N. 394 SENTENZA 10 - 25 luglio 2002

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Oggetto  del  giudizio  -  Disposizione  normativa cui va riferita la
  questione - Individuazione.
Processo  penale  -  Rapporto  con  il  procedimento  disciplinare  -
  Sentenze  di  applicazione  della  pena  su  richiesta - Effetto di
  giudicato    nel   procedimento   disciplinare   -   Applicabilita'
  retroattiva,  ovvero  alle  pronunce intervenute anteriormente alla
  nuova  disciplina  - Violazione del diritto alla difesa esplicabile
  nel  procedimento  disciplinare  - Illegittimita' costituzionale in
  parte qua.
- Legge 27 marzo 2001, n. 97, art. 10, comma 1.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.30 del 31-7-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,
Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'articolo 10 della
legge  27 marzo  2001,  n. 97  (Norme  sul  rapporto tra procedimento
penale  e  procedimento  disciplinare ed effetti del giudicato penale
nei   confronti  dei  dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche),
promosso  con  ordinanza emessa in data 4 giugno 2001 e depositata in
data 27 luglio 2001 dalla Corte di cassazione, iscritta al n. 947 del
registro  ordinanze  2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 49, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 22 maggio 2002 il Giudice
relatore Carlo Mezzanotte.

                          Ritenuto in fatto


    1. - Con  ordinanza  emessa in data 4 giugno 2001 e depositata in
data 27 luglio 2001, la Corte di cassazione, terza sezione civile, ha
sollevato,  in  riferimento  agli articoli 3 e 24 della Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 10 della legge
27 marzo  2001,  n. 97  (Norme sul rapporto tra procedimento penale e
procedimento   disciplinare  ed  effetti  del  giudicato  penale  nei
confronti  dei  dipendenti  delle  amministrazioni pubbliche), "nella
parte  in  cui  dispone  l'applicabilita'  degli articoli 1 e 2 della
stessa  legge (concernenti gli effetti della sentenza di applicazione
della  pena  su  richiesta  delle parti nel giudizio disciplinare) ai
patteggiamenti perfezionatisi anteriormente alla nuova legge".
    La  Corte  remittente  premette di essere chiamata a decidere sul
ricorso  proposto  da un ginecologo avverso la decisione con la quale
in  data  10 aprile 2000 la Commissione centrale per gli esercenti le
professioni  sanitarie aveva confermato la sanzione della sospensione
dall'esercizio  della  professione  per mesi tre a lui irrogata dalla
Commissione  medici  chirurghi della Provincia di Napoli all'esito di
un  procedimento  disciplinare, nel quale gli era stato addebitato di
avere  cagionato  interruzioni volontarie di gravidanza a dieci donne
in contrasto con la legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela
sociale  della  maternita' e sull'interruzione della gravidanza) e di
avere  tentato  di  commettere lo stesso reato nei confronti di altre
due  donne,  fatti  per  i quali, con sentenza resa in data 22 maggio
1998  ai  sensi  dell'articolo 444 del codice di procedura penale dal
giudice  per  le indagini preliminari presso la Pretura circondariale
di  Napoli, gli era stata applicata la pena di anni uno e mesi due di
reclusione.

    2. - La  Corte  di  cassazione  rileva  che, successivamente alla
proposizione  del  ricorso,  e'  entrata  in vigore la legge 27 marzo
2001,  n. 97, che, con l'articolo 1, ha modificato l'articolo 653 del
codice  di  procedura penale, riconoscendo efficacia di giudicato nel
giudizio  per  responsabilita'  disciplinare  davanti  alle pubbliche
autorita' alla sentenza penale irrevocabile di condanna (e non solo a
quella  di  assoluzione,  come  era precedentemente previsto), quanto
all'accertamento  della  sussistenza  del fatto, della sua illiceita'
penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso.
    A  tale  sentenza di condanna - prosegue la Cassazione - e' stata
poi  equiparata  la  sentenza di applicazione della pena su richiesta
delle  parti,  mediante  la  modifica apportata dall'articolo 2 della
citata  legge n. 97 del 2001 all'articolo 445 del codice di procedura
penale,  il  cui  nuovo  testo  esclude  il giudizio disciplinare dal
principio secondo cui il patteggiamento "non ha efficacia nei giudizi
civili e amministrativi".
    Conseguentemente,  rispetto al giudizio disciplinare, la sentenza
di  patteggiamento  e' stata equiparata ad una pronunzia di condanna,
secondo  la  regola  generale dettata dall'ultima parte dell'articolo
445, comma 1, del codice di procedura penale.

