N. 417 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 giugno 2002
Ordinanza emessa il 25 giugno 2002 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Ramondini Elio contro Ministero della giustizia ed altro Magistratura - Sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura (C.S.M.) - Composizione - Componenti supplenti - Previsione in numero inferiore a quello dei componenti titolari - Conseguente impossibilita' di sostituzione dei titolari versanti tutti in situazione di incompatibilita' (nella specie, in seguito ad annullamento con rinvio della sentenza della Sezione disciplinare da parte delle SS.UU. della Cassazione) - Disparita' di trattamento rispetto ad altri procedimenti giurisdizionali e allo stesso procedimento dinanzi alla Sezione disciplinare - Incidenza sul diritto di difesa e sui principi di imparzialita' e terzieta' del giudice. - Legge 24 marzo 1958, n. 195 e successive modificazioni, artt. 4 e 6. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111.(GU n.39 del 2-10-2002 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso proposto da Ramondini Elio, elettivamente domiciliato in Roma, via Giuseppe Avezzana 6, presso lo studio dell'avvocato Emanuele Squarcia, rappresentato e difeso dall'avvocato Gilberto Lozzi, giusta delega in calce al ricorso, ricorrente; Contro, Ministero della giustizia, procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione, intimati; avverso la sentenza n. 68/01 del Consiglio superiore magistratura di Roma, depositata il 12 luglio 2001; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 aprile 2002 dal consigliere dott. Enrico Altieri; Udito l'avvocato Gilberto Lozzi; Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore generale dott. Antonio Martone che ha concluso che in via principale venga sollevata la questione di legittimita' costituzionale, in via subordinata il rigetto del ricorso. 1. - Svolgimento del processo. 1.1. - Il dott. Elio Ramondini, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano, veniva sottoposto dal Ministro della giustizia a procedimento disciplinare per grave e reiterata disapplicazione di norme processuali nell'ambito del procedimento penale relativo alla denuncia-querela presentata dalla dott.ssa Marina Caroselli, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Novara, destinataria di scritti anonimi. Veniva contestato al magistrato di aver sottoposto a indagini il tenente colonnello Ermanno Lo Castro e il maresciallo Giuseppe Cavallo, entrambi appartenenti alla Guardia di finanza, senza che il loro nome fosse iscritto nel registro mod. 21, senza osservare gli adempimenti prescritti dall'art. 360 cod. proc. pen. a garanzia delle parti private e procedendo all'interrogatorio dei predetti nelle forme previste per le persone informate sui fatti, senza emettere informazione di garanzia e in assenza di difensore. In particolare, il dott. Ramondini aveva chiesto all'amministrazione del carcere militare di Peschiera del Garda, dove i due militari erano detenuti, l'esibizione dei cartellini recanti le loro impronte digitali; aveva proceduto ad interrogatorio come persone informate sui fatti, dopo che la denunciante li aveva indicati come possibili autori degli scritti anonimi; aveva richiesto al gabinetto di polizia scientifica della Questura di Milano di rilevare le impronte digitali dei due indagati. 1.2. - Con sentenza del 16 luglio 1999 la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura infliggeva la sanzione dell'ammonimento. Osservava la sezione che, pur dovendosi riconoscere al magistrato inquirente una discrezionalita' nell'attribuire ad una persona la qualita' di indagato, e quindi di disporre l'iscrizione nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen., non poteva ammettersi che egli compisse atti d'indagine contro persone determinate, negando tale qualita'. Doveva pertanto ravvisarsi, nella specie, la sistematica violazione di norme regolanti l'equilibrio tra le esigenze di indagine e la difesa di diritti individuali. Sotto il profilo soggettivo la sezione riteneva la consapevolezza della violazione o almeno la gravissima ed inescusabile negligenza. Il dott. Ramondini proponeva ricorso alle sezioni unite della Corte, la quale, con sentenza 15 giugno-14 novembre 2000, in accoglimento parziale delle censure di difetto e/o insufficienza della motivazione, cassava la sentenza e rinviava per nuovo esame alla sezione disciplinare. Sotto un primo profilo le sezioni unite rilevavano che il passaggio dalla condizione di persona non imputata o non sottoposta ad indagini a quella di persona nei cui confronti