N. 316 ORDINANZA 20 giugno - 4 luglio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Giudizio di appello - Riconosciuta erroneita' della
  dichiarazione di improcedibilita' emessa dal giudice di primo grado
  -  Potere del giudice di appello di decidere nel merito disponendo,
  se  necessario, la rinnovazione del dibattimento, anziche' rinviare
  gli  atti  al  giudice  di  primo  grado - Assunto contrasto con il
  diritto  di  difesa,  per  incongrua  privazione  di  un  grado  di
  giudizio,  e  con  il  principio  di  parita'  di trattamento degli
  imputati - Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 604, comma 6.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.27 del 10-7-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI, Franco BILE, Francesco AMIRANTE, Ugo DE
SIERVO, Romano VACCARELLA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 604, comma 6,
del   codice   di  procedura  penale,  promosso,  nell'ambito  di  un
procedimento  penale,  dalla Corte di appello di Milano con ordinanza
del  1  giugno 2001, iscritta al n. 814 del registro ordinanze 2001 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, 1a serie
speciale, dell'anno 2001.
    Visti l'atto di costituzione dell'imputato nel procedimento a quo
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri.
    Udito nell'udienza pubblica del 4 giugno 2002 il giudice relatore
Guido Neppi Modona;
    Uditi  l'avvocato  Corso  Bovio per la parte privata e l'avvocato
dello  Stato  Sergio  Sabelli  per  il  Presidente  del Consiglio dei
ministri.
    Ritenuto  che con ordinanza del 1 giugno 2001 la Corte di appello
di  Milano  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3 e 24 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 604,
comma  6,  del  codice  di  procedura  penale, nella parte in cui non
prevede  che  il  giudice di appello, il quale riconosca l'erroneita'
della  dichiarazione  di  improcedibilita' pronunciata dal giudice di
primo  grado nella fase degli atti preliminari al dibattimento, debba
rinviare  gli  atti  al  medesimo  giudice  per  la  celebrazione del
relativo giudizio;
        che  il  rimettente  espone  le complesse vicende processuali
che,  a  seguito  della  dichiarazione  di fallimento nel 1979 di una
societa'  di capitali, avevano dato luogo a due distinti procedimenti
penali   per  il  reato  di  bancarotta  fraudolenta,  che  si  erano
sviluppati  prima sotto la vigenza del codice di procedura penale del
1930 e, successivamente, sotto quella dell'attuale codice di rito;
        che, in particolare, erano state inizialmente pronunciate due
sentenze  istruttorie  di  proscioglimento, una delle quali era stata
appellata  e  poi confermata dalla Corte di appello di Milano; che il
pubblico   ministero   aveva  chiesto  al  giudice  per  le  indagini
preliminari ex art. 434 cod. proc. pen., e ottenuto, la revoca di una
delle  due sentenze di proscioglimento emesse dal giudice istruttore,
e  aveva poi esercitato l'azione penale alla stregua del nuovo codice
di rito;
        che   nel  corso  delle  successive  vicende  processuali  il
tribunale  investito  del  giudizio,  con sentenza emessa prima della
dichiarazione  di  apertura  del  dibattimento,  aveva dichiarato non
doversi  procedere  per  essersi  formato  il  giudicato  sulle altre
sentenze  di  proscioglimento, non revocate, pronunciate sullo stesso
fatto dal giudice istruttore e dalla Corte di appello;
        che,  a  seguito  di  appello  e  di  successivo  ricorso del
pubblico  ministero,  la  Corte  di  cassazione,  con sentenza del 16
novembre  2000,  aveva  annullato  con  rinvio la sentenza con cui la
Corte  di  appello  di  Milano  aveva  dichiarato  l'improcedibilita'
dell'azione penale ai sensi dell'art. 434 cod. proc. pen. per mancata
revoca    integrale    delle    diverse   sentenze   istruttorie   di
proscioglimento;
        che   secondo   la  Corte  di  cassazione  l'improcedibilita'
