N. 376 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 giugno 2002
Ordinanza emessa il 6 giugno 2002 dal giudice di pace di Locri nel procedimento penale a carico di Silvano Gabriele ed altra Reato in genere - Delitto di lesioni personali colpose commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale - Punibilita' a querela della persona offesa - Perseguibilita' d'ufficio come stabilito per il medesimo delitto commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro - Mancata previsione - Ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni omogenee. - Cod. pen., art. 590, ultimo comma. - Costituzione, art. 3. Reato in genere - Delitto di lesioni personali colpose aggravate commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale - Obbligatorieta' dell'azione penale, anche in assenza di querela - Mancata previsione - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto al medesimo delitto commesso in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull'igiene del lavoro. - Cod. pen., artt. 590, 582, primo comma, 583 e 585. - Costituzione, art. 112. Processo penale - Processo dinanzi al giudice di pace - Condizioni di procedibilita' - Reati procedibili a querela di parte - Remissione della querela - Obbligo del pubblico ministero di presentare al giudice di pace richiesta di archiviazione - Possibilita' per il giudice di pace di procedere d'ufficio anche in assenza di querela - Esclusione - Violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale. - Cod. proc. pen., artt. 345, comma 1, e 340; d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 17, comma 1. - Costituzione, art. 112.(GU n.35 del 4-9-2002 )
IL GIUDICE DI PACE Nel procedimento penale n. 6/2002 G.i.p. nei confronti di: Silvano Gabriele, nato a Reggio Calabria il 16 gennaio 1987 e residente in Locri, contrada Cancello, Lucano Felicia, nata a Placanica il 3 ottobre 1938 e residente in Roccella Jonica, via Fumata 117 avente ad oggetto: lesioni colpose ex art. 590 cod. pen., ha emesso la seguente ordinanza. Premesso e ritenuto che Dagli atti del procedimento penale n. 06/2002, del Registro G.i.p. del giudice di Pace di Locri, e n. 32/2002 del Reg. mod. 21-bis delle notizie di reato, iscritto il 21 gennaio 2002, discende che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri, dott.ssa Anna Rita Coltellacci, ha disposto, ai sensi dell'art. 355 cod. proc. pen., l'iscrizione nel Registro mod. 21-bis della notizia di reato pervenutagli con la comunicazione di cui all'art. 347 cod. proc. pen. dal distaccamento della Polstrada di Brancaleone. Dalla comunicazione di cui sopra si evinceva che il 21 novembre 2001, alle ore 13,15, in sito di Locri, localita' via Garibaldi, sulla strada urbana denominata via Cusmano, era avvenuto un incidente stradale che vedeva coinvolti due veicoli. II primo di detti veicoli, che era una Fiat Uno con targa RC 412197, era condotto da Lucano Felicia, nata a Placanica il 3 ottobre 1938 e residente in Roccella Jonica, per come suddetto. Il secondo veicolo coinvolto, che era il ciclomotore Aprilia Scarabeo, con targa 5SRWZ, era condotto da Silvano Gabriele, ferito, nato a Reggio Calabria il 16 gennaio 1987 e residente in Locri per come suddetto. A bordo del ciclomotore era trasportato, sul sedile posteriore dello stesso, Pascale Ferdinando, ferito, nato a Villa San Giovanni il 26 ottobre 1986, e residente in Bovalino via Fratelli Bandiera. La dinamica descritta nella comunicazione, inviata al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri, ai sensi dell'art. 347 cod. proc. pen., il comandante del distaccamento della Polizia Stradale di Brancaleone, riferiva che, alle ore 13,15 del giorno 21 novembre 2001, Lucano Felicia, alla guida dell'autovettura Fiat Uno con targa RC 412197, percorreva la via Garibaldi con direzione di marcia monte-mare. Giunta all'incrocio con via Cusmano impattava col ciclomotore Aprilia Scarabeo condotto da Silvano Gabriele con a tergo Pascale Ferdinando. Silvano Gabriele non ottemperava al segnale di stop cola' esistente ed anzi si immetteva nella circolazione dell'altra