emergono indizi di reita' puo' essere non netto, ma graduale, per cui deve essere riconosciuto all'autorita' procedente un certo margine di discrezionalita' nel coglierne il momento. Il difetto di motivazione consisteva nell'avere equiparato un errore nella valutazione discrezionale ad una grave negligenza, senza alcun riscontro riscontro sugli atti del procedimento, e in particolare sui verbali d'interrogatorio, al fine di verificare quale fosse stato il momento del passaggio allo stato d'indagati. Quanto alla seconda censura, doveva ritenersi che i provvedimenti del giudice siano sindacabili in sede disciplinare solo se intenzionali o commessi con colpa grave. Avendo la sentenza impugnata escluso che le contestate violazioni della legge processuale potessero essere dolose, la motivazione appariva perplessa, essendosi ritenuta "l'assoluta consapevolezza della violazione del dovere di rispetto di fondamentali norme processuali", e aggiungendosi "o di gravissima o inescusabile negligenza". Inoltre i giudici disciplinari non avevano motivato circa il pregiudizio - non riparabile attraverso gli ordinari rimedi processuali - subito dagli indagati, ne' sul concreto danno da essi subito, considerando il loro stato di detenzione per altra causa. Infine, doveva ritenersi la contraddittorieta' della motivazione nelle parti in cui si parlava di violazioni reiterate o sistematiche, dovendo il comportamento del magistrato essere ricondotto ad unico errore interpretativo. Le sezioni unite enunciavano, pertanto, il seguente principio di diritto: "la violazione di norme processuali da parte del magistrato costituisce illecito disciplinare se dolosa o gravemente colposa e in tal caso se capace di arrecare alle persone un danno anche non patrimoniale non riparabile attraverso gli strumenti processuali, oppure ancora se reiterato: si deve peraltro tener conto di tutte le circostanze e in particolare dell'eventuale dipendenza del fatto da un unico errore di interpretazione della legge". 1.3. - Nel giudizio di rinvio, e prima della discussione, l'incolpato presentava dichiarazione di ricusazione di otto dei nove componenti della sezione, e precisamente di quelli che avevano partecipato alla precedente fase processuale. In subordine sollevava questione d'illegittimita' costituzionale degli articoli 4, commi primo e terzo, e 61 della legge n. 195/1958 per contrasto con l'art. 111, secondo comma, Costituzione. La sezione disciplinare dichiarava inammissibile l'istanza di ricusazione e manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale con ordinanza del 30 maggio 2001, cosi' motivata: nell'interpretare l'art. 105 Cost., il quale attribuisce al Consiglio superiore della magistratura i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati, la Corte costituzionale (sentenza n. 142 del 1973) ha costantemente affermato che tale competenza costituisce strumento essenziale dell'autonomia e quindi della stessa indipendenza dei magistrati; i principi garantiti attraverso tale attribuzione esclusiva sono quelli sanciti dagli articoli 101 e 104 della Costituzione che, per la loro elevata posizione nel catalogo dei beni e dei valori costituzionalmente protetti, sono suscettibili solo di un meditato bilanciamento e di un adeguato contemperamento con altri beni e valori costituzionali di uguale rango; il legislatore ordinario, nel rispetto dei limiti posti dalla Costituzione, ha attribuito l'esercizio della giurisdizione disciplinare ad un'apposita sezione, destinata a rispecchiare nella sua composizione tutte le componenti del Consiglio. Tale scelta e' stata ritenuta dalla Corte costituzionale (sentenza n. 12 del 1971) conforme al dettato costituzionale, mentre la giurisprudenza delle sezioni unite (sentenza 31 luglio 1964) ha affermato che la sezione non e' che il Consiglio superiore in una sua particolare articolazione e la sua investitura proviene direttamente dalla Costituzione; tali considerazioni erano valide anche per l'attuale composizione (nove componenti effettivi e sei supplenti, e percio' estranea ad ipotesi di sostituzione integrale dei suoi membri), la quale poteva essere considerata la forma costituzionalmente adeguata di realizzazione della garanzia di competenza voluta dall'art. 105 Cost., in ragione della sua fedele rappresentativita' delle diverse componenti presenti nel Consiglio. Pertanto, la garanzia di terzieta' e d'imparzialita' del giudice prevista dall'art. 111, comma secondo, Cost., a prescindere da ogni specifica valutazione sulle modalita' della sua concreta realizzazione, deve trovare attuazione in forme che siano rispettose