N. 361 ORDINANZA 10 - 18 luglio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  civile  - Astensione e ricusazione del giudice - Obbligo di
  astensione   del  giudice  che  abbia  gia'  pronunciato  su  causa
  formalmente   distinta,   ma   con  contenuto  identico  -  Mancata
  previsione  -  Lamentata lesione del principio di imparzialita' del
  giudice - Questione sollevata prospettando una duplice possibilita'
  interpretativa della norma censurata - Manifesta inammissibilita'.
- Cod. proc. civ., art. 51, primo comma, numero 4).
- Costituzione, art. 111
(GU n.29 del 24-7-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Massimo  VARI,  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Giovanni  Maria FLICK,
Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' dell'art. 51, primo comma, numero 4),
del  codice  di  procedura  civile,  promosso con ordinanza emessa il
9 luglio 2001 dal tribunale di Genova nel procedimento di ricusazione
proposto  da  Wilfredo  Vitalone,  iscritta  al  n. 950  del registro
ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 49, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visti  l'atto di costituzione di Wilfredo Vitalone nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 7 maggio 2002 il giudice relatore
Gustavo Zagrebelsky;
    Udito   l'avvocato  dello  Stato  Ignazio  F.  Caramazza  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che  il  tribunale  di Genova, con ordinanza emessa nel
corso  di  un  procedimento  di ricusazione in data 9 luglio 2001, ha
sollevato,  in riferimento all'art. 111 della Costituzione, questione
di  legittimita' costituzionale dell'art. 51, primo comma, numero 4),
del  codice  di  procedura civile, nella parte in cui non prevede che
"il giudice  che ha gia' pronunciato su causa formalmente distinta ma
con contenuto identico abbia l'obbligo di astenersi";
        che  l'istanza  di ricusazione e' stata proposta nel corso di
un  giudizio  di  responsabilita'  civile promosso contro lo Stato, a
norma  della  legge  13 aprile  1988,  n. 117 (Risarcimento dei danni
cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita'
civile  dei  magistrati),  per  i  danni  che, secondo le allegazioni
dell'attore,  sarebbero  allo  stesso  derivati  dall'operato  di  un
pubblico ministero e di un giudice per le indagini preliminari presso
il  tribunale  di  Firenze  per avere questi ultimi, rispettivamente,
chiesto  ed emesso un decreto di archiviazione in merito alle denunce
da  lui  presentate contro due pubblici ministeri della Procura della
Repubblica  presso  il  tribunale  di  Perugia, per abuso di ufficio,
falso in atto pubblico e calunnia ai suoi danni;
        che,   come   espone   il   giudice  a  quo,  in  prossimita'
dell'udienza  collegiale  destinata a vagliare l'ammissibilita' della
domanda  di  risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 5 della legge
n. 117  del  1988,  l'attore  ha  proposto istanza di ricusazione nei
confronti del giudice istruttore cui la causa e' stata assegnata, per
avere  lo  stesso  giudice gia' deciso quale componente del collegio,
con  una  pronuncia in data 17 gennaio 2001 di manifesta infondatezza
ai  sensi  del comma 3 del citato art. 5 della legge n. 117 del 1988,
sull'ammissibilita'  di  una  precedente  domanda di risarcimento del
danno  proposta  dallo  stesso  attore e di contenuto sostanzialmente
identico a quello della domanda attuale;
        che  -  prosegue  il rimettente - la ripetizione del giudizio
deriva dalla duplice circostanza (a) che il decreto di archiviazione,
del 9 febbraio 1999, che ha concluso il procedimento penale avviato a
seguito  delle  sopra  indicate  denunce  presentate dall'attore e in
relazione  al quale e' stata proposta l'attuale domanda risarcitoria,
altro  non  e'  che  la  rinnovazione, motivata per relationem, di un
precedente provvedimento di archiviazione del 30 ottobre 1997, emesso
(da  diverso  giudice  per  le  indagini  preliminari)  nel corso del
medesimo   procedimento   penale  e  poi  annullato  dalla  Corte  di
cassazione per vizi procedurali, e (b) che gia' in relazione al primo
decreto  di  archiviazione  successivamente  annullato dalla Corte di
cassazione  (nonche'  in  relazione alla relativa richiesta formulata