dell'azione  penale  era  stata  dichiarata  erroneamente,  in quanto
l'ordinanza  di  revoca  del  giudice  per le indagini preliminari di
Milano   aveva   implicitamente   revocato   tutte   le  sentenze  di
proscioglimento  istruttorio (di primo e di secondo grado) relative a
quella regiudicanda;
        che,  tutto  cio'  premesso,  la Corte di appello rimettente,
investita  del  giudizio a seguito dell'annullamento con rinvio della
Corte   di   cassazione,   solleva   la   questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 604,  comma 6, cod. proc. pen., nei termini
sopra precisati;
        che  il  giudice  a  quo  rileva  che nel caso di specie deve
appunto trovare applicazione l'art. 604, comma 6, cod. proc. pen., in
forza  del  quale  il  giudice di appello, che riconosca l'erroneita'
della    dichiarazione   di   improcedibilita'   dell'azione   penale
pronunciata  dal  giudice  di  primo grado, deve decidere nel merito,
previa rinnovazione del dibattimento, ove necessaria;
        che,  ad avviso del rimettente, tale disciplina violerebbe il
diritto  di difesa, in quanto la fattispecie in esame si caratterizza
per  l'assenza del dibattimento nel primo grado di giudizio, non solo
con  riferimento  alla  decisione, ma anche al diritto della parte di
avanzare  in  quella sede le conclusioni di merito utili alla propria
difesa;
        che sarebbe prospettabile anche la lesione dell'art. 3 Cost.,
sotto  il  profilo  della irragionevole disparita' di trattamento tra
imputati,  a  seconda  che  nei  confronti  degli  stessi  sia  stata
pronunciata   una  sentenza  di  improcedibilita'  adottata  in  fase
predibattimentale  ovvero  analoga  sentenza  emessa  al  termine del
dibattimento;
        che   infatti   l'imputato   si  troverebbe  di  fronte  alla
alternativa tra proporre l'eccezione di improcedibilita' in limine al
dibattimento,  affrontando  pero'  il  rischio  che  la decisione sia
riformata  in  appello, con relativa perdita di un grado del processo
di   merito,  e  rinunziare  a  dedurla  in  limine  subordinando  la
prospettazione di ogni questione pregiudiziale all'esame del merito;
        che  nella  fattispecie  concreta, osserva ancora la Corte di
appello,  l'annullamento della sentenza di proscioglimento favorevole
agli  appellati  ha determinato l'incongrua conseguenza della perdita
della fase di merito del primo grado di giudizio;
        che,  ad  avviso  del  rimettente,  i  denunciati  profili di
incostituzionalita'   potrebbero  essere  eliminati  solo  prevedendo
l'obbligo  per  il giudice di appello, qualora riconosca l'erroneita'
della  dichiarazione di improcedibilita' emessa in limine dal giudice
di  primo  grado  (o a cio' sia vincolato a seguito di sentenza della
Corte  di  cassazione),  di  rinviare  gli atti a quest'ultimo per la
celebrazione del relativo giudizio;
        che  nel  giudizio  si  e'  costituito uno degli imputati nel
procedimento  a  quo  rappresentato  e  difeso  dagli avvocati Oreste
Dominioni  e  Corso Bovio, i quali hanno chiesto che la questione sia
dichiarata   fondata,   richiamando   le   censure   prospettate  dal
rimettente;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo invece che la questione sia dichiarata infondata;
        che  a  parere  dell'Avvocatura la questione sarebbe simile a
quella,  sollevata  in  riferimento  all'art. 24  Cost. e concernente
un'analoga  norma  del  codice  del  1930  (art. 522,  quarto comma),
dichiarata infondata con la sentenza n. 41 del 1965;
        che,  in  particolare,  la  censura relativa alla lesione del
diritto  di  difesa dimostrerebbe "troppo", coinvolgendo ogni ipotesi
in  cui il giudice debba pronunciare una sentenza di improcedibilita'
ex art. 129 cod. proc. pen.;
        che,  "stante  la  struttura  normativa del dibattimento", ad
avviso dell'Avvocatura e' "plausibile che il legislatore si sia posto
