N. 384 ORDINANZA 10 - 23 luglio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  civile  - Procedimento cautelare - Spese del procedimento -
  Liquidazione  delle  spese  solo in caso di rigetto della richiesta
  cautelare  ante  causam  o  di dichiarazione di incompetenza, e non
  anche  nell'ipotesi  di  domanda  cautelare  in  corso  di  causa -
  Prospettata  irragionevole  disparita' di trattamento di situazioni
  omogenee Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. proc. civ., art. 669-septies, secondo comma.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.30 del 31-7-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo
DE SIERVO, Romano VACCARELLA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 669-septies,
secondo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza
emessa  il  1  agosto  2001  dal Tribunale di Torino nel procedimento
civile  vertente  tra  Caffe'  Fioccucci  S.n.c.  e  Giuseppe Maggio,
iscritta  al  n. 914  del  registro ordinanze 2001 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 46,  1a  serie  speciale,
dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 19 giugno 2002 il Giudice
relatore Franco Bile.
    Ritenuto  che,  con ordinanza in data 1 agosto 2001, il Tribunale
di Torino ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione,
questione   di   legittimita'  costituzionale  dell'art. 669-septies,
secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non
prevede  che  il  giudice  possa  provvedere  sulle spese nel caso di
pronuncia di rigetto o di dichiarazione di incompetenza sulla domanda
di provvedimento cautelare proposta nel corso della causa di merito;
        che  la  questione  e'  stata proposta nel corso del giudizio
introdotto  dalla s.n.c. Caffe' Fioccucci contro Giuseppe Maggio, per
ottenere  la  riduzione del prezzo della compravendita di un'azienda,
in pendenza del quale la societa' attrice ha presentato un'istanza ex
art. 700 del codice di procedura civile, chiedendo che fosse ordinata
la sospensione del pagamento delle cambiali all'uopo rilasciate;
        che  il  rimettente  -  premesso  che  l'istanza cautelare e'
infondata,   per   carenza   dei  requisiti  del  fumus boni juris  e
dell'irreparabilita'   del   pregiudizio   -   rileva  di  non  poter
pronunciare  sulle spese del procedimento, perche' l'art. 669-septies
secondo   comma,    del   codice   di  procedura  civile  ammette  la
liquidazione  delle  spese  solo  in  caso  di  rigetto  della misura
cautelare  richiesta ante causam o di dichiarazione di incompetenza a
provvedere su di essa;
        che   ne   deriverebbe   -   ad   avviso   del  rimettente  -
un'ingiustificata disparita' di trattamento, lesiva dell'art. 3 della
Costituzione,   tra   due   situazioni   omogenee,   secondo  che  la
soccombenza riguardi  una domanda cautelare proposta ante causam o in
corso di causa, potendo la condanna alle spese seguire solo nel primo
caso e non anche nel secondo;
        che  inoltre  la  mancata  previsione della regolazione delle
spese  nei casi di rigetto delle istanze cautelari proposte nel corso
del   processo   non  potrebbe  essere  ragionevolmente  giustificata
con l'argomento  che tale regolazione potra' avvenire con la sentenza
che  definisce il giudizio, perche' non sempre i processi si chiudono
con sentenza; perche' non mancano ipotesi di provvedimenti provvisori
(viene  citato  l'art. 186-quater  cod.  proc.  civ.), per i quali si
prevede la regolazione di spese; perche' la differenza di trattamento
non  servirebbe  a deflazionare, ed anzi incrementerebbe, "il ricorso
ad un esagitato uso dell'azione cautelare atipica";
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
tramite l'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato memoria,
nella quale ha sostenuto l'infondatezza della questione.
