N. 488 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 luglio 2002
Ordinanza emessa il 31 luglio 2002 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Casa di cura Villa Maria Pia S.r.l. e Azienda Usl Rm/E Giustizia amministrativa - Devoluzione al giudice amministrativo delle controversie riguardanti le attivita' e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento dei servizi pubblici, ivi comprese quelle inerenti al servizio sanitario nazionale - Irrazionalita' - Esorbitanza dalla limitazione a "particolari materie" della riserva di legge circa l'ambito della giurisdizione amministrativa - Lesione del principio della spettanza, di regola, al giudice ordinario delle controversie relative a diritti soggettivi - Incidenza sul diritto di difesa e sul principio di tutela giurisdizionale - Violazione del principio di nomofilachia della Corte di cassazione, per la non impugnabilita', mediante ricorso alla stessa, delle decisioni del giudice amministrativo. - D.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33, commi 1, 2, lett. b) ed e), sostituito dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205. - Costituzione, artt. 3, 24, 25, 102, 103, 111 e 113.(GU n.44 del 6-11-2002 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado iscritta al n. 55349 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2000, promossa da Casa di cura Villa Maria Pia S.r.l., attrice, in persona dell'amministratore e legale rappresentante, Eleonora Bonanni, con sede in Roma, via del Forte Trionfale n. 36, rappresentata e difesa dagli avv. Giandomenico Barcellona e Rocco Cincoli, presso il cui studio e' domiciliato in Roma, via Mercadante n. 6, contro Azienda Usl Rm/E, convenuta, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Luca Capilupi, presso il cui studio e' domiciliato in Roma, Borgo S. Spirito n. 3, Oggetto: contratti della p.a. Premesso che 1. - Con atto di citazione notificato il 10 agosto 2000 la Casa di cura Villa Maria Pia S.r.l. ha convenuto in giudizio l'Azienda Usl Rm/E e ne ha chiesto la condanna a pagare lire 2.082.363.000, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, deducendo di aver reso, in regime di accreditamento e dietro autorizzazione della stessa Asl, prestazioni di ricovero di infermi nel periodo da gennaio 1995 a giugno 2000 e di avere maturato il credito, come da prospetto analitico delle fatture prodotto in giudizio. 2. - L'Azienda Usl convenuta si e' costituita eccependo, in via pregiudiziale, la carenza di giurisdizione del g.o. essendo la controversia in esame attribuita, a suo avviso, alla giurisdizione esclusiva del g.a. in quanto concernente "le attivita' e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del Servizio sanitario nazionale", ai sensi dell'art. 7 della legge n. 205/2000, che aveva sostituito l'art. 33 del decreto legislativo n. 80/1998; ha dedotto, nel merito, l'infondatezza, almeno parziale, della domanda, atteso l'avvenuto pagamento di parte delle fatture. 3. - Nel corso del giudizio (v. verb. ud. 5 luglio 2001) la parte attrice ha chiesto al giudice di sollevare la questione di legittimita' costituzionale della suddetta normativa nella parte in cui, devolvendo al giudice amministrativo la giurisdizione su diritti soggettivi nella materia dei servizi pubblici, si poneva in contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113 Cost. e, all'udienza del 27 giugno 2002, il giudice ha riservato la decisione. Considerato che 4. - Come fondatamente eccepito dall'Azienda Usl convenuta, la controversia rientra tra quelle devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a., ai sensi dell'art. 33, comma 1 e 2, lett. b) ed e), del decreto legislativo n. 80/1998, come sostituito dall'art. 7 della legge n. 205/2000. Il genere di rapporti, qual e' quello di cui trattasi, tra le case di cura o le minori strutture private (ambulatori, centri di diagnostica strumentale ecc.) e le Usl, nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, per pacifica giurisprudenza della Corte di cassazione, e' qualificato di concessione di pubblico servizio, tanto per quel che concerne il pregresso regime delle convenzioni (ai sensi dell'art. 44 della legge n. 833/1978) quanto per i nuovi modelli fondati sull'accreditamento (ai sensi del decreto legislativo n. 502/1992 e delle leggi successive; v., tra le tante, Cass. SU 9284/2002, 12940/2001, 163/1999, 88/1999). Secondo il precedente criterio di riparto, era pacifico (tanto da assurgere a diritto vivente) che la giurisdizione