N. 417 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 giugno 2002

Ordinanza  emessa  il  25 giugno  2002  dalla Corte di cassazione sul
ricorso  proposto  da Ramondini Elio contro Ministero della giustizia
ed altro

Magistratura  -  Sezione  disciplinare  del Consiglio superiore della
  Magistratura  (C.S.M.)  -  Composizione  -  Componenti  supplenti -
  Previsione  in  numero inferiore a quello dei componenti titolari -
  Conseguente  impossibilita'  di  sostituzione dei titolari versanti
  tutti  in  situazione di incompatibilita' (nella specie, in seguito
  ad   annullamento   con   rinvio   della   sentenza  della  Sezione
  disciplinare  da  parte delle SS.UU. della Cassazione) - Disparita'
  di  trattamento  rispetto  ad  altri procedimenti giurisdizionali e
  allo  stesso  procedimento  dinanzi  alla  Sezione  disciplinare  -
  Incidenza  sul  diritto di difesa e sui principi di imparzialita' e
  terzieta' del giudice.
- Legge  24  marzo 1958, n. 195 e successive modificazioni, artt. 4 e
  6.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.39 del 2-10-2002 )
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso
proposto  da  Ramondini  Elio, elettivamente domiciliato in Roma, via
Giuseppe   Avezzana   6,  presso  lo  studio  dell'avvocato  Emanuele
Squarcia, rappresentato e difeso dall'avvocato Gilberto Lozzi, giusta
delega in calce al ricorso, ricorrente;
    Contro, Ministero della giustizia, procuratore generale presso la
Corte  suprema  di cassazione, intimati; avverso la sentenza n. 68/01
del Consiglio superiore magistratura di Roma, depositata il 12 luglio
2001;
    Udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
5 aprile 2002 dal consigliere dott. Enrico Altieri;
    Udito l'avvocato Gilberto Lozzi;
    Udito  il  p.m.  in  persona  del  sostituto procuratore generale
dott. Antonio  Martone  che  ha  concluso che in via principale venga
sollevata   la  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in  via
subordinata il rigetto del ricorso.
    1. - Svolgimento del processo.
    1.1. - Il   dott. Elio  Ramondini,  sostituto  procuratore  della
Repubblica  presso  il  tribunale  di  Milano,  veniva sottoposto dal
Ministro  della  giustizia  a  procedimento  disciplinare per grave e
reiterata   disapplicazione  di  norme  processuali  nell'ambito  del
procedimento  penale  relativo alla denuncia-querela presentata dalla
dott.ssa  Marina  Caroselli,  sostituto  procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Novara, destinataria di scritti anonimi.
    Veniva  contestato al magistrato di aver sottoposto a indagini il
tenente  colonnello  Ermanno  Lo  Castro  e  il  maresciallo Giuseppe
Cavallo,  entrambi appartenenti alla Guardia di finanza, senza che il
loro  nome  fosse  iscritto nel registro mod. 21, senza osservare gli
adempimenti prescritti dall'art. 360 cod. proc. pen. a garanzia delle
parti  private  e  procedendo  all'interrogatorio  dei predetti nelle
forme  previste  per  le  persone informate sui fatti, senza emettere
informazione di garanzia e in assenza di difensore.
    In     particolare,     il    dott. Ramondini    aveva    chiesto
all'amministrazione del carcere militare di Peschiera del Garda, dove
i due militari erano detenuti, l'esibizione dei cartellini recanti le
loro  impronte  digitali;  aveva  proceduto  ad  interrogatorio  come
persone  informate  sui  fatti,  dopo  che  la  denunciante  li aveva
indicati come possibili autori degli scritti anonimi; aveva richiesto
al  gabinetto  di  polizia  scientifica  della  Questura di Milano di
rilevare le impronte digitali dei due indagati.
    1.2. - Con  sentenza  del  16 luglio 1999 la sezione disciplinare
del  Consiglio  superiore  della  magistratura infliggeva la sanzione
dell'ammonimento.
    Osservava la sezione che, pur dovendosi riconoscere al magistrato
inquirente  una  discrezionalita'  nell'attribuire  ad una persona la
qualita'  di indagato, e quindi di disporre l'iscrizione nel registro
di  cui  all'art. 335 cod. proc. pen., non poteva ammettersi che egli
compisse  atti  d'indagine  contro  persone determinate, negando tale
qualita'.  Doveva  pertanto  ravvisarsi, nella specie, la sistematica
violazione  di  norme  regolanti  l'equilibrio  tra  le  esigenze  di
indagine e la difesa di diritti individuali.
    Sotto il profilo soggettivo la sezione riteneva la consapevolezza
della violazione o almeno la gravissima ed inescusabile negligenza.
