N. 306 SENTENZA 20 giugno - 3 luglio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Atto   introduttivo   del  giudizio  -  Impugnazione  governativa  di
  deliberazione   statutaria   regionale  -  Autoqualificazione  come
  ricorso   per   conflitto   di   attribuzione   -   Improprieta'  -
  Interpretazione   dell'atto,   in   base  al  suo  contenuto,  come
  proposizione,  in  via principale, di una questione di legittimita'
  costituzionale.
- Costituzione,  art.  123,  secondo  comma;  legge cost. 22 novembre
  1999,  n. 1;  legge  11 marzo 1953, n. 87, artt. 31, secondo comma,
  33, ultimo comma.
Statuto  regionale  -  Controllo  di  legittimita'  costituzionale  -
  Termine   per   promuovere   la   questione   dinanzi   alla  Corte
  costituzionale - Interpretazione.
- Costituzione, art. 123.
Regione Marche - Deliberazione legislativa statutaria - Denominazioni
  da  utilizzare  per  il  Consiglio  regionale  e  per i consiglieri
  regionali  negli  atti  ufficiali  della Regione - Integrazione con
  quelle   di  "Parlamento"  e  "Deputato"  delle  Marche  -  Ricorso
  governativo  in  via  di  azione  -  Accoglimento  - Violazione del
  divieto  costituzionale  a  siffatte  ulteriori  qualificazioni  in
  ambito  regionale  -  Riferibilita'  esclusiva  delle denominazioni
  cosi'  introdotte  al  Parlamento  nazionale  e  ai  suoi  membri -
  Illegittimita' costituzionale.
- Deliberazione   legislativa   statutaria   approvata,   in  seconda
  votazione, il 25 settembre 2001.
- Costituzione,  artt. 55, 121, 122, primo e quarto comma, 123, primo
  comma.
(GU n.27 del 10-7-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE,
Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di  attribuzione sorto a seguito della
deliberazione  legislativa  statutaria  del Consiglio regionale della
Regione Marche adottata, in seconda votazione, il 25 settembre 2001 e
recante "Consiglio regionale - Parlamento delle Marche", promosso con
ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri, notificato il
2 novembre  2001,  depositato  in  cancelleria  il  12  successivo ed
iscritto al n. 37 del registro conflitti 2001.
    Visto l'atto di costituzione della Regione Marche;
    Udito nell'udienza pubblica del 7 maggio 2002 il giudice relatore
Carlo Mezzanotte;
    Uditi   l'avvocato  dello  Stato  Ignazio  F.  Caramazza  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Stefano Grassi per
la Regione Marche.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  proposto
ricorso,  denominato  conflitto  di attribuzione, in riferimento agli
articoli  1, 5, 55, 114, 115 (articolo abrogato dall'art. 9, comma 2,
della  legge  costituzionale  18 ottobre 2001, n. 3), 121 e 123 della
Costituzione,  avverso  la  deliberazione  legislativa statutaria del
Consiglio   regionale  della  Regione  Marche  adottata,  in  seconda
votazione,  il  25 settembre  2001  e  recante "Consiglio regionale -
Parlamento  delle  Marche",  nella  quale si dispone che in tutti gli
atti ufficiali della Regione alla dizione "Consiglio regionale" venga
affiancata  quella  di  "Parlamento  delle  Marche"  e  alla  dizione
"Consigliere regionale" quella di "Deputato delle Marche".
    L'Avvocatura  dello Stato contesta in primo luogo la possibilita'
di   impiegare   il   procedimento   previsto   dall'art. 123   della
Costituzione  per apportare modifiche parziali allo statuto regionale
approvato  con  legge  statale.  L'art. 123  della  Costituzione,  si
argomenta,  attribuisce  al  legislatore  regionale  la  potesta'  di
approvare  e  modificare lo statuto, e da cio' dovrebbe desumersi che
sia  bensi'  consentito  approvare  un  nuovo statuto organico, salva
successiva  sua  modifica,  ma non emendare lo statuto vigente e dare
vita, con cio', ad un testo statutario "misto".
