N. 249 ORDINANZA 5 - 14 giugno 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Previdenza  e  assistenza  -  Ripetizioni di indebito pensionistico -
  Restituzione   delle   somme  indebitamente  erogate  a  titolo  di
  trattamento  pensionistico  per  i  periodi  anteriori al 1 gennaio
  1996,  con esclusione dei soli percettori di un reddito imponibile,
  per  il  1995,  di  importo  pari  o  inferiore a lire 16 milioni -
  Retroattivita'   della   disciplina -   Prospettata  disparita'  di
  trattamento  tra  pensionati, con lesione del principio di certezza
  giuridica  e  di  affidamento  e  del  principio di adeguatezza dei
  trattamenti  previdenziali  - Sopravvenienza legislativa in tema di
  indebito   previdenziale   e   mutamento  del  quadro  normativo  -
  Restituzione degli atti ai giudici rimettenti.
- Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 260 e 261.
- Costituzione, artt. 3 e 38.
(GU n.24 del 19-6-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Valerio  ONIDA, Carlo
MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,
Francesco AMIRANTE;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 260 e
261,    della    legge    23 dicembre   1996,   n. 662   (Misure   di
razionalizzazione  della  finanza  pubblica),  promossi con ordinanze
emesse  il  5 marzo  2001  dal  Tribunale  di  Roma, il 30 marzo e il
24 maggio  2001  dal  Tribunale di Viterbo e il 14 novembre 2001 (n.2
ordinanze)  dal  Tribunale  di  Macerata, rispettivamente iscritte ai
nn. 493,  732 e 773 del registro ordinanze 2001 ed ai nn. 93 e 94 del
registro  ordinanze  2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica  nn. 26,  39  e 40, prima serie speciale, dell'anno 2001 e
n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2002.
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Di  Clemente Giuseppe, di
Pianeselli  Angelica,  di  Panfini  Giovanni, di Arcangeli Vincenzo e
dell'Inps,   nonche'  gli  atti  di  intervento  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  23 aprile  2002  il  giudice
relatore Riccardo Chieppa;
    Udito  gli  avvocati  Domenico Concetti per Di Clemente Giuseppe,
Silvano  Piccininno  per  Pianeselli Angelica, Giovanni Angelozzi per
Panfini  Giovanni, Franco Agostini per Arcangeli Vincenzo, Alessandro
Riccio  per  l'Inps  e  l'Avvocato  dello Stato Giuseppe Stipo per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che  con  ordinanza 5 marzo 2001 il Tribunale di Roma -
nel  corso  di un giudizio volto all'accertamento della insussistenza
dell'obbligo  di  restituzione all'Inps della somma di lire 9.203.670
da  parte  del  ricorrente  per l'avvenuta corresponsione di quote di
integrazione  al trattamento minimo pensionistico in misura superiore
a   quelle   spettanti  -  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 1, commi 260 e 261, della legge 23 dicembre
1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) per
assunta violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione;
        che   il   giudice   rimettente  ha  premesso  che  la  Corte
costituzionale,  con la sentenza n. 166 del 1996, ha affermato che la
ripetibilita' degli indebiti pensionistici relativi alla integrazione
al  minimo  (art. 6,  comma 11-quinquies del d.-l. 12 settembre 1983,
n. 463,  recante "Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria
e  per  il  contenimento  della spesa pubblica, disposizioni per vari
settori  della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini",
convertito  in  legge,  con modificazioni, con l'articolo unico della
legge  11 novembre  1983,  n. 638)  cessa  nei  casi  in  cui  l'ente
previdenziale   abbia   continuato   il   pagamento,  pur  avendo  la