della competenza del Consiglio e che, comunque, non compromettano o non paralizzino, per un tempo indeterminabile a priori, la funzione disciplinare e il suo esercizio esclusivo da parte della sezione. Opinare diversamente significherebbe porsi al di fuori di un'ottica di bilanciamento e di contemperamento tra principi costituzionali di eguale rango e conferire alla garanzia prevista dall'art. 111 Cost. un valore assolutamente prevalente ai principi enunciati dagli articoli 101 e 104 della Costituzione, della cui realizzazione l'art. 105 e' uno strumento; in tale contesto appariva manifesta l'infondatezza della questione di legittimita' costituzionale che, ipotizzando un contrasto tra il nuovo testo dell'art. 111 Cost. e la procedura vigente dinanzi alla sezione disciplinare in forza della quale e' necessariamente tale organo destinato a fungere da giudice di rinvio, pone in dubbio la legittimita' costituzionale dell'intero assetto della sezione disciplinare, senza considerare che proprio tale assetto e' stato ritenuto dalla Corte costituzionale preordinato all'attuazione della primaria garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura ordinaria prevista dagli articoli 101 e 104 Cost.; doveva essere conseguentemente dichiarata inammissibile l'istanza di ricusazione di otto componenti della sezione in quanto, come affermato dalle sezioni unite nella sentenza 30 gennaio 1985, n. 59, l'istituto della ricusazione non puo' operare gli effetti suoi propri laddove condurrebbe alla paralisi della funzione giurisdizionale. 1.4. - Con sentenza 30 maggio-12 luglio 2001 la sezione disciplinare confermava il giudizio di responsabilita' e di applicazione della sanzione dell'ammonimento. 2. - I motivi di ricorso. 2.1. - In relazione all'ordinanza il ricorrente denuncia violazione del combinato disposto degli articoli 34, comma terzo, regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, 6, comma terzo, legge 24 marzo 1958, n. 195; 61 e 64, n. 6, cod. proc. pen. 1930; in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Solleva, in subordine, eccezione di legittimita' costituzionale degli articoli 4, commi primo e terzo, e dell'art. 6 legge n. 195 del 1958 per contrasto con l'art. 111 della Costituzione; insufficiente e contraddittoria motivazione dell'ordinanza nella parte in cui ha ritenuto manifestamente infondata la predetta questione di legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ. Premette che, in forza del rinvio contenuto nell'art. 34, terzo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, dell'art. 17 delle disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, recante norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale, nonche' dei diversi rinvii disposti con successivi decreti-legge, nel giudizio dinanzi alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura si applicano, in quanto compatibili con la natura del procedimento, le norme del codice di procedura penale previgente. Nel presente procedimento si applicano, quindi, gli articoli 61 e 64, n. 6, del cod. proc. pen. abrogato, secondo i quali "il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un procedimento non puo' partecipare... al giudizio di rinvio dopo l'annullamento" e puo', trovandosi in tali condizioni, essere ricusato. L'art. 6 della legge 24 marzo 1958, n. 195, contiene, infine, una specifica disposizione per il caso della ricusazione di uno dei componenti della sezione disciplinare, prevedendo che "sulla ricusazione di un componente della sezione disciplinare decide la stessa sezione, previa sostituzione del componente ricusato con il supplente corrispondente". Il ragionamento della sezione disciplinare, secondo cui, ove il numero dei componenti ricusati sia superiore a quello dei supplenti, non potrebbe pervenirsi ad una paralisi delle funzioni giurisdizionali della sezione, dovendosi ritenere l'osservanza del principio di effettivita' di tali funzioni prevalente su quello dell'imparzialita', sarebbe - secondo la difesa del ricorrente - in contrasto col nuovo testo dell'art. 111, commi 1o e 2o, Cost., nella parte in cui stabiliscono che "la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge" e che "ogni processo si svolge... davanti a un giudice terzo e imparziale". La nuova norma non costituirebbe piu' soltanto una riaffermazione del principio d'imparzialita' della funzione giurisdizionale, ma avrebbe la funzione di chiarire che non esiste giurisdizione se il giudice non e' terzo e imparziale. Pertanto l'istanza di ricusazione, eventualmente trasmessa per competenza alle sezioni unite per impossibilita' di