    Il  dott.  Ramondini  proponeva  ricorso alle sezioni unite della
Corte,   la  quale,  con  sentenza  15  giugno-14 novembre  2000,  in
accoglimento  parziale  delle  censure  di  difetto e/o insufficienza
della  motivazione,  cassava  la  sentenza e rinviava per nuovo esame
alla sezione disciplinare.
    Sotto  un  primo  profilo  le  sezioni  unite  rilevavano  che il
passaggio  dalla  condizione di persona non imputata o non sottoposta
ad  indagini a quella di persona nei cui confronti emergono indizi di
reita'  puo'  essere  non  netto,  ma  graduale,  per cui deve essere
riconosciuto   all'autorita'   procedente   un   certo   margine   di
discrezionalita'  nel coglierne il momento. Il difetto di motivazione
consisteva   nell'avere   equiparato   un  errore  nella  valutazione
discrezionale   ad   una  grave  negligenza,  senza  alcun  riscontro
riscontro  sugli  atti del procedimento, e in particolare sui verbali
d'interrogatorio,  al fine di verificare quale fosse stato il momento
del passaggio allo stato d'indagati.
    Quanto alla seconda censura, doveva ritenersi che i provvedimenti
del   giudice   siano   sindacabili  in  sede  disciplinare  solo  se
intenzionali o commessi con colpa grave. Avendo la sentenza impugnata
escluso   che   le  contestate  violazioni  della  legge  processuale
potessero essere dolose, la motivazione appariva perplessa, essendosi
ritenuta  "l'assoluta  consapevolezza  della violazione del dovere di
rispetto  di  fondamentali  norme processuali", e aggiungendosi "o di
gravissima o inescusabile negligenza". Inoltre i giudici disciplinari
non avevano motivato circa il pregiudizio - non riparabile attraverso
gli  ordinari  rimedi  processuali  -  subito dagli indagati, ne' sul
concreto  danno  da  essi  subito,  considerando  il  loro  stato  di
detenzione per altra causa.
    Infine,  doveva ritenersi la contraddittorieta' della motivazione
nelle parti in cui si parlava di violazioni reiterate o sistematiche,
dovendo  il  comportamento  del magistrato essere ricondotto ad unico
errore interpretativo.
    Le  sezioni unite enunciavano, pertanto, il seguente principio di
diritto:  "la violazione di norme processuali da parte del magistrato
costituisce illecito disciplinare se dolosa o gravemente colposa e in
tal  caso  se  capace  di  arrecare  alle  persone un danno anche non
patrimoniale  non  riparabile  attraverso  gli strumenti processuali,
oppure  ancora se reiterato: si deve peraltro tener conto di tutte le
circostanze  e  in particolare dell'eventuale dipendenza del fatto da
un unico errore di interpretazione della legge".
    1.3.  -  Nel  giudizio  di  rinvio,  e  prima  della discussione,
l'incolpato  presentava dichiarazione di ricusazione di otto dei nove
componenti  della  sezione,  e  precisamente  di  quelli  che avevano
partecipato  alla precedente fase processuale. In subordine sollevava
questione  d'illegittimita'  costituzionale  degli  articoli 4, commi
primo  e  terzo,  e  61  della  legge  n. 195/1958  per contrasto con
l'art. 111, secondo comma, Costituzione.
