N. 326 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 2002

Ordinanza  emessa l'11 marzo 2002 dal Notaio di Giulianova sugli atti
relativi a Costantini Andrea ed altro

Donazione  -  Donazione  con  riserva  della  facolta'  di disporre -
  Riserva  del donante di costituire a proprio favore una prestazione
  non  pecuniaria  di  assistenza  morale  e  materiale  a carico del
  donatario (tale da non assorbire l'intero valore del bene donato) -
  Possibilita'  -  Mancata  previsione  - Violazione del principio di
  ragionevolezza   e   di  uguaglianza  -  Contrasto  con  la  tutela
  dell'autonomia  privata  in  materia  patrimoniale e in materia non
  patrimoniale  -  Questione  di  costituzionalita'  sollevata  da un
  notaio nel procedimento di rogazione di un atto pubblico.
- Codice civile, art. 790.
- Costituzione, artt. 2, 3 e 41.
(GU n.28 del 17-7-2002 )
    L'anno duemiladue ed il giorno ventitre' del mese di febbraio;
    In Giulianova, nel mio studio, in Lungomare Spalato n. 20;
    Avanti  a  me  prof. avv. Franco Angeloni, Notaio con residenza a
Giulianova  ed  iscritto  nel ruolo dei Distretti notarili riuniti di
Teramo e Pescara;
    Alla presenza dei testi noti ed idonei signore:
        dott.ssa  Boni  Barbara  in  Di Berardo, nata a Firenze il 18
gennaio  1966,  residente a Teramo, in via della Fonte, n. 1, dottore
in Giurisprudenza;
        sig.ra  Ruscitti  Rosa,  nata  a  Teramo  il  9  marzo  1955,
residente  a  Giulianova,  in via Antonio Gasbarrini n. 17, agente di
assicurazione;
    Si sono costituiti i signori:
        dott. avv. Andrea  Costantini,  nato  a Teramo il 23 novembre
1936  e  residente a Teramo, in via Andrea Costantini, n. 18, notaio,
codice fiscale CST NDR 36S23 L103W;
        dott. Francesco  Costantini,  nato a Roma il giorno 8 ottobre
1970,   con   domicilio  civile  e  fiscale  in  Teramo,  Via  Andrea
Costantini,  n. 18, dottore in giurisprudenza, codice fiscale CST FNC
70R08 H501Y;
    Persone  della  cui identita' personale io notaio sono certo, che
mi richiedono di ricevere il presente atto.

                           P r e m e s s o

    Che  i  signori costituiti hanno manifestato al notaio rogante la
loro  volonta'  in  ordine  alla  stipula  di  un  atto  col quale il
dott. avv. Andrea  Costantini  vorrebbe  donare  al  proprio  figlio,
dott. Francesco  Costantini,  una  porzione immobiliare facente parte
del  fabbricato  sito  in  Teramo, alla Via Andrea Costantini, n. 18,
comprendente  l'intero  piano secondo con annessi locali condominiali
al  piano  terra,  della  consistenza  catastale  complessiva di vani
sette,  confinante con via Costantini, via Mario Capuani, via Nazario
Sauro,  proprieta'  eredi  Albi  o  loro  aventi causa, riportata nel
Catasto dei fabbricati del comune di Teramo alla partita 6597, foglio
69, particella 170 sub 12, via Andrea Costantini, n. 18, p.t. 2, zona
censuaria  1,  categoria  A/3,  classe 3, vani 7,0, Rendita catastale
euro 506,13;
    Che  il  donante,  d'accordo col donatario, intende riservarsi la
facolta'  di  disporre,  se  e  quando  lo  riterra'  opportuno a suo
insindacabile  giudizio, la costituzione a suo favore ed a carico del
donatario,  di  una prestazione di assistenza morale e materiale, con
la  quale  appunto  il  donatario  assuma obbligo di prestare ad esso
donante,  per  tutta  la  sua vita, assistenza morale e materiale, le
quali  devono  essere  dirette a soddisfare ogni sua esigenza di vita
(sulla nozione di dovere di assistenza come dovere di soddisfare ogni
esigenza  di  vita si veda quanto precisato dalla S.C. con le quattro
pronunce  a  sezioni  unite  di  Cass.,  29 novembre 1990, nn. 11489,
11490, 11491 e 11492);
    Che il donante ha espresso al notaio rogante la volonta' che tale
facolta' che intende riservarsi non si trasmetta agli eredi, ma possa
