N. 321 ORDINANZA 1 - 5 luglio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Fallimento   -   Estensione   del   fallimento   al   socio   occulto
  illimitatamente  responsabile  -  Omessa  previsione  di  un limite
  temporale,  decorrente  dalla  data della sentenza dichiarativa del
  fallimento  principale  -  Prospettata  violazione del principio di
  eguaglianza,  per  disparita'  di  trattamento  del  socio  occulto
  rispetto  all'imprenditore  individuale  e  al socio palese cessato
  dalla  societa' - Erroneita' del presupposto assunto dal rimettente
  - Manifesta infondatezza della questione.
- D.R. 16 marzo 1942, n. 267, art. 147, secondo comma.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.27 del 10-7-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Giovanni  Maria FLICK,
Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 147, secondo
comma,  del  regio  decreto  16 marzo  1942,  n. 267  (Disciplina del
fallimento,    del    concordato   preventivo,   dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con
ordinanza   emessa   il   24 aprile   2001  dal  Tribunale  di  Trani
sull'istanza  proposta  dalla  curatela  del  fallimento  di  Bombini
Tommaso  contro  Bombini  Sergio  ed  altra,  iscritta  al n. 691 del
registro  ordinanze  2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 38, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visto l'atto di costituzione di Bombini Sergio ed altra;
    Udito nell'udienza pubblica del 7 maggio 2002 il giudice relatore
Fernanda Contri;
    Udito l'avvocato Olinto Valentini per Bombini Sergio ed altra.
    Ritenuto  che  il Tribunale di Trani ha sollevato, in riferimento
all'art. 3    della    Costituzione,    questione   di   legittimita'
costituzionale   dell'art. 147,  secondo  comma,  del  regio  decreto
16 marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento, del concordato
preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della liquidazione
coatta  amministrativa),  nella  parte  in  cui non prevede un limite
temporale,  decorrente  dalla  data  della  sentenza dichiarativa del
fallimento  principale, per la dichiarazione del fallimento del socio
occulto illimitatamente responsabile di una societa' di persone;
        che  il  giudice  rimettente  e'  investito dell'esame di una
istanza,  presentata  dal  curatore del fallimento di un imprenditore
individuale,  con  la  quale si chiede di dichiarare il fallimento in
estensione  della  societa' occulta costituita dal fallito e dai suoi
genitori,  e di questi ultimi quali soci illimitatamente responsabili
della stessa;
        che,   in   ordine  alla  non  manifesta  infondatezza  della
questione,   il   giudice   a   quo   osserva  che  la  piu'  recente
giurisprudenza ha ribaltato l'orientamento, un tempo consolidato, pur
se  criticato  dalla  dottrina,  secondo  il quale gli artt. 10 ed 11
della   legge   fallimentare   si   applicano  al  solo  imprenditore
individuale;
        che,  ricordata  la svolta rappresentata dalla sentenza della
Corte  n. 66 del 1999 ed il successivo dibattito sulle conseguenze di
tale  pronuncia  interpretativa  di  rigetto,  il  Tribunale di Trani
rileva come con la successiva sentenza n. 319 del 2000 la Corte abbia
definitivamente  chiarito  le relazioni intercorrenti tra l'art. 10 e
l'art. 147, primo comma, della legge fallimentare;
        che  secondo  il rimettente resterebbe comunque "discriminata
la  posizione  del  socio  occulto",  per il fallimento del quale non
sussiste  alcun  limite  temporale  dal  momento  che la pronunzia di
incostituzionalita'  ha  riguardato il solo primo comma dell'art. 147
della  legge  fallimentare  e non ha investito anche il secondo comma
della stessa disposizione;
        che  il  giudice  rimettente  osserva  ancora come "non possa
negarsi  che  l'esigenza  di  tutela  del principio di certezza delle
situazioni  giuridiche  dovrebbe  ispirare  anche  l'applicazione del
secondo  comma dell'art. 147 legge fallimentare", esigenza ancor piu'