ricorrere al procedimento di cui all'art. 6 della legge n. 195/58 e reviviscenza della generale competenza del giudice dell'impugnazione, stabilita dall'art. 68 cod. proc. pen. (sez. un., 30 gennaio 1985, n. 59), andava accolta anche se ne derivava, in concreto, la paralisi della funzione giurisdizionale della sezione. Ove si ritenesse che l'istanza dovesse effettivamente essere dichiarata inammissibile per incompatibilita' degli articoli 61 - 66 cod. proc. pen. abrogato con la natura del procedimento e con le disposizioni del regio decreto legislativo n. 511 del 1946 (art. 34, comma terzo, del detto regio decreto legislativo), dovrebbe concludersi per l'illegittimita' costituzionale, in relazione all'art. 111 Cost., delle disposizioni che rendono inammissibile l'istanza, e cioe' degli articoli 4 e 6 della legge n. 195 del 1958, nella parte in cui prevedono un numero di sei supplenti. Il ragionamento della sezione disciplinare, secondo cui la composizione della sezione costituisce la forma adeguata di garanzia voluta dall'art. 105 Cost., in ragione della sua fedele rappresentativita' delle diverse componenti del Consiglio, per cui sarebbe manifestamente infondata una questione che investa l'intero assetto della sezione non sarebbe convincente. L'argomento avrebbe pregio se l'eccezione mirasse a scompaginare l'equilibrio tra le diverse componenti del C.S.M., esistente nella sezione disciplinare. Per ovviare a tale inconveniente sarebbe sufficiente prevedere un incremento dei supplenti che rispetti le attuali proporzioni, non nell'organo nel suo complesso, ma in quello chiamato volta per volta ad esercitare la funzione disciplinare. 2.2. - In relazione alla sentenza, il ricorrente denuncia inosservanza dell'art. 546, primo comma , cod. proc. pen. abrogato, nonche' motivazione contraddittoria e insufficiente circa punti decisivi della controversia prospettati dalle parti; in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e 5, cod. proc. civ. 3. - Motivi della decisione. 3.1. - Preliminarmente dev'essere esaminata la questione di irregolare costituzione del giudice per affermata incompatibilita' dei componenti della sezione disciplinare, facenti parte del collegio che aveva emanato la decisione cassata, a giudicare in sede di rinvio. Le sezioni unite ritengono che tale questione non possa essere risolta applicandosi gli articoli 61, primo comma, 64, n. 6, cod. proc. pen. previgente, in quanto, come sara' spiegato in seguito, tale normativa non puo' ritenersi applicabile per la sua incompatibilita' con la natura del procedimento dinanzi alla sezione disciplinare (art. 34, terzo comma, del regio decreto legislativo n. 511 del 1946), non essendo altri organi competenti ad esercitare le funzioni di giudice di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione, e non consentendo le speciali norme dettate per il procedimento dinanzi alla sezione (art. 4 e 6 della legge n. 195 del 1958 e successive modificazioni) la sostituzione di componenti in posizione d'incompatibilita', quando il numero degli stessi sia, come nel caso di specie, superiore a sei. Ne consegue che la Corte deve esaminare preliminarmente le questioni di legittimita' costituzionale, svolte dal ricorrente e gia' proposte dinanzi alla sezione disciplinare, la quale ne ha ritenuto la manifesta infondatezza. 3.2. - La decisione impugnata, dopo aver premesso che tra i beni protetti in conflitto, e cioe' l'interesse ad una rapida decisione nella materia disciplinare dei magistrati ordinari da parte dello speciale organo indicato dalla Costituzione, che sia espressione delle diverse componenti del Consiglio, e quello dell'imparzialita' del giudice, contenuta nell'art. 111 Cost., anche secondo il nuovo testo di tale norma, deve essere operato un bilanciamento, finisce con l'istituire una gerarchia tra detti beni, privilegiando il primo. In particolare, l'impossibilita' di una formazione del collegio giudicante per il giudizio di rinvio con componenti diversi da quelli che avevano partecipato alla decisione annullata, conseguente al fatto che il numero dei componenti previsto dalla legge non consente una completa sostituzione dei componenti incompatibili, non avrebbe alcuna rilevanza, dovendosi privilegiare l'interesse del funzionamento dell'organo disciplinare. In altre parole, la regola dell'imparzialita' e terzieta' del giudice non opererebbe nel caso in cui si determinasse - data l'impossibilita' della sostituzione di un numero di componenti superiore a quello dei supplenti (da scegliersi nell'ambito dei consiglieri scelti dal Consiglio a far parte della sezione