essere esercitata esclusivamente da esso donante durante la sua vita;
    Che   la   traduzione   in   termini   giuridici  della  volonta'
empiricamente  manifestata  al  notaio  rogante  dai  comparenti, cui
secondo   la   migliore   dottrina   notarile  e'  tenuto  il  notaio
nell'esercizio   della   sua   funzione   di  adeguamento,  non  puo'
effettuarsi  mediante la documentazione di una donazione modale, alla
quale  appunto  viene  apposto  un  modo  consistente  nella predetta
prestazione di assistenza assunta dal donatario medesimo, dal momento
che,  come  ha osservato la migliore dottrina, nella donazione modale
abbiamo  la  imposizione  attuale  di  un  peso,  e per l'adempimento
dell'onere  puo'  agire  qualunque interessato, anche durante la vita
del  donante  stesso  (art.  793,  terzo  comma  c.c.),  mentre nella
donazione   voluta   dal   donante   la   facolta'   di  costituzione
dell'obbligazione  di  assistenza puo' essere esercitata appunto solo
dal donante e solo durante la sua vita;
    Che  la  volonta'  espressa dal donante denota inequivocabilmente
che  il  contratto che intende concludere deve essere confezionato in
termini  di donazione con riserva di disporre, nella quale il donante
si  riserva  appunto  di  costituire  a suo favore un'obbligazione di
assistenza;
    Che  l'art. 790  del  vigente  codice civile, nel disciplinare la
donazione  con  riserva di disporre, prevede, oltre alla possibilita'
che  il donante si riservi la facolta' di disporre di qualche oggetto
compreso  nella  donazione,  solo quella della riserva di disporre di
una  determinata  somma  sui beni donati, mentre non contempla alcuna
possibilita'  di  dedurre  nell'ambito del peso (che pero' come si e'
visto  non  costituisce un modo) che viene apposto alla donazione una
prestazione  non  pecuniaria  sospensivamente  condizionata alla mera
volonta' del donante creditore della prestazione medesima;
    Che,  come  stato  affermato  dalla  migliore dottrina, il nostro
ordinamento  non  ammette altre ipotesi di riserva di disporre, e che
la disposizione di cui all'art. 790 c.c. essendo eccezionale rispetto
al    generale   principio   dell'irrevocabilita'   della   donazione
perfezionata,  non  e'  suscettibile di interpretazione analogica, in
conformita' alla regola di cui all'art. 14 prel. c.c.;
    Che  tale  divieto  di analogia e' ulteriormente rafforzato dalla
previsione  di  cui  all'art. 23  Cost.,  ai sensi del quale "nessuna
prestazione  personale  o  patrimoniale puo' essere imposta se non in
base alla legge";
    Che  tale  omessa  previsione e' in contrasto con il principio di
ragionevolezza  e  di  uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., oltre che
con  la  tutela dell'autonomia privata ai sensi degli artt. 41 (sulla
base  del quale viene individuata la tutela dell'autonomia privata in
campo  patrimoniale)  e  2 (sulla base del quale viene individuata la
tutela  dell'autonomia  privata in campo non patrimoniale) Cost., dal
momento che non sussiste alcuna plausibile ragione per non consentire
ai  soggetti  dell'ordinamento  di  porre in essere una donazione con
riserva  di  disporre  con  la quale il donante si riserva appunto la
facolta'  di  disporre  mediante  la costituzione a suo favore di una
prestazione non pecuniaria della quale sia onerato il donatario;
    Che  la  fattispecie che i comparenti hanno prospettato al notaio
rogante  non  puo'  essere  ricondotta  a  quella  del  contratto  di
mantenimento,  dal  momento  che la causa dell'attuzione patrimoniale
voluta    dal    donante    e'    appunto    esclusivamente    quella
dell'arricchimento  per spirito di liberalita' attuata a mezzo di una
donazione  diretta,  donazione  alla quale tuttavia viene apposta una
riserva  di  disporre a favore del donante mediante la costituzione a