    La  sezione  disciplinare  dichiarava  inammissibile l'istanza di
ricusazione  e  manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale con ordinanza del 30 maggio 2001, cosi' motivata:
        nell'interpretare  l'art. 105  Cost., il quale attribuisce al
Consiglio  superiore  della magistratura i provvedimenti disciplinari
nei riguardi dei magistrati, la Corte costituzionale (sentenza n. 142
del  1973) ha costantemente affermato che tale competenza costituisce
strumento   essenziale   dell'autonomia   e   quindi   della   stessa
indipendenza dei magistrati;
        i  principi  garantiti attraverso tale attribuzione esclusiva
sono  quelli sanciti dagli articoli 101 e 104 della Costituzione che,
per  la  loro  elevata  posizione  nel catalogo dei beni e dei valori
costituzionalmente  protetti,  sono  suscettibili solo di un meditato
bilanciamento  e  di  un  adeguato  contemperamento  con altri beni e
valori costituzionali di uguale rango;
        il legislatore ordinario, nel rispetto dei limiti posti dalla
Costituzione,   ha   attribuito   l'esercizio   della   giurisdizione
disciplinare  ad  un'apposita sezione, destinata a rispecchiare nella
sua  composizione  tutte  le componenti del Consiglio. Tale scelta e'
stata  ritenuta  dalla Corte costituzionale (sentenza n. 12 del 1971)
conforme  al  dettato  costituzionale, mentre la giurisprudenza delle
sezioni  unite  (sentenza 31 luglio 1964) ha affermato che la sezione
non   e'   che   il   Consiglio  superiore  in  una  sua  particolare
articolazione  e  la  sua  investitura  proviene  direttamente  dalla
Costituzione;
        tali   considerazioni   erano   valide  anche  per  l'attuale
composizione  (nove  componenti  effettivi e sei supplenti, e percio'
estranea  ad  ipotesi  di sostituzione integrale dei suoi membri), la
quale  poteva essere considerata la forma costituzionalmente adeguata
di  realizzazione  della  garanzia di competenza voluta dall'art. 105
Cost.,  in  ragione della sua fedele rappresentativita' delle diverse
componenti presenti nel Consiglio. Pertanto, la garanzia di terzieta'
e  d'imparzialita' del giudice prevista dall'art. 111, comma secondo,
Cost.,  a  prescindere  da ogni specifica valutazione sulle modalita'
della  sua  concreta  realizzazione, deve trovare attuazione in forme
che  siano rispettose della competenza del Consiglio e che, comunque,
non  compromettano  o non paralizzino, per un tempo indeterminabile a
priori,  la  funzione  disciplinare  e  il suo esercizio esclusivo da
parte della sezione. Opinare diversamente significherebbe porsi al di
fuori di un'ottica di bilanciamento e di contemperamento tra principi
costituzionali  di  eguale  rango  e conferire alla garanzia prevista
dall'art. 111  Cost.  un  valore assolutamente prevalente ai principi
enunciati  dagli  articoli  101  e  104 della Costituzione, della cui
realizzazione l'art. 105 e' uno strumento;
        in  tale  contesto  appariva  manifesta  l'infondatezza della
questione   di   legittimita'   costituzionale  che,  ipotizzando  un
contrasto  tra  il  nuovo  testo  dell'art. 111  Cost. e la procedura
vigente  dinanzi  alla  sezione  disciplinare in forza della quale e'
necessariamente tale organo destinato a fungere da giudice di rinvio,
pone  in  dubbio  la  legittimita' costituzionale dell'intero assetto
della  sezione  disciplinare,  senza  considerare  che  proprio  tale
assetto  e'  stato  ritenuto  dalla  Corte costituzionale preordinato
all'attuazione    della   primaria   garanzia   dell'indipendenza   e
dell'autonomia  della  magistratura ordinaria prevista dagli articoli
101 e 104 Cost.;
        doveva   essere   conseguentemente  dichiarata  inammissibile
l'istanza  di ricusazione di otto componenti della sezione in quanto,
come  affermato  dalle  sezioni unite nella sentenza 30 gennaio 1985,
n. 59, l'istituto della ricusazione non puo' operare gli effetti suoi
propri    laddove    condurrebbe   alla   paralisi   della   funzione
giurisdizionale.
    1.4.   -  Con  sentenza  30  maggio-12  luglio  2001  la  sezione
disciplinare   confermava   il   giudizio  di  responsabilita'  e  di
applicazione della sanzione dell'ammonimento.
    2. - I motivi di ricorso.
    2.1.   -   In  relazione  all'ordinanza  il  ricorrente  denuncia
violazione  del  combinato  disposto  degli articoli 34, comma terzo,
regio  decreto  legislativo  31  maggio 1946, n. 511, 6, comma terzo,
legge  24 marzo 1958, n. 195; 61 e 64, n. 6, cod. proc. pen. 1930; in
relazione  all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Solleva, in subordine,
eccezione  di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli 4, commi
primo  e terzo, e dell'art. 6 legge n. 195 del 1958 per contrasto con
l'art. 111   della   Costituzione;  insufficiente  e  contraddittoria
motivazione   dell'ordinanza   nella   parte   in   cui  ha  ritenuto
manifestamente   infondata  la  predetta  questione  di  legittimita'
costituzionale, in relazione all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
    Premette  che,  in forza del rinvio contenuto nell'art. 34, terzo
comma,   del  regio  decreto  legislativo  31  maggio  1946,  n. 511,
dell'art. 17  delle  disposizioni  di  attuazione, di coordinamento e
transitorie  del  d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, recante norme per
l'adeguamento  dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale,
nonche' dei diversi rinvii disposti con successivi decreti-legge, nel
giudizio  dinanzi  alla  sezione disciplinare del Consiglio superiore
della  magistratura si applicano, in quanto compatibili con la natura
del procedimento, le norme del codice di procedura penale previgente.