    Considerato che in tema di condanna nelle spese giudiziali civili
vige  la  regola generale per cui essa e' correlata alla chiusura del
procedimento  avanti  al  giudice  (art. 91  del  codice di procedura
civile);
        che di tale regola l'art. 669-septies del codice di procedura
civile,  concernente  la  liquidazione delle spese in caso di rigetto
della   domanda   cautelare   proposta   ante   causam,   rappresenta
un'applicazione,  in  quanto - non essendo previsto alcun automatismo
per  l'inizio  del  giudizio  di merito - il provvedimento di rigetto
definisce il procedimento cautelare;
        che,  invece,  il  provvedimento  di  rigetto  della  domanda
cautelare  proposta in corso di causa non "chiude" il processo avanti
al  giudice  (semmai  definisce  solo  un sub-procedimento interno al
giudizio  a  cognizione piena), e per tale ragione la decisione sulle
spese  relative  alla  domanda  cautelare e' rimessa al momento della
definizione del giudizio di merito;
        che  pertanto  la  censura  di  disparita' di trattamento fra
l'ipotesi  del  rigetto  ante causam e quella del rigetto in corso di
causa,   fra   le   quali   non   sussiste   alcuna  omogeneita',  e'
manifestamente infondata;
        che    altrettanto    deve    dirsi   per   la   censura   di
irragionevolezza,  prospettata  in ragione del rilievo che non sempre
il giudizio di merito e' definito con sentenza;
        che  infatti  tale  ipotesi si verifica in caso di estinzione
del  giudizio,  la quale - che avvenga per rinuncia agli atti, ovvero
per  inattivita'  delle  parti  -  non  solo trova nel codice precise
regole  riguardo alle spese (art. 306, ultimo comma; art. 310, ultimo
comma),  ma  comunque  si  correla  ad  una decisione delle parti (e,
quindi,   anche   di  quella  che  vede  rigettata  l'altrui  domanda
cautelare);
        che   -   circa   l'ulteriore  profilo  di  censura  relativo
all'esistenza  di  provvedimenti provvisori che regolano le spese pur
non  definendo  il  giudizio  avanti  al  giudice  che  li pronuncia,
discostandosi  dalla  regola  emergente  dall'art. 91 cod. proc. civ.
(come nel caso, citato dal remittente, della liquidazione delle spese
recata  dall'ordinanza  successiva  alla  chiusura dell'istruzione ex
art. 186-quater  cod.  proc.  civ.,  ma  anche  nei  casi del decreto
ingiuntivo  ex  art. 641 cod. proc. civ. e dell'ordinanza-ingiunzione
ex  art. 186-ter cod. proc. civ.) - e' decisivo il rilievo che queste
deroghe  alla  regola generale non possono essere assunte come tertia
comparationis  perche',  al  di la' delle peculiarita' di struttura e
funzione  di  ciascun istituto, sono correlate all'attitudine di tali
provvedimenti   ad   acquisire  successivamente  un  certo  grado  di
stabilita'  circa  l'assetto degli interessi coinvolti, eventualmente
con  la  forza del giudicato o con la possibilita' di essere posti in
discussione solo in successivi giudizi a cognizione piena;
        che   questo  rilievo  vale  in  particolare  per  l'istituto
(ricordato  dal  rimettente)  di  cui  all'art. 186-quater cod. proc.
civ.,  il  quale  sul  piano dei presupposti, della struttura (per la
natura  della cognizione che lo caratterizza) e della funzione non ha
alcun punto di contatto con la cognizione cautelare;
        che  l'ultima  argomentazione del rimettente - secondo cui la
mancata  previsione  della statuizione sulle spese non scongiurerebbe
la  riproposizione  di istanze cautelari - si limita a prospettare un
inconveniente,  rispetto  al  quale puo' soccorrere l'istituto di cui
all'art. 96 cod. proc. civ;
        che,  conclusivamente,  la  questione  dev'essere  dichiarata
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'   costituzionale   dell'articolo   669-septies,  secondo
comma&i,,  del codice di procedura civile, sollevata dal Tribunale di
Torino,   in  riferimento  all'articolo  3  della  Costituzione,  con
l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                         Il redattore: Bile
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2002.
                      Il cancelliere: Fruscella
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