suo favore di un'obbligazione di assistenza;
    Che  la liceita' e possibilita' giuridica di dedurre come oggetto
di  un contratto un'obbligazione di assistenza e' incontrastabilmente
ammessa  nel  diritto  positivo  vigente,  come risulta appunto dalla
copiosa  giurisprudenza  della S. C. che si e' occupata del contratto
di  mantenimento  e  del  vitalizio alimentare (in tale senso v., per
tutte, la decisione di Cass. 29 maggio 2000, n. 7033);
    Che  la  riserva  di  disporre che i comparenti intendono apporre
alla  stipulanda  donazione  non  annullerebbe  la volonta' donativa,
poiche'  discenderebbe  dai  principi che l'attribuzione patrimoniale
eventualmente in futuro imposta dal donante al donatario non potrebbe
assorbire l'intero valore del bene donato;
    Che  il  notaio rogante, sulla base della normativa vigente, deve
rifiutarsi  di procedere alla rogazione dell'atto voluto dalle parti,
in  quanto  esso risulta essere in contrasto con quanto stabilito dal
citato art. 790 c.c.;
    Che  il notaio rogante ritiene che la norma espressa dalla citata
disposizione,  e' in contrasto, per le ragioni sopra esposte, con gli
artt. 2, 3 e 41 Cost.;
    Che  il  notaio  rogante  ritiene  anche sulla base della recente
giurisprudenza della Corte costituzionale, che legittimati a proporre
questione di legittimita' costituzionale non siano soltanto i giudici
facenti parte dell'autorita' giudiziaria, ma anche gli altri soggetti
dell'ordinamento  che  siano  investiti  dell'esercizio  di  funzioni
giudicanti  per l'obiettiva applicazione della legge e siano all'uopo
posti in posizione super partes, dovendo porre in essere un controllo
appunto  in  quanto  super partes, non a tutela degli interessi di un
solo soggetto, ma a tutela del solo diritto oggettivo;
    Che   tale  interpretazione  risulta  conforme  al  principio  di
effettivita'  delle  norme  della  Costituzione  e  delle altre leggi
costituzionali,  espresso  dagli artt. 2, 3 e 54, primo comma, Cost.,
principio  che  assume  ancora  maggiore  importanza  in relazione ai
soggetti,  quali  il  notaio,  investiti  di pubbliche funzioni, come
risulta dal secondo comma del citato art. 54 Cost., che prescrive che
"i  cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di
adempierle con disciplina ed onore";
    Che  nel  caso  di  documentazione in forma pubblica notarile dei
negozi  giuridici le parti, non essendo ancora sorta una controversia
in  ordine  al rapporto che il negozio e' diretto a disciplinare, non
avrebbero  altro  mezzo  per fare espungere dall'ordinamento la norma
costituzionalmente  illegittima  che  quello  di denunziare il notaio
rogante  che  giustamente  ha rifiutato di rogare il negozio proibito
dalla  legge ordinaria per rifiuto od omissione di atti d'ufficio, ai
sensi   dell'art. 328  c.p.,  ovvero  di  provocare  un  procedimento
disciplinare  a  carico  del  notaio  rifiutante in base al combinato
disposto  degli artt. 27, primo comma (che sancisce l'obbligatorieta'
del  ministero  notarile) 138, secondo comma, della legge 15 febbraio
1913, n. 89;
    Che  tali procedimenti difficilmente potrebbero avere un seguito,
dal  momento  che  e'  sicuramente legittimo il rifiuto, da parte del
notaio,  di  rogare  un  atto  proibito  da una norma espressa da una
disposizione   avente   il   rango   di  legge  ordinaria,  anche  se
costituzionalmente illegittima;
    Che  l'unica alternativa possibile al riguardo sarebbe costituita
dalla  rogazione  dell'atto illegittimo da parte del notaio, il quale
solleverebbe    la    questione    di   legittimita'   costituzionale
nell'eventuale   e  probabile  procedimento  disciplinare  diretto  a
provocare  la  sua  sospensione per la violazione dell'art. 28, primo
comma,  n. 1  della  legge  16 febbraio 1913, n. 89 e che sicuramente