dal  pubblico  ministero),  l'attore aveva esercitato la prima azione
civile  di danno nei confronti dello Stato - dichiarata inammissibile
dal  collegio  con  il  concorso  del giudice ricusato - allegando le
medesime  ragioni,  in  fatto  e  in  diritto,  poste  a  base  della
successiva  (e  attuale)  domanda risarcitoria proposta a seguito del
secondo  provvedimento  di  archiviazione  emesso  a rinnovazione del
primo;
        che,  chiamato  a  definire il giudizio di ricusazione in tal
modo   introdotto,  il  tribunale  rimettente  solleva  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 51,  primo  comma, numero 4),
cod.  proc.  civ.,  poiche'  "il  fatto  che lo stesso giudice che ha
deciso la prima causa sia chiamato a decidere anche la seconda appare
in  contrasto con il principio di imparzialita' del giudice", sancito
dall'art. 111  della  Costituzione,  in  quanto la circostanza che il
giudice  sia  chiamato  a  rinnovare,  nella seconda causa, le stesse
valutazioni  che ha compiuto nella prima contrasta "con il sentimento
comune  di  giustizia,  che  impone che la parte non deve trovarsi ad
essere  giudicata  da  un  giudice  prevenuto, perche' ha gia' deciso
sulla stessa materia processuale";
        che  nel caso di specie, ad avviso del giudice a quo, benche'
le  due cause siano formalmente distinte, avendo a oggetto domande di
risarcimento  del  danno  fondate  sulla  asserita  illegittimita' di
distinti  provvedimenti  giurisdizionali,  esse  risultano in realta'
strettamente collegate, in maniera tale che "il giudicato che dovesse
formarsi  sulla  prima verrebbe necessariamente a influenzare l'esito
della seconda";
        che   pertanto   non   sussisterebbe  alcun  dubbio  "che  il
magistrato  investito  della  nuova  causa sia chiamato a compiere le
stesse valutazioni che sono state necessarie nel primo giudizio e che
le  questioni in decisione nelle due cause sono le stesse, perche' la
tecnica  di  motivazione  "per  relationem"  adottata nel disporre la
seconda  archiviazione  impone  non  solo  di  affrontare  le  stesse
questioni di diritto, ma anche di esaminare gli stessi fatti";
        che  -  sempre  secondo  l'argomentazione del rimettente - si
potrebbe  "dubitare se in questi casi un'appropriata applicazione dei
criteri  di  identificazione  delle  azioni,  alla  luce dei quali va
condotto  il  giudizio  sull'identita'  o diversita' delle cause, non
consenta[no] di ravvisare nelle due controversie un'unica causa, e di
ritenere   la   fattispecie   direttamente   sussumibile  tra  quelle
contemplate  dall'art. 51,  numero  4,  cod. proc. civ.", aggiungendo
peraltro  che,  nonostante  tale  rilevata  identita'  sostanziale di
contenuti  tra  le due cause, "stante la diversitadei provvedimenti e
delle  cause  che  in  essi  trovano il loro riferimento", non appare
possibile  "fare  ricorso  agli  istituti della litispendenza o della
continenza  (art. 39  c.p.c.), o della riunione (art. 273 c.p.c.), il
cui presupposto e' la pendenza di "una stessa causa";
        che  pero', conclude il giudice a quo, "... se il concetto di
"stessa  causa"  resta  ancorato  all'interpretazione  che  ne  viene
comunemente  data,  pur con le precisazioni della lettura fattane dal
giudice  delle leggi nella ... pronuncia n. 387/1999" (decisione che,
si  rileva  nell'atto di rimessione, ha "interpretato estensivamente"
la  disposizione oggi impugnata, ampliandone l'ambito di applicazione
anche  in relazione a fasi diverse del medesimo processo), allora "la
norma  dell'art. 51,  numero 4, cod. proc. civ., non pare sufficiente
ad  evitare  ...  il  pericolo  costituito  dalla  c.d.  forza  della
prevenzione,  che  impone  che  lo  stesso giudice non sia chiamato a
contraddirsi,   smentendo   decisioni   gia'  assunte  in  situazioni
identiche";
        che  nel giudizio cosi' promosso e' intervenuto il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  che  ha  concluso  per  l'inammissibilita' o
infondatezza della questione;
        che   si   e'  costituita  la  parte  privata  proponente  la
ricusazione,  che,  con  argomentazioni pressoche' identiche a quelle
poste  a  base  dell'ordinanza  di  rimessione,  ha  concluso per una
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma censurata.
