N. 397 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 maggio 2002

Ordinanza  emessa  il  23  maggio  2002  dal tribunale amministrativo
regionale  dell'Emilia-Romagna  sul  ricorso proposto da Gallani Jani
contro questore di Bologna ed altro

Straniero - Minori sottoposti a tutela ai sensi degli artt. 343 e ss.
  cod.  civ.  -  Permesso  di  soggiorno  -  Spettanza  al compimento
  della maggiore  eta',  in presenza delle altre condizioni richieste
  dalla  legge  (contratto  di lavoro e disponibilita' di alloggio) -
  Mancata  previsione - Ingiustificato deteriore trattamento rispetto
  agli stranieri minori sottoposti in affidamento.
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 32.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.37 del 18-9-2002 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza sul ricorso n. 43 del 2002
proposto  da Gallani Jani, rappresentato e difeso dall'avv. Nazzarena
Zorzella  e presso quest'ultima elettivamente domiciliato in Bologna,
via della Zecca, 1;
    Contro  il  questore  di  Bologna  ed  il Ministero dell'interno,
rappresentati  e  difesi  ex  lege dall'Avvocatura distrettuale dello
Stato  in  Bologna,  presso  i cui uffici in via Guido Reni n. 4 sono
domiciliati;
    Per  l'annullamento  del  provvedimento  29  novembre  2001  cat.
A12/017/STR,   notificato  in  data  14  dicembre  2001,  di  rigetto
dell'istanza  di  rinnovo  del  permesso  di  soggiorno e contestuale
conversione  da  "minore  eta'"  a  "lavoro"; nonche' della circolare
Ministero interno 10 aprile 2001 n. 300/2221/2081/A12.229.28/1 div.;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato relatore il cons. Giorgio Calderoni;
    Uditi  alla pubblica udienza del 9 maggio 2002 l'avv. n. Zorzella
e l'avv. dello Stato L. Mariani;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Il ricorrente, cittadino albanese nato nel 1983, espone di essere
giunto  in  Italia  nel  settembre  2000  e  di aver ottenuto, dalla,
questura  di  Bologna,  un  permesso  di  soggiorno "per affidamento,
art. 31/32  d.lgs. 286/1998, a seguito della nomina del cognato quale
proprio  tutore, disposta il 16 novembre 2000 dal giudice tutelare di
Bologna.
    In   prossimita'  della  scadenza  (6  dicembre  2001)  di  detto
permesso,  il  ricorrente - che nel frattempo aveva reperito regolare
attivita'  lavorativa  come apprendista ed era divenuto maggiorenne -
ne chiedeva il rinnovo, con conversione del motivo da "affidamento" a
"lavoro".
    Con   il   provvedimento   in  epigrafe'  la  questura  rigettava
l'istanza,  motivando "che la trasformazione in lavoro e' consentita,
al  raggiungimento  della  maggiore eta', solo qualora il permesso di
soggiorno  per  affidamento  sia  stato disposto ai sensi della legge
n. 184/1983".
    Contro tale determinazione, vengono dedotte, mediante il presente
ricorso,  le  censure  di violazione degli articoli 4, 5, 28, 31 e 32
del d.lgs. n. 286/1998; eccesso di potere per travisamento dei fatti,
difetto    di   istruttoria   e   di   motivazione;   inopportunita';
incompetenza.
    Il  ricorrente  lamenta  che  il  decreto  questorile  escluda la
possibilita'  di  rilasciare  il  permesso di soggiorno per motivi di
lavoro  al  "minore  affidato  in  forza di provvedimento del giudice
tutelare e sostiene che:
        il  t.u.  n. 286/1998  avrebbe gia' equiparato (cfr. art. 29,
comma  2)  la condizione del minore adottato, affidato o sottoposto a
tutela, in conformita' alla Convenzione di New York 20 novembre 1989,
ratificata con legge n. 176/1991;
        la  finalita' principale dell'insieme di norme specificamente
dettate  dallo  stesso  t.u.  (art. 31, commi 1 e 2; art. 32) sarebbe
quella  di  garantire  al  minore  un  sano  ed  equilibrato sviluppo
psico-fisico,  il  che non consentirebbe di effettuare distinzioni, a
seconda  che  il minore stesso sia stato affidato ad una famiglia dai
servizi sociali o dal tribunale dei minorenni e dal giudice tutelare;
        ad   assumere   prevalente   rilievo  sarebbe  il  "superiore
interesse del fanciullo" ex art. 28, comma 3 del t.u.;
        di   conseguenza,   in  occasione  nel  raggiungimento  della
maggiore  eta'  da  parte  del minore straniero, privo di genitori in
Italia, non potrebbe legittimamente operarsi alcuna differenziazione,
in  base  alla  tipologia  di provvedimenti assunti in suo favore nel
corso  della  minore  eta'; viceversa, tale diversita' di trattamento
per una sola "categoria" di minori stranieri si porrebbe in contrasto
con  i  principi di non discriminazione e di uguaglianza, di cui agli
articoli 2 e 3 della Costituzione;
        in   tal   senso,  si  spiegherebbe  la  locuzione  "comunque
affidati", utilizzata dal menzionato art. 32 t.u.;
        peraltro,  in assenza di affidamento giudiziale del tribunale
per  i  minorenni,  l'unico  intervento giuridico a favore del minore
consisterbbe  nell'istituto  della  "tutela",  che  si porrebbe quale
presupposto per ogni attivita' compiuta nel suo interesse;
        nella  specie,  non  sarebbe,  infine,  neppure invocabile la
circolare  ministeriale 10 aprile 2001, avendo il questore di Bologna
rilasciato  al  minore  un  permesso  di soggiorno per "affidamento -
art. 31/32 d.lgs. 286/1998.