via senza concreta prudenza e dovuta cautela onde evitare incidenti di sorta. L'urto interessava la parte laterale destra della Fiat Uno e la parte laterale anteriore sinistra del ciclomotore. Sul posto si riscontravano due traccie di frenata, l'una per metri 1,70 e l'altro per metri 2,05. A carico di Silvano Gabriele i carabinieri della locale stazione, intervenuti sul posto, elevavano verbale ai sensi degli artt. 145, comma 1 e 10 del Codice della Strada. Veniva sentito, a sommarie informazioni, ai sensi dell'art. 351 cod. proc. civ., Silvano Gabriele il quale riferiva che alle ore 13,20 del giorno 21 novembre 2001 percorreva la via Cusmano nel centro abitato di Locri, unitamente a Pascale Ferdinando ed a bordo del motociclo Aprilia Scarabeo. Giunto all'intersezione con la via Garibaldi rallentava la marcia. A questo punto una Fiat Uno proveniente dalla sinistra li investiva facendo cadere a terra sia il Silvano che il Pascale. Aggiungeva che il conducente della Fiat Uno al momento dell'urto percorreva la strada a forte velocita'. Parimenti veniva verbalizzata la dichiarazione spontanea di Lucano Felicia la quale affermava che l'incidente avveniva in quanto due giovani pervenivano improvvisamente dalla sua destra alla guida del motociclo in questione e le tagliavano la strada impedendole di proseguire la marcia. A seguito dell'urto i due giovani che viaggiavano sul ciclomotore andavano a sbattere sul parabrezza della vettura investitrice. Sulla vettura della indagata viaggiava il marito di costei Gerace Raffaele. Nessuno dei due coniugi riportava lesioni. In atti del fascicolo n. 6/1992 vi sono allegati: 1) Referto dell'ospedale di Locri riferentesi a Pascale Ferdinando nella cui diagnosi si contempla frattura al femore sinistro, contrattura gomito sinistro, gomito sinistro e regione frontale con la prognosi di giorni venticinque salvo complicazioni; 2) Referto dell'ospedale di Locri riferentesi a Silvano Gabriele nella cui diagnosi si contempla la contusione alla regione frontale con numerose ferite da taglio e contusione regione gamba sinistra, ginocchio e quarto e quinto dito mano sinistra con la prognosi di giorni dieci salvo complicazioni. Il Pubblico Ministero, in persona della dott.ssa Anna Rita Coltellacci, con nota n. 32/2002 di prot. in data 19 aprile 2002, proponeva a questo giudice di pace circondariale, motivando la richiesta ai sensi dell'art. 408 e segg. cod. proc. civ., nonche' dell'art. 17 del decreto legislativo n. 274 del 28 agosto 2000, richiesta di archiviazione. Rilevato, inoltre, che L'art. 590 cod. pen. contempla il reato di lesioni personali colpose e rileva il caso di chi cagiona conseguenze dannose ad altri per colpa, derivante da negligenza, imprudenza ed imperizia. Tale articolo e' stato cosi' sostituito, rispetto alla formulazione originaria, dall'art. 2 della legge 11 maggio 1966 n. 296. Il testo precedente contemplava il medesimo reato con questa stesura: "Chiunque cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale e' punito con la reclusione sino a tre mesi e con la multa fino a lire duecentomila". E' costante l'intento del legislatore, per l'una e per l'altra stesura dell'articolo sotto osservazione, di riflettere il comportamento colposo in senso stretto sul parametro del buon padre di famiglia. Pertanto le regole di condotta, che determinano il comportamento colposo, vanno considerate avuto riguardo al modello di comportamento cui appartiene l'agente medesimo e che e' inteso secondo il comportamento del cittadino medio o, meglio, del buon padre di famiglia. E cioe' nell'analisi di un fatto lesivo la condotta di un automobilista e' intesa nel senso di esaminare la condotta di un buon automobilista, cosi' come la condotta di un pedone e' intesa nel senso di porre a confronto di essa la condotta di un pedone diligente e prudente. Quali sono le comminatorie avuto riguardo alle lesioni gravi e' presto detto: se la lesione e' grave la pena delle reclusione da uno a sei mesi o della multa da lire duecentoquarantamila a lire unmilioneduecentomila, - secondo vigenti conversioni