disciplinare) - una paralisi dell'organo disciplinare. Le sezioni unite ritengono, innanzitutto, che non possa essere condivisa la tesi che attribuisce all'interesse al funzionamento dello speciale organo giurisdizionale istituito in attuazione dell'art. 105 Cost. un rango superiore a quello riconosciuto ad altri beni costituzionalmente protetti, quale il carattere imparziale della giurisdizione. Il diritto di essere giudicato da un giudice terzo ed imparziale ha, indubbiamente, carattere fondamentale e la sua tutela risulta particolarmente rafforzata da obblighi internazionali, e precisamente dall'art. 6, primo comma, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. La Corte costituzionale ha ripetutamente affermato, anche nella vigenza del precedente testo dell'art. 111 Cost., che il principio di imparzialita' - terzieta' della giurisdizione ha pieno valore costituzionale rispetto a qualunque specie di processo, pur dovendosi tener conto delle peculiarita' proprie di ciascuno (sentenze n. 326 del 1997, n. 51 del 1998 e n. 587 del 1999). Per quanto riguarda il procedimento dinanzi alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, la Corte costituzionale, nella sentenza 16 novembre 2000, n. 497, con la quale e' stata dichiarata l'incostituzionalita' dell'art. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, in relazione agli articoli 111, 24 e 3 della Costituzione, nella parte in cui esclude che la difesa del magistrato incolpato dinanzi alla sezione disciplinare possa essere affidata anche ad un avvocato del libero foro, ha affermato che il riconoscimento della natura giurisdizionale del procedimento deve avere una piena espansione, con attuazione di tutte le garanzie proprie della giurisdizione, e in particolare con la possibilita' di una difesa tecnica quale esplicazione del diritto di difesa di cui all'art. 24, con conseguente ingiustificabile disparita' di trattamento e violazione dell'art. 3. Tale pieno svolgimento del diritto di difesa - secondo la citata sentenza - non trova alcun ostacolo nella ragione addotta per negare accesso alla difesa tecnica, che aveva indotto in precedenza la giurisprudenza di questa Corte a dichiarare la manifesta infondatezza della questione, e cioe' di commisurare la tutela del singolo alla salvaguardia del dovere d'imparzialita' e della connessa esigenza di credibilita' collegata all'esercizio della funzione giurisdizionale. Infine, nella stessa sentenza, la Corte costituzionale richiama il vincolo derivante dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. L'applicazione del principio e' stata effettuata dalla Corte costituzionale con estremo rigore, giungendosi a dichiarare l'illegittimita' costituzionale di norme che non prevedono l'incompatibilita' alla partecipazione al dibattimento, e cioe' ad un giudizio a cognizione piena, di giudici che hanno emanato provvedimenti in una diversa fase del processo, anche quando dalle stesse non deriva alcun vincolo per la decisione nel merito. Secondo la sentenza 24 aprile 1996, n. 131, la "disciplina legislativa dell'incompatibilita' del giudice, stabilita nell'art. 34 c.p.p. alla stregua della direttiva al legislatore delegato contenuta nell'art. 2, n. 67, legge n. 81 del 1987, si fonda sulla necessita' di evitare la duplicazione di giudizi della medesima natura presso lo stesso giudice e quindi sulla suddetta esigenza di proteggere il giudizio del merito della causa dal rischio di un pregiudizio, effettivo o anche solo potenziale, derivante da valutazioni di sostanza sulla ipotesi accusatoria, espresse in occasione di atti compiuti in precedenti fasi processuali". Nella stessa sentenza, dopo aver richiamato le proprie precedenti pronunce n. 486 del 1990, 202 e 401 del 1991, 439 del 1993, 124, 186 e 339 del 1992, 445 e 453 del 1994, la Corte - confermando la sentenza n. 432 del 1995 - ha affermato che tali principi "valgano non solo nel rapporto tra fasi diverse del giudizio ma anche nel rapporto tra assunzione di provvedimenti cautelari personali e giudizio sul merito dell'imputazione". Il pieno valore costituzionale del principio di imparzialita' - terzieta' della giurisdizione per ogni tipo di processo e' stato ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza 15 ottobre 1999, n. 387. Si deve rilevare, inoltre, che, secondo la citata sentenza n. 341/97, la liberta' del legislatore di scegliere diverse soluzioni per l'attuazione del detto principio nei diversi processi non puo' comportare mai una compressione del diritto ad un giudice imparziale ma soltanto una diversita' nei mezzi previsti per assicurare tale imparzialita'. La Corte ha cosi' ritenuto che nel procedimento civile il rispetto del principio sia assicurato sufficientemente dagli istituti dell'astensione e della ricusazione, e non sia quindi necessaria una previsione tipica di situazioni d'incompatibilita' come nel processo penale. Quanto al nuovo testo dell'art. 111 Costituzione, lo stesso, pur non innovando sostanzialmente - sotto il profilo della violazione del principio dell'imparzialita' e della terzieta' del giudice - ai principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sentenza n. 283 del 2000 e ordinanze n. 112 del 2000 e 167 del 2001), contiene indubbiamente una significativa enfatizzazione di tali principi. 