    Nel presente procedimento si applicano, quindi, gli articoli 61 e
64,  n. 6,  del cod. proc. pen. abrogato, secondo i quali "il giudice
che  ha  pronunciato  o  ha  concorso  a  pronunciare  sentenza in un
procedimento  non  puo'  partecipare...  al  giudizio  di rinvio dopo
l'annullamento"   e  puo',  trovandosi  in  tali  condizioni,  essere
ricusato.
    L'art. 6 della legge 24 marzo 1958, n. 195, contiene, infine, una
specifica  disposizione  per  il  caso  della  ricusazione di uno dei
componenti   della   sezione   disciplinare,  prevedendo  che  "sulla
ricusazione  di  un  componente  della sezione disciplinare decide la
stessa  sezione,  previa  sostituzione del componente ricusato con il
supplente corrispondente".
    Il  ragionamento  della sezione disciplinare, secondo cui, ove il
numero  dei componenti ricusati sia superiore a quello dei supplenti,
non    potrebbe   pervenirsi   ad   una   paralisi   delle   funzioni
giurisdizionali  della  sezione,  dovendosi ritenere l'osservanza del
principio  di  effettivita'  di  tali  funzioni  prevalente su quello
dell'imparzialita',  sarebbe  - secondo la difesa del ricorrente - in
contrasto  col nuovo testo dell'art. 111, commi 1o e 2o, Cost., nella
parte  in cui stabiliscono che "la giurisdizione si attua mediante il
giusto  processo  regolato  dalla  legge"  e  che  "ogni  processo si
svolge...  davanti  a  un giudice terzo e imparziale". La nuova norma
non  costituirebbe  piu'  soltanto  una  riaffermazione del principio
d'imparzialita'   della   funzione  giurisdizionale,  ma  avrebbe  la
funzione  di  chiarire che non esiste giurisdizione se il giudice non
e' terzo e imparziale.
    Pertanto  l'istanza  di  ricusazione, eventualmente trasmessa per
competenza  alle  sezioni  unite  per  impossibilita' di ricorrere al
procedimento  di  cui all'art. 6 della legge n. 195/58 e reviviscenza
della  generale  competenza  del giudice dell'impugnazione, stabilita
dall'art. 68  cod.  proc.  pen.  (sez.  un., 30 gennaio 1985, n. 59),
andava  accolta  anche se ne derivava, in concreto, la paralisi della
funzione giurisdizionale della sezione.
    Ove  si  ritenesse  che  l'istanza  dovesse effettivamente essere
dichiarata  inammissibile per incompatibilita' degli articoli 61 - 66
cod.  proc.  pen.  abrogato  con  la natura del procedimento e con le
disposizioni  del regio decreto legislativo n. 511 del 1946 (art. 34,
comma   terzo,   del   detto  regio  decreto  legislativo),  dovrebbe
concludersi   per   l'illegittimita'   costituzionale,  in  relazione
all'art. 111  Cost.,  delle  disposizioni  che  rendono inammissibile
l'istanza,  e cioe' degli articoli 4 e 6 della legge n. 195 del 1958,
nella parte in cui prevedono un numero di sei supplenti.
    Il  ragionamento  della  sezione  disciplinare,  secondo  cui  la
composizione  della sezione costituisce la forma adeguata di garanzia
voluta   dall'art. 105   Cost.,   in   ragione   della   sua   fedele
rappresentativita'  delle  diverse  componenti del Consiglio, per cui
sarebbe  manifestamente  infondata una questione che investa l'intero
assetto della sezione non sarebbe convincente.
    L'argomento  avrebbe pregio se l'eccezione mirasse a scompaginare
l'equilibrio  tra  le  diverse componenti del C.S.M., esistente nella
sezione  disciplinare.  Per  ovviare  a  tale  inconveniente  sarebbe
sufficiente  prevedere  un  incremento  dei supplenti che rispetti le
attuali  proporzioni, non nell'organo nel suo complesso, ma in quello
chiamato volta per volta ad esercitare la funzione disciplinare.
    2.2.  -  In  relazione  alla  sentenza,  il  ricorrente  denuncia
inosservanza  dell'art. 546,  primo comma , cod. proc. pen. abrogato,
nonche'  motivazione  contraddittoria  e  insufficiente  circa  punti
decisivi  della  controversia  prospettati  dalle parti; in relazione
all'art. 360, primo comma, n. 3 e 5, cod. proc. civ.
    3. - Motivi della decisione.
    3.1.  -  Preliminarmente  dev'essere  esaminata  la  questione di
irregolare  costituzione  del  giudice per affermata incompatibilita'
dei componenti della sezione disciplinare, facenti parte del collegio
che  aveva  emanato  la  decisione  cassata,  a  giudicare in sede di
rinvio.