    Nel   merito,   il  ricorrente  lamenta  che  il  cambiamento  di
denominazione dell'organo rappresentativo regionale, sia pure solo in
via  aggiuntiva,  lederebbe  attribuzioni  statali costituzionalmente
garantite.   La  denominazione  "Parlamento",  secondo  l'Avvocatura,
assumerebbe  particolare  pregnanza  nell'ordinamento  costituzionale
italiano, nel quale la posizione eminente dell'organo rappresentativo
del  popolo rifletterebbe la sovranita' popolare che esso rappresenta
ed  esprime.  La  locuzione  "Consiglio  regionale",  con la quale la
Costituzione  designa l'organo rappresentativo della Regione e che e'
stata  di  recente  ribadita  dalla  legge costituzionale 22 novembre
1999,   n. 1   (Disposizioni   concernenti   l'elezione  diretta  del
Presidente  della  Giunta  regionale  e  l'autonomia statutaria delle
Regioni),  individuerebbe,  al contrario, la titolarita' di poteri di
autonomia,  che,  per  quanto  si  vogliano dilatare, non possono mai
assurgere  alle  dimensioni  della  sovranita'. Secondo la difesa del
Presidente   del   Consiglio  dei  ministri  la  delibera  impugnata,
intitolando   l'organo   rappresentativo   regionale  con  lo  stesso
appellativo  spettante  alle  Camere ed attribuendo ai suoi membri la
qualifica   di   "deputato",   si  arrogherebbe,  in  definitiva,  la
titolarita' di un potere sovrano che spetta soltanto alla Repubblica,
una e indivisibile.
    2. - Si e' costituito, per la Regione Marche, il Presidente della
Giunta regionale e ha chiesto che il ricorso statale venga rigettato.
    In  via  preliminare  la difesa della Regione nega che l'art. 123
ammetta  solo  la  approvazione  di un testo statutario organico, sul
rilievo  che  cio'  significherebbe  svalutare l'autonomia statutaria
regionale,  la  quale,  cosi' come potrebbe essere esplicata in pieno
con l'approvazione di uno statuto interamente nuovo, allo stesso modo
potrebbe  essere esercitata anche per approvare norme che lo emendino
solo parzialmente.
    Nel  merito  della  censura principale, la Regione Marche osserva
come le addizioni lessicali introdotte dalla deliberazione statutaria
oggetto di conflitto intendano esprimere con immediatezza il rapporto
che  intercorre  tra  le  assemblee  elettive  regionali  ed il corpo
elettorale.  Le  Regioni, infatti, sarebbero espressione di comunita'
intermedie  nelle  quali  si  sviluppa  la  personalita'  dell'uomo e
concorrerebbero  alla  crescita del pluralismo sociale, nella cornice
di  una  Repubblica  che  e'  una  e indivisibile, "ma che e' tale in
quanto   risultato,   e   non   mero   presupposto,   del  pluralismo
istituzionale  e  delle istanze di autonomia che ne caratterizzano il
tessuto  democratico". L'intuizione dei Costituenti, secondo la quale
la   democraticita'  del  sistema  dipenderebbe  dalla  capacita'  di
promuovere  e  sviluppare forti autonomie locali, avrebbe trovato una
attuazione  coerente  nelle recenti riforme costituzionali improntate
ad  un  potenziamento  delle autonomie regionali. In particolare, per
effetto  delle leggi costituzionali n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001, il
ruolo  del  Consiglio regionale sarebbe stato fortemente accresciuto,
cosi'   da   giustificare   la  innovazione  statutaria  che  intende
designarlo con il nomen di Parlamento.
    Del  resto,  continua la Regione, l'addizione lessicale di cui e'
questione  e'  stata  introdotta  con  una  deliberazione legislativa
statutaria  che  trova  fondamento  nell'art. 123, primo comma, della
Costituzione,  la'  dove  si  conferisce  alla Regione la potesta' di
determinare,  "in  armonia  con la Costituzione", la propria forma di
governo ed i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento.
E  poiche'  l'armonia con gli statuti dovrebbe sussistere rispetto ai
principi  costituzionali,  cosi'  da  lasciare  spazio ad un'autonoma
capacita'  di interpretazione degli stessi da parte della Regione, la
scelta  di  affiancare  il  termine  Parlamento a quello di Consiglio
regionale   sarebbe   perfettamente   legittima,   perche'  essa  non
metterebbe  in  discussione  il  sistema organizzativo definito dalla
Costituzione,  ma  semmai  ne  svilupperebbe  i  principi ispiratori.