sentita  nel  caso  della estensione del fallimento al socio occulto,
essendo  in  questo  caso  minore  "o  addirittura  insussistente" la
necessita'  di  tutelare i creditori nei confronti di un soggetto del
quale neppure conoscono la qualita';
        che,  secondo  il  Tribunale di Trani, la posizione del socio
occulto, che non puo' esternare il suo recesso con le forme legali di
pubblicita'  e  si  vede  esposto  al rischio di una dichiarazione di
fallimento  per  un tempo illimitato, andrebbe confrontata con quelle
del  socio  receduto  e  del  socio  illimitatamente  responsabile di
societa'  di  persone trasformata in societa' di capitali, situazioni
che  appaiono  diverse  tra loro, ma non in modo tale da giustificare
una   disparita'   di   trattamento   riguardo   al  termine  per  la
sottoposizione a fallimento;
        che,  ad  avviso del giudice a quo, la mancanza di un termine
per  l'estensione del fallimento al socio occulto, la cui qualita' si
sia  manifestata  ai  creditori,  al curatore o al pubblico ministero
dopo  la  dichiarazione  del  fallimento della societa' - termine che
dovrebbe  decorrere  dalla  data della prima sentenza di fallimento -
viola   l'art. 3  Cost.,  ne'  sarebbe  possibile  un'interpretazione
secondo  Costituzione della norma impugnata, mancando nella stessa un
qualunque  riferimento  al momento preciso da cui far decorrere detto
termine;
        che  secondo  il  rimettente  e'  assurdo  prevedere,  per il
fallimento  del  socio  receduto,  il  termine di un anno dal recesso
dalla  societa', tenendo al contrario indefinitamente nell'incertezza
il  destino  del  socio  occulto,  dopo  che  questi  ha perduto ogni
controllo  dell'impresa,  atteso  che "la nettezza della interruzione
del rapporto sociale rappresentata dalla dichiarazione del fallimento
principale  combinata  con  l'intrinseca  esigenza  di concentrazione
della  procedura  concorsuale dovrebbero imporre a maggior ragione il
rispetto  di  un  termine  perentorio  per  definire la posizione del
socio";
        che  secondo  il  giudice  a  quo,  l'omessa previsione di un
termine  entro  il quale possa esservi la pronuncia di estensione del
fallimento nei riguardi del socio occulto urta non solo col principio
di  eguaglianza,  ma  anche  con  l'esigenza  di  dare  certezza alle
situazioni  giuridiche  e  con  quella  di  garantire ai creditori un
accesso certo ed efficiente alla tutela giurisdizionale;
        che,  sempre  ad  avviso  del  Tribunale  di Trani, dovendosi
stabilire un termine per l'estensione del fallimento al socio, questo
dovrebbe essere fissato a far data dalla dichiarazione del fallimento
principale;
        che  nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  si sono
costituite  le  parti  nei  cui  confronti il curatore del fallimento
dell'impresa   individuale  ha  chiesto  al  Tribunale  di  Trani  la
pronuncia di sentenza ex art. 147, secondo comma, legge fallimentare;
        che  le  parti  private,  ribadendo  una  specifica eccezione
sollevata  nel  corso  del  giudizio  a  quo,  ritengono che la norma
impugnata  dal  Tribunale di Trani possa essere interpretata in senso
costituzionalmente legittimo;
        che,   ad   avviso   delle  parti  private,  quello  previsto
dall'art. 10   legge   fallimentare   e'   un  termine  di  decadenza
applicabile  in  ogni  caso  e  la  cessazione  per  qualsiasi  causa
dell'impresa, pubblicizzata nelle forme di legge, costituisce il dies
a quo dal quale esso inizia a decorrere;
        che,   sempre   secondo  le  parti  costituite,  una  diversa
interpretazione  dell'art. 147 impugnato sarebbe incostituzionale, in
quanto   si   tratterebbe  dell'unico  caso  in  cui,  nonostante  la
cessazione  dell'impresa,  avvenuta  a seguito della dichiarazione di
fallimento,  verrebbe  dichiarato  il  fallimento dei soci decorso un
anno dalla prima pronuncia;
        che  le  parti  private  chiedono, in subordine, che la Corte
dichiari  incostituzionale  la norma impugnata nel senso indicato dal
tribunale rimettente.