il  problema,  nel  caso  di (erronea) pronuncia di primo grado sulla
improcedibilita',  di  assicurare,  in secondo grado, lo sviluppo del
``merito''  della  causa  [...],  prevedendo  appunto una sostanziale
deroga  alle  regole  generali  sul giudizio di appello che, nel caso
censurato,  si svolge con una pienezza di poteri cognitivi altrimenti
sconosciuta a quel giudice";
        che  con successiva memoria la parte privata, replicando alle
argomentazioni  esposte nell'atto di intervento dell'Avvocatura dello
Stato,  ha  sottoposto a critica l'interpretazione data alla sentenza
n. 41  del 1965 di questa Corte, che avrebbe un significato opposto a
quello  prospettato  dall'Avvocatura,  e  ha  contestato  il  rilievo
secondo  cui  la  disciplina in esame sarebbe equiparabile a tutte le
altre  ipotesi  in  cui  e' dichiarata l'improcedibilita' dell'azione
penale;
        che,    in    particolare,    la    difesa    sostiene    che
l'incostituzionalita' della norma censurata discenderebbe proprio dal
fatto che non vi sarebbero nel sistema processuale "altri casi in cui
l'imputato venga privato [...] di un grado di giudizio senza che cio'
dipenda  da elementi oggettivi quali ad esempio la gravita' del reato
o la natura o l'entita' della pena inflitta";
        che,  inoltre,  il  doppio  giudizio  di merito e' assicurato
all'imputato   in   tutti   gli   altri   casi   di  declaratoria  di
improcedibilita',  mentre  soltanto quando la sentenza e' pronunciata
non  in  sede predibattimentale, ma in dibattimento, nella fase delle
questioni preliminari, l'imputato perde il diritto al doppio grado di
merito  e  la sentenza di improcedibilita' pronunciata dal giudice di
primo  grado,  e  poi  ritenuta  erronea  dal  giudice di appello, si
ritorce ai suoi danni.
    Considerato   che   il   rimettente   dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 604,  comma  6,  del  codice  di  procedura
penale,  nella  parte  in  cui  prevede che il giudice d'appello, ove
riconosca  che  il  giudice di primo grado ha erroneamente dichiarato
l'improcedibilita' dell'azione penale, decide nel merito, disponendo,
ove  necessario,  la rinnovazione del dibattimento, anziche' rinviare
gli atti al medesimo giudice per la celebrazione del giudizio;
        che  la  disciplina  censurata  si  porrebbe in contrasto con
l'art. 24   della   Costituzione,  in  quanto  priva  l'imputato  del
dibattimento  di  primo  grado,  precludendogli di avanzare in quella
sede  le proprie difese di merito, nonche' con l'art. 3 Cost., per la
irragionevole  disparita'  di trattamento tra imputati, a seconda che
la   sentenza  di  improcedibilita'  venga  pronunciata  prima  della
dichiarazione  di  apertura del dibattimento, con conseguente perdita
del giudizio di merito in primo grado, ovvero venga emessa al termine
del dibattimento, dopo che la causa e' stata discussa nel merito;
        che    l'imputato    verrebbe    quindi   posto   di   fronte
all'alternativa  se  eccepire  in  limine al dibattimento la causa di
improcedibilita'  idonea a definire il giudizio, ottenendo subito una
sentenza  ex art. 129 cod. proc. pen., ma correndo il rischio, ove la
pronuncia  venga  annullata  in  appello,  di  rimanere  privato  del
giudizio  di  merito  in  primo  grado,  ovvero  se  posticiparne  la
deduzione  in  esito  al  dibattimento  per  assicurarsi  comunque il
giudizio di merito in primo grado;
        che  i  profili  di illegittimita' costituzionale prospettati
dal  rimettente si basano sul presupposto che nella sfera del diritto
di  difesa  sia  compreso il diritto alla trattazione della causa nel
merito sia in primo grado che in grado di appello;
        che  in  relazione  alla  disposizione  dell'art. 522, quarto
comma,  del  codice  di  procedura  penale  del 1930, sostanzialmente
identica  all'art. 604,  comma  6,  cod.  proc. pen., questa Corte ha
avuto  occasione  di  precisare  - in una situazione analoga a quella