Verrebbe  in rilievo, segnatamente, il principio di unita', il quale,
secondo  la  difesa  regionale,  non  dovrebbe essere inteso in senso
statalistico  come  "esigenza di necessaria coerenza dell'ordinamento
giuridico  o  come  individuazione di un'unica sede in cui fissare la
volonta'  generale,  rispetto  alla  quale  gli altri organi pubblici
abbiano  un  mero compito di specificazione". Al contrario l'unita' e
indivisibilita'  della  Repubblica non imporrebbero l'uniformita', ma
sarebbero  dirette  a  limitare  le degenerazioni del pluralismo e ad
evitare  che  esso  trasmodi in separatismo e secessionismo. L'unita'
andrebbe  infatti  ricomposta  intorno  agli  obiettivi  posti  dagli
articoli  2  e 3 della Costituzione: garantire la dignita' e il pieno
sviluppo della persona umana e realizzare il principio di eguaglianza
sostanziale,   rimuovendo   gli  ostacoli  che  a  tale  sviluppo  si
oppongono.  Le  denominazioni  di  Parlamento delle Marche e Deputato
delle  Marche  sarebbero,  insomma,  pienamente  legittime, in quanto
designerebbero,   nel  pluralismo  delle  articolazioni  democratiche
dell'ordinamento, un soggetto in grado di perseguire i fini unitari e
di  solidarieta'  additati dalla Costituzione e rappresenterebbero al
contempo  l'espressione di un concetto di autonomia piu' moderno, che
non si risolve in un insieme di relazioni funzionali ed organiche, ma
che  esprime,  in  positivo,  il  modo di organizzarsi sul territorio
della  comunita'  che  e'  rappresentata dal Consiglio regionale. Nel
quadro  cosi'  delineato,  il Consiglio regionale rappresenterebbe il
momento  di autodeterminazione della collettivita' nell'esercizio dei
poteri   pubblici   e   dunque   potrebbe   legittimamente  fregiarsi
dell'appellativo di Parlamento.
    3. - In  prossimita' dell'udienza la Regione Marche ha depositato
una  memoria  illustrativa  nella quale, preso atto della sentenza di
questa  Corte  n. 106 del 2002, con cui e' stato vietato al Consiglio
regionale   della   Regione   Liguria   l'uso   della   denominazione
"Parlamento", espone alcune eccezioni di inammissibilita' del ricorso
statale. Si osserva al riguardo che il Governo ha proposto ricorso in
sede   di   conflitto   di   attribuzione,  mentre  l'art. 123  della
Costituzione  prevede  quale  forma  di  controllo  dello  statuto il
promovimento   di   una  questione  di  legittimita'  costituzionale.
Inoltre,  secondo  la  difesa della Regione Marche, l'art. 123, terzo
comma, Cost. prevederebbe che il controllo di costituzionalita' sulla
legge statutaria avrebbe carattere successivo, in perfetta coerenza e
simmetria  con  quanto  dispone  l'art. 127  Cost., con riguardo alle
leggi  regionali.  Da  cio'  discenderebbe  una  ulteriore ragione di
inammissibilita'  del  ricorso  governativo, poiche' la legge oggetto
del giudizio non e' stata ancora promulgata e dunque l'iter formativo
non si e' ancora perfezionato.
    Ad  avviso  della  Regione Marche non sarebbe decisivo il rilievo
che  ad  un  intervento  della  Corte  successivo  al  pronunciamento
popolare  si  opporrebbero  gravi  ragioni  di opportunita'. Dovrebbe
infatti considerarsi, da un lato, che il referendum e' solo eventuale
e  che  si sono gia' date ipotesi di giudizi della Corte su norme che
avevano  costituito  oggetto  di consultazione popolare referendaria;
dall'altro,   e   soprattutto,   che,  in  un  sistema  di  giustizia
costituzionale   nel  quale  la  Corte  interviene  post  eventum  la
collocazione   infraprocedimentale   del   controllo,   specie   dopo
l'abolizione   del   controllo   preventivo  sulle  leggi  regionali,
rappresenta una deroga, che dovrebbe essere esplicitamente prevista e
non   dedotta   dalla  collocazione  topografica  delle  disposizioni
costituzionali.