    3. - La  Corte remittente osserva che il titolo della legge n. 97
del  2001  e  il  testo dell'articolo 1 di tale nuova disciplina, che
riconosce efficacia di giudicato alla sentenza penale di condanna nel
"giudizio  per  responsabilita'  disciplinare  davanti alle pubbliche
autorita'",  potrebbero  far  pensare che il legislatore abbia voluto
limitare  l'ambito  del  suo  intervento al procedimento disciplinare
relativo  ai  dipendenti  pubblici.  Ritiene tuttavia che, poiche' la
novellazione  investe  gli articoli 653 e 445 del codice di procedura
penale, che regolano in generale gli effetti del giudicato penale sul
giudizio  disciplinare,  la nuova disciplina sia applicabile anche ai
procedimenti  disciplinari  dei professionisti, come quello su cui e'
chiamata a decidere, in quanto "il procedimento che si svolge dinanzi
all'Ordine  ha natura amministrativa e gli ordini professionali hanno
personalita' giuridica pubblica".

    4. - Nell'ordinanza  di  rimessione  si puntualizza che, ai sensi
dell'articolo  10 della legge n. 97 del 2001, le disposizioni in essa
contenute  "si  applicano ai procedimenti penali, ai giudizi civili e
amministrativi  e  ai procedimenti disciplinari in corso alla data di
entrata  in  vigore  della  legge  stessa"  (fissata  per  il  giorno
successivo  alla  sua  pubblicazione  nella  Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, avvenuta il 5 aprile 2001).
    Poiche' il ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le
professioni sanitarie introduce un vero e proprio giudizio civile che
continua  attraverso  il  giudizio in Cassazione, la Corte remittente
rileva  che  le  innovazioni dettate dagli articoli 1 e 2 della legge
n. 97  del 2001 sono, per espressa previsione del citato articolo 10,
applicabili al giudizio disciplinare instaurato contro il ricorrente,
per  il  quale,  quindi,  secondo  la  nuova  legge,  la  sentenza di
patteggiamento avrebbe efficacia di giudicato quanto all'accertamento
della sussistenza del fatto ed all'affermazione di averlo commesso.

    5. - Proprio  l'espressa  previsione  della  retroattivita' della
disciplina  in  esame e la sua applicabilita' anche ai patteggiamenti
perfezionatisi  anteriormente  alla  nuova  legge  suscita i dubbi di
costituzionalita' del giudice remittente.
    La  Corte di cassazione, pur aderendo al consolidato orientamento
della  giurisprudenza  costituzionale  che  considera  il  divieto di
retroattivita'  della  legge  non  elevato a dignita' costituzionale,
eccettuata   la   previsione   dell'articolo  25  della  Costituzione
limitatamente   alla   legge   penale,   ritiene,  tuttavia,  che  il
legislatore  ordinario possa adottare norme con efficacia retroattiva
solo    a   condizione   che   la   retroattivita'   trovi   adeguata
giustificazione  sul  piano  della  ragionevolezza  e non si ponga in
contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti.
    La  disposizione  censurata,  ad  avviso  del  giudice  a quo, si
porrebbe,  invece,  in  contrasto con il canone di ragionevolezza, in
quanto,   prevedendo   l'applicazione   della   nuova  disciplina  ai
procedimenti  in corso e, dunque, alle sentenze di applicazione della
pena  su  richiesta  pronunciate  anteriormente all'entrata in vigore
della   legge   n. 97   del   2001,   assocerebbe  alle  sentenze  di
patteggiamento  effetti  che, con riguardo alla disciplina anteriore,
esse  non  avevano, cosi' frustrando il legittimo affidamento di chi,
in ragione del quadro normativo esistente, aveva deciso di addivenire
al patteggiamento.
    L'autorita'  del giudicato penale escluderebbe poi che il giudice
civile possa valutare liberamente la sussistenza e la commissione del
fatto,  cosicche',  per  effetto  della  retroattivita'  della  nuova
disciplina,  sarebbe  violato,  sotto  un  concorrente profilo, anche
l'articolo 24 della Costituzione, in quanto perderebbero rilevanza le
difese svolte in proposito dall'interessato.