in euro -, se le lesioni sono gravissime esse verranno punite con la reclusione da sei mesi a due anni o con la multa da lire unmilioneduecentomila a lire duemilioniquattrocentomila. Sara' compito del giudice accertare la sussistenza e la qualita' della colpa dell'indagato, della vittima e del terzo al fine di calibrare la penale entita' del risarcimento dei danni, se vi e' stata costituzione di parte civile nel processo penale. Aggiungasi che l'elemento soggettivo che caratterizza il delitto di colpa non e' dato dall'opinione soggettiva dell'individuo, bensi' dalla condotta dell'agente medesimo, a nulla rilevando la prevedibilita' dell'evento tanto che la previsione ne costituisce l'aggravante. Si innesta qui, a tal proposito, il concetto clinico di malattia conseguente al fatto delittuoso, che richiede una giusta focalizzazione onde determinare, fondatamente, la riduzione apprezzabile di funzionalita' di una parte del corpo umano ed alla quale non fa, sempre, eco, una lesione anatomica, e l'evoluzione del fatto morboso che potra' avere breve o lunga scadenza ed a cui seguira', a sua volta, la guarigione, l'adattamento a condizioni di vita molto ristrette, o, addirittura, la morte. Il rapporto tra fatto colposo e conseguenza di esso sara', infine, valutato ai sensi di norme giuridiche che, essendo operanti al momento del fatto penale, si poteva oggettivamente ritenere quale conseguenza probabile e necessaria alla mancata osservanza della disciplina, della legge o del regolamento che sono rimasti inapplicati. E quindi se una determinata condotta, prescritta da norma vigente, che invece il reo ha omesso, se applicata avrebbe evitato le conseguenze del fatto che ne e' derivato; fatto che, proprio per come suddetto, non va ascritto a caso fortuito. Per quel che attiene agli infortuni sul lavoro, il cui trattamento processuale e' questione che questo giudice di pace di tal guisa sottopone al giudizio di costituzionalita' dell'eccellentissima Corte costituzionale, e' dato al giudice competente il compito di dimostrare che il nesso eziologico tra l'ambiente di lavoro insicuro e la malattia temporale, o mortale, che ne e' derivata, e' frutto di fondata certezza che ne deriva dall'esame di tutti quegli elementi circoscritti nell'ambito della conseguenza diretta del reato. Verune pronunce depositate, in tema di norme sulla prevenzione degli infortuni, lasciano intravedere come la certezza ed il convincimento del giudice sulla conseguenzialita' tra l'omissione e l'evento dannoso sia stata raggiunta con la semplice analisi causale tra la violazione e l'evento dannoso. E cio' senza approfondimento veruno sulle concause che abbiano generato, o meno, l'evento e sulla stabilita' del rapporto in concomitanza all'insorgere della malattia, al periodo di incubazione di essa, e, non per ultima all'essere la parte lesa estranea al rapporto di lavoro. E cio' nel caso in cui la mancanza di continuita' o il tempo determinato del rapporto di lavoro non diano sufficiente certezza sulla scaturigine degli infortuni sull'integrita' fisica, che qui ne sono e' il bene protetto. Il complesso delle cautele imposte in tema di prevenzione degli infortuni concorre a formare la sicurezza sul posto di lavoro per tutti coloro che vi partecipano all'ambiente relativo e per ciascuno che vi si trovi all'interno anche in caso occasionale e temporaneo. E' avvenuto, per numerose fiate, che il datore di lavoro, in specie colui che opera nell'Italia meridionale, abbia consegnato ai propri dipendenti utensili sprovvisti, in tutto o in parte, di un efficace dispositivo antinfortunistico e che cio' sia stato dettato da una esigenza di risparmiare sulle spese di impianto e, per la scarsa qualita' dei macchinari medesimi e nella speranza, - poi vanificata dalla conseguenza di tale improvvida condotta -, di mancati controlli da parte degli uffici all'uopo preposti. Tutto cio' non disgiunto, - senza che assurga quanto si va a dire a giustificazione di siffatta illecita condotta -, dallo sparuto margine di utile che al datore medesimo deriva da condizioni ambientali di