era devoluta al g.a. quando la controversia verteva sull'accertamento del contenuto e della validita' del rapporto (ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge n. 1034/1971, fatto comunque salvo il disposto dell'art. 7 della stessa legge che riservava al g.o. le questioni attinenti ai diritti patrimoniali conseguenziali) ed al g.o. quando, senza implicare indagini dirette sull'esistenza del potere o sugli atti dell'amministrazione conformativi del rapporto, verteva sul pagamento di indennita', canoni ed altri corrispettivi (v., tra le tante, Cass. SU n. 11356/1998, 11090/1998, 3053/1993, 2808/1993). Non v'e' dubbio (come e' stato riconosciuto anche dalla difesa dell'Azienda Usl convenuta) che la controversia in esame sarebbe stata devoluta al g.o. (ai sensi dell'art. 5, comma 2, della legge n. 1034/1971), vertendo essa esclusivamente sull'accertamento del diritto di credito pecuniario vantato dalla Casa di cura Villa Maria Pia nei confronti della Azienda Usl Rm/E, la quale non ha sollevato alcuna contestazione in ordine all'esistenza, alla validita' ed al contenuto del rapporto concessorio e neppure in ordine ai criteri di determinazione del corrispettivo. Ne' sarebbe pertinente, al fine di fondare diversamente la giurisdizione del g.a. nella presente controversia, il richiamo all'art. 11 della legge n. 241/1990, che prevede la giurisdizione esclusiva dello stesso g.a. nelle cause concernenti l'esecuzione degli accordi (quali sarebbero le convenzioni stipulate tra la casa di cura e la Usl) sostitutivi dei provvedimenti amministrativi (di concessione del pubblico servizio), non avendo la suddetta norma affatto abrogato il citato art. 5, comma 2, della legge n. 1034/1971, il quale, quindi, sarebbe stato qui certamente applicabile trattandosi di "controversia [riguardante] esclusivamente il pagamento (...) di canoni, indennita' ed altri corrispettivi in relazione a convenzioni della cui esistenza e validita' non si discute" (v., in tal senso, Cass. SU. n. 9747/1994). L'art. 33 del d.lgs. n. 80/1998, sostituito dalla legge n. 205/2000, invece, ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del g.a. le controversie in materia di pubblici servizi (comma 1) e, a titolo esemplificativo, elencato alcune di esse, tra cui, in particolare, quelle "tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi" (indipendentemente, quindi, dalla natura giuridica, concessoria, autorizzatoria ecc., del rapporto tra gestore del servizio pubblico e p.a) (v. comma 2, lett b) e quelle "riguardanti le attivita' e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del Servizio sanitario nazionale". (lett. e). Con riguardo ad entrambi i suddetti profili la presente controversia e' devoluta alla giurisdizione esclusiva del g.a.. Il difetto di giurisdizione del giudice adito nella presente controversia rende rilevante la questione, non manifestamente infondata e che si solleva su istanza di parte, della legittimita' costituzionale del citato art. 33, comma 1 e 2, lett. b) ed e), con riferimento agli artt. 3, 24, 25, 102, 103, 111 e 113 della Costituzione. 5. - Premessa. Come e' stato unanimemente osservato dalla dottrina e dalla giurisprudenza (v. Cons. di Stato, ad. pl., n. 1/2000, punto 4.1), la riforma introdotta dal d.lgs. n. 80/1998 (modificato dalla legge n. 205/2000) ha realizzato "un cambiamento di rilievo storico nell'ordinamento" che "incide in via immediata sul riparto della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario" (sono parole del Cons. di Stato, ad. gen., parere 12 marzo 1998, n. 30): il criterio tradizionale, ritenuto superato e di difficile applicazione, fondato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, e' stato sostituito da quello caratterizzato dalla individuazione legislativa delle materie attribuite al g.a., presso il quale, in considerazione dell'estrema vastita' e rilevanza delle stesse, si e' inteso concentrare quasi l'intera gamma delle piu' rilevanti controversie nei confronti della pubblica amministrazione, lasciando al g.o. la giurisdizione in quelle sostanzialmente residuali e di minore importanza dal punto di vista sociale e degli interessi economici coinvolti. Questo disegno di politica legislativa, che e' giunto a compimento con le innovazioni legislative di cui si parla, rappresenta il punto di massima realizzazione della tendenza espansiva della giurisdizione esclusiva realizzatasi negli ultimi anni, segnando una vera e propria trasfigurazione del g.a. in giudice (quasi naturale) delle controversie in cui sia parte una P.A., tanto che alcuni autori hanno affermato che ormai il criterio di riparto della giurisdizione riposa sull'oggettiva rilevanza pubblica degli interessi coinvolti nella controversia. L'ampliamento delle attribuzioni del g.a. e' stato realizzato facendo ricorso a quella giurisdizione esclusiva, residualmente disciplinata nel r.d. n. 1054/1924 e nella legge n. 1034/1971, che consentiva l'accesso alla cognizione dei diritti soggettivi. E' della legittimita' costituzionale di questo smisurato ampliamento che si dubita. 