oggetto del presente giudizio, in cui il giudice di primo grado aveva
"esaurito  la  sua  funzione unicamente con la decisione di questioni
preliminari"  ed  il  merito  non  era  quindi  stato "trattato nella
sentenza  di  primo  grado"  -  che  il  diritto  di difesa "e' stato
assicurato  innanzi al giudice di primo grado perche' la parte non ha
avuto,  in  quella  fase, alcun limite alla discussione del merito; e
viene   inoltre   assicurato   innanzi  al  secondo  giudice  perche'
quest'ultimo ha un potere di piena cognizione del merito [...], ed ha
anche  il  potere  di rinnovare il dibattimento, cosi' da escutere le
ulteriori  prove  che  fossero  pertinenti  e  rilevanti  ai fini del
migliore risultato di giustizia" (sentenza n. 41 del 1965);
        che,  sulla  base  di queste premesse, e' stato affermato che
"non  e'  la  doppia  istanza  che  garantisce la completa difesa, ma
piuttosto  la  possibilita' di prospettare al giudice ogni domanda ed
ogni  ragione  che  non  siano  legittimamente  precluse",  e  che la
garanzia  del  doppio  grado  di  giurisdizione,  che peraltro non ha
ricevuto  riconoscimento  costituzionale, non va intesa, ove prevista
dall'ordinamento,  nel  senso  che "tutte le questioni debbono essere
decise  da  due  giudici  di  diversa  istanza, ma nel senso che deve
essere  data  la  possibilita'  di  sottoporre  tali  questioni a due
giudici  di  diversa  istanza,  anche  se il primo non le abbia tutte
decise"  (v.,  oltre  la  sentenza sopra citata, ordinanza n. 109 del
1971);
        che,  in virtu' di tali principi, dai quali non vi e' ragione
di discostarsi, anche nel caso sottoposto al giudizio di questa Corte
il  diritto  di  difesa  dell'imputato  non ha subito alcuna lesione,
essendo comunque assicurato all'imputato il diritto di difendersi nel
merito nel giudizio di appello;
        che  in  quella  sede,  infatti,  ove  le  parti  ne facciano
richiesta,  si  dovra'  procedere alla rinnovazione del dibattimento,
resa  necessaria  dal  fatto  che  la  sentenza  di improcedibilita',
pronunciata  nel  caso  di  specie  su  istanza  della  stessa difesa
dell'imputato, e' intervenuta in limine al dibattimento, prima che le
parti  private  e  il  pubblico ministero presentassero le rispettive
richieste di ammissione delle prove;
        che la norma censurata non comporta dunque alcuna "incongrua"
privazione  di  un grado di giudizio di merito, in quanto la completa
trattazione  del  merito  e'  assicurata  in  grado  di appello dalla
rinnovazione del dibattimento, quando la sentenza di improcedibilita'
e'   intervenuta   prima   che   si  sia  dato  corso  all'istruzione
dibattimentale,   ovvero  in  primo  grado,  quando  la  sentenza  di
improcedibilita'    e'    pronunciata    in    esito   all'istruzione
dibattimentale e alla discussione sul merito;
        che  in  tale  ultima ipotesi, infatti, non e' consentita una
nuova  fase  di istruzione dibattimentale se non nei ristretti limiti
previsti in via generale dall'art. 603 cod. proc. pen.;
        che,  conseguentemente,  risulta priva di fondamento anche la
censura    di   illegittimita'   costituzionale   per   la   supposta
irragionevole  disparita'  di  trattamento tra imputati a seconda del
momento in cui venga pronunciata la sentenza di improcedibilita';
        che   la  questione  va  pertanto  dichiarata  manifestamente
infondata   in  riferimento  ad  entrambi  i  parametri  evocati  dal
rimettente.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 604,  comma  6, del codice di
procedura  penale,  sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione,  dalla  Corte  di appello di Milano, con l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                     Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 4 luglio 2002.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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