    Con  riferimento  al  secondo  motivo di ricorso, con il quale la
difesa  erariale assume che l'attribuzione al Consiglio regionale del
nomen  Parlamento  integri  una  lesione  del principio di sovranita'
popolare,  la  Regione riporta alcuni passi della sentenza n. 106 del
2002  dai  quali  risulterebbe  inequivocabilmente come la sovranita'
nazionale   non  abbia  la  propria  sede  esclusiva  nel  Parlamento
nazionale.  La  difesa  della  Regione soggiunge che l'art. 123 Cost.
attribuisce  alla  potesta'  statutaria  regionale  la  competenza  a
disciplinare  la  forma  di  governo e ritiene che in tale competenza
dovrebbe  considerarsi  incluso  il  momento  della  individuazione e
definizione   degli  organi  regionali,  cio'  che  implicherebbe  la
possibilita'  di  attribuire  a  quelli  previsti  dalla Costituzione
dizioni lessicali integrative rispetto agli attuali nomina iuris.
    In    quanto    adottata   nell'esercizio   della   potesta'   di
determinazione  della  propria  forma  di  governo,  la deliberazione
impugnata,   argomenta  ulteriormente  la  Regione,  dovrebbe  essere
scrutinata in relazione al limite della armonia con la Costituzione e
tale  limite  dovrebbe  essere  riferito  alle  scelte  di  fondo che
ispirano  la  Carta, non anche all'osservanza puramente formale delle
singole   disposizioni  costituzionali  o  alla  mera  corrispondenza
terminologica   tra   testo   costituzionale  e  statuto.  In  questa
prospettiva,  la  delibera  oggetto  di conflitto, che adeguerebbe il
nomen  iuris  dell'organo  al  suo  ruolo  istituzionale, non sarebbe
orientata contro la Costituzione e quindi risulterebbe in armonia con
essa.
    L'atto  oggetto  del  conflitto  non  sarebbe  neppure lesivo del
principio   di   rappresentanza  politica  posto  dall'art. 67  della
Costituzione,  poiche'  valorizzerebbe  la funzione di rappresentanza
propria  del  Consiglio  e  dunque  legittimamente  impiegherebbe  il
termine  Parlamento,  per la parte in cui esso si riferisce alla sede
esclusiva della rappresentanza politica, non solo nazionale, ma anche
territoriale.  L'art. 11  della  legge  costituzionale  n. 3 del 2001
(Modifiche  al  titolo  V della parte seconda della Costituzione), il
quale  stabilisce  che  "sino alla revisione delle norme del titolo I
della  parte  seconda  della Costituzione, i regolamenti della Camera
dei  deputati  e  del  Senato  della  Repubblica possono prevedere la
partecipazione   di  rappresentanti  delle  Regioni,  delle  Province
autonome  e  degli  enti  locali alla Commissione parlamentare per le
questioni regionali", secondo la Regione, dovrebbe rendere chiaro che
nella   nozione  "vivente"  di  Parlamento,  quale  risultante  dalla
rilettura del principio della rappresentanza politica alla luce della
riforma  del  titolo  V  della  parte II, l'istanza di rappresentanza
nazionale  convive  con  quella della rappresentanza territoriale. La
deliberazione  impugnata  sarebbe percio' perfettamente legittima, in
quanto   affiderebbe   proprio   al   profilo   autonomistico   della
rappresentanza  politica che e' insito nella nozione di Parlamento il
compito   di   colmare   il   divario   tra   il   nomen  dell'organo
rappresentativo regionale e la sua funzione politico-istituzionale.