    Considerato  che  il  Tribunale  di  Trani dubita, in riferimento
all'art. 3  della  Costituzione,  della  legittimita'  dell'art. 147,
secondo  comma,  del  regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina
del   fallimento,  del  concordato  preventivo,  dell'amministrazione
controllata  e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte
in  cui  non prevede un limite temporale, decorrente dalla data della
sentenza dichiarativa del fallimento principale, per la dichiarazione
di  fallimento  c.d.  in estensione del socio occulto illimitatamente
responsabile;
        che  secondo  il  giudice  a  quo  la  disposizione impugnata
violerebbe  il  principio  di eguaglianza, poiche' determinerebbe una
disparita'  di trattamento, quanto al termine per la dichiarazione di
fallimento,  tra  il  socio  occulto,  da  un  lato, e l'imprenditore
individuale  ed  il  socio  palese  cessato per qualsiasi causa dalla
societa'  dall'altro,  situazioni  che,  pur  non  essendo secondo il
Tribunale di Trani identiche, sarebbero fra loro raffrontabili;
        che,  sempre  secondo  il  Tribunale  di  Trani,  vi  sarebbe
violazione  della stessa norma costituzionale anche avuto riguardo al
principio  di  ragionevolezza,  stante  l'esigenza  di dare certezza,
anche  per  il  fallimento  in  estensione  del  socio  occulto, alle
situazioni giuridiche e di garantire ai creditori un accesso certo ed
efficiente alla tutela giurisdizionale;
        che la premessa da cui prende le mosse il giudice rimettente,
in  ordine  alla  ritenuta  violazione  del principio di eguaglianza,
risulta palesemente erronea, non potendo in alcun modo essere poste a
raffronto,  ai fini della applicabilita' del termine annuale entro il
quale  puo'  essere  dichiarato  il  fallimento  personale  del socio
illimitatamente   responsabile   di   una   societa'  personale,  due
situazioni  fra  loro  del  tutto diverse quali sono quella del socio
receduto  da  una  societa' regolarmente costituita e registrata, nel
rispetto  delle forme di pubblicita' prescritte dalla legge, e quella
del socio occulto di una societa' irregolare perche' non iscritta nel
registro  delle  imprese  o  addirittura, come nel caso all'esame del
tribunale rimettente, a sua volta del tutto occulta;
        che  tutto  il nostro sistema normativo, ed in particolare le
disposizioni del libro V del codice civile in tema di responsabilita'
personale del socio per le obbligazioni delle societa' di persone, e'
improntato  a  netta  differenza  tra  societa' registrate e societa'
irregolari  o occulte, potendo essere opposte ai creditori (salvo che
questi  ne  abbiano  avuto  ugualmente  conoscenza)  solo le vicende,
societarie  o  personali,  regolarmente  iscritte  nel registro delle
imprese, secondo quanto prescrivono gli artt. 2193 e 2200 cod. civ. e
le altre disposizioni connesse;
        che la stessa legge fallimentare, quanto alla ammissione alle
procedure  concorsuali,  esclude le societa' irregolari, ed a maggior
ragione   quelle   occulte,   dal   concordato   preventivo  e  dalla
amministrazione  controllata  (artt. 160  e  187  del r.d. n. 267 del
1942);
        che  le  sentenze di questa Corte n. 66 del 1999 e n. 319 del
2000,   contrariamente   a  quanto  mostra  di  ritenere  il  giudice
rimettente,  considerano  appunto  esclusivamente ipotesi nelle quali
sia  stata  regolarmente  cancellata  una societa' dal registro delle
imprese  ovvero nelle quali sia regolarmente pubblicizzata la perdita
della  qualita'  di  socio  illimitatamente responsabile a seguito di
vicende  che  siano  state,  a  loro  volta,  debitamente  portate  a
conoscenza dei terzi nelle forme prescritte;
        che  altrettanto  infondata  appare  la  questione sollevata,
sempre con riferimento all'art. 3 Cost., in relazione alla violazione
del principio di ragionevolezza;
        che,  contrariamente  a  quanto  sostiene  il  rimettente, e'
proprio la necessita' di dare certezza alle situazioni giuridiche che
consente  al  legislatore  di prevedere una diversa disciplina per le
societa'  ed i soci in regola con le disposizioni sulla pubblicita' e
per  i  soci  e  le  societa'  irregolari, se non occulti, essendo la
mancata  registrazione  una scelta degli stessi associati, che in tal
modo  si  espongono, per loro volonta', alle conseguenze di tale loro
opzione;
        che,  infine,  appare del tutto evidente come l'interesse dei
creditori  ad  avere  un  accesso  certo  ed  efficiente  alla tutela
giurisdizionale stia esattamente in senso contrario a quanto sostiene
il   giudice  a  quo,  risultando  la  possibilita'  di  chiedere  il
fallimento  di  chi  ha  volutamente occultato la propria qualita' di
socio, un mezzo di rafforzamento della garanzia patrimoniale;
        che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  risulta
percio' manifestamente infondata sotto ogni profilo.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 147, secondo comma, del regio
decreto   16 marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento,  del
concordato   preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della
liquidazione   coatta   amministrativa),  sollevata,  in  riferimento
all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Trani con l'ordinanza
in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1 luglio 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                        Il redattore: Contri
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 5 luglio 2002.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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