    Considerato  che  il  tribunale  di  Genova,  nell'ambito  di  un
giudizio incidentale di ricusazione di un giudice civile, solleva, in
riferimento   al  principio  di  imparzialita'  del  giudice  di  cui
all'art. 111    della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 51,  primo  comma, numero 4), del codice di
procedura     civile,     chiedendone     una     dichiarazione    di
incostituzionalita'  nella  parte  in  cui  non  prevede l'obbligo di
astensione   del   giudice   che  abbia  gia'  pronunciato  su  causa
formalmente  distinta  ma  con  contenuto  sostanzialmente identico a
quello della causa su cui e' ulteriormente chiamato a decidere;
        che,   svolgendo   le   proprie  argomentazioni  nei  termini
precedentemente esposti, il giudice rimettente assume, quale premessa
della  questione sollevata, l'identita' "sostanziale" delle due cause
-   quella  ancora  da  decidere,  assegnata  al  giudice  della  cui
ricusazione  si  tratta,  e  quella  gia'  in precedenza definita dal
collegio  con  il concorso del medesimo giudice - in quanto originate
da  azioni  di  risarcimento del danno a norma della legge n. 117 del
1988  (a) promosse dallo stesso soggetto, (b) esercitate in relazione
a due atti processuali penali (i decreti di archiviazione specificati
nell'esposizione dei fatti) formalmente distinti ma che costituiscono
l'uno  la  ripetizione  dell'altro, stante la motivazione del secondo
per  relationem  con quella del primo, annullato per vizio di forma e
(c)  sorrette dalle stesse doglianze da parte dell'attore, traendo da
queste   circostanze   la   conseguenza   che   la  odierna  funzione
giurisdizionale   di   trattazione   della   causa   nella   fase  di
ammissibilita' della domanda risarcitoria ex legge n. 117 del 1988 si
presenterebbe  come  una  mera  iterazione  della stessa attivita' in
precedenza  esercitata, tale da ledere la garanzia dell'imparzialita'
e  terzieta'  del  giudice  prescritta  dall'art. 111, secondo comma,
della Costituzione;
        che   il  giudice  a  quo,  sembra  tuttavia  contestualmente
escludere  che  detta  identita'  di  sostanza tra il precedente e il
nuovo  giudizio  possa  tradursi  nella  nozione giuridica di "stessa
causa"  rilevante  ai  fini  dell'applicazione  degli  istituti della
litispendenza  e  della continenza di cause ovvero della riunione dei
giudizi  (artt. 39 e 273 cod. proc. civ.), motivando tale assunto con
la "diversita' dei provvedimenti e delle cause che in essi trovano il
loro  riferimento",  dunque  valorizzando  distinzioni  obbiettive di
carattere  formale,  che  appaiono  essere  in  contraddizione con le
premesse sopra sintetizzate;
        che,  sotto  altro  profilo,  lo  stesso  giudice  rimettente
formula  il  rilievo  secondo  cui "si potrebbe dubitare se in questi
casi  un'appropriata applicazione dei criteri d'identificazione delle
azioni,  alla luce dei quali va condotto il giudizio sull'identita' o
diversita'  di cause", non possa condurre a ravvisare, in una ipotesi
quale  e' quella del giudizio principale, una "stessa causa" (non nel
senso  che  rileva  per  i citati artt. 39 e 273 cod. proc. civ., ma)
agli  effetti  dell'applicazione della stessa disposizione sospettata
di  incostituzionalita'  (art. 51, primo comma, numero 4), cod. proc.
civ.),  dunque  in  maniera  tale  da rendere la fattispecie concreta
"direttamente   sussumibile"   tra  quelle  considerate  dalla  norma
denunciata,  anche  alla  stregua  della  lettura  estensiva  che  di
quest'ultima ha fornito la sentenza n. 387 del 1999 di questa Corte;
        che,  ancora  sotto questo profilo, il rimettente afferma, in
pari   tempo,  di  non  poter  direttamente  pervenire  al  risultato
interpretativo  che  si  e'  detto,  in  quanto la nozione di "stessa
causa"  (ai  fini  dell'art. 51)  resti  - ipoteticamente - "ancorata
all'interpretazione   che   ne   viene   comunemente   data",   cioe'
all'interpretazione   che   esclude  di  poter  addivenire  a  questa
soluzione del problema sollevato;
        che, in presenza di una simile impostazione della questione -
anche  indipendentemente  dalle  anomalie  della  vicenda processuale
dalla  quale il presente giudizio ha preso avvio -, e' preliminare il
rilievo  che  il  giudice  della  ricusazione  prospetta  una duplice
possibilita'  interpretativa,  per  un  verso  affermando la astratta
possibilita'  di pervenire a una soluzione della questione attraverso
una  "appropriata  applicazione" dei criteri di identificazione delle
azioni  in  modo  da  condurre  a una diretta inclusione dell'ipotesi
dedotta  nell'ambito  della  norma  impugnata, senza necessita' di un
intervento  di  questa  Corte,  ma  per  altro  verso contestualmente
dubitando  di  tale  possibilita', alla stregua della interpretazione
che della medesima norma viene "comunemente data";
        che  e'  su  questa  irrisolta  duplice  possibilita'  che il
giudice a quo, chiama questa Corte a un intervento sulla disposizione
censurata,  in  modo tale da superare la "comune" interpretazione che
lo stesso rimettente sembra non fare propria ne' condividere;
        che,  in  tal  modo impostata, la questione risulta sollevata
essenzialmente   in   vista   della   soluzione  di  una  alternativa
interpretativa  circa  la portata della disposizione processuale: una
alternativa che spetta al giudice risolvere, assegnando alla norma un
preciso  significato, prima di prospettare un problema di conformita'
alla Costituzione;
        che,   per   questo,   la  sollevata  questione  deve  essere
dichiarata,  conformemente  al costante orientamento di questa Corte,
manifestamente  inammissibile  (per  tutte, ordinanze n. 418 e n. 201
del 2000).
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 51, primo comma, numero 4), del
codice  di  procedura  civile, sollevata, in riferimento all'art. 111
della  Costituzione, dal tribunale di Genova con l'ordinanza indicata
in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                      Il redattore: Zagrebelsky
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 18 luglio 2002.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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