    II. - Si  e'  costituita  in giudizio l'Amministrazione intimata,
insistendo per la reiezione del gravame.
    III.  -  Nella  camera di consiglio del 17 gennaio 2002, e' stata
accolta  (ordinanza  n. 39) l'istanza cautelare presentata unitamente
al ricorso.
    IV.  -  Successivamente  ed  in  vista  dell'odierna  udienza  di
discussione, le parti hanno dimesso ulteriori memorie illustrative.

                            D i r i t t o

    1.1.  -  Pur  senza  farne  espressa  ritenzione,  il  diniego 23
novembre  2001  del  questore di Bologna si fonda sul disposto di cui
all'art. 32  d.lgs.  n. 286/1998,  come  si evince anche dal richiamo
alla (parimenti impugnata) circolare ministeriale 10 aprile 2001, che
di  tale  norma,  unitamente ad altre concernenti i minori stranieri,
per l'appunto si occupa.
    Detto  articolo,  della  cui  applicazione dunque si controverte,
cosi' testualmente recita:
        "Al  compimento  della  maggiore eta', allo straniero nei cui
confronti  sono  state  applicate le disposizioni di cui all'art. 31,
commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell'art. 2 della
legge  4  maggio  1983, n. 184, puo' essere rilasciato un permesso di
soggiorno  per  motivi  di  studio,  di  accesso al lavoro, di lavoro
subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura. Il permesso
di  soggiorno  per  accesso  al  lavoro  prescinde  dal  possesso dei
requisiti di cui all'art. 23.".
    1.2.  -  Il collegio e' consapevole che di questa norma e' stata,
sino  ad ora, affacciata una interpretazione "estensiva" e favorevole
alla  tesi  del  ricorrente,  non  solo da parte della giurisprudenza
amministrativa  e  ordinaria  da  questi  invocata  (rispettivamente:
sentenza  Tribunale amministrativo regionale Toscana, 28 maggio 2001,
n. 876;   ta.r.   Piemonte,  30  novembre  2001,  n. 2259;  ordinanza
Tribunale di Torino, VIII sez., 31 maggio 2001); ma anche da parte di
quella  successiva  e  piu'  recente (ancora Tribunale amministrativo
regionale Toscana, 18 marzo 2002, nn. 520, 522 e 523; decreto giudice
unico  del  Tribunale  civile  di Bologna 7 marzo 2002, in causa R.G.
n. 244/2002).
    Tale   opzione   ermeneutica   poggia   su   i   seguenti   snodi
argomentativi:
        il  legislatore avrebbe usato il nomen iuris di "affidamento"
in  senso  non  tecnico  (stante  l'equipollenza dei provvedimenti di
nomina  di  un  tutore) e quale richiamo meramente descrittivo (e non
gia'   restrittivo   o  limitante)  a  fattispecie  aventi  caratteri
assimilabili  alla  condizione  del minore inserito stabilmente in un
contesto familiare affettivo ed educativo (rispettivamente: Tribunale
amministrativo  regionale  Toscana,  n. 876/2001;  Trib.  Torino,  31
maggio 2001);
        il  suo intento sarebbe stato quello di consentire ai minori,
che  hanno  legittimamente soggiomato nel nostro Paese e che siano in
possesso  dei  requisiti  richiesti, di chiedere ed ottenere il nuovo
permesso  di  soggiorno  al  compimento  della  maggiore eta' (ancora
Tribunale amministrativo regionale Toscana, n. 876/2001);
        l'art. 32  del d.lgs. 286 del 1998 evidenzia la ratio propria
di  una  norma di chiusura di carattere onnicomprensivo, sottolineata
dall'uso  dell'avverbio  "comunque"  e  coerente  con  i  principi di
uguaglianza,  di tutela dei minori e di buon andamento, fissati dagli
artt. 3,  31  e  97  della  Costituzione,  ai quali deve ispirarsi il
giudice  in  sede  ermeneutica  (Tribunale  amministrativo  regionale
Toscana, nn. 520-522-523);
        anche   in   considerazione   del  sopravvenuto  art. 28  del
regolamento  di  attuazione  di  cui  al  d.P.R.  n. 394/1999 (che ha
introdotto per tutti i minori, non inseriti nel permesso di soggiorno
del  genitore  o  dell'affidatario,  la  possibilita'  di ottenere un
permesso  di  soggiorno per minore eta) sarebbe preferibile e indenne
da  problemi di costituzionalita' applicare in via analogica la norma
di  cui all'art. 32 del d.lgs. n. 286/1998, a tutti i minori divenuti
maggiorenni    (Tribunale    amministrativo    regionale    Piemonte,
n. 2259/2001);
        per  identiche  ragioni  di  costituzionalita',  non potrebbe
ritenersi  che  la  norma  sia  applicabile  soltanto  ai minori gia'
affidati  ai  sensi della legge n. 184/1983 e non anche a minori che,
in  forza  di apertura di tutela, siano comunque equiparabili, per la
stessa  legge,  ai  figli  (cfr. art. 29, comma 2): giudice unico del
Tribunale di Bologna, 7 marzo 2002.