scarsa liquidita', ovvero da una concorrenza in loco spesso sleale. Solo dopo il verificarsi dell'evento il datore di lavoro ha apportato quelle aggiunte e modifiche, sia ai macchinari che al posto di lavoro, che hanno reso il funzionamento dei macchinari sicuro e l'ambiente piu' idoneo allo svolgimento dell'attivita' connessa alle esigenze del lavoro medesimo. In tali evenienze si assiste all'allertamento del medesimo datore di lavoro che avviene dopo che la leggerezza del suo comportamento abbia comportato conseguenze, piu' volte letali, per il lavoratore medesimo. Ed anche la sporadicita' dei controlli viene utilizzata in questi casi: e' avvenuto, cioe', che la difesa dello indagato ha chiesto che assurgesse a discolpa del proprio cliente la precedente ispezione, degli uffici di controllo, che aveva concluso per la mancanza assoluta di qualsiasi irregolarita'. Nel parallelismo tra Il disposto di cui all'art. 582 cod. pen., in tema di lesioni personali, e dell'art. 590 cod. pen. in tema di lesioni personali colpose, ha dato adito in passato, in specie nello svolgimento di alcune discipline agonistiche, a controverse interpretazioni della condotta illecita presa in esame. Tant'e' che il passaggio dalla piu' lieve rubrica a quella ben piu' rilevante delle lesioni volontarie ha impregnato le pagine di molte decisioni recenti. Particolare rilevanza ha avuto, nella ricorrenza della condotta lesiva, l'avere, il calciatore della squadra avversaria, posto in essere un particolare antagonismo tale da porre in non cale l'integrita' fisica dell'antagonista tanto da averne in disprezzo. Vero e' che il soggetto passivo, nel corso dell'attivita' sportiva, dovra' attendersi un certo comportamento rude di chi intende impossessarsi della palla che esso sta giocando, ma e' ragionevole che non possa attendersi di essere travolto dalla furia dell'avversario. Il giudice chiamato a comminare la pena dovra' raggiungere il proprio convincimento esaminando caso per caso il problema giuridico che gli si pone partendo necessariamente dall'esame delle regole dell'agonismo sportivo per poi giungere alla conclusione se tali regole siano state travalicate o meno. Su dette premesse il dualismo delle interpretazioni giurisprudenziali del caso processuale e' stato risolto mediante l'esame delle singole condotte sportive. In esito alla gravita' del fatto La gravita' del fatto commesso, dato che i feriti a seguito del sinistro sono stati due e che per uno di essi e' stata ipotizzata una grave affezione al femore, e' di tutta evidenza. La gravita' e' elemento discriminante sia delle condizioni di procedibilita' del reato e sia dell'entita' della pena da comminare, ed esso e' preso in esame dal giudice di pace circondariale a corollario della questione di legittimita' costituzionale proprio in relazione alla discriminante formulazione del reato di lesioni colpose derivante da incidente stradale e del reato di lesioni colpose derivanti da infortuni sul lavoro. La Suprema Corte, a tal proposito, con sentenza n. 10374 del 24 ottobre 1988 ha ritenuto che il giudice debba sempre contestare all'imputato le aggravanti di cui all'art. 589 cod. pen. comma secondo, e quelle di cui all'art. 590 cod. pen., terzo comma, restando esclusa l'ipotesi in cui il fatto si sia verificato per evento del tutto estraneo alla circolazione stradale. In detto ultimo dettato interpretativo rientra, persino, l'arrampicarsi del veicolo con una ruota sul marciapiede per la sosta e, l' utilizzo di piste abitualmente destinate a corse e competizioni sportive e, come tali, aventi vocazione velocistica. Parimenti la Corte Suprema, siccome il giudice di pace circondariale ha argomentato nei paragrafi che precedono, ha interpretato la norma di cui al citato art. 590 cod. pen., terzo comma, per quanto attiene alla violazione delle norme sulla disciplina del rapporto di lavoro disponendo che le aggravanti debbano medesimamente essere contestate, anche quando la fase lavorativa sia conclusa o sia temporaneamente sospesa. Cio' in quanto dovra' essere garantita la completa liberazione dalla