                       Considerato in diritto

    1. - Il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  proposto
ricorso,  denominato  conflitto  di attribuzione, in riferimento agli
articoli  1, 5, 55, 114, 115 (articolo abrogato dall'art. 9, comma 2,
della  legge  costituzionale  18 ottobre 2001, n. 3), 121 e 123 della
Costituzione,  avverso  la  deliberazione  legislativa statutaria del
Consiglio   regionale  della  Regione  Marche  adottata,  in  seconda
votazione,  il  25 settembre  2001  e  recante "Consiglio regionale -
Parlamento  delle  Marche",  nella quale si dispone che, in tutti gli
atti ufficiali della Regione alla dizione "Consiglio regionale" venga
affiancata  quella  di  "Parlamento  delle  Marche"  e  alla  dizione
"Consigliere regionale" quella di "Deputato delle Marche".
    2. - La  Regione  ha eccepito preliminarmente la inammissibilita'
della impugnazione statale, per essere questa formulata in termini di
"ricorso  per conflitto di attribuzione", laddove l'art. 123, secondo
comma,  della  Costituzione prevederebbe, quale mezzo di impugnazione
degli   statuti  regionali,  il  promovimento  di  una  questione  di
legittimita' costituzionale.
    L'eccezione non puo' essere accolta.
    Giova  premettere che questa Corte, nell'esercizio della facolta'
che  le compete di interpretare la natura degli atti introduttivi del
giudizio,  si  e'  sempre attenuta a criteri contenutistici, che sono
prevalsi, nella sua giurisprudenza, sull'analisi puramente esteriore;
criteri    che    le    hanno   consentito   di   prescindere   dalla
autoqualificazione  dell'atto  e  l'hanno spinta a verificare se esso
presenti  i  requisiti necessari per un valido atto introduttivo, con
riguardo  sia alla individuazione dell'oggetto, sia alla attitudine a
garantire  il  pieno  svolgimento  del  diritto di difesa delle parti
(sentenze  n. 15  del 2002; n. 363 e n. 137 del 2001; n. 420, n. 321,
n. 320,  n. 82,  n. 58,  n. 56,  n. 11  e  n. 10  del 2000; ordinanze
n. 264,  n. 150  e n. 61 del 2000). Ebbene, l'intitolazione dell'atto
introduttivo  del  presente  giudizio  come  ricorso per conflitto di
attribuzione  non  osta ad uno scrutinio di merito sulla legittimita'
costituzionale  della deliberazione statutaria adottata dalla Regione
Marche,   giacche'   il  ricorso,  nonostante  evidenti  imprecisioni
nominalistiche,  deve  essere  interpretato  come diretto a sollevare
questione   di   legittimita'  costituzionale  di  una  deliberazione
statutaria  introdotta  nelle  forme  del  giudizio in via di azione.
Quale  sia  la  funzione  e  la natura del ricorso risulta in maniera
inequivoca  dalle  stesse  premesse  dell'atto in questione, la' dove
l'Avvocatura dello Stato sottolinea che quello presentato e' "uno dei
primi ricorsi proposti ai sensi dell'art. 123, comma secondo, periodo
terzo,  Cost., come sostituito dalla legge costituzionale 22 novembre
1999,  n. 1"  e  sente  l'esigenza  di  avvertire che in questa nuova
"tipologia  di  controversie"  deve  trovare  applicazione  "salvo il
diverso  termine  a  ricorrere, l'art. 31, comma secondo, della legge
11 marzo  1953,  n. 87",  e  cioe' proprio la disposizione che regola
l'impugnazione statale di leggi regionali.
    Indicazioni  diverse  non  si  traggono  dalla  deliberazione del
Consiglio  dei  ministri  che  ha  autorizzato  la  proposizione  del
ricorso,  la  quale  contiene la "determinazione di impugnare dinanzi
alla  Corte  costituzionale  la  legge  della  Regione Marche recante
Consiglio  regionale-Parlamento  delle  Marche". Non se ne puo' certo
desumere  che il Governo intendesse autorizzare la proposizione di un
conflitto  di  attribuzione anziche' di un giudizio in via principale
su  legge.  Ancor  piu'  eloquente, se possibile, e' la relazione del
dipartimento  affari regionali allegata al verbale della riunione del
Consiglio  dei  ministri  ed  espressamente  da questo richiamata. In
essa,  in  piu'  punti, si identifica quale oggetto della sollecitata
impugnazione  governativa  la  legge  statutaria e cosi' si conclude:
"nei confronti della legge in esame, pertanto, ai sensi dell'art. 123
della    Costituzione,    cosi'   come   modificato   dalla   novella
costituzionale n. 1 del 1999, viene promossa dal Governo la questione
di   legittimita'   costituzionale  entro  trenta  giorni  dalla  sua
pubblicazione".