    1.3.  -  Ad  avviso  del  collegio,  queste  argomentazioni,  pur
apprezzabili  nella  misura  in  cui  si  sforzano  di  pervenire  ad
un'interpretazione  della  norma conforme a Costituzione, non paiono,
tuttavia,  rispondenti  al  tenore  letterale  disposizione  de qua e
dunque, nemmeno, al fondamentale canone ermeneutico posto dal comma 1
dell'art. 12  delle  c.d.  "preleggi",  canone  che  la  stessa Corte
costituzionale  ha  recentemente  mostrato di privilegiare proprio in
riferimento   ad   altra  norma  del  testo  unico  sull'immigrazione
(l'art. 14),  in  una sentenza (n. 105 del 2001) che ha espressamente
disatteso  interpretazioni  sorrette  "da  argomenti  testuali  assai
labili"  e  si  e', invece, affidata a linee argomentative tendenti a
"valorizzare dati testuali".
    1.4.  -  Sul  piano  strettamente  letterale,  la locuzione "e ai
minori  comunque  affidati  ai sensi dell'art. 2 della legge 4 maggio
1983  n. 184",  rivela  un  grado  di  pregnanza  e  di  specificita'
tutt'altro  che  meramente  descrittivo ed atecnico, quanto piuttosto
inequivocabilmente   e  tecnicamente  identificativo  di  un  preciso
istituto  giuridico  (l'affidamento  familiare di minori), cosi' come
disciplinato  dalla  norma  positiva  che  l'ha introdotto nel nostro
ordinamento giuridico (l'art. 2 della legge n. 184 del 1983).
    Quanto  all'avverbio  "comunque",  esso e' strettamente riferito,
per  adiacenza, all'aggettivo "affidati" e, dunque, l'interpretazione
logica che ne consegue e' che - al li la', questa volta si', del mero
richiamo  letterale  all'art. 2 della legge - il legislatore del t.u.
(e,  prima ancora, della legge n. 40 del 1998) abbia inteso riferirsi
a  tutti  i  tipi  di affido complessivamente contemplati dalla legge
184, e cioe':,
        e  il  c.d. affido "amministrativo" (o consensuale) di cui al
primo comma dell'art. 4;
        il  c.d.  affido  "giudiziario"  (ad  opera del tribunale dei
minorenni), di cui al secondo comma del medesimo art. 4;
        il c.d. affido "di fatto", di cui al successivo art. 9.
    Tuttavia,  la  stretta  connessione che lega, nel testo dell'art.
32,  l'avverbio  "comunque"  all'aggettivo  "affidati",  impedisce di
fuoriuscire  dall'orizzonte  dell'istituto dell'affido di minori e di
considerare  tale  disposizione  quale  (omni)comprensiva  di tutti i
differenti  istituti  giuridici  che  -  pur  retti  da un proprio ed
autonomo complesso di norme, distinto dalla legge n. 184/1983 - siano
"comunque" posti a salvaguardia della condizione del minore, mediante
la   previsione   dell'intervento   di   figure   diverse  da  quelle
genitoriali.
    1.5.  -  Ne'  a  diversa  conclusione  possono condurre ulteriori
considerazioni   di  ordine  essenzialmente  sistematico,  miranti  a
valorizzare,  in relazione all'art. 32, il diverso disposto di cui al
precedente   art. 29,   comma   2   del   t.u.   che,   ai  fini  del
ricongiungimento familiare chiesto dallo straniero, equipara ai figli
di  quest'ultimo  i  minori,  nei  cui  confronti  sia stato attivato
indifferentemente  l'uno  o  l'altro  degli istituti cui si e' appena
fatto indiretto riferimento (adozione, affidamento, tutela).
    Invero,   una   corretta  interpretazione  sistematica  non  puo'
trascurare   i   commi   1   e   2   dell'art.  31,  che  si  situano
topograficamente  tra  le due norme in questione e sono espressamente
richiamati dalla prima parte dell'art. 32.
    Ebbene,  da  una  visione  di  insieme delle disposizioni fin qui
menzionate emerge con tutta evidenza che:
        il  legislatore  mostra  di avere ben presente lo spettro dei
diversi  istituti  giuridici,  posti  dall'ordinamento  a  tutela del
minore  che  si trovi ad essere privo (per le piu' svariate ragioni e
in  via temporanea ovvero definiti della necessaria cura da parte del
proprio nucleo familiare di origine:
        tant'e'  che  all'art. 29 li menziona tutti, espressamente ed
alternativamente;
        altrove,  ma  sempre nell'ambito dello stesso titolo del t.u.
(il  IV,  intitolato  all'unita'  della  famiglia  e  alla tutela dei
minori),  il  medesimo legislatore fa invece esclusivo riferimento ad
uno   solo  di  tali  istituti,  l'affidamento:  in  una  circostanza
(art. 32)  con  una  formula  (il  "comunque",  gia'  esaminato)  che
comprende l'insieme delle diverse tipologie di cui si compone; mentre
in  un'altra  (l'art.  31)  nomina  esplicitamente solo una di queste
(l'affidamento familiare ex art. 4 legge n. 184/1983).