situazione di pericolo dal posto di lavoro anche perche' "sottoposti allo stato di pericolo dallo stato di fatto residuato dalla fase pregressa", (sentenza n. 1738 del 25 febbraio 1997). L'aggravante vi e', ancora, per il datore di lavoro che, nel processo di lavorazione, lascia la direzione del cantiere al direttore dei lavori pur cosciente che quest'ultimo operi e rappresenti, in sua vece, ogni esigenza organizzativa del lavoro che fa capo al datore di lavoro medesimo. (sentenza n. 191 del 15 gennaio 1997). Ed in ultimo: neppure il principio dell'affidamento esime il datore di lavoro dalla contestazione, a suo carico, della circostanza aggravante. Il Supremo Consesso ha, a tal uopo, argomentato che il comportamento del datore di lavoro, nel caso in cui accada un infortunio sul lavoro, e' doppiamente fallace non essendo sufficiente presumere l'imprevedibilita' del comportamento del lavoratore su cui sempre il primo deve vigilare. Sussiste, parimenti, circostanza aggravante a carico di chi, avendo dato incarico ad altri a compiere, a mezzo di corrispettivo, un lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, siccome previsto dall'art. 2222 cod. civ., abbia cosi' inteso traslare ad altri il rischio connesso alla esecuzione dei lavori anzidetti. Cosi' sentenza n. 11813 del 15 ottobre 1999. Tale tesi, estrema, non prevede la ratio della norma civile appena citata spingendosi ben oltre la medesima ed ipotizzando una colpa a carico del committente che, in tal caso e' perfettamente estraneo al processo produttivo dell'esecuzione dell'opera, ed al quale si attribuisce una posizione di garanzia ritenendolo datore di lavoro di chi ha assunto gli obblighi e le conseguenze del contratto d'opera. Si delinea, cosi' a chiare note, come una sostanziale identita' del disegno criminoso, sia esso derivante dalla inosservanza della norme del codice della strada, e, sia esso derivante dalla inosservanza delle norme sugli infortuni sul lavoro si pone in insanabile contrasto con l'operativita' della norma medesima. Cio' in quanto sia per l'uno che per l'altro caso l'elemento che contraddistingue il fatto penale preso in esame presenta, in ambedue le ipotesi di incidente stradale e di incidente sul lavoro, e' che il delitto e' compiuto contro l'intenzione e, come tale, esso non e' voluto. Ne e' prova il principio di inapplicabilita', tali reati, dell'ipotesi della continuazione. In esito al bene protetto Ritiene questo giudice di pace che sia per il reato di lesioni colpose derivanti da incidente stradale e sia per il reato di lesioni colpose derivanti da inosservanza delle norme sugli infortuni sul lavoro, il bene protetto sia la vita e l'incolumita' della persona umana. Cio' considerato l'oggettivita' giuridica che ne deriva e' costituita dalla salvaguardia della incolumita' personale e la vita in tutti i reati che attentano a questi beni. Osserva inoltre il giudice di pace che nello ambito dei reati contro l'incolumita' personale rientrano sia la lesione volontaria che la lesione colposa con pari rilevanza sia per l'inosservanza alle norme viarie e sia per l'inosservanza alle norme sulla prevenzione degli infortuni; dal compimento di tutti questi reati vi si cagiona un danno al corpo o alla mente. Affinche' cio' derivi appare necessario che si consegua quel fattore patologico che va sotto il nome comune di malattia con tutto quel complesso di fenomeni che, nel breve o nel lungo periodo, comporti una alterazione. Detta alterazione portera', nella sua evoluzione, alla completa guarigione o ad una condizione di menomazione rilevante o ridotta che ha caratteristiche di non emendabilita'. Sia nell'uno e nell'altro caso e' necessario che le conseguenze del reato incidano apprezzabilmente in tutti gli atti della vita vegetativa in relazione alla menomazione che ne e' derivata, in relazione alla gravita' di dette conseguenze siccome argomentato dal giudice in epigrafe. Ritiene, dunque, il giudice di pace che la struttura dei due delitti colposi equivale alla struttura dei due delitti dolosi e che, per dirla col gergo aritmetico, l'art. 