disponibilita'  delle  informazioni necessarie per l'accertamento del
reddito  del  pensionato;  specificando,  pero',  che il limite delle
ripetibilita'  diventa  operativo  una volta trascorsi, ai fini della
acquisizione  da  parte dell'Inps dei dati necessari, i tempi tecnici
"che  il  giudice  valutera'  avuto riguardo eventualmente ai termini
indicati  dall'art. 13, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 412
(Disposizioni  in  materia  di  finanza  pubblica)  utilizzabili come
criterio   di   orientamento";   questo   principio   sarebbe   stato
successivamente recepito anche dalla Corte di cassazione;
        che,  secondo il giudice a quo applicando, al caso sottoposto
al  suo  esame, il citato art. 6, comma 11-quinquies, del d.l. n. 463
del  1983, l'Inps non avrebbe diritto a ripetere le somme corrisposte
in  eccedenza  essendo a conoscenza, secondo quanto emergerebbe dagli
atti,  sin  dal gennaio  del  1986  degli altri redditi posseduti dal
ricorrente;
        che,  continua  il  tribunale  rimettente,  la sopravvenienza
della  legge n. 662 del 1996 imporrebbe al ricorrente la restituzione
dei  tre  quarti  delle  somme  indebitamente  erogategli. Tale legge
prevede, infatti, che nei confronti dei soggetti, i quali nel periodo
anteriore al 1 gennaio 1996 hanno percepito indebitamente prestazioni
pensionistiche, non si fa luogo al recupero (comma 260) se i soggetti
medesimi  (salva  la  sussistenza  del  dolo  -  comma  265  -) siano
percettori  di  un reddito personale imponibile Irpef per l'anno 1995
di  importo  pari  o  inferiore a lire 16 milioni; mentre il recupero
avverrebbe nella misura dei 3/4, come nella fattispecie in esame, per
i percettori di reddito superiore a tale limite (comma 261);
        che  le  Sezioni  unite  della Corte di cassazione - continua
ancora  il  giudice  a  quo  nella  sentenza  n. 2333  del 1997 hanno
affermato  che  la  disciplina  da  ultimo  richiamata  ha  efficacia
retroattiva ed, in via transitoria, globalmente sostitutiva di quella
anteriore;
        che questo orientamento - sempre secondo il Tribunale di Roma
-,disatteso  da alcune sentenze della sezione lavoro della Cassazione
ed  in  particolare  dalla  sentenza n. 6369 del 1997, nonche' da una
parte  della  giurisprudenza  di merito, e' stato riconfermato da una
nuova pronuncia delle Sezioni unite della stessa Cassazione (sentenza
n. 30 del 2000);
        che,   sempre  secondo  il  giudice  a  quo  le  disposizioni
denunciate  dovrebbero  trovare  applicazione nel giudizio a quo e si
porrebbero in contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione;
        che,  sotto il primo profilo, il tribunale rimettente osserva
che  l'efficacia  retroattiva  di  dette  disposizioni  "comporta che
fattispecie  ricadenti  nel  medesimo  arco  temporale siano trattate
diversamente   solo   in  relazione  all'epoca  del  procedimento  di
recupero";  questa  conseguenza di disciplina comprometterebbe (Corte
costituzionale,  sentenza n. 39 del 1993) "l'affidamento di una vasta
categoria  di  cittadini  nella  sicurezza  giuridica che costituisce
elemento fondamentale dello Stato di diritto";
        che, sotto il secondo profilo, si sottolinea che l'articolata
normativa,  in  materia  di  indebito  previdenziale,  di deroga alla
disciplina  generale  prevista dall'art. 2033 cod. civ. si fonderebbe
sulla  presumibile  immediata  destinazione  delle  somme percepite a
titolo  di  trattamento  pensionistico  alla soddisfazione di bisogni
primari  del  pensionato  e  della  sua famiglia; in quest'ottica, il
riferimento   al   reddito  del  pensionato  potrebbe  costituire  un