    A  fronte  di  siffatta capacita' di dettaglio e puntualizzazione
che  contraddistingue  il  medesimo  topos  normativo,  non  si puo',
dunque,   ragionevolmente  ipotizzare  un  legislatore  disattento  e
generico,   incapace   di   fare   differenze;  quanto  piuttosto  un
legislatore  accurato  e  consapevole,  il  quale sceglie di volta in
volta,  dallo  strumentario  giuridico  di  cui dispone, l'istituto o
istituti  di  carattere  generale,  previsti a tutela del minore, che
intende  porre in  relazione  biunivoca  con  gli specifici istituti,
stabiliti  dal t.u. a presidio della famiglia e del minore stranieri.
Cosi':
        ai   fini  dei  ricongiungimento  familiare,  il  legislatore
equipara  ai  figli  dello  straniero  i minori adottati o affidati o
sottoposti a tutela;
        ai  fini  del  permesso  di soggiorno del minore, equipara al
figlio il solo minore in affido familiare allo straniero;
        ai  fini  del  permesso  di  soggiorno  del  minore  divenuto
maggiorenne,  a  questi ultimi due sono equiparati i minori in affido
amministrativo o di fatto.
    Da  questo  punto di vista, il criterio sistematico si traduce in
un  argomento a contrario, perche' il complesso delle norme di cui al
titolo IV contribuisce, in realta', a delineare una situazione in cui
non  puo'  che  farsi  applicazione  dell'antico e consolidato canone
interpretativo  dell'ubi voluit, dixit, con la conseguente esclusione
di  un'interpretazione  dell'art. 32  che  ne consenta l'applicazione
anche ai minori, sottoposti a tutela e non affidati.
    1.6.  -  E  ad  integrare  in  senso  estensivo la regola dettata
dall'art. 32,  non puo' valere neppure il richiamo all'art. 28 d.P.R.
n. 394/1999,  trattandosi di "disposizione contenuta in un atto privo
di  forza  di  legge",  come affermato di recente e in piu' occasioni
dalla Corte costituzionale (ordinanze n. 35 e n. 148 del 2002).
    1.7.  -  In  definitiva, lettera della norma e chiaro intento del
legislatore  non  consentono  al  collegio - in ossequio all'art. 12,
comma  1 delle preleggi ed in adesione alla prospettazione difensiva,
formulata  sul  punto nella memoria conclusiva dell'amministrazione -
di  far  propria  l'interpretazione  dell'art. 32  t.u.  n. 286/1998,
sinora  datane  dalla  giurisprudenza (amministrativa ed ordinaria) e
qui ripresa dal ricorrente.
    Non   sussistendo,   dunque,   margini   di  incertezza  tali  da
giustificare   la   ricerca  -  onde  evitare  il  contrasto  con  la
Costituzione  -  di  interpretazioni  diverse  da quella fatta palese
dalle  espressioni  usate dal legislatore, ne consegue che ambedue le
determinazioni   impugnate   risultano   conformi   alla   previsione
legislativa.
    2.  -  Tuttavia,  il  collegio  nutre  seri  dubbi in ordine alla
intrinseca  conformita' a Costituzione della norma de qua, per come -
alla  stregua delle considerazioni che precedono - va interpretata: e
precisamente,  ritiene  non  manifestamente infondata la questione di
costituzionalita'  del citato art. 32, sotto il duplice profilo della
violazione  dei  canoni  di  uguaglianza  e  ragionevolezza,  di  cui
all'art. 3 Cost.
    3.1.  -  Il  collegio  deve,  innanzitutto,  premettere  in linea
generale che l'ultimo decennio del secolo scorso (durante il quale e'
stata  emanata  la  norma qui sospettata di incostituzionalita) si e'
rispettivamente  aperto  e  chiuso  con  la  identica consapevolezza,
espressa  da  autorevole  dottrina  in  occasione  di  due importanti
appuntamenti  di carattere istituzionale (il primo convegno nazionale
dei   giudici   tutelari   del  1990;  il  convegno  sulla  famiglia,
organizzato dal Ministero per la solidarieta' sociale nel 1999):
        che  nel nostro ordinamento attuale non si puo' parlare di un
unico giudice della famiglia, ma di numerosi giudici per la famiglia,
in  quanto  le  competenze  in  materia familiare sono distribuite (e
frantumate) tra diversi organi giudiziari, producendo spesso problemi
di coordinamento e sovrapposizione di interventi;
        e  che l'area maggiormente critica investe, in particolare, i
rapporti tra tribunale per i minorenni e giudice tutelare.