590 cod. pen. sta all'art. 582 cod. pen. ed all'art. 583, cosi' come l'art. 589 cod. pen. sta all'art. 575 cod. pen. Se in questa equazione il giudice sostituisse l'elemento psichico colpa con l'elemento determinato dolo, il risultato strutturale non subirebbe nessun cambiamento. Ogni altra considerazione e' ritenuta dal giudicante ultronea e superflua. Il giudice di pace considera come il cagionare una lesione personale significhi cagionare un danno al corpo ed alla mente che si sostanzia, comunque, in una malattia o in una conseguenza gia' enunciata, cosi' come era per il cessato codice Zanardelli nella sua stesura definitiva che aveva escluso qualsiasi differenziazione tra lesioni volontarie o lesioni colpose e si era limitato a focalizzare un danno alla salute del corpo o della mente in qualsiasi maniera. Calibrando l'entita' della pena e parificandola all'entita' delle conseguenze del reato che era stato compiuto. Senza dubbio la differenziazione delle modalita' delle azioni criminose ha giovato al titolo del reato ed alla comminatoria della pena, pur creando nel novero delle varie classificazioni lo sfilamento di qualche maglia dell'ordinamento che consente, talvolta, situazioni di privilegio per l'uno o per l'altro caso processualmente rilevante. L'esercizio del diritto di querela Il giudice di pace ha osservato come il differente trattamento procedurale che sconta il medesimo reato di lesioni colpose, ancorche' risultanti da un differente comportamento attivo od omissivo dell'agente, incida, in modo negativo, sul mantenimento di quel bene giuridico tutelato che e' l'integrita' della persona fisica. Ed e' giunto a tale convincimento non solo sulla base ai canoni generali di diritto, ma anche esaminando le norme di procedura che, siano esse viste nel loro insieme per quel che riguarda reati similari, siano esse viste in particolare esaminando l'una e l'altra fattispecie giuridica, hanno condotto, tout court, al solo risultato da conseguire che e' quello del bene protetto teste' enunciato. Sicche', a questo punto, non resta al giudice di pace da esaminare se l'esercizio, o meno, del diritto di querela sia da qualificarsi, come il maestro della scuola universitaria Giovanni Leone soleva affermare nelle sue colorite lezioni di diritto e procedura penale: "Per i reati perseguibili a querela di parte l'ordinamento ha conferito alla vittima il potere di determinare l'illecita' del fatto. E non solo questo, ma anche quello di mettere in moto, a suo discernimento, la macchina giudiziaria". Questa affermazione, udita dal giudice di pace illo tempore, dalla viva voce del docente, ha fatto si' che veruni classificassero il vecchio insegnante di diritto, quale sostenitore della dottrina processualistica. A ben individuare i margini del problema il giudice di pace non direbbe che il Leone avesse torto. O non del tutto. E' proprio nella classe dei delitti che offendono direttamente la persona che trova la piu' ampia applicazione l'esercizio del diritto di querela. Osserva il giudice di pace come tutto cio' sia in netto contrasto con quanto disposto dall'art. 112 della Carta costituzionale, laddove prescrive a carico del Pubblico Ministero l'obbligo di esercitare l'azione penale. Come si possa affermare, categoricamente, tale obbligo allorquando la mancata presentazione della querela, per dirla con Francesco Carnelutti, nelle sue lezioni sul processo penale, si risolve nel diritto della persona offesa di perdonare chi ha commesso il reato a suo danno? Cio' e' motivo di fondato dubbio in specie nel caso in cui tale diritto di perdonare, conferito alla persona offesa, tale non e' nel caso previsto e regolato dall'ultimo capoverso dell'art. 590 cod. pen. qui in esame? Ritiene il giudice di pace come sia latente la disparita' di trattamento per il cittadino parte offesa nel reato di lesioni colpose da incidente stradale ed il reato di lesioni colpose da violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Parimenti nei confronti del responsabile il quale pur scientemente reo di un reato di evidente gravita' sa di poter