    Cosi'  chiarito  che  l'atto  introduttivo  va  inteso  come  una
impugnazione  di  legge  statutaria  ai  sensi dell'art. 123, secondo
comma,    Cost.,    non    puo'   indurre   in   equivoco   l'erronea
autoqualificazione  dell'atto,  che  non vale certo a trasformarlo in
cio' che esso oggettivamente non e'. Non resta allora che verificare,
ai  fini  della  ammissibilita'  del  ricorso,  se  questo presenti i
requisiti   di   legge   per   la  proposizione  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale in via diretta.
    La  domanda  formulata  a questa Corte di dichiarare la lesivita'
della    deliberazione   impugnata   per   violazione   delle   norme
costituzionali indicate e la non spettanza al Consiglio regionale del
potere  di  adottarla, con conseguente annullamento degli atti, al di
la'  della  formulazione  del petitum si risolve oggettivamente nella
proposizione  di  una  questione di legittimita' costituzionale sulla
deliberazione statutaria, della quale ha tutti i requisiti di forma e
di sostanza.
    Ai sensi dell'art. 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87, i ricorsi
che  promuovono le questioni di legittimita' costituzionale in via di
azione  (artt. 31,  32  e  33) devono contenere le stesse indicazioni
prescritte  dall'art. 23  della  medesima  legge  per le ordinanze di
rimessione,  ovvero:  le  disposizioni della legge o dell'atto avente
forza   di   legge   dello   Stato  o  di  una  Regione,  viziate  da
illegittimita' costituzionale, e le disposizioni della Costituzione o
delle  leggi  costituzionali che si assumono violate. Nessuno di tali
requisiti   difetta  nel  ricorso  oggi  all'esame  della  Corte.  E'
innanzitutto  chiara  la  identificazione  dell'atto  che  si  assume
viziato    da   illegittimita'   costituzionale,   atto   del   quale
espressamente  si  chiede,  come generalmente accade in un ricorso in
via  di  azione,  l'annullamento.  Sono inoltre precisati i parametri
costituzionali che si assumono lesi. Si e' pertanto in presenza di un
ricorso governativo contro una legge statutaria.
    Va soggiunto che il ricorso e' stato proposto e depositato presso
la  cancelleria  della Corte non nei piu' ampi termini previsti dagli
articoli 39  e  41  della legge n. 87 per i conflitti di attribuzione
fra  Stato  e  Regioni, ma in quelli stabiliti dall'art. 123, secondo
comma,  della  Costituzione  per  il  promovimento della questione di
legittimita'  costituzionale sullo statuto regionale (30 giorni dalla
pubblicazione)  e  dall'art. 33,  ultimo comma, della legge n. 87 del
1953  per  il  deposito  del  ricorso  nel  giudizio  di legittimita'
costituzionale in via diretta (10 giorni dall'ultima notificazione).
    3. - Pure    da   respingere   e'   la   seconda   eccezione   di
inammissibilita'  sollevata  dalla  Regione  e fondata sull'argomento
che,  ai  sensi  dell'art. 123,  secondo  comma,  della Costituzione,
l'impugnazione  governativa  della  legge statutaria non possa essere
proposta  prima  che questa sia stata promulgata e pubblicata. Questa
Corte  ha  avuto  modo  di  chiarire che il termine per promuovere il
controllo  di  legittimita'  costituzionale  sugli  statuti regionali
"decorre  dalla  pubblicazione  notiziale della delibera statutaria e
non  da  quella, successiva alla promulgazione, che e' condizione per
l'entrata  in  vigore" (sentenza n. 304 del 2002). Anche sotto questo
profilo   il   ricorso  governativo  deve  essere  pertanto  ritenuto
ammissibile.
    4. - Nel merito, la questione e' fondata.