    3.2.  -  Su quest'ultimo versante, la situazione e' ben lungi dal
potersi  riassumere nei termini schematici e polarizzati, configurati
dall'amministrazione  sia nell'ultima parte della memoria finale, sia
nel corso dell'odierna discussione orale e secondo i quali:
        l'istituto  della  tutela riguarderebbe la capacita' di agire
del  minore,  mentre  l'affidamento  si  occuperebbe  della  funzione
genitoriale;
        la  tutela  avrebbe  carattere  provvisorio  e,  ai  fini che
vengono in rilievo nella presente controversia, sarebbe uno strumento
inidoneo  a  generare  una "aspettativa di permanenza sul territorio"
del  minore,  "fondandosi  solo  sul  dato  obiettivo  della  attuale
impossibilita'  della  famiglia  di  origine  (che  si deve presumere
idonea   ed   esistente)   ad  esercitare  direttamente  la  potesta'
genitoriale";  cosicche'  permarrebbe in capo allo Stato il dovere di
favorire il ricongiungimento all'estero con la famiglia di origine;
        viceversa,  il  provvedimento  di  affidamento  disposto  dal
tribunale  per  i minorenni presupporrebbe non la temporanea assenza,
bensi'   l'inidoneita'  della  famiglia  di  origine  e  mirerebbe  a
"costruire,  con  rilievo  giuridico,  una nuova relazione famigliare
affettiva,   capace   di   assicurare   al  minore  il  mantenimento,
l'educazione   l'istruzione  e  le  relazioni  affettive  di  cui  ha
bisogno";  in definitiva, solo tale provvedimento genererebbe - sotto
il  profilo giuridico e fattuale - "quella situazione di nuovo legame
personale  e  di stabilita' col territorio nazionale", apprezzata dal
legislatore  ai  fini  del rilascio del permesso di soggiorno dopo il
raggiungimento della maggiore eta'.
    Il  collegio  deve  dissentire  da siffatta ricostruzione dei due
istituti.
    3.3. - Infatti, se e' vero che l'intervento del giudice tutelare,
nei  confronti  dei minori sottoposti a tutela ex art. 343 e ss. cod.
civ.,   concerne   prevalentemente   gli   aspetti  patrimoniali,  e'
altrettanto  vero  che  all'istituto  della tutela presiede un vero e
proprio  ufficio  tutelare, che e' complesso e che e' composto, oltre
che  dal  giudice tutelare (con compiti di direzione e sorveglianza),
dal tutore e dal protutore.
    Ebbene,  al  tutore  spetta una potesta' (tutoria) comprensiva di
poteri,  che  attengono  cosi'  al  patrimonio, come alla persona del
minore  (cfr. artt. 357-358 cod. civ.): in particolare, il tutore, in
quanto  ha  la  cura  della  persona  del  minore,  e' munito, come i
genitori,  di un potere disciplinare, di natura personale, sul minore
stesso ed esplica un potere di proposta al giudice tutelare in ordine
al  luogo  dove  il minore deve essere allevato ed al, suo avviamento
agli  studi  o  all'esercizio  di  arte, mestiere e professione (cfr.
art. 371, cod. civ).
    Quanto,  poi, ai presupposti per l'apertura della tutela indicati
dall'art. 343 cod. civ., essi attengono a situazioni di definitivita'
(quale  la  morte  di  entrambi i genitori) ovvero comunque provviste
assai  piu' dei caratteri di una certa permanenza piuttosto che della
provvisorieta',  quali  l'impossibilita'  ad  esercitare  la potesta'
genitoriale  per  scomparsa  ex  art. 49  cod.  civ.  o  a seguito di
pronunzie  giudiziali  di  vario  genere (ex artt. 317-bis e 330 cod.
civ., o ai sensi di specifiche disposizioni di legge).
    Inoltre,  l'apertura  della  tutela  e'  di regola comunicata dal
giudice  tutelare al procuratore della Repubblica presso il tribunale
per i minorenni, ai sensi degli artt. 740 e 741 c.p.c.
    3.4.   -   L'istituto  dell'affidamento  si  fonda,  invece,  sul
presupposto  che il minore sia "temporaneamente" privo di un ambiente
familiare  idoneo (art. 2, comma 1, legge n. 184/1983) ed ha lo scopo
di  consentire al minore stesso di ricevere le cure necessarie al suo
mantenimento,  educazione ed istruzione, senza, peraltro, che vengano
meno  i  legami  materiali  ed  affettivi con la famiglia di origine,
costituendo,  anzi,  il  reinserimento  nella  famiglia di sangue, la
finalita'  primaria dell'istituto: in tale ultimo senso concordano la
dottrina    specialistica    e    la   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale,  che ha da tempo sottolineato (cfr. l'ordinanza n. 94
del  1990)  la  mancanza  del carattere di stabilita' e definitivita'
dell'affidamento    familiare,    in    quanto   istituto   destinato
esclusivamente  al  reinserimento  nella  famiglia di origine (ovvero
all'acquisizione dello status di figlio adottivo).
    In   siffatto   contesto,  l'affidatario  ha  si  il  compito  di
"accoglire presso di se' il minore e provvedere al suo mantenimento e
alla  sua  educazione  e  istruzione",  ma  cio' "tenendo conto delle
indicazioni  dei  genitori  per i quali non vi sia stata pronuncia ai
sensi  degli  artt.  330  e  333  del codice civile, o del tutore, ed
osservando  le prescrizioni stabilire dall'autorita' affidante" (cfr.
art. 5,  comma  1,  legge  n. 184/1983:  in  sintesi,  il legislatore
prevede  la partecipazione attiva della famiglia di origine in ordine
alle  fondamentali scelte educative riguardanti il minore ed un ruolo
di supervisione dell'autorita' affidante.