sfuggire alle maglie della Giustizia mediante una accorta manipolazione della libera determinazione della parte offesa a presentare o a non presentare la querela. Oppure ad esercitare pressioni, di ogni genere, come in questo estremo lembo di terra della nostra penisola, piu' volte accade acciocche' la querela venga "ritirata", e cosi' rimessa a chi il reato lo ha certamente compiuto. E' proprio qui, osserva il giudice di pace, che l'ordinamento fallisce nella sua precipua funzione di impartire al colpevole la giusta punizione, ed e' proprio qui la posizione di privilegio dell'agente che in questo caso ha compiuto un reato di ridotta importanza. Ne' puo' dirsi, in questo caso, che il diritto di querela, pur essendo di natura processuale, sia diverso da quello dell'azione in quanto l'esercizio della querela non e' idonea ad investire il giudice perche' quest'ultimo e' investito dell'azione dal pubblico ministero. Osserva, anzi, il giudice di pace come il diritto di querela sia un diritto soggettivo processuale essendo attinente al processo e di esso e' indispensabile premessa. Cio' deriva, anche, dal fatto che il cittadino offeso non avendo esercitato tale diritto non e' parte nel processo medesimo. La remissione della querela La remissione della querela, nel processo relativo alla lesioni colpose patite in un incidente stradale, realizza, ancor di piu', quel latente divario che si e' creato a svantaggio del cittadino parte offesa in tal processo rispetto al cittadino parte offesa nel processo relativo alla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Anche qui, per come argomentato dal giudice di pace nel paragrafo che precede, tale divario favorisce, il responsabile del delitto di natura viaria. Il diritto di querela, esercitato dalla parte offesa, si realizza mediante la stesura di un atto nel quale, riassunte, o esplicitate, le varie fasi del delitto, si chiede la punizione del colpevole facendo, piu' delle volte, capo a principi di carattere morale e sociale, che appaiono tra le righe invalicabili, e con riferimento alle vigenti disposizioni di legge in materia. Considera il giudice di pace come tutti i buoni propositi comminatori della pena, quale unica alternativa e risposta al delitto, e i buoni principi di carattere sociale e morale vengano meno, nel caso di reato derivante da incidente automobilistico, con la remissione dopo appena qualche giorno, della querela medesima. E non e' raro il caso che la remissione della querela avvenga ad horas. Ha esposto il giudice di pace quali sia, piu' e piu' volte, il rapporto sottostante che ha generato tale remissione e come in concorso con certa coartazione fisica e psicologica, rimasta nell'ombra, il cittadino sia costretto a disdire cio' che prima, coralmente con la norma, aveva detto. Tutto cio' non si verifica nell'altro caso in esame in cui le lesioni colpose, sol perche' derivanti dalla inosservanza delle norme che riguardano infortuni sul lavoro, sono perseguibili a norma dell'art. 112 della Costituzione della Repubblica italiana. Ancor piu' rilevante appare al giudice di pace, l'impedimento derivante dalla remissione della querela, alla prosecuzione del processo. Laddove la remissione, facendo venir meno il presupposto della proseguibilita' dell'azione, impedisce che l'azione penale possa essere portata avanti sino alle estreme conseguenze. Anche qui il cittadino, offeso dal delitto di lesioni colpose compiute dal reo ai suoi danni, argomenta il giudice di pace, diviene portatore di un potere dispositivo del processo stesso che si sta celebrando a tutela del bene protetto dall'ordinamento. Parimenti il cittadino, offeso dal delitto derivante dall'illecito viario, pone in essere ad libitum, una condizione risolutiva del processo penale. Tutto cio' non avviene nel processo relativo ai fatti commessi con violazione alle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro: cola' il cittadino non e' per nulla portatore di un potere dispositivo dell'abbrivio del processo; cola' il cittadino non puo' porre in essere una condizione risolutiva del processo penale. Che