6. - Conferimento agli artt. 3 e 103, comma 1, Cost. Si sostiene, in particolare, che il nuovo criterio di riparto delle giurisdizioni "per blocchi di materie" sarebbe giustificato dall'art. 103, comma 1, Cost. che consente l'attribuzione al g.a. della cognizione dei diritti soggettivi nell'ambito della c.d. giurisdizione esclusiva. Un primo clamoroso profilo che evidenzia lo strappo costituzionale che si e' verificato. Le precedenti disposizioni sulla giurisdizione esclusiva facevano generalmente riferimento ai ricorsi proposti nei confronti o contro gli atti della pubblica amministrazione (v. artt. 29 t.u. n. 1054/1924 e 5, comma 1, della legge n. 1034/1971) e cio' era perfettamente coerente con l'art. 103, comma 1, Cost., che consente al g.a. "in particolari materie" di conoscere dei diritti fatti valere dal privato contro la p.a. Oggi, la formulazione dell'art. 33 d.lgs. n. 80/1998 (come sostituito dalla legge n. 205/2000) crea una giurisdizione esclusiva del g.a. in mancanza di qualsiasi copertura costituzionale, poiche' ne' l'art. 103, comma 1, Cost. ne' l'art. 113, comma 1, Cost. (entrambe le suddette norme configurano la giurisdizione del g.a. esclusivamente per la tutela di posizioni soggettive nei confronti della p.a.) ne' altre disposizioni costituzionali autorizzano il legislatore ad attribuire al g.a. la cognizione di controversie in materia di diritti soggettivi quando questi siano azionati dalla stessa p.a. contro privati ovvero contro altre p.a., cosa che ben puo' accadere ed accade frequentemente nella tipologia dei rapporti di cui trattasi (si veda l'art. 33 cit., comma 2, lett. b), e). La residualita' delle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva (come da elenco contenuto negli art. 29 del r.d. n. 1054/1924 e 7 della legge n. 1034/1971), caratterizzata tradizionalmente dalla sicura e necessaria compresenza o coabitazione nella stessa controversia dedotta in giudizio (e non gia' genericamente nella stessa materia) di posizioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo legate da un inestricabile noto gordiano, e' ben presente nella Carta costituzionale che, nell'art. 103 comma 1, consente al giudice degli interessi la cognizione "in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi"; e si deduce, inoltre, dal divieto (stabilito dagli artt. 30, comma 2, r.d. n. 1054/1924 e 7, comma 3, legge n. 1034/1971) per il g.a. di conoscere nelle stesse controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva dei diritti patrimoniali conseguenziali (significativa nel senso della rilevanza di questa limitazione e' la sent. n. 292/2000 della Corte costituzionale). Sostanzialmente coerente con il disegno costituzionale di concentrare nel g.o. la cognizione dei diritti anche nei confronti della p.a. e' stata l'evoluzione della giurisdizione esclusiva, caratterizzata dall'attribuzione al g.a. (non di blocchi di materie ma) di specifiche controversie caratterizzate dalla compresenza delle due posizioni soggettive tradizionali (si pensi al criterio di riparto in materia concessoria, ai sensi dell'art. 3, comma 1 e 2, della legge n. 1034/1971). Il legislatore del 2000, invece, ha segnato in modo deciso l'abbandono della tradizionale concezione della giurisdizione esclusiva e l'approdo ad un nuovo tipo di giurisdizione nella quale la cognizione dei diritti soggettivi da parte del g.a. prescinde del tutto dalla coesistenza (e, quindi, dalla cognizione da parte dello stesso giudice nella medesima controversia) di posizioni di interesse legittimo. E' evidente che se e' assente un interesse legittimo (configurabile quando la p.a. rivesta una "posizione di preminenza in base alla Costituzione, non in quanto soggetto, ma in quanto esercita potesta' specificamente ed esclusivamente attribuitele nelle forme tipiche loro proprie": v. Corte cost. n. 138/1981) e se la posizione soggettiva del privato e' di esclusivo diritto soggettivo (perche' concerne, com'e' appunto