    3.5.  - Dalle osservazioni che precedono si possono trarre alcune
prime conseguenze, e cioe':
        a) le fondamentali funzioni di cura, educazione ed istruzione
del  minore  rientrano nei compiti tanto dell'affidatario, quanto del
tutore:  in  nessuno dei due casi l'attribuzione dei poteri e' in via
esclusiva  ed anche se l'investimento diretto dell'affidatario appare
maggiore,  cionondimeno  questa  circostanza non vale a differenziare
qualitativamente  le  rispettive  competenze  delle  due  figure, che
restano  entrambe soggette alla sorveglianza dell'autorita' che le ha
nominate   (generalmente   giudiziaria,   salvo   i  casi  di  affido
amministrativo);
        b)  da  questo  punto  di  vista,  occorre  convenire  con il
giudizio  di  equivalenza  o assimilabilita' tra i due istituti della
tutela  e  dell'affido,  rispettivamente  contenuti  nelle  pronunzie
n. 876/2001,   520,  522  e  523/2002  del  Tribunale  amministrativo
regionale  Toscana e 31 maggio 2001 del Tribunale di Torino, cui gia'
si e' fatto cenno al precedente punto 1.2.;
        c)  occorre,  invece,  rovesciare l'impostazione della difesa
dell'amministrazione  sul punto: non e' la tutela, bensi' l'affido, a
rivestire un carattere dichiaratamente temporaneo e a presupporre una
situazione  reversibile;  di  converso,  non  e'  l'affido, bensi' la
tutela   a   presentare   profili  di  maggiore  stabilita',  sia  in
riferimento  alla  situazione da fronteggiare; sia, conseguentemente,
in  termini  di  intensita'  di  quel legame personale del minore col
territorio   nazionale,  valorizzato  dal  legislatore  ai  fini  del
rilascio  del  permesso di soggiorno al raggiungimento della maggiore
eta';
        d)   e   che   non   si  tratti  di  un  semplice  sillogismo
logico-giuridico,  lo  si  puo' desumere dalla semplice constatazione
che  nel caso di specie - secondo la tesi dell'Avvocatura dello Stato
-  si  dovrebbe  considerare maggiormente significativo (del rapporto
del  minore  col  territorio  nazionale)  un  provvedimento di affido
istituzionalmente  volto  al  suo  reinserimento  nella  famiglia  di
origine,  dimorante in Albania anziche' la nomina di un tutore, nella
persona  del  cognato (marito della sorella), soggiornante nel nostro
Paese.
    4.1.  -  Le  prime  conseguenze, che si sono tratte al precedente
capo  3.5.,  contengono in se' anche le ragioni di fondo dei dubbi di
costituzionalita'  avvertiti  dal  collegio,  in  relazione ai valori
costituzionali presidiati dall'art. 3 Cost.
    4.2  -  Sotto un primo profilo, dalla sostanziale equivalenza tra
gli istituti dell'affidamento e della tutela deriva che la preferenza
accordata  dal  legislatore  nei  confronti dell'uno, con contestuale
esclusione   dell'altro   (ai  fini  del  rilascio  del  permesso  di
soggiorno,  al  compimento della maggiore eta' del minore straniero),
risulta  confliggente  con il principio di uguaglianza sancito in via
generale  dal citato art. 3 Cost. e specificamente sottolineato dalla
Corte  costituzionale,  per  quanto riguarda i minori, nella sentenza
n. 148  del  1992,  in  cui  si  riconosce  "l'esigenza  di  un  pari
trattamento di essi, quando versano nella medesima condizione".
    4.3.  -  Sotto  un  diverso ed ulteriore profilo, risulta violato
anche  il  canone  di  ragionevolezza (pure riconducibile al medesimo
art. 3  Cost.),  in  quanto una volta accertato (ed in questo occorre
convenire  con  la  difesa  dell'amministrazione)  che il legislatore
persegue  il  (condivisibile)  intento  di  valorizzare il legame del
minore  con  il  territorio  del  nostro  Paese la scelta in concreto
effettuata  non  si  dimostra  coerente  a tale finalita', risultando
privilegiato,  tra  i  due istituti sin qui posti a confronto, quello
che  meno  si  presta  a  fungere  da  indice rivelatore di un simile
rapporto  e  piu'  sottolinea, invece, la relazione del minore con la
famiglia (e conseguentemente il Paese) di origine.
    5.1.  -  Il  collegio  e',  altresi', consapevole che, in tema di
immigrazione,  la  Corte  costituzionale  ha  costantemente affermato
(sentenza  n. 353  del  1997  e  ordinanza  n. 232  del  2001) che il
legislatore  puo'  legittimamente  porre dei limiti all'accesso degli
stranieri  nel  territorio  nazionale, esistendo in materia una ampia
discrezionalita'  legislativa,  limitata  soltanto dal vincolo che le
scelte non risultino manifestamente irragionevoli: nondimeno, ritiene
che, nel caso dell'art. 32 t.u. n. 286/1998, sia stata superata anche
la  soglia  della  manifesta irragionevolezza non solo per le ragioni
sin   qui   illustrate,   ma   anche  alla  stregua  di  un'ulteriore
considerazione,  fondata  sul  "diritto  vivente" dei tribunali per i
minorenni, cui si richiama anche il ricorrente nell'atto introduttivo
di questo giudizio.