la remissione divenga, o non divenga, perfetta solo se il colpevole vi abbia aderito, poca rilevanza ha ai fini della presente questione di leggittimita' costituzionale, rivestendo, per contro rilievo, l'avvio e la improcedibilita', ambedue derivanti da querela, del processo di lesioni colpose. Il medesimo principio contrasta col disposto di cui all'art. 112 della Costituzione della Repubblica italiana, nella parte in cui fa obbligo al pubblico ministero di esercitare l'azione penale, essendo stato posto tale obbligo a tutela dell'interesse punitivo dello Stato, come tale nascente dalla sua pretesa di comminare una pena a chiunque ha commesso un reato. Il richiamato principio contrasta, in ultimo, con tutto lo spirito etico e morale della Carta costituzionale riportato dall' art. 3, secondo il quale ogni cittadino ha pari eguaglianza di fronte alla legge senza distinzione di condizioni personali. Non ultima e' la riflessione di questo giudice di pace sull'entita' della pena irrogata, in genere, che in tema di sinistro automobilistico non e' pari a quella irrogata in tema di violazione alle norme di prevenzione sugli infortuni sul lavoro.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e segg, della legge 11 marzo 1953 n. 87; Attesa la rilevanza della pronuncia di legittimita' costituzionale ai fini della decisione del presente giudizio; Ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, alla luce delle premesse sopra esposte, dell'art. 590, ultimo comma, cod. pen., nella parte in cui prescrive l'obbligo della presentazione della querela ai fini della punibilita' del delitto derivante dalla inosservanza delle norme sulla disciplina della circolazione stradale in contrasto con il medesimo disposto nella parte in cui non richiede la presentazione della querela, ai fini della punibilita' del medesimo delitto commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ed all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale; Ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, alla luce delle premesse sopra esposte, dell'art. 590 cod. pen., in relazione agli artt. 582 cod. pen., primo comma, 583 e 585 cod. pen., in relazione all'art. 112, unico comma, della Costituzione della Repubblica italiana, nella parte in cui non prescrive la obbligatorieta' dell'azione penale, anche in assenza di querela, ed in conseguenza di particolare gravita' dei danni derivati alla persona, anche per i reati commessi in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale; Ritenuta, conseguenzialmente, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 345, primo comma, cod. proc. pen., in relazione all'art. 340 cod. proc. pen., e, nel caso precipuo, in relazione all'art. 17, primo comma, decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274, nella parte in cui, mancando la procedibilita' del reato per difetto di querela, non consente al giudice la procedibilita' d'ufficio anche in assenza di tale elemento di punibilita'. Sospende il presente giudizio recante il n. 06/2002 del Reg. G.D.P. pendente nei confronti di Silvano Gabriele, nato a Reggio Calabria il 16 gennaio 1987 e residente in Locri, contrada Cancello; Lucano Felicia, nata a Placanica il 3 ottobre 1938 e residente in Roccella Jonica, via Fumata 117; Ordina trasmettersi gli atti alla eccellentissima Corte costituzionale in Roma. Dispone che a cura della cancelleria venga comunicata copia della presente ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e del fascicolo relativo: al signor Presidente del Consiglio dei ministri in Roma; al signor Presidente del Senato della Repubblica in Roma; al signor Presidente della Camera dei deputati in Roma; al signor Presidente del Consiglio Regionale della Calabria in Reggio Calabria; al signor Presidente del Tribunale di Locri; al signor Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri; al sig. Silvano Gabriele, residente in Locri, contrada Cancello; alla sig.ra Lucano Felicia, residente in Roccella Jonica, via Fumata 117. Emesso in Locri, addi' primo giugno duemiladue. Il giudice di Pace: Pezzani 02C0826