parametro  idoneo  di  verificazione  della  possibilita' concreta di
restituzione  soltanto  per  il  singolo  anno  in cui e' avvenuto il
pagamento della somma indebita;
        che   le   norme  impugnate,  conclude  il  tribunale  a  quo
riferendosi  al  solo  1995  per  la  rilevabilita'  del reddito e in
mancanza   di   qualsiasi   limite   temporale  alla  retroattivita',
comporterebbero,  invece, la possibilita' per l'ente previdenziale di
chiedere la restituzione di somme erogate al pensionato che nell'anno
dell'indebita erogazione abbia percepito un reddito non elevato;
        che  si  e'  costituito  il  ricorrente  nel  giudizio  a quo
riprendendo le argomentazioni sviluppate nell'ordinanza di rimessione
e   concludendo  per  l'accoglimento  della  sollevata  questione  di
legittimita' costituzionale;
        che  si e' costituita l'Inps chiedendo che la questione venga
dichiarata  infondata,  richiamandosi  alle motivazioni addotte dalla
Cassazione  nella  sentenza n. 6291 del 1997 e alla ratio della legge
n. 662  del 1996 consistente nella volonta' di dettare una disciplina
improntata  ad  una  logica di equo contemperamento delle esigenze di
bilancio   con   gli   interessi  dei  privati;  l'adesione,  invece,
all'interpretazione    secondo   cui   la   sopravvenuta   disciplina
dell'indebito  abbia introdotto limiti alla ripetibilita' destinati a
sommarsi a quelli anteriori e non a sostituirli avrebbe, di converso,
l'effetto   di   spostare  gli  equilibri  prodotti  dalla  normativa
previgente  in  senso  unidirezionale  a  solo favore dei bisogni dei
singoli;
        che  la  difesa  dell'Inps  osserva,  inoltre,  che:  a)  non
potrebbe  configurarsi  la  prospettata disparita' di trattamento non
contrastando   con   il   principio  di  eguaglianza  una  differente
disciplina  applicata  alla medesima categoria di soggetti in momenti
diversi,   costituendo   lo  stesso  fluire  del  tempo  un  elemento
diversificatore;  b)  erogazioni non dovute non potrebbero concorrere
all'integrazione  della  prestazione  previdenziale  adeguata;  c) il
suddetto  principio  di  adeguatezza  andrebbe  realizzato nei limiti
della  compatibilita'  con  le  risorse disponibili, rientrando nella
discrezionalita'    del   legislatore   introdurre   modifiche   alla
legislazione  di  spesa  al  fine  di  salvaguardare l'equilibrio del
bilancio e perseguire gli obiettivi della programmazione finanziaria;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
chiedendo che la questione venga dichiarata manifestamente infondata;
la   difesa   erariale   sottolinea,  in  particolare,  il  carattere
transitorio     della    disciplina    censurata    che,    comunque,
salvaguarderebbe  le  esigenze  vitali  del  pensionato  e  della sua
famiglia, con richiamo alla motivazione della sentenza n. 30 del 2000
delle Sezioni unite della Cassazione, in cui si evidenzia l'esigenza,
in  materia  di obbligazioni pubbliche, di assicurare "la definizione
in tempo ragionevole di liti troppo numerose ed il conseguente rapido
riordino di un servizio pubblico";
        che con ordinanza 30 marzo 2001 il Tribunale di Viterbo - nel
corso  di  un  giudizio  in  cui  il  ricorrente chiedeva che venisse
dichiarata   irripetibile   dall'Inps  la  somma  di  lire  8.886.150
indebitamente  erogata  nel periodo 1 gennaio 1986-31 dicembre 1994 -
ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale delle stesse
norme,   gia'   censurate  dalla  ordinanza  del  Tribunale  di  Roma
soprarichiamata,    con    riferimento    ai    medesimi    parametri
costituzionali, ritenendo l'esistenza di un diritto vivente culminato
con la richiamata sentenza delle Sezioni unite della Cassazione n. 30
del 2000;