nessun notaio sarebbe disposto a correre un tale rischio;
    Che  in  tale modo si consentirebbe che molte norme, in relazione
alle quali il notaio rogante ritenga sussistere una situazione di non
manifesta infondatezza di illegittimita' costituzionale, non giungano
mai al vaglio della Corte costituzionale, soprattutto nel caso in cui
il  negozio  la  cui  conclusione  sarebbe  legittima in seguito alla
eventuale  declaratoria  di illegittimita' costituzionale della norma
proibitiva,  debba  a  pena  di  nullita'  o  di opponibilita' essere
documentato mediante atto pubblico notarile, come avviene nel caso di
specie,  nel  quale e' prescritta la forma solenne dell'atto pubblico
notarile  con  la  presenza  dei  testimoni,  ai  sensi del combinato
disposto  degli  artt. 48, primo comma, della legge n. 89/1913 e 782,
primo comma, c.c.;
    Che  la  nostra  Costituzione,  pur  avendo  operato un'esplicita
opzione  per un sistema di giurisdizione costituzionale accentrata in
luogo  di  un  sistema  di  giurisdizione costituzionale diffusa, non
prevede  alcuna  limitazione  in  ordine  ai  soggetti  legittimati a
proporre  questioni di legittimita' costituzionale, mentre un'opzione
in  ordine  a  tale  legittimazione stata effettuata solo dalla legge
(ordinaria)  11  marzo  1953,  n. 87  il  cui  art. 23  legittima  la
proposizione  della questione di legittimita' costituzionale soltanto
"nel  corso  di un giudizio dinanzi ad un'autorita' giurisdizionale".
Ad  avviso del notaio rimettente il legislatore ordinario del 1953 ha
eluso  la  riserva di legge costituzionale di cui all'art. 137, primo
comma  Cost., ai sensi del quale "una legge costituzionale stabilisce
le  condizioni,  le forme, i termini di proponibilita' dei giudizi di
legittimita' costituzionale, e le garanzie d'indipendenza dei giudici
della  Corte",  mentre  il  successivo  secondo  comma  del  medesimo
articolo ha previsto che "con legge ordinaria sono stabilite le altre
norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte",
non  essendo  sufficiente alla decostituzionalizzazione della materia
il  rinvio  che alla legge ordinaria viene fatto dalla scarna formula
della  legge  costituzionale  11 marzo 1953, n. 1, ai sensi del quale
"la  Corte  costituzionale  esercita le sue funzioni nelle forme, nei
limiti  ed  alle  condizioni  di  cui alla Carta costituzionale, alla
legge  costituzionale  9  febbraio 1948, n. 1 ed alla legge ordinaria
emanata per la prima attuazione delle predette norme costituzionali".
Come  ha affermato la stessa Corte costituzionale con la fondamentale
sentenza  18  novembre  1976, n. 226, la ratio che informa il vigente
sistema   di   sindacato   di   legittimita'  costituzionale  in  via
incidentale consiste "essenzialmente nella duplice esigenza:
        a) che tale sindacato non abbia ad esplicarsi in astratto, ma
in  relazione  a  concrete  situazioni  di fatto, alle quali siano da
applicare norme di dubbia costituzionalita';
        b)  che  i  giudici,  soggetti  come sono esclusivamente alla
legge  (art. 101,  secondo  comma  Cost.)  che  ad  essi  e'  vietato
disapplicare, non siano costretti ad emettere decisioni fondandosi su
leggi  della  cui  conformita'  alla  Costituzione  abbiano motivo di
dubitare,  ma debbano, in tal caso, provocare una pronuncia di questa
Corte,  sospendendo  frattanto  il  procedimento, quale che ne sia la
natura.
    Giacche'  "il  preminente  interesse  pubblico della certezza del
diritto  (che  i  dubbi di costituzionalita' insidierebbero), insieme
con  l'altro  della  osservanza  della  costituzione, vieta che dalla
distinzione  tra  le varie categorie di giudizi e processi (categorie
del  resto  dai  contorni  sovente  incerti e contestati) si traggano
conseguenze cosi' gravi (sentenza n. 129 del 1957)".
