N. 364 ORDINANZA 10 - 18 luglio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Azione civile - Possibilita' di esercizio per le
  parti private - Asserita lesione del principio del giusto processo,
  del principio di eguaglianza e di quelli di economia e di celerita'
  processuale  -  Questione  sollevata  in riferimento a una serie di
  norme  di contenuto eterogeneo non rilevanti, sotto alcuni profili,
  per il giudizio a quo - Manifesta inammissibilita'.
- Cod.  proc.  pen., artt. da 74 a 88, da 90 a 95, 154, 187, comma 3,
  441,  commi  2  e 3, 444, comma 2, 451, comma 3, 491, 505, da 538 a
  541, e 543.
- Costituzione, artt. 2, 3, 13 e 111.
(GU n.29 del 24-7-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,
Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. da 74 a 88,
da  90  a 95, 154, 187, comma 3, 441, commi 2 e 3, 444, comma 2, 451,
comma  3, 491, 505, da 538 a 541, 543 del codice di procedura penale,
promosso con ordinanza emessa il 13 luglio 2001 dal Tribunale di Roma
nel  procedimento  penale  a  carico  di D.M.A. ed altra, iscritta al
n. 883  del  registro  ordinanze  2001  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 44, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 22 maggio 2002 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto   che,  con  ordinanza  emessa  il  13 luglio  2001,  il
Tribunale  di  Roma  -  chiamato  a  pronunciarsi  sulla richiesta di
esclusione  della  parte  civile,  formulata dal pubblico ministero e
dagli  imputati  nel  corso  di  un  processo penale nei confronti di
persone  imputate  dei  reati  di lesioni personali e di detenzione e
porto  illecito  di armi - ha sollevato, in riferimento agli artt. 2,
3,   13   e   111   della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  degli artt. da 74 a 88, da 90 a 95, 154, 187 comma 3,
441, commi 2 e 3, 444, comma 2, 451, comma 3, 491, 505, da 538 a 541,
e  543  del  codice di procedura penale, nella parte in cui prevedono
"la  possibilita'  di  azione civile delle parti private nel processo
penale";
        che   ad   avviso   del   rimettente,   le   norme  impugnate
contrasterebbero  con  i  principi  del  "giusto  processo",  di  cui
all'art. 111  Cost.,  a fronte dei quali il processo deve tradursi in
un "duello ad armi e forze pari";
        che  l'intervento nel processo penale di una parte ulteriore,
che   mira   a   realizzare   "interessi   morali   e   civilistici",
provocherebbe,  infatti,  uno  "sbilanciamento" a favore dell'accusa,
potendo  generare  nel  giudice una "pressione inconscia" - correlata
all'aspirazione a rendere comunque giustizia alla vittima del reato -
tale  da compromettere la serenita' e la correttezza della decisione:
e cio' tanto piu' in un sistema processuale come quello italiano, che
ammette decisioni su base indiziaria e nel quale la valutazione della
convergenza  e  della forza degli indizi non si fonda "su un criterio
rigorosamente scientifico";
        che  l'imparzialita'  e  la  terzieta'  del giudice sarebbero
assicurate  solo  da  un sistema rigorosamente "binario" di parti che
contendano  in  via  esclusiva sul tema della responsabilita' penale:
tema  che,  nella  cornice  della  Costituzione,  assume  un  rilievo
prioritario  rispetto  alla  salvaguardia  dei  diritti  delle  parti
private,   in   quanto  incidente  sulla  liberta'  fisica  e  morale
dell'individuo;
        che,  al  riguardo,  verrebbero  segnatamente  in rilievo gli
artt. 2  e  13  Cost.,  e  soprattutto  l'art. 3 Cost., che impone di
rimuovere  gli  ostacoli  che  di  fatto  limitano  la  liberta'  dei
cittadini,  tutti  avendo  poi  l'eguale  diritto,  ove  imputati, di
accedere ad un processo rapido e ad armi pari con l'accusa;
        che  l'inserimento  dell'azione civile in un processo di tipo
accusatorio  -  introducendo  un  nuovo  thema  decidendum, ampliando
l'ambito  delle  prove  e  rendendo  necessari  ulteriori adempimenti
processuali  (quali notifiche ed avvisi) - comprometterebbe, inoltre,
i  principi  di  economia,  concentrazione  e  celerita' del processo
stesso;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
    Considerato  che il tribunale rimettente sottopone a scrutinio di
costituzionalita'  trentatre' articoli del codice di procedura penale
di contenuto eterogeneo;
        che,  in  prevalenza,  si  tratta di disposizioni concernenti
l'esercizio  dell'azione civile nel processo penale: disposizioni che
peraltro,  da  un  lato,  si  riferiscono  anche  a  profili privi di
qualsiasi attinenza con la decisione che il rimettente e' chiamato ad
assumere nel giudizio a quo; e, dall'altro lato, non coprono l'intero
ventaglio  delle  disposizioni  del  codice  di  rito  concernenti la
predetta azione;
        che   tra   le  norme  impugnate  figurano,  tuttavia,  anche
disposizioni  che non riguardano affatto la tematica dianzi indicata,
ma  ineriscono  in via esclusiva alla persona offesa dal reato e agli
enti  ed  associazioni  rappresentativi  di  interessi lesi dal reato
(artt. da  90  a  95,  e  505 cod. proc. pen.): soggetti, questi, ben
distinti, nella sistematica del codice, dalla parte civile;
        che, pertanto, non e' dato ravvisare, tra le norme impugnate,
quella  reciproca,  intima  connessione che sola consente, secondo la
costante   giurisprudenza  di  questa  Corte,  di  coinvolgere  nello
scrutinio  di  costituzionalita' un intero complesso normativo (cfr.,
ex  plurimis,  sentenza  n. 156  del 2001; ordinanze nn. 81 e 286 del
2001);
        che    d'altra    parte   -   come   correttamente   rilevato
dall'Avvocatura  dello  Stato  -  il  quesito di costituzionalita' si
risolve,  nella  sostanza, in una mera critica, a livello di politica
giudiziaria, di una scelta "di sistema" (quella del possibile cumulo)
operata  dal  legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalita',
in  tema  di  rapporti  fra azione civile e azione penale relative al
medesimo fatto: scelta che il rimettente vorrebbe veder sostituita da
una  soluzione  di tipo diverso, in assunto preferibile (quella della
separazione assoluta);
        che,  sotto  entrambi  i  profili,  la  questione deve essere
dunque dichiarata manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale degli artt. da 74 a 88, da 90 a 95, 154,
187  comma 3, 441, commi 2 e 3, 444, comma 2, 451, comma 3, 491, 505,
da  538  a  541,  e 543 del codice di procedura penale, sollevata, in
riferimento  agli  artt. 2,  3,  13  e  111  della  Costituzione, dal
Tribunale di Roma con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 18 luglio 2002.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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