        che  secondo il Tribunale di Viterbo, ai fini della rilevanza
della   questione,   l'eventuale   emanazione   di  una  sentenza  di
accoglimento    comporterebbe   l'applicabilita'   della   previgente
disciplina  sull'indebito  di  cui  agli  artt. 80  del regio decreto
28 agosto   1924,   n. 1422   (Approvazione   del   regolamento   per
l'esecuzione   del   r.d.   30 dicembre  1923,  n. 3184,  concernente
provvedimenti per l'assicurazione obbligatoria contro l'invalidita' e
la  vecchiaia);  52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione
dell'Inps  e  dell'Inail)  e  13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412
(Disposizioni   in  materia  di  finanza  pubblica)  con  conseguente
irripetibilita'  sicuramente degli indebiti sorti sotto il vigore del
citato  art. 52  della legge n. 88 del 1989; detto articolo, infatti,
richiede,  per  negare  la  ripetizione,  unicamente  il  presupposto
dell'assenza  del  dolo  dell'interessato  che non potrebbe desumersi
dall'avere questi taciuto la titolarita' di altra pensione, in quanto
il  silenzio  sarebbe  stato  equiparato al dolo soltanto dalla legge
n. 412 del 1991;
        che  si  e' costituita in giudizio la parte privata la quale,
dopo  avere  illustrato  il  quadro  normativo  di  riferimento  e  i
contrapposti  orientamenti giurisprudenziali esistenti in materia, ha
ribadito  che,  aderendo  alla tesi sostenuta da ultimo dalle Sezioni
unite   della   Cassazione   con  la  sentenza  n. 30  del  2000,  si
violerebbero gli artt. 3 e 38 della Costituzione;
        che,  in  relazione  all'art. 3  della Costituzione, la parte
privata sottolinea (oltre a quanto gia' sostenuto dal rimettente) che
l'art. 3,  comma  217,  della  legge  n. 662  del 1996, fissando al 1
gennaio  1997 l'entrata in vigore della legge stessa (mentre la norma
impugnata  stabilisce  che  la  nuova  disciplina  trova applicazione
soltanto  per  gli  indebiti anteriori al 1 gennaio 1996), renderebbe
"ancora   piu'  irrazionale  ed  ingiustificabile  la  disparita'  di
trattamento"  tra  pensionati  cui  si  applica  la legge impugnata e
quelli  che,  invece,  possono  avvalersi  dell'irripetibilita' per i
debiti  relativi all'anno 1996, anteriore all'entrata in vigore della
legge  n. 662  del  1996, oltreche', a fortiori per i debiti relativi
agli anni successivi alla stessa entrata in vigore della legge;
        che,  sempre in riferimento all'art. 3 della Costituzione, si
evidenzia   l'irragionevolezza   delle   disposizioni  censurate  che
lederebbero  gravemente la certezza del diritto nonche' l'affidamento
di  una  vasta  categoria  di  cittadini  nella  sicurezza giuridica,
oltreche' introdurre una deroga del tutto irrazionale ai principi che
governano  la  successione temporale delle norme, alla luce dei quali
occorrerebbe  avere riguardo, in tema di indebito pensionistico, alla
data  di  esecuzione  del  pagamento  delle  somme  delle quali e' in
contestazione la restituzione;
        che,  infine,  in riferimento all'art. 38 della Costituzione,
sempre  secondo la parte privata, le norme impugnate - consentendo la
ripetizione  anche di somme percepite in buona fede e impiegate per i
bisogni   alimentari  del  pensionato  e  della  propria  famiglia  -
determinerebbero  la  violazione  del  diritto  a  disporre  di mezzi
adeguati  alle esigenze di vita in relazione agli eventi indicati dal
secondo comma del suddetto art. 38 della Costituzione;
        che  anche  in  questo giudizio si e' costituita l'Inps ed e'
intervenuta  la  Presidenza  del  Consiglio dei ministri ribadendo le
precedenti argomentazioni e conclusioni;
        che,  con  una  seconda  ordinanza decisa il 24 maggio 2001 e