    Dunque  le  esigenze  costituzionali  della  certezza del diritto
(intesa   anche   come   assenza  di  dubbi  di  costituzionalita'  e
dell'osservanza  della Costituzione possono trovare come limite, come
ragionevole   eccezione,   la  sola  esigenza  che  il  sindacato  di
legittimita'  costituzionale  sia  esercitato in relazione a concrete
situazioni di fatto e non in astratto. E per stabilire se tale ultima
esigenza  sia  soddisfatta,  la  Corte  costituzionale  con la citata
decisione   n. 226/1976   ci   fornisce   due   illuminanti   criteri
alternativi,  solo  il  primo  dei  quali richiede il requisito della
presenza  di  un  "organo  giurisdizionale",  essendo  per il secondo
sufficiente  "l'esercizio  di  funzioni  giudicanti  per  l'obiettiva
applicazione  della  legge, da parte di organi ... posti in posizione
super partes".
    Secondo  la  citata sentenza della Corte costituzionale, infatti,
per "aversi giudizio a quo, e' sufficiente che ricorra o il requisito
soggettivo,   consistente  nello  svolgersi  del  procedimento  "alla
presenza  e  sotto  la direzione di un ufficio giurisdizionale", o il
requisito   oggettivo  dell'esercizio  di  "funzioni  giudicanti  per
l'obiettiva  applicazione  della  legge",  da  parte  di  organi "pur
estranei alla organizzazione della giurisdizione ed istituzionalmente
adibiti  a  compiti di diversa natura", che di quelle siano investiti
anche  in  via eccezionale e siano all'uopo "posti in posizione super
partes".
    La  Corte  costituzionale, con la citata decisione n. 226/1976 si
e'  spinta  anche  oltre,  affermando  che  per  essere legittimati a
sollevare una questione di legittimita' costituzionale e' sufficiente
che l'organo legittimato si trovi in una situazione "analoga a quella
in  cui  si  trova  un  qualsiasi  giudice  (ordinario  o  speciale),
allorche'  procede  a  raffrontare  i fatti e gli atti dei quali deve
giudicare  alle  leggi che li concernono", ponendo cosi' in essere un
controllo  super  partes,  non  a  tutela  degli interessi di un solo
soggetto, ma a tutela del solo diritto oggettivo;
    Che    uniformandosi    al   predetto   orientamento   la   Corte
costituzionale  con  la sentenza 28 novembre 2001, n. 376, dopo avere
ribadito che, "per aversi giudizio a quo, e' sufficiente che sussista
esercizio di "funzioni giudi-canti per l'obiettiva applicazione della
legge"  da parte di soggetti, "pure estranei all'organizzazione della
giurisdizione", "posti in posizione super partes", ha riconosciuto la
legittimazione   dei  collegi  arbitrali  a  sollevare  questione  di
legittimita'   costituzionale,   affermando   che  anche  l'arbitrato
costituisce  un  procedimento diretto all'"applicazione obiettiva del
diritto   nel   caso  concreto  ai  fini  della  risoluzione  di  una
controversia",  soprattutto  in  considerazione  del  nostro  assetto
costituzionale in cui "e' precluso ad ogni organo giudicante tanto il
potere  di  disapplicare  le  leggi,  quanto  quello  di  definire il
giudizio  applicando  leggi  di dubbia costituzionalita'", per cui il
giudicante   che   nutra   sospetti   in   ordine  alla  legittimita'
costituzionale  di  un  atto  avente  forza  di  legge ordinaria deve
sollevare  la  relativa  questione  di  legittimita'  costituzionale,
sospendendo il procedimento del quale e' stato investito;
    Che in base alla citata giurisprudenza della Corte costituzionale
anche   il  notaio,  ad  avviso  del  rimettente,  deve  considerarsi
legittimato  a  sollevare  questioni  di legittimita' costituzionale,
tenuto conto che:
        1)   se   il   notaio   non  esercita  funzioni  propriamente
giurisdizionali,  non  puo'  negarsi  una somiglianza tra la funzione
giurisdizionale e quella notarile, poiche':