nella controversia in esame, l'accertamento di un ordinario credito pecuniario secondo il diritto civile), cioe' in altri termini se e' assente quell'inestricabile nodo gordiano delle posizioni soggettive azionate in giudizio che consente al giudice degli interessi di conoscere anche dei diritti, consistente, io si deve riconoscere, e' il dubbio di legittimita' costituzionale qui sollevato (e' significativo che, negli anni successivi all'entrata in vigore dell'art. 5 della legge n. 1034/1971, autorevole dottrina ritenne che il pericolo di sconfinamento delle attribuzioni costituzionali del g.a., insito nella nuova giurisdizione esclusiva sui beni e servizi pubblici, poteva ritenersi scongiurato poiche' si trattava di materia in cui effettivamente la p.a. agisce esercitando poteri autoritativi, con la conseguenza che era ravvisabile quella compresenza di posizioni soggettive di diritto e di interesse che rendeva il sistema conforme all'art. 103, comma 1, Cost. per effetto della riserva al g.o. della giurisdizione sulle posizioni di puro diritto soggettivo, quali sono quelle in materia di canoni, indennita' ed altri corrispettivi). Il medesimo dubbio non e' fugato accogliendo l'opinione secondo cui la giurisdizione esclusiva consiste in "qualcosa di diverso di un puro e semplice trasferimento di controversie su diritti soggettivi; e' stato il conferimento, a quel giudice [il g.a.], di un intero territorio popolato sia da diritti soggettivi che da interessi legittimi, ma soprattutto da figure in cui le dette situazioni si presentavano e si presentano cosi' connesse e di tanto incerta qualificazione da suggerire la soluzione dell'attribuzione in blocco ad un giudice unico delle controversie che le riguardano". Il legislatore del 2000, tuttavia, ha attribuito la cognizione di intere materie al g.a. a prescindere da (ed in mancanza di) qualsiasi incertezza nella qualificazione delle posizioni soggettive (di diritto soggettivo) fatte valere: nella controversia in esame non esiste alcuna connessione tra il diritto soggettivo al pagamento azionato dalla Casa di cura (cui corrisponde l'obbligo di adempimento da parte dell'Azienda Usl) e situazioni di interesse legittimo connesse all'esercizio da parte della p.a. di poteri pubblici ne' momenti di valutazione o ponderazione degli interessi collettivi (sul punto si tornera' piu' avanti). Dei seri dubbi di costituzionalita' di questa scelta legislativa e' consapevole anche la Cassazione "atteso che detta norma [l'art. 103 Cost.] nel costituzionalizzare la giurisdizione speciale del giudice amministrativo, ne ha contestualmente anche circoscritto l'ambito a controversie comunque correlate all'interesse generale, in quanto volte alla tutela di (collegate) posizioni di interesse legittimo o "in casi particolari anche di diritti soggettivi, senza possibilita' di indiscriminata estensione a tipologie di liti, come quella in esame, coinvolgenti unicamente diritti patrimoniali" (sent. n. 72/2000). Del resto, pur accedendo alla tesi secondo cui il costituente (nell'art. 103, comma 1, Cost.) avrebbe dato facolta' al legislatore di attribuire al g.a. la cognizione di posizioni qualificabili immediatamente come diritti soggettivi, a prescindere cioe' dalla coesistenza con interessi legittimi ovvero dall'incertezza nella qualificazione della situazione sostanziale, il dubbio di legittimita' costituzionale persiste: questa facolta', infatti, com'e' dimostrato dalla storia della giustizia amministrativa e dall'assetto costituzionale delle giurisdizioni, non puo' che essere un'eccezione ("in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi") e sempre giustificata da un significativo grado (sul quale si tornera' piu' avanti) di peculiarita' della controversia in cui sia parte una p.a. (alla "peculiarita'" della controversia ha fatto riferimento, ad es., la Corte cost., n. 185/1981 e 100/1984, per giustificare la costituzionalita' dell'attribuzione al g.a. delle controversie sull'indennita' di buonuscita dei dipendenti dello Stato e delle aziende autonome). E' evidente che la recente attribuzione al g.a. di intere rilevantissime materie (qual e' quella di cui trattasi dei servizi pubblici), per giunta di generica e incerta identificazione, ha oggettivamente determinato un inversione nel rapporto tra la regola (che vede nel g.o. il giudice dei diritti anche nei confronti della p.a.: "la funzione giurisdizionale dev'essere esercitata, salve le eccezioni introdotte nella stessa Costituzione, dai