depositata  il  4 giugno  successivo,  il  Tribunale  di  Viterbo  ha
sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  dello  stesso
contenuto  di  quella  riportata,  nel corso di un giudizio di rinvio
dalla  Cassazione  in  cui  l'Inps  chiedeva  che  venisse dichiarata
ripetibile  nei  limiti  di  tre  quarti la somma di lire 18. 896.745
indebitamente erogata nel periodo 1 gennaio 1986-31 dicembre 1998;
        che  il  giudice  a  quo  riprende le medesime argomentazioni
illustrate   a   sostegno   della  fondatezza  della  questione  gia'
sollevata,   soffermandosi,   in   particolare,   sul  profilo  della
rilevanza,  sottolineando  la  circostanza  che l'indebito si sarebbe
formato  nel  periodo  che  va  dal  1986  al  1988,  con conseguente
applicazione  dell'art. 80  del r.d. n. 1422 del 1924; il rimettente,
pero',   sottolinea   che  si  sarebbe  formato  il  giudicato  sulla
statuizione   del   pretore,   in  ordine  invece  all'applicabilita'
dell'art. 52  della  legge  n. 88  del 1989, non essendo stato questo
punto  della  decisione  oggetto  di contestazione in sede di appello
dinanzi al Tribunale di Roma e in sede del ricorso in Cassazione;
        che,  secondo  l'ultima  ordinanza  del Tribunale di Viterbo,
l'eventuale  accoglimento  della  questione renderebbe applicabile il
citato art. 52 il quale, presupponendo la sola presenza del dolo (non
piu'  contestabile),  condurrebbe  a  negare  la  ripetibilita' delle
prestazioni previdenziali erogate;
        che  anche  in  questo giudizio si e' costituita l'Inps ed e'
intervenuta  la Presidenza del Consiglio ribadendo, ancora una volta,
le precedenti argomentazioni e conclusioni;
        che,  con  due  sintetiche ordinanze del 14 novembre 2001, il
Tribunale   di   Macerata  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale,  sempre  dell'art. 1,  commi  260  e 261, della legge
n. 662   del   1996,   per   violazione  degli  artt. 3  e  38  della
Costituzione,    richiamandosi   alla   "prospettata   questione   di
legittimita'  costituzionale",  senza alcuna ulteriore specificazione
dell'ambito  del  giudizio  pendente,  assumendo: a) la disparita' di
trattamento  tra  situazioni identiche; b) la palese irragionevolezza
della  retroattivita'  della  norma impugnata, pur in mancanza di una
espressa  previsione in tal senso; c) una ingiustificata decurtazione
di    prestazioni    previdenziali   garantite   dall'art. 38   della
Costituzione, non ricorrendo alcuna inderogabile esigenza di bilancio
che possa giustificare la compressione dei diritti degli assicurati;
        che sotto il profilo della rilevanza le ordinanze si limitano
a   sottolineare  che:  "nella  fattispecie  non  si  configura  dolo
dell'accipiens  per  il  solo  fatto del silenzio nelle comunicazioni
all'Inps, in quanto intervenuto precedentemente alla legge n. 412 del
1991 e che e' stato concretamente accertato che l'assicurato presenta
per il 1995 limiti di reddito superiori a lire 16.000.000";
        che  si  sono  costituite,  in  entrambi  i giudizi, le parti
private   chiedendo   l'accoglimento  della  sollevata  questione  di
legittimita' costituzionale;
        che  e' intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri,
per   mezzo   dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ripetendo  le
argomentazioni e conclusioni in precedenza svolte;
        che  si  e',  infine,  costituita  l'Inps  sostenendo, in via
preliminare,  l'inammissibilita'  di  entrambe le questioni sollevate
dal Tribunale di Macerata, per mancanza di qualsiasi riferimento alla
fattispecie  oggetto  del  giudizio,  chiedendo, nel merito che dette
questioni vengano dichiarate infondate;