                       Considerato in diritto


    1. - La  Corte di cassazione dubita, in riferimento agli articoli
3   e   24  della  Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale
dell'articolo  10  della  legge 27 marzo 2001, n. 97, "nella parte in
cui  dispone l'applicabilita' degli articoli 1 e 2 della stessa legge
(concernenti gli effetti della sentenza di applicazione della pena su
richiesta  delle  parti  nel giudizio disciplinare) ai patteggiamenti
perfezionatisi  anteriormente  alla  nuova legge". Benche' la censura
sia  nominalmente  estesa  all'intero articolo 10, il complesso della
motivazione  dell'ordinanza,  nella quale e' puntualmente individuato
il  contenuto  normativo  che  si  intende  sottoporre al giudizio di
questa  Corte,  induce  a  ritenere  che  il  dubbio  di legittimita'
costituzionale investa il solo primo comma.
    La  disposizione  censurata, ad avviso della Corte remittente, si
porrebbe  in  contrasto  con  il  canone di ragionevolezza, in quanto
collegherebbe  alle  sentenze di applicazione della pena su richiesta
delle parti effetti che, con riguardo alla disciplina anteriore, esse
non  avevano  e verrebbe a frustrare il legittimo affidamento di chi,
in ragione del quadro normativo esistente, aveva deciso di addivenire
al patteggiamento.
    Infatti - prosegue la Cassazione - in base al diritto vivente, la
sentenza  pronunciata  ai  sensi  dell'articolo  444  del  codice  di
procedura  penale  non  aveva  efficacia  di  giudicato  nel giudizio
disciplinare,   nell'ambito   del   quale  l'accertamento  dei  fatti
addebitati   doveva   avvenire   in   modo   autonomo,   sicche'   la
retroattivita'   della   nuova   disciplina   comporterebbe   che  il
professionista,  il  quale, vigenti le precedenti disposizioni, aveva
ritenuto  di  accedere  al patteggiamento nella legittima aspettativa
che   la   sua   scelta   non   avrebbe  avuto  incidenza  preclusiva
sull'accertamento  di  sussistenza  e  di  commissione  del  fatto da
compiersi   nel  procedimento  disciplinare,  vedrebbe  modificata  e
definitivamente   pregiudicata  la  propria  posizione,  non  potendo
pretendere un autonomo accertamento sul punto nella sede non penale.
    Infine,   ad   avviso  del  giudice  a  quo,  per  effetto  della
retroattivita'  della  nuova disciplina, perderebbero di rilevanza le
difese  svolte  dall'interessato  in  ordine alla sussistenza ed alla
commissione  del  fatto,  in  quanto l'autorita' del giudicato penale
escluderebbe  che  il  giudice  civile possa esprimere liberamente le
proprie valutazioni in proposito.

    2. - La questione e' fondata.
    E'  acquisito  alla  giurisprudenza  costituzionale  che  il rito
speciale  regolato  dagli  articoli  444  e  seguenti  del  codice di
procedura  penale,  pur  in presenza di autonomi e consistenti poteri
del  giudice,  trova  il  suo  fondamento  nell'accordo  tra pubblico
ministero e imputato sul merito dell'imputazione. Nel patteggiamento,
infatti,  l'imputato e' posto di fronte a una alternativa che investe
principalmente  il suo diritto di difesa: concordare la pena e uscire
rapidamente  dal processo ovvero esercitare la facolta' di contestare
l'accusa  (sentenze  n. 251  del  1991;  n. 313 e n. 66 del 1990). Il
sistema  e'  costruito in modo che l'imputato possa determinarsi alla
sua  scelta  con  piena  consapevolezza  delle conseguenze giuridiche
derivanti dall'applicazione della pena su richiesta, cosi' da poterne
adeguatamente  ponderare  i benefici e gli svantaggi. Tra i benefici,
in  primo  luogo,  l'applicazione  di  una  pena, diminuita fino a un
terzo,  che,  se  detentiva,  non  puo'  essere superiore a due anni;
quindi  l'esonero  dal pagamento delle spese del procedimento, la non
applicazione   di   pene   accessorie   e  di  misure  di  sicurezza,
l'estinzione  del  reato  e  di  ogni  effetto penale alle condizioni
previste  dall'articolo  445, comma 2, del codice di procedura penale
e,  infine,  alla  stregua della originaria disciplina, la previsione
che  la  sentenza  di patteggiamento non avesse efficacia nei giudizi
civili  o  amministrativi  (articolo  445,  comma  1,  del  codice di
procedura  penale).  In particolare, per quanto riguarda quest'ultimo
beneficio,    era   ampiamente   consolidato   l'orientamento   della
giurisprudenza,  anche  di  legittimita',  riferito  dal  remittente,
secondo  il  quale la sentenza pronunciata ai sensi dell'articolo 444
del  codice  di procedura penale non aveva efficacia di giudicato nel
giudizio disciplinare, nell'ambito del quale l'accertamento dei fatti
e  la  loro  riferibilita'  all'incolpato  doveva  avvenire  in  modo
autonomo.