    Nella  sentenza n. 106 del 2002 questa Corte ha gia' affermato il
divieto,   imposto  dalla  Costituzione  ai  Consigli  regionali,  di
fregiarsi  del  nome Parlamento, ponendo in risalto come la peculiare
forza  connotativa  della  parola  impedisca  "ogni  sua declinazione
intesa  a  circoscrivere  in  ambiti  territorialmente piu' ristretti
quella  funzione  di  rappresentanza nazionale che solo il Parlamento
puo'  esprimere  e  che  e' ineluttabilmente evocata dall'impiego del
relativo  nomen". Non varrebbe a superare la cogenza di tale divieto,
desumibile   dagli   articoli   55   e  121  della  Costituzione,  la
constatazione  che  la delibera oggi in esame, a differenza di quella
che  costitui'  oggetto di scrutinio nella menzionata sentenza n. 106
del 2002, presenti la forma della legge statutaria. Anche gli statuti
regionali,  infatti,  ai  sensi dell'articolo 123, primo comma, della
Costituzione,   sono   astretti  dal  limite  della  armonia  con  la
Costituzione,  che,  come  questa  Corte  ha  gia' chiarito (sentenza
n. 304  del  2002),  lungi  dal consentire deroghe alla lettera delle
singole prescrizioni costituzionali, vincola le Regioni a rispettarne
anche lo spirito.
    5. - Ugualmente  fondata  e'  la  questione  che ha ad oggetto la
parte  della delibera impugnata diretta ad affiancare alla dizione di
consigliere   regionale   quella   di  "Deputato  delle  Marche".  In
quest'ambito non vi e' vuoto di denominazioni costituzionali, sicche'
possa   liberamente   procedersi   ad  applicazioni  analogiche.  Con
riferimento alle Regioni, solo i membri dell'Assemblea siciliana sono
identificati  con il nome di "deputati", ma cio' in forza della legge
costituzionale  26 febbraio  1948,  n. 2,  che ha convertito in legge
costituzionale le corrispondenti disposizioni dello statuto approvato
con  regio  decreto  legislativo  15 maggio 1946, n. 455 (3, 5, 6, 7,
8-bis,  9,  11,  12 e 42). Si tratta, all'evidenza, di disciplina del
tutto  eccezionale  che  si spiega per ragioni storiche anche a causa
dell'anteriorita'    dello   statuto   rispetto   alla   Costituzione
repubblicana e che non puo' essere invocata per ricavarne la facolta'
di  utilizzare  il  nome  deputato  in  sede  regionale. Per tutte le
Regioni,  infatti,  il  nomen consigliere, imposto dalla Costituzione
(artt. 122,  primo e quarto comma) e dalle corrispondenti norme degli
statuti speciali (fra gli altri, articoli 24, 25, 28 e 43 della legge
Cost.  n. 5  del  1948 - statuto speciale per il Trentino-Alto Adige;
articoli 24  e 25 legge Cost. n. 4 del 1948 - statuto speciale per la
Valle  d'Aosta;  articoli 24 e 25 legge Cost. n. 3 del 1948 - statuto
speciale  per  la  Sardegna; articoli 13, 14, 15, 16 e 17 legge Cost.
n. 1  del  1963  -  statuto  speciale  per  la Regione Friuli-Venezia
Giulia)  non  e' modificabile ne' integrabile con quello di deputato,
al  quale  diverse  disposizioni della Costituzione (articoli 55, 56,
60,  65,  75, terzo comma, 85, secondo comma, 86, secondo comma, 96 e
126)  annettono  carattere  connotativo, al punto da identificare per
suo  tramite una delle due Camere di cui il Parlamento si compone. Da
cio'  il  duplice  divieto, per i Consigli regionali, di attribuire a
se'  il  nome  di  Parlamento  e  di identificare i propri membri con
quello, che possiede non minore forza evocativa, di "deputato".
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   l'illegittimita'  costituzionale  della  deliberazione
legislativa  statutaria  del Consiglio regionale della Regione Marche
adottata,  in  seconda  votazione,  il  25 settembre  2001  e recante
"Consiglio regionale - Parlamento delle Marche".
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                      Il redattore: Mezzanotte
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 3 luglio 2002.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
02C0649