        che  nell'imminenza  dell'udienza pubblica alcune delle parti
private  dei  giudici  a  quibus  hanno  ribadito  e  piu' ampiamente
illustrato le argomentazioni e conclusioni gia' rassegnate;
        che  la  parte  privata  costituita  nel  giudizio davanti al
Tribunale   di   Roma   (r.o.   n. 493   del  2001)  ha  sottolineato
l'irragionevolezza  della  normativa impugnata per: a) la mancanza di
un  limite temporale alle possibilita' di recupero da parte dell'ente
previdenziale;  b)  il  riferimento al 1995 della soglia reddituale e
non  all'anno  in  cui  viene  chiesta  la  restituzione  della somma
indebitamente   erogata;  c)  l'applicazione  delle  norme  censurate
soltanto  per  le  situazioni passate; ha chiesto, inoltre, che venga
dichiarata    la    illegittimita'    costituzionale   consequenziale
dell'art. 38,  commi  7,  8,  9  e  10, della legge 28 dicembre 2001,
n. 448  (Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale  dello  Stato)  che  ha "prorogato" dal 1 gennaio 1996 al
31 dicembre   2000   l'applicazione  retroattiva  delle  disposizioni
impugnate;
        che  la  parte  privata  costituita  nel  giudizio davanti al
Tribunale  di  Viterbo (r.o. n. 732 del 2001) riprende le motivazioni
gia'  illustrate  insistendo  nell'accoglimento  della  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata;
        che  la  parte  privata  costituita  nel  giudizio davanti al
Tribunale di Macerata (r.o. n. 94 del 2002) sostiene che debba essere
seguito  l'orientamento  espresso in alcune sentenze della Cassazione
(n. 6369  del 1997; n. 6442 del 1997; n. 586 del 1998) secondo cui le
disposizioni  censurate avrebbero introdotto un criterio "aggiuntivo"
e  non  "sostitutivo";  tale  orientamento - sostiene la difesa della
parte  -  sarebbe  condivisibile  in  mancanza,  tra  l'altro, di una
abrogazione  espressa  o  di  una  sospensione  dell'efficacia  della
disciplina preesistente.
    Considerato   che,   pur  in  carenza,  in  alcune  ordinanze  di
rimessione,  di  un  riferimento  -  ai  fini  della rilevanza - alla
fattispecie  del  giudizio  in  corso  avanti  al giudice a quo ed in
presenza di una contraddittorieta' nella prospettazione di un diritto
vivente  in  altre  ordinanze,  e', senz'altro, pregiudiziale ad ogni
altro  profilo  il  rilievo  della  sopravvenienza,  richiamata dalla
difesa  di  alcune  parti  - sia pure a fini diversi -, dell'art. 38,
commi   7,   8,   9  e  10,  della  legge  28 dicembre  2001,  n. 448
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato);
        che   la   predetta  legge  contiene  norme  in  ordine  alla
ripetizione  di  indebito previdenziale, in parte non coincidenti con
quelle oggetto del presente giudizio e tali da poter portare anche ad
una  riconsiderazione  della  natura transitoria o meno degli effetti
sulle ripetizioni di indebito pregresso;
        che, pertanto, si rende necessaria la restituzione degli atti
ai  giudici  rimettenti,  spettando ad essi di valutare se, alla luce
sia dell'intervenuta sopravvenienza legislativa sia del mutamento del
quadro  normativo, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti per
la  definizione  dei  giudizi  pendenti  avanti  agli  stessi giudici
rimettenti  e  se  persistano,  in tutto o in parte, i motivi posti a
base delle ordinanze di rimessione.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Ordina la restituzione degli atti ai giudici rimettenti.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                        Il redattore: Chieppa
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 14 giugno 2002.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
02C0564