    Le  sezioni  unite  ritengono che tale questione non possa essere
risolta  applicandosi  gli  articoli  61, primo comma, 64, n. 6, cod.
proc.  pen.  previgente,  in  quanto, come sara' spiegato in seguito,
tale   normativa   non   puo'   ritenersi   applicabile  per  la  sua
incompatibilita'  con la natura del procedimento dinanzi alla sezione
disciplinare  (art. 34,  terzo  comma,  del regio decreto legislativo
n. 511  del  1946), non essendo altri organi competenti ad esercitare
le  funzioni  di giudice di rinvio a seguito di annullamento da parte
della  Corte  di  cassazione,  e  non  consentendo  le speciali norme
dettate  per  il  procedimento dinanzi alla sezione (art. 4 e 6 della
legge  n. 195 del 1958 e successive modificazioni) la sostituzione di
componenti  in  posizione  d'incompatibilita', quando il numero degli
stessi sia, come nel caso di specie, superiore a sei.
    Ne  consegue  che  la  Corte  deve  esaminare  preliminarmente le
questioni  di  legittimita'  costituzionale,  svolte dal ricorrente e
gia'  proposte  dinanzi  alla  sezione  disciplinare,  la quale ne ha
ritenuto la manifesta infondatezza.
    3.2.  - La decisione impugnata, dopo aver premesso che tra i beni
protetti  in  conflitto,  e cioe' l'interesse ad una rapida decisione
nella  materia  disciplinare  dei  magistrati ordinari da parte dello
speciale  organo  indicato  dalla  Costituzione,  che sia espressione
delle  diverse  componenti del Consiglio, e quello dell'imparzialita'
del  giudice,  contenuta  nell'art. 111 Cost., anche secondo il nuovo
testo  di  tale  norma, deve essere operato un bilanciamento, finisce
con l'istituire una gerarchia tra detti beni, privilegiando il primo.
In  particolare,  l'impossibilita'  di  una  formazione  del collegio
giudicante per il giudizio di rinvio con componenti diversi da quelli
che  avevano  partecipato  alla  decisione  annullata, conseguente al
fatto  che il numero dei componenti previsto dalla legge non consente
una  completa  sostituzione dei componenti incompatibili, non avrebbe
alcuna    rilevanza,    dovendosi    privilegiare   l'interesse   del
funzionamento  dell'organo  disciplinare.  In altre parole, la regola
dell'imparzialita' e terzieta' del giudice non opererebbe nel caso in
cui  si determinasse - data l'impossibilita' della sostituzione di un
numero  di componenti superiore a quello dei supplenti (da scegliersi
nell'ambito  dei  consiglieri  scelti dal Consiglio a far parte della
sezione disciplinare) - una paralisi dell'organo disciplinare.
    Le  sezioni  unite  ritengono, innanzitutto, che non possa essere
condivisa  la  tesi  che  attribuisce  all'interesse al funzionamento
dello   speciale   organo  giurisdizionale  istituito  in  attuazione
dell'art. 105 Cost. un rango superiore a quello riconosciuto ad altri
beni costituzionalmente protetti, quale il carattere imparziale della
giurisdizione.
    Il  diritto di essere giudicato da un giudice terzo ed imparziale
ha,  indubbiamente,  carattere  fondamentale  e la sua tutela risulta
particolarmente rafforzata da obblighi internazionali, e precisamente
dall'art. 6,  primo  comma, della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali, resa esecutiva con
la legge 4 agosto 1955, n. 848.
    La  Corte  costituzionale ha ripetutamente affermato, anche nella
vigenza del precedente testo dell'art. 111 Cost., che il principio di
imparzialita'   -  terzieta'  della  giurisdizione  ha  pieno  valore
costituzionale rispetto a qualunque specie di processo, pur dovendosi
tener  conto  delle peculiarita' proprie di ciascuno (sentenze n. 326
del  1997,  n. 51 del 1998 e n. 587 del 1999). Per quanto riguarda il
procedimento   dinanzi   alla   sezione  disciplinare  del  Consiglio
superiore della magistratura, la Corte costituzionale, nella sentenza
16   novembre   2000,  n. 497,  con  la  quale  e'  stata  dichiarata
l'incostituzionalita'  dell'art. 34, secondo comma, del regio decreto
legislativo  31  maggio 1946, n. 511, in relazione agli articoli 111,
24  e  3 della Costituzione, nella parte in cui esclude che la difesa
del  magistrato  incolpato  dinanzi  alla  sezione disciplinare possa
essere  affidata  anche  ad un avvocato del libero foro, ha affermato
che  il  riconoscimento della natura giurisdizionale del procedimento
deve  avere una piena espansione, con attuazione di tutte le garanzie
proprie  della giurisdizione, e in particolare con la possibilita' di
una  difesa  tecnica  quale esplicazione del diritto di difesa di cui
all'art. 24,   con   conseguente   ingiustificabile   disparita'   di
trattamento e violazione dell'art. 3.