magistrati ordinari": v., in tal senso, Corte cost. n. 41/1957) e l'eccezione, facendo cosi' di quest'ultima la regola e configurando il g.a. come nuovo giudice ordinario nelle controversie in cui sia parte una p.a., in violazione anche dell'art. 100, comma 1, Cost. che significativamente lo considera come giudice "nell'amministrazione" e non "dell'amministrazione". Parte della dottrina ha obiettato che il concetto di "materia" deve essere considerato in astratto e non in concreto, nel senso che la commistione di diritti soggettivi e di interessi legittimi non si debba ricercare nelle varie tipologie delle singole controversie ma nell'atteggiarsi dell'azione della p.a. in settori determinati, anche se molto estesi, qual e' quello dei servizi pubblici, connotati da una significativa presenza dell'interesse pubblico. Questa teoria non sembra condivisibile perche' conduce inevitabilmente al completo svuotamento della residualita' della giurisdizione esclusiva del g.a (com'e' espressa nell'art. 103 Cost.): basti pensare che non esiste materia o settore, riguardati in astratto, ove non si possa dispiegare l'azione della p.a. mediante atti e provvedimenti volti alla cura dell'interesse pubblico, cosi' da giustificare l'esistenza di normative caratterizzate da una qualche specialita' rispetto al diritto comune. Inoltre, e' lo stesso art. 103, comma 1, Cost. nel riferirsi alle posizioni soggettive dei singoli in termini di diritti soggettivi e di interessi legittimi, a richiedere che le "materie" attribuibili dal legislatore al g.a. siano individuate solo in quelle in cui effettivamente sussista, in concreto, un'esigenza di concentrazione presso un unico giudice che valuti al contempo l'operato della p.a. sia nelle modalita' di esercizio del potere che come debitore tenuto ad adempiere alle proprie obbligazioni. La tendenza che, in altri termini, sembra affascinare parte della dottrina e' di giustificare l'esplosione della giurisdizione esclusiva del g.a., per un verso, obliando l'attuale criterio costituzionale del riparto, considerato troppo rigidamente incentrato sulla distinzione diritto soggettivo/interesse legittimo, e, per altro verso, richiamando la presunta specialita' della materia (in questo caso dei servizi pubblici) connotata, si assume, da una incisiva compresenza dell'interesse pubblico. Sul primo aspetto, e' sufficiente rileggere quanto un autorevole studioso scrisse nel 1981: "Se l'aver cristallizzato tale criterio in Costituzione sia un bene od un male, e se il criterio adottato dal costituente sia obiettivamente preferibile ad altri e' ovviamente questione diversa ed opinabile: ma qui si cerca di vedere quali siano le scelte che il costituente ha fatto e come queste contribuiscano a delineare il nostro sistema di giustizia amministrativa". Coloro che si sforzano di osservare che la costituzione materiale sarebbe oggi diversa da quella formale dovrebbero, invero, prima dimostrare questo assunto, cosa che non e' affatto agevole, se solo si considera che ci si trova di fronte ad una riforma "di rilievo storico" introdotta da una specifica legge che mai aveva innovato cosi' tanto (del resto, anche nella legislazione degli anni '90, che pure ha segnato l'inizio della metamorfosi della giurisdizione esclusiva, vi era la tendenza a conservare al g.o. la cognizione dei diritti: si vedano gli artt. 33 legge n. 287/1990, che attribuisce al g.a. la giurisdizione sui ricorsi avverso i provvedimenti dell'autorita' garante della concorrenza e del mercato e al g.o. la giurisdizione sulle azioni di nullita' e di risarcimento del danno derivanti dalle violazioni delle norme di settore, e 7, comma 11 e 13, legge n. 74/1992, che attribuisce al g.a. in via esclusiva di decidere sui ricorsi avverso le decisioni adottate dall'autorita' garante ma fa salva la giurisdizione ordinaria in materia di concorrenza sleale; si veda, poi, la legge n. 675/1996 che ha riservato al g.o. la giurisdizione in materia di trattamento dei dati personali; e' significativo, poi, in senso contrario, che l'art. 119 del noto progetto di riforma costituzionale elaborato in commissione bicamerale prevedeva si' che il g.a. giudicasse nelle "materie omogenee indicate dalla legge" ma pur sempre "riguardanti l'esercizio di pubblici poteri"). Del resto, coloro che giustificano la conformita' alla cosiddetta costituzione materiale delle nuove disposizioni di cui al d.lgs. n. 80/1998, richiamando l'esistenza nell'ordinamento di altre norme che andrebbero nella stessa