    5.2.  -  Invero,  a proposito dell'applicazione degli istituti in
esame  nei  riguardi  di minori stranieri, si e' consolidato presso i
giudici minorili l'orientamento assolutamente favorevole all'utilizzo
della tutela ex art. 343 cod. civ., in luogo dell'affidamento.
    Le motivazioni di tale indirizzo si trovano compiutamente esposte
nella decisione 19 maggio 1992 del Tribunale dei minorenni di Venezia
(anch'essa  concernente  un  minore  di  cittadinanza  albanese, come
l'attuale ricorrente), nei termini che seguono:
        il  minore  straniero presente in Italia, avendo abbandonato,
con  il  presumibile  consenso  della  famiglia di sangue, il proprio
Paese  d'origine  per  ragioni politiche, di emigrazione e di lavoro,
non  puo'  essere  considerato come temporaneamente privo di ambiente
familiare ai fini dell'affidamento familiare, previsto e disciplinato
dall'art. 2 e seguenti della legge n. 184 del 1983;
        poiche',  tuttavia, il suddetto allontanamento rende di fatto
impossibile  ai  genitori  l'esercizio  delle  proprie  potesta',  e'
pertinente  al caso ed applicabile l'art. 343 cod. civ., ai sensi del
quale  lo  Stato  italiano  deve  assicurare  al  minore  ogni tutela
giuridica, tutela affidata al giudice tutelare.
    A  seguire,  altri  giudici  minorili  hanno,  cosi' declinato il
proprio  intervento  in  favore, per l'appunto, di quello del giudice
tutelare:
        il  Tribunale  per  i  minorenni di Brescia ha pronunciato un
decreto  (pubblicato,  privo  di  data, in un recente volume dedicato
alla  legislazione sugli immigrati e comunque riferito ad una istanza
della  fine  del  1998:  a tale provvedimento ha fatto richiamo anche
l'ordinanza  cautelare emessa da questa Sezione nel presente ricorso)
con  cui,  esclusa  la necessita' di un proprio intervento protettivo
essendo  il minore gia' seguito dal parente istante, ha dichiarato il
non  luogo  a  provvedere  e  disposto  la trasmissione degli atti al
giudice  tutelare,  in quanto competente a dare i provvedimenti circa
l'avviamento del minore agli studi oppure al lavoro;
        da  ultimo,  anche il Tribunale per i minorenni di Perugia (1
luglio  2000)  non  ha  ravvisato  la  necessita'  o l'utilita' di un
proprio   intervento   protettivo   e   formale,  qualora  non  siano
applicabili  ne'  gli articoli 8 e ss. della legge 184/1983 (stato di
adottabilita'  del  minore),  ne'  gli  artt. 333  e  336  cod.  civ.
(condotta  del  genitore  pregiudizievole  ai figli), restando, quale
unico  strumento  formale  di  protezione,  la  tutela  del minore ex
artt. 316 e 343 cod. civ.
    Il  formarsi (prima del t.u. n. 286 e della legge n. 40, entrambi
del  1998)  ed  il  successivo  consolidarsi,  in questi sensi, della
giurisprudenza  dei tribunali per i minorenni priva, all'evidenza, di
significato concreto l'espressione "minori comunque affidati ai sensi
dell'art.   2   della   legge   4  maggio  1983,  n. 184",  contenuta
nell'art. 32  del  medesimo  t.u.,  giacche'  la prassi giudiziale e'
propensa  ad  utilizzare,  nei  confronti  dei  minori  stranieri non
accompagnati,  l'istituto  non  gia'  dell'affidamento,  bensi' della
tutela, escluso invece dalla previsione della norma.
    Quest'ultima   finirebbe   per   richiedere,   in  sostanza,  una
condizione  nei fatti non realizzabile e dunque impossibile: donde la
palese incongruenza della disposizione qui scrutinata, la cui area di
applicazione  verrebbe,  a  questo  punto,  a  coincidere in toto con
quella di cui ai commi 1 e 2 del precedente art. 31.
    5.3.  -  Una tale situazione puo', ad avviso del collegio, essere
riequilibrata  solo  mediante la declaratoria di illegittimita' della
norma  medesima,  nella  parte in cui non prevede la possibilita' del
rilascio  del  permesso  di  soggiorno,  al compimento della maggiore
eta', anche ai minori stranieri in precedenza sottoposti a tutela.
    Il   collegio   non   si   nasconde,   nel  contempo,  che  -  in
considerazione  della  sostanziale  automaticita' dell'apertura della
tutela - la questione che solleva con la presente ordinanza potrebbe,
ove  accolta,  comportare il rischio di un "aggiramento" delle regole
che  presiedono  all'immigrazione autorizzata (gia' oggi, il fenomeno
dei minori stranieri non accompagnati riguarda, per intuitive ragioni
di  ordine  -  per  cosi'  dire  - "naturale", adolescenti abbastanza
prossimi  al  diciottesimo  anno  di  eta':  ne  e' riprova la stessa
vicenda  dell'odierno  ricorrente):  ed intende, pertanto, affrontare
direttamente  anche  questo argomento, peraltro presente nelle difese
dell'amministrazione e a cui la medesima Corte costituzionale ha gia'
mostrato  di  non  essere  insensibile  (cfr. la menzionata ordinanza
n. 232 del 2001).