    Tale  pieno svolgimento del diritto di difesa - secondo la citata
sentenza  - non trova alcun ostacolo nella ragione addotta per negare
accesso  alla  difesa  tecnica,  che  aveva  indotto in precedenza la
giurisprudenza di questa Corte a dichiarare la manifesta infondatezza
della  questione,  e  cioe' di commisurare la tutela del singolo alla
salvaguardia  del dovere d'imparzialita' e della connessa esigenza di
credibilita' collegata all'esercizio della funzione giurisdizionale.
    Infine,  nella  stessa sentenza, la Corte costituzionale richiama
il  vincolo  derivante  dall'art. 6  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo.
    L'applicazione  del  principio  e'  stata  effettuata dalla Corte
costituzionale   con   estremo   rigore,   giungendosi  a  dichiarare
l'illegittimita'   costituzionale   di   norme   che   non  prevedono
l'incompatibilita' alla partecipazione al dibattimento, e cioe' ad un
giudizio   a   cognizione   piena,   di  giudici  che  hanno  emanato
provvedimenti  in  una  diversa fase del processo, anche quando dalle
stesse non deriva alcun vincolo per la decisione nel merito.
    Secondo  la  sentenza  24  aprile  1996,  n. 131,  la "disciplina
legislativa dell'incompatibilita' del giudice, stabilita nell'art. 34
c.p.p. alla stregua della direttiva al legislatore delegato contenuta
nell'art. 2,  n. 67,  legge n. 81 del 1987, si fonda sulla necessita'
di evitare la duplicazione di giudizi della medesima natura presso lo
stesso  giudice  e  quindi  sulla  suddetta esigenza di proteggere il
giudizio  del  merito  della  causa  dal  rischio  di un pregiudizio,
effettivo  o  anche  solo  potenziale,  derivante  da  valutazioni di
sostanza  sulla  ipotesi  accusatoria,  espresse in occasione di atti
compiuti in precedenti fasi processuali". Nella stessa sentenza, dopo
aver richiamato le proprie precedenti pronunce n. 486 del 1990, 202 e
401  del  1991,  439 del 1993, 124, 186 e 339 del 1992, 445 e 453 del
1994,  la  Corte  -  confermando  la  sentenza  n. 432  del 1995 - ha
affermato  che  tali principi "valgano non solo nel rapporto tra fasi
diverse  del  giudizio  ma  anche  nel  rapporto  tra  assunzione  di
provvedimenti    cautelari    personali   e   giudizio   sul   merito
dell'imputazione".
    Il  pieno  valore costituzionale del principio di imparzialita' -
terzieta'  della  giurisdizione  per  ogni  tipo di processo e' stato
ribadito  dalla  Corte costituzionale nella sentenza 15 ottobre 1999,
n. 387.
    Si  deve  rilevare,  inoltre,  che,  secondo  la  citata sentenza
n. 341/97, la liberta' del legislatore di scegliere diverse soluzioni
per  l'attuazione  del  detto principio nei diversi processi non puo'
comportare  mai una compressione del diritto ad un giudice imparziale
ma  soltanto  una  diversita'  nei mezzi previsti per assicurare tale
imparzialita'. La Corte ha cosi' ritenuto che nel procedimento civile
il  rispetto  del  principio  sia  assicurato  sufficientemente dagli
istituti  dell'astensione  e  della  ricusazione,  e  non  sia quindi
necessaria  una  previsione  tipica  di situazioni d'incompatibilita'
come nel processo penale.
    Quanto  al nuovo testo dell'art. 111 Costituzione, lo stesso, pur
non innovando sostanzialmente - sotto il profilo della violazione del
principio  dell'imparzialita'  e  della  terzieta'  del  giudice - ai
principi  affermati dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost.,
sentenza n. 283 del 2000 e ordinanze n. 112 del 2000 e 167 del 2001),
contiene  indubbiamente  una  significativa  enfatizzazione  di  tali
principi.