          a)  il  notaio  e'  tenuto  pur  sempre  ad un controllo di
liceita'  del regolamento negoziale (art. 28, primo comma, n. 1 della
legge  16  febbraio  1913,  n. 89), svolgendo cosi' un compito che e'
stato  definito  da  autorevole  dottrina come "antiprocessuale" o di
"tutela stragiudiziale dei diritti soggettivi in formazione", essendo
il notaio medesimo chiamato a svolgere un "giudizio giuridico";
          b)  che  la  funzione del notaio abbia una profonda essenza
giurisdizionale,   risulta   evidente  dalla  attribuzione  da  parte
dell'ordinamento  (art. 474,  secondo  comma  n. 2  c.p.c.) agli atti
notarili  del carattere di "titolo esecutivo", anche se limitatamente
alle  "obbligazioni  di somme di danaro in essi contenute"; a cio' si
aggiunga  la  considerazione  della  particolare  efficacia dell'atto
finale cui mette capo il procedimento di rogazione dell'atto pubblico
notarile,  costituito  appunto  dall'atto  pubblico,  che,  ai  sensi
dell'art. 2700    c.c.   e'   dotato   di   un'efficacia   probatoria
particolarmente   intensa,   simile   a   quella  del  giudicato  che
caratterizza i provvedimenti giurisdizionali;
          c) il notaio e', come il giudice, in posizione di terzieta'
come risulta anche dalla evidente analogia tra l'art. 28, primo comma
numeri 1 e 2 della legge n. 89/1913 e l'art. 51 c.p.c.;
          d)   recenti  provvedimenti  normativi  hanno  ampliato  le
funzioni  notarili  attribuendo  al  notaio  poteri  che  prima erano
riservati  esclusivamente  all'autorita' giudiziaria: basti citare al
riguardo  la  recente  legge 3 agosto 1998, n. 302 che ha previsto la
possibilita'  di  affidare  ai  notai  molti  atti  ed operazioni del
procedimento  di espropriazione forzata immobiliare o relativa a beni
mobili  registrati  e  la  legge  24  dicembre  2000,  n. 340, che ha
eliminato l'omologazione degli atti costitutivi e delle deliberazioni
delle  societa'  di  capitali,  demandando al notaio il vaglio che un
tempo spettava all'autorita' giudiziaria in sede di omologazione;
        2)  in  base  a quanto esposto, la funzione notarile presenta
sicuramente  il  requisito  oggettivo  richiesto  dalla  Corte  nella
sentenza  sopra  citata,  in quanto per adire la Corte costituzionale
basta  rivestire  una  posizione  ed essere investiti di una funzione
(anche) soltanto analoga a quelle dei giudici comuni;
        3)  il notaio soddisfa pienamente (e ad avviso del rimettente
anche  piu'  del giudice) l'esigenza che il sindacato di legittimita'
costituzionale  non abbia ad esplicarsi in astratto ma in relazione a
concrete situazioni di fatto, dal momento che il notaio nell'indagare
la  volonta'  delle  parti,  ai sensi dell'art. 47 della citata legge
n. 89/1913,  opera  sul  fatto,  e,  talvolta, quando la parte non sa
palesare cio' che realmente vuole, egli e' tenuto persino a conoscere
il volere che colui che vuole non conosce;
        4)  anche  per la funzione notarile ricorre l'altra esigenza,
che  secondo  la  Corte  costituisce  la ratio che informa il vigente
sindacato  di  legittimita' costituzionale, che coloro che esercitano
funzioni dirette alla "obiettiva applicazione della legge" "non siano
costretti  ad  emettere  decisioni  fondandosi  su  leggi  della  cui
conformita' alla Costituzione abbiano motivo di dubitare, ma debbano,
in  tal  caso,  provocare  una  pronuncia  della  Corte,  sospendendo
frattanto il procedimento, quale che ne sia la natura";
        5) va infine ricordato che, per la moderna scienza giuridica,
il  processo  giurisdizionale  non  e'  altro  che  una species della
generale  figura del processo che a sua volta costituisce una species
della   ancora   piu'   generale   figura  del  procedimento,  inteso
quest'ultimo come sequenza di norme, posizioni soggettive ed atti.