    In  sintesi,  a siffatta obiezione, il collegio cosi' si sente di
replicare:
        1)  come  gia' si e' avuto modo di esporre in precedenza, non
sembra   dubitabile   che  il  legislatore  per  primo  abbia  inteso
valorizzare,  ai  fini della concessione del permesso di soggiorno al
compimento  della maggiore eta', un certo qual rapporto di stabilita'
instauratosi   tra  il  minore  straniero  ed  il  nostro  territorio
nazionale:  ebbene,  se  questo  e'  l'intento  del conditor legis la
questione qui sollevata non tradisce ne' trasforma la finalita' della
norma,   ma   si  limita  a  correggerne  l'erronea  (ad  avviso  del
rimettente) indicazione del corrispondente strumento giuridico;
        2)  invero, deve ritenersi che le caratteristiche costitutive
degli  istituti  del  nostro  ordinamento  giuridico  debbano restare
immutate   nella  loro  ontologica  essenza  e  nella  loro  generale
applicabilita',   anche   ove  siano  destinate  a  confrontarsi  con
l'irruzione  nella  scena  sociale e giuridica di fenomeni nuovi e di
rilevanti dimensioni, come indubbiamente e', nella specie, quello dei
"minori stranieri non accompagnati";
        3)  in  ogni  caso, se l'apertura della tutela costituisce un
atto   dovuto,   non   altrettanto  lo  sarebbe  -  nell'eventualita'
dell'accoglimento  della presente questione di costituzionalita' - il
rilascio  del  permesso  di  soggiorno  al minore straniero, divenuto
maggiorenne  dopo  aver  usufruito  di  detto  istituto: invero, come
esattamente  osservato dalla difesa del ricorrente in sede di memoria
conclusiva  e  di  discussione  orale,  detto rilascio resta comunque
subordinato  alla  verifica  delle  ulteriori  condizioni (di studio,
lavoro, salute) previste a tal fine dall'art. 32, che, coerentemente,
si  esprime,  al  riguardo,  in  termini possibilistici ("puo' essere
rilasciato un permesso di soggiorno").
    In  definitiva,  quello  dell'esser  stato sottoposto a tutela si
risolverebbe,  per il minore, in un pre-requisito, dovendo sussistere
altri e concorrenti presupposti, di carattere obiettivo, per ottenere
il  rilascio  del titolo abilitativo al soggiorno nel nostro Paese: e
tali  ulteriori requisiti il ricorrente ha dimostrato, nella presente
fattispecie, di possedere, poiche':
        all'indomani  del  compimento  della  maggiore  eta', egli e'
stato  assunto, presso una ditta artigiana, con regolare contratto di
apprendistato  di durata triennale, percependo una retribuzione media
netta  mensile  che  si aggira sulle 1.400.000. lire (cfr. buste paga
del periodo marzo-novembre 2001);
        gode  della  disponibilita'  di  un  alloggio,  in  quanto e'
tuttora  ospitato  dall'ex  tutore,  come  da  relativa dichiarazione
rilasciata da quest'ultimo.
    6.  - Concludendo sul punto, il collegio e', pertanto, propenso a
ritenere    non    manifestamente    infondata    la   questione   di
costituzionalita', nei termini innanzi precisati.
    7. - Quanto  alla  sua  rilevanza nella presente controversia, e'
sufficiente  osservare  che tanto il diniego del questore di Bologna,
quanto    circolare   ministeriale   ivi   richiamata   costituiscono
applicazione  della disposizione di cui all'art. 32 t.u. n. 286/1998,
affermando  entrambi che solo "il permesso di lavoro per affidamento,
che  sia stato disposto ai sensi della legge n. 184/1983" consente al
minore  di  ottenere,  al  raggiungimento  della  maggiore  eta',  un
permesso  di  soggiorno  per  lavoro;  ragion  per  cui, un'eventuale
declaratoria  di  incostituzionalita'  della  norma  applicata (nella
parte  in  cui  non  contempla  il  caso  dell'apertura della tutela)
travolgerebbe anche entrambi gli atti di cui si controverte in questa
sede.
    8.  - Per le suesposte considerazioni, il collegio deve sollevare
d'ufficio  siccome  rilevante  e  non  manifestamente  infondata - la
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 32 del d.lgs. 25
luglio  1998,  n. 286,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che,  al
compimento della maggiore eta', il permesso di soggiorno possa essere
rilasciato  anche  nei  confronti  dei minori stranieri "sottoposti a
tutela, ai sensi degli artt. 343 e seguenti del codice civile".
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt.  134  della  Costituzione,  1 e ss. della legge
costituzionale 1/1948 e 23 e ss. della legge 87/1953;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento
all'art.   3   della   Costituzione,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nella
parte  in  cui non prevede che, al compimento della maggiore eta', il
permesso di soggiorno possa essere rilasciato anche nei confronti dei
minori  stranieri  "sottoposti  a  tutela, ai sensi degli artt. 343 e
seguenti del codice civile".
    Sospende il giudizio.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale.
    Dispone  che,  a cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in  causa  e al Presidente del Consiglio dei
ministri,  e  comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed
al Presidente della Camera dei deputati.
    Cosi'  deciso  in Bologna, nella camera di consiglio del 9 maggio
2002.
                      Il Presidente: Perricone
                        Il consigliere relatore estensore: Calderoni
02C0866