro riesaminata
dalla  Corte anche con la successiva sentenza n. 431 del 1992, di cui
il rimettente non tiene conto), la questione ora prospettata concerne
la  mancata  previsione  del  diritto  della  parte opponente, che si
difenda   personalmente,  di  ricevere  le  notificazioni  nella  sua
residenza  anagrafica,  si trovi essa o meno nell'ambito territoriale
della giurisdizione del giudice adito;
        che,  cosi'  come prospettata, la questione e' manifestamente
infondata;
        che  le  ordinanze non contengono alcuna specificazione circa
le ragioni della non manifesta infondatezza della questione quanto ai
parametri  costituzionali dell'art. 3 e dell'art. 111, secondo comma,
Cost., i quali risultano invocati del tutto apoditticamente;
        che  in ordine all'unico parametro costituzionale riguardo al
quale  e'  specificata  una motivazione di non manifesta infondatezza
(cioe'  l'art. 24 Cost., con riferimento alla garanzia del diritto di
agire  in  giudizio)  la lesione di esso risulta esclusa dalla stessa
prospettazione  del  rimettente,  secondo  cui l'opponente che agisca
personalmente  incontrerebbe  difficolta'  ad  esercitare  il proprio
diritto  di  azione,  perche' costretto a dichiarare la residenza o a
eleggere domicilio nella giurisdizione del giudice adito, senza poter
ricevere le notificazioni nella propria residenza anagrafica;
        che  l'incongruita' di tale prospettazione e' resa palese dal
rilievo  che l'onere di indicare la residenza o di eleggere domicilio
deve  essere  inquadrato  in  un  sistema che impone all'opponente di
proporre  l'opposizione  a  sanzione  amministrativa  (e,  quindi, di
svolgere  il  momento  iniziale  del suo diritto di azione) avanti al
giudice  del  luogo  in  cui  e'  stata  commessa  la violazione, con
assoluta  indifferenza  rispetto  al  luogo della sua residenza ed in
particolare  all'eventualita' che egli risieda al di fuori del comune
sede del giudice adito;
        che   infatti   -   una   volta  esclusa  la  contrarieta'  a
Costituzione  di questa regola di competenza territoriale, nonostante
gli  oneri  di  partecipazione  allo svolgimento processuale connessi
alla  presentazione  in  udienza  -  la  prescrizione  dell'onere  di
indicazione  della  residenza o dell'elezione di domicilio nel comune
sede del giudice adito, con i sacrifici che ad essa si correlano, non
solo   esprime   una   scelta   discrezionale  del  legislatore  (non
diversamente  da  quanto questa Corte ha gia' rilevato nella sentenza
n. 431  del 1992), ma risulta ragionevole e non lesiva del diritto di
azione,   in  quanto  funzionale  a  un  piu'  immediato  ed  agevole
espletamento  delle formalita' della notificazione (che, con norma di
favore  per  l'esercizio  del  diritto di azione, sono poste a carico
dell'ufficio,  come  emerge  dall'art. 23,  nono  comma,  della legge
n. 689 del 1981);
        che,  pertanto,  la  questione  sollevata  dalle ordinanze in
epigrafe,   nei  termini  in  cui  e'  stata  proposta,  deve  essere
dichiarata manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  secondo  comma,  delle  norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  degli  articoli  22, terzo comma, e 23,
secondo e quarto comma [rectius dell'art. 23, quarto e quinto comma],
della  legge  24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale),
sollevata  dal giudice di pace di Locri, in riferimento agli articoli
3 e 24 della Costituzione con tutte le ordinanze in epigrafe ed anche
in  riferimento  all'art. 111, secondo comma, della Costituzione, con
le sole ordinanze iscritte ai nn. 475 e 564 r.o. del 2001.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2002.
                         Il Presidente: Vari
                         Il redattore: Bile
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 7 giugno 2002.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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