    3. - La    componente   negoziale   propria   dell'istituto   del
patteggiamento,  resa  evidente  anche  dalla  facolta'  concessa  al
giudice di verificare la volontarieta' della richiesta o del consenso
(articolo  446,  comma  5,  del  codice di procedura penale), postula
certezza  e  stabilita'  del  quadro  normativo che fa da sfondo alla
scelta compiuta dall'imputato e preclude che successive modificazioni
legislative   vengano   ad   alterare   in   pejus  effetti  salienti
dell'accordo suggellato con la sentenza di patteggiamento. Ed effetto
saliente   dell'accordo,   secondo   la  disciplina  previgente,  era
indubbiamente  la  garanzia  per  l'imputato  patteggiante che il suo
diritto  di  difesa  sarebbe  rimasto  integro  in tutti i successivi
giudizi (civili, amministrativi e disciplinari) nei quali il medesimo
fatto avesse avuto rilievo.
    La  novella  del  2001  ha  innanzitutto  modificato,  con il suo
articolo   1,   l'articolo   653  del  codice  di  procedura  penale,
attribuendo  efficacia  di giudicato nel giudizio per responsabilita'
disciplinare  davanti alle pubbliche autorita' non piu' solo, come in
precedenza,  alla  sentenza  penale  irrevocabile  di assoluzione, ma
anche  a quella di condanna quanto all'accertamento della sussistenza
del  fatto,  della  sua  illiceita'  penale  e  all'affermazione  che
l'imputato lo ha commesso.
    Il  nuovo testo dell'articolo 445 del codice di procedura penale,
come  modificato  dall'articolo  2  della  legge  n. 97  del 2001, ha
ribadito,   in   riferimento  alle  sentenze  di  patteggiamento,  il
principio  secondo  cui esse non hanno efficacia nei giudizi civili e
amministrativi,  escludendone  pero',  con  la  locuzione  che figura
nell'ultimo   periodo   del   primo  comma  ["Salvo  quanto  previsto
dall'art. 653   (...)"],  l'operativita'  nei  giudizi  disciplinari.
Infine,   l'articolo  10  della  predetta  legge,  sotto  la  rubrica
"disposizioni  transitorie",  ha  stabilito  che le nuove regole, ivi
comprese  quelle concernenti l'efficacia del giudicato della sentenza
di   applicazione   della  pena  su  richiesta,  riguardano  anche  i
procedimenti disciplinari in corso (comma 1).
    L'anzidetta   disposizione   transitoria,  in  contrasto  con  il
congiunto  operare  delle  garanzie poste dagli articoli 3 e 24 della
Costituzione, ha radicalmente innovato alla disciplina che l'imputato
aveva  avuto  presente  nel ponderare l'opportunita' di addivenire al
patteggiamento ed ha retroattivamente attribuito al consenso prestato
l'ulteriore  significato  di  una  rinunzia  alla  difesa  anche  nel
successivo  procedimento  disciplinare;  rinunzia  pressoche' totale,
deve  aggiungersi,  posto che l'efficacia di giudicato della sentenza
di  cui  all'articolo 444 del codice di procedura penale si estende a
tutti  gli  elementi  della  fattispecie.  In tal modo l'articolo 10,
comma  1,  poc'anzi  citato,  non  tanto  ha  violato una aspettativa
generica  e  non  titolata  di  permanente vigenza di una determinata
disciplina legislativa - aspettativa, che, in termini cosi' generali,
questa  Corte  ha  sempre escluso potesse essere tutelata - quanto ha
leso   un   affidamento   qualificato   dal  suo  intimo  legame  con
l'effettivita'  del diritto di difesa nel procedimento disciplinare e
quindi   costituzionalmente  protetto  dal  simultaneo  agire,  nella
presente  fattispecie,  dei parametri evocati dal giudice remittente.
Proprio   per   la   gia'   rilevata   componente   negoziale  insita
nell'istituto   del   patteggiamento,   che   esige  una  consapevole
manifestazione  di  volonta' dell'imputato ed impone di preservare la
genuinita'  dell'accordo,  il  quadro  normativo  entro  il  quale e'
maturata  la  scelta  dell'imputato non poteva non essere assunto dal
legislatore  come  elemento  determinante della strategia processuale
del   patteggiante.   Quella   disciplina,  dunque,  nel  suo  nucleo
essenziale,  che  investe  l'effettivita'  della  difesa nel giudizio
disciplinare,  non  poteva essere retroattivamente rimossa, ma doveva
essere  preservata,  in  quanto  indefettibile  condizione della gia'
intervenuta applicazione della pena su richiesta.
    L'articolo  10,  comma  1, della legge n. 97 del 2001 va pertanto
dichiarato  illegittimo nella parte in cui prevede che gli articoli 1
e  2  della  stessa  legge  si  riferiscono  anche  alle  sentenze di
applicazione  della  pena su richiesta pronunciate anteriormente alla
sua entrata in vigore.
                          Per questi motivi

                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 10, comma
1,   della  legge  27 marzo  2001,  n. 97  (Norme  sul  rapporto  tra
procedimento  penale  e  procedimento  disciplinare  ed  effetti  del
giudicato  penale  nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche),  nella  parte in cui prevede che gli articoli 1 e 2 della
stessa legge si riferiscono anche alle sentenze di applicazione della
pena  su  richiesta  pronunciate  anteriormente  alla  sua entrata in
vigore.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                      Il redattore: Mezzanotte
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2002.
                      Il cancelliere: Fruscella
02C0798