3.3. - Nel caso di specie, le ragioni che fanno ritenere l'incompatibilita' - alla luce dei principi costituzionali - del sistema normativo che imporrebbe il sacrificio del diritto all'imparzialita' del giudice di rinvio nel caso di incompatibilita' di un numero di componenti superiore a quello dei supplenti sono ancora piu' manifeste che nei casi in cui e' stata ritenuta l'incostituzionalita' di norme processuali che prevedevano, in vario modo e misura, una competenza dello stesso giudice a pronunciarsi su questioni dallo stesso gia' decise. Come si e' gia' rilevato, proprio la speciale disciplina normativa - contenuta nella legge n. 195 del 1958 - della sostituzione e del limitato numero di supplenti ha indotto l'organo disciplinare a negare applicazione all'art. 61 cod. proc. pen. abrogato. E' infatti evidente che - nel caso del giudizio di rinvio, il quale costituisce la seconda fase dello stesso procedimento svoltosi davanti al giudice che ha emesso la sentenza annullata - le ragioni d'incompatibilita' sono particolarmente manifeste, in quanto l'organo disciplinare, in una composizione pressoche' identica alla precedente, e' chiamato a correggere gli errori della sua stessa decisione cassata secondo le indicazioni vincolanti della sentenza della Cassazione. Errori che, nel caso in esame, attengono proprio agli elementi costitutivi dell'illecito disciplinare contestato. Si deve rilevare, inoltre, che le considerazioni svolte nell'ordinanza e nella sentenza impugnate non sembrano pertinenti, giacche' la dichiarazione d'incostituzionalita' non condurrebbe ad una formazione della sezione non rispecchiante le diverse componenti del Consiglio, ma ad una lacuna che dovrebbe essere colmata dal legislatore. Fatte tali premesse, la soluzione adottata dalla sezione disciplinare non appare conforme a Costituzione, non costituendo - come affermato nella decisione impugnata - il risultato di balance tra i due beni costituzionalmente protetti, ma comportando una radicale soppressione del carattere imparziale della giurisdizione, proprio in un'ipotesi in cui il difetto d'imparzialita' appare macroscopico, riguardando la quasi totalita' dei componenti dell'organo giudicante. 3.4. - Ai predetti profili d'illegittimita' costituzionale si deve aggiungere quello di un sospetto contrasto col principio di uguaglianza, in quanto il rilevante vulnus al diritto della difesa, non presente negli altri procedimenti giurisdizionali, non pare adeguatamente giustificato dallo speciale oggetto del procedimento. Un'attenuazione (o addirittura, come nel caso in esame, una soppressione) della protezione costituzionale della imparzialita' e terzieta' della giurisdizione di fronte ad esigenze proprie della giustizia disciplinare dei magistrati ordinari, e cioe' quella di evitarne una paralisi, e' stata negata - in relazione al principio di uguaglianza contenuto nell'art. 3 Cost. - anche nella gia' citata sentenza 16 novembre 2000, n. 497, nella quale la Corte costituzionale ha escluso che l'introduzione della difesa tecnica dinanzi alla sezione disciplinare - conseguente alla dichiarazione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo n. 511/1946, nella parte in cui consente soltanto una difesa da parte di magistrati ordinari - possa essere incompatibile con le esigenze di imparzialita' e indipendenza della magistratura. Una patente violazione del principio di parita' di trattamento emerge, quindi, non soltanto in relazione alle altre specie di procedimenti giurisdizionali, ma anche all'interno dello stesso procedimento dinanzi alla sezione disciplinare, nel quale la tutela del diritto all'imparzialita' del giudice viene negata proprio nel caso in cui, come si e' detto, il difetto d'imparzialita' investe un numero maggiore di componenti. In conclusione, le sezioni unite ritengono che la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 4 e 6 della legge n. 195 del 1958 e successive modificazioni, nella parte in cui non consentono una sostituzione di componenti incompatibili in un numero maggiore di quelli nominati dal Consiglio, non puo' considerarsi manifestamente infondata. 