    Secondo  la  costruzione  proposta, pur non avendo il notaio quei
poteri   irrefragabili   di   cui  e'  investito  il  giudice  e  che
costituiscono l'essenza della giurisdizione, egli esercita pur sempre
un'attivita'  processualmente  regolata, riconducibile alla categoria
generale  del processo, se con tal termine si intende un procedimento
cui  partecipano  coloro  nella  cui sfera giuridica l'atto finale e'
destinato  a  svolgere  effetti:  in  contraddittorio,  sul  piano di
simmetrica  parita',  ed  in  modo  che  l'autore dell'atto non possa
obliterare  le  loro attivita'. Come e' stato osservato da un'attenta
dottrina,   anche   il   procedimento   notarile   e'   dotato  delle
caratteristiche  del processo, in quanto si realizza secondo regole e
forme processuali, dal momento che esso:
          5.1)   inizia  con  la  richiesta  di  rogazione  dell'atto
notarile  e  con la comparizione della parte o delle parti dinanzi al
notaio,  talvolta accompagnata dalla presenza dei testimoni (notarili
o    strumentali)    (attivita'    che    corrispondono   alla   fase
dell'introduzione della causa nel processo ordinario di cognizione di
cui  al  capo  I  del  titolo I, del libro II del codice di procedura
civile, nella quale e' appunto prevista un'iniziativa di parte intesa
a  sollecitare  l'intervento  dell'organo  giudicante  e  che serve a
stabilire un contatto tra questi e le parti in vista della successiva
collaborazione);
          5.2)  prosegue  con  la  cosiddetta "istruttoria notarile",
ossia con quell'attivita' diretta ad indagare la volonta' delle parti
(attivita'  che  corrispondono  alla fase dell'istruzione della causa
nel  processo ordinario di cognizione di cui al capo II del titolo I,
del  libro  II del codice di procedura civile, nella quale e' appunto
prevista  un'attivita'  di  indagine  e  di  raccolta  delle  prove),
istruttoria  che,  dopo  lo svolgimento della funzione di adeguamento
del  notaio  e  del  controllo  di  legalita'  (che,  ad  avviso  del
rimettente,  non  puo'  non  svolgersi  anche  alla  luce delle norme
costituzionali),  e'  funzionale e mette capo ad una decisione, ossia
alla   rogazione   o  al  rifiuto  di  rogazione  dell'atto  notarile
(anch'esso  soggetto  a  pubblicazione  mediante  lettura  datane dal
notaio)  (attivita' che corrispondono alla fase della decisione della
causa  nel  processo  ordinario  di cognizione di cui al capo III del
titolo I, del libro II del codice di procedura civile, nella quale e'
appunto  prevista  un'attivita'  diretta  a  concludere  il  processo
ordinario di cognizione mediante un provvedimento giurisdizionale;
    Che  pertanto,  ad  avviso  del  rimettente,  il  notaio,  quando
nell'esplicazione   della   sua   funzione,  come  avviene  nel  caso
sottoposto  all'esame della Corte con la presente ordinanza, si trovi
ad  applicare  disposizioni  o norme rispetto alle quali nutra un non
manifestamente  infondato  dubbio  di  legittimita'  costituzionale e
quando  egli  debba  comunque applicare le disposizioni o le norme in
questione   per   la   formulazione  del  giudizio  di  ricevibilita'
dell'atto,  e'  legittimato  a  proporre  questione  di  legittimita'
costituzionale;
    Che il notaio offre una sufficiente garanzia di delibazione della
non   manifesta   infondatezza   della   questione   di  legittimita'
costituzionale,  data  la  sua competenza ed esperienza nelle materie
che tipicamente formano oggetto di documentazione pubblica;
    Per  le  suesposte  ragioni la questione di costituzionalita' qui
sollevata di ufficio e' rilevante e non manifestamente infondata.
                              P. Q. M.
    Visti gli articoli 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87
e  1  delle  norme  integrative  per  i  giudizi  davanti  alla Corte
costituzionale pubblicate nella G.U. 24 marzo 1956, n. 71, 2, 3, 53 e
134 e segg. Cost., sospende il procedimento di rogazione dell'atto in
corso e procede alla trasmissione della presente ordinanza alla Corte
costituzionale,   per   l'esame   della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 790  c.c.,  in quanto accusato di violazione degli artt. 2,
3, 41 Cost., nel senso precisato nella premessa;
    Dispone  inoltre che l'ordinanza sia notificata al Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  nonche' comunicata ai Presidenti delle due
Camere  del  Parlamento,  e  che  la  prova  di  tali notificazioni e
comunicazioni sia inviata alla Corte stessa.
        Giulianova, addi' 23 febbraio 2002
                     Il notaio rogante: Angeloni
02C0667