    3.3.  -  Nel  caso  di  specie,  le  ragioni  che  fanno ritenere
l'incompatibilita'  -  alla  luce  dei  principi costituzionali - del
sistema   normativo   che   imporrebbe   il  sacrificio  del  diritto
all'imparzialita'  del giudice di rinvio nel caso di incompatibilita'
di  un  numero  di  componenti  superiore a quello dei supplenti sono
ancora  piu'  manifeste  che  nei  casi  in  cui  e'  stata  ritenuta
l'incostituzionalita'  di norme processuali che prevedevano, in vario
modo  e misura, una competenza dello stesso giudice a pronunciarsi su
questioni dallo stesso gia' decise. Come si e' gia' rilevato, proprio
la  speciale  disciplina normativa - contenuta nella legge n. 195 del
1958  -  della  sostituzione  e  del  limitato numero di supplenti ha
indotto  l'organo disciplinare a negare applicazione all'art. 61 cod.
proc.  pen. abrogato. E' infatti evidente che - nel caso del giudizio
di  rinvio,  il  quale  costituisce  la  seconda  fase  dello  stesso
procedimento  svoltosi  davanti  al giudice che ha emesso la sentenza
annullata   -  le  ragioni  d'incompatibilita'  sono  particolarmente
manifeste,  in  quanto  l'organo  disciplinare,  in  una composizione
pressoche'  identica  alla  precedente,  e' chiamato a correggere gli
errori  della  sua  stessa  decisione  cassata secondo le indicazioni
vincolanti  della  sentenza della Cassazione. Errori che, nel caso in
esame,  attengono  proprio  agli  elementi  costitutivi dell'illecito
disciplinare contestato.
    Si   deve   rilevare,   inoltre,  che  le  considerazioni  svolte
nell'ordinanza  e  nella  sentenza impugnate non sembrano pertinenti,
giacche'  la  dichiarazione  d'incostituzionalita' non condurrebbe ad
una  formazione della sezione non rispecchiante le diverse componenti
del  Consiglio,  ma  ad  una  lacuna  che dovrebbe essere colmata dal
legislatore.
    Fatte   tali   premesse,  la  soluzione  adottata  dalla  sezione
disciplinare  non  appare  conforme a Costituzione, non costituendo -
come  affermato  nella  decisione impugnata - il risultato di balance
tra  i  due  beni  costituzionalmente  protetti,  ma  comportando una
radicale  soppressione  del carattere imparziale della giurisdizione,
proprio  in  un'ipotesi  in  cui  il  difetto  d'imparzialita' appare
macroscopico,   riguardando   la   quasi   totalita'  dei  componenti
dell'organo giudicante.
    3.4.  -  Ai  predetti  profili d'illegittimita' costituzionale si
deve  aggiungere  quello  di  un  sospetto contrasto col principio di
uguaglianza,  in  quanto il rilevante vulnus al diritto della difesa,
non  presente  negli  altri  procedimenti  giurisdizionali,  non pare
adeguatamente giustificato dallo speciale oggetto del procedimento.
    Un'attenuazione  (o  addirittura,  come  nel  caso  in esame, una
soppressione)  della  protezione costituzionale della imparzialita' e
terzieta'  della  giurisdizione  di  fronte ad esigenze proprie della
giustizia  disciplinare  dei  magistrati  ordinari, e cioe' quella di
evitarne una paralisi, e' stata negata - in relazione al principio di
uguaglianza  contenuto  nell'art. 3  Cost.  - anche nella gia' citata
sentenza   16   novembre   2000,   n. 497,   nella   quale  la  Corte
costituzionale  ha  escluso  che  l'introduzione della difesa tecnica
dinanzi  alla  sezione  disciplinare - conseguente alla dichiarazione
d'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 34,  secondo  comma,  del
regio  decreto  legislativo  n. 511/1946, nella parte in cui consente
soltanto  una  difesa  da parte di magistrati ordinari - possa essere
incompatibile  con  le esigenze di imparzialita' e indipendenza della
magistratura.
    Una  patente  violazione  del principio di parita' di trattamento
emerge,  quindi,  non  soltanto  in  relazione  alle  altre specie di
procedimenti  giurisdizionali,  ma  anche  all'interno  dello  stesso
procedimento  dinanzi  alla sezione disciplinare, nel quale la tutela
del  diritto  all'imparzialita'  del giudice viene negata proprio nel
caso  in cui, come si e' detto, il difetto d'imparzialita' investe un
numero maggiore di componenti.
    In  conclusione,  le  sezioni unite ritengono che la questione di
legittimita'  costituzionale  degli articoli 4 e 6 della legge n. 195
del   1958  e  successive  modificazioni,  nella  parte  in  cui  non
consentono  una sostituzione di componenti incompatibili in un numero
maggiore  di  quelli  nominati  dal  Consiglio, non puo' considerarsi
manifestamente infondata.
    3.5.  - La questione deve ritenersi, inoltre, rilevante. La legge
n. 195  del  1958 non contiene, infatti, alcun mezzo per integrare il
numero   complessivo   dei   componenti   la   sezione  disciplinare,
preventivamente  designati dal Consiglio. Non esiste, pertanto alcuna
possibilita'  di  procedere  ad  ulteriori  nomine.  Ne deriva che la
disciplina  normativa  non  consente  - nel caso in cui il numero dei
componenti incompatibili sia superiore a quelli non utilizzati per la
formazione  del  collegio  - il rispetto del principio costituzionale
dell'imparzialita' e della terzieta' del giudice.
    Non vale osservare - come ha fatto l'ordinanza impugnata - che la
caducazione  della  norma  provocherebbe,  nel  caso  del giudizio di
rinvio,  una paralisi della funzione giurisdizionale sulla disciplina
dei  magistrati.  Tale  inconveniente,  facilmente superabile con una
adeguata e rapida riforma legislativa, non e' stato mai di ostacolo -
secondo  una  consolidata  giurisprudenza  costituzionale  -  ad  una
pronuncia di illegittimita' costituzionale. Si pensi al caso, oggetto
della pronuncia della Corte costituzionale del 10 maggio 1982, n. 87,
con  la  quale  era  stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 23, secondo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, cosi'
come  sostituito  dall'art. 3  della  legge 22 dicembre 1975, n. 695,
nella  parte  in cui prevedeva che i posti del Consiglio riservati ai
magistrati  di Cassazione potessero essere assegnati a magistrati che
avevano  conseguito  la  nomina ma non esercitavano le corrispondenti
funzioni.   Tale   pronuncia   aveva  determinato  una  paralisi  del
funzionamento  della sezione disciplinare, le cui decisioni, rese con
la  partecipazione  di magistrati che si trovavano in tale posizione,
venivano   cassate  dalle  sezioni  unite  per  vizio  inerente  alla
costituzione del giudice (sez. un., 14 febbraio 1983, n. 1108).
    Piu'  di recente, a proposito della ritenuta incompatibilita' del
magistrato  che  ha  emanato un provvedimento cautelare a svolgere le
funzioni  di  giudice del dibattimento, la Corte (sentenza n. 131 del
1996 gia' richiamata) ha affermato che, pur essendo consapevole delle
difficolta'  di  ordine  pratico che possono derivare alla formazione
concreta  degli  organi  giudicanti,  non puo' esimersi dalla propria
funzione  di garanzia, quando se ne richieda l'intervento in presenza
di  norme  costituzionalmente  illegittime,  e  che  "alle  anzidette
difficolta',   con  appropriati  interventi  di  ordine  normativo  o
organizzativo,  devono  porre  rimedio  altre istanze costituzionali,
alle   quali   appartengono   i   relativi   doveri   e  le  relative
responsabilita'".
    L'assoluta  incompressibilita' del diritto ad un giudice terzo ed
imparziale  anche  quando  dalla  dichiarazione d'incostituzionalita'
derivi   un   rischio   di  lentezza  e  difficolta'  nella  gestione
dell'ufficio  e'  stata  riaffermata dalla Corte costituzionale nella
citata sentenza n. 387 del 1999.
    Devesi,    infine,    escludere    che    la    recente   riforma
dell'organizzazione  del  Consiglio  superiore  della  magistratura e
della  sezione  disciplinare,  introdotta con la legge 28 marzo 2002,
n. 44,  comporti  un  riesame  di  non  manifesta  infondatezza  e di
rilevanza  della  questione di costituzionalita', in quanto l'art. 2,
lett. a),  della  legge,  recante  modifiche  all'art. 4  della legge
n. 195  del  1958,  prevede  un  numero di componenti insufficiente a
sostituire  un  numero  maggiore  di  componenti incompatibili, anche
tenuto  conto  della  riduzione  del numero dei componenti la sezione
disciplinare, introdotta dallo stesso art. 2, lett. a).
    In  conclusione,  non  potendo  essere definito indipendentemente
dalla  risoluzione  delle predette questioni, il giudizio deve essere
sospeso e gli atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visti   gli   articoli   134   della   Costituzione,   23   legge
costituzionale 11 marzo 1953, n. 87;
    1)  dichiara rilevante e non manifestamente infondata - nel senso
di  cui  in motivazione - la questione di legittimita' costituzionale
degli  articoli 4 e 6 della legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive
modificazioni, in relazione agli articoli 3, 24 e 111 Costituzione;
    2)   sospende   il   presente   giudizio   e  ordina  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    3)  dispone  che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza
sia  notificata  alle  parti in causa, al procuratore generale presso
questa  Corte, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e, al
contempo,  comunicata  ai  Presidenti della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella camera di consiglio delle sezioni
unite civili, il 5 aprile 2002.
                     Il Presidente: Ianniruberto
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