3.5. - La questione deve ritenersi, inoltre, rilevante. La legge n. 195 del 1958 non contiene, infatti, alcun mezzo per integrare il numero complessivo dei componenti la sezione disciplinare, preventivamente designati dal Consiglio. Non esiste, pertanto alcuna possibilita' di procedere ad ulteriori nomine. Ne deriva che la disciplina normativa non consente - nel caso in cui il numero dei componenti incompatibili sia superiore a quelli non utilizzati per la formazione del collegio - il rispetto del principio costituzionale dell'imparzialita' e della terzieta' del giudice. Non vale osservare - come ha fatto l'ordinanza impugnata - che la caducazione della norma provocherebbe, nel caso del giudizio di rinvio, una paralisi della funzione giurisdizionale sulla disciplina dei magistrati. Tale inconveniente, facilmente superabile con una adeguata e rapida riforma legislativa, non e' stato mai di ostacolo - secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale - ad una pronuncia di illegittimita' costituzionale. Si pensi al caso, oggetto della pronuncia della Corte costituzionale del 10 maggio 1982, n. 87, con la quale era stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 23, secondo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, cosi' come sostituito dall'art. 3 della legge 22 dicembre 1975, n. 695, nella parte in cui prevedeva che i posti del Consiglio riservati ai magistrati di Cassazione potessero essere assegnati a magistrati che avevano conseguito la nomina ma non esercitavano le corrispondenti funzioni. Tale pronuncia aveva determinato una paralisi del funzionamento della sezione disciplinare, le cui decisioni, rese con la partecipazione di magistrati che si trovavano in tale posizione, venivano cassate dalle sezioni unite per vizio inerente alla costituzione del giudice (sez. un., 14 febbraio 1983, n. 1108). Piu' di recente, a proposito della ritenuta incompatibilita' del magistrato che ha emanato un provvedimento cautelare a svolgere le funzioni di giudice del dibattimento, la Corte (sentenza n. 131 del 1996 gia' richiamata) ha affermato che, pur essendo consapevole delle difficolta' di ordine pratico che possono derivare alla formazione concreta degli organi giudicanti, non puo' esimersi dalla propria funzione di garanzia, quando se ne richieda l'intervento in presenza di norme costituzionalmente illegittime, e che "alle anzidette difficolta', con appropriati interventi di ordine normativo o organizzativo, devono porre rimedio altre istanze costituzionali, alle quali appartengono i relativi doveri e le relative responsabilita'". L'assoluta incompressibilita' del diritto ad un giudice terzo ed imparziale anche quando dalla dichiarazione d'incostituzionalita' derivi un rischio di lentezza e difficolta' nella gestione dell'ufficio e' stata riaffermata dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 387 del 1999. Devesi, infine, escludere che la recente riforma dell'organizzazione del Consiglio superiore della magistratura e della sezione disciplinare, introdotta con la legge 28 marzo 2002, n. 44, comporti un riesame di non manifesta infondatezza e di rilevanza della questione di costituzionalita', in quanto l'art. 2, lett. a), della legge, recante modifiche all'art. 4 della legge n. 195 del 1958, prevede un numero di componenti insufficiente a sostituire un numero maggiore di componenti incompatibili, anche tenuto conto della riduzione del numero dei componenti la sezione disciplinare, introdotta dallo stesso art. 2, lett. a). In conclusione, non potendo essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle predette questioni, il giudizio deve essere sospeso e gli atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87; 1) dichiara rilevante e non manifestamente infondata - nel senso di cui in motivazione - la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 4 e 6 della legge 24 marzo 1958, n. 195, e successive modificazioni, in relazione agli articoli 3, 24 e 111 Costituzione; 2) sospende il presente giudizio e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 3) dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al procuratore generale presso questa Corte, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e, al contempo, comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Roma, nella camera di consiglio delle sezioni unite civili, il 5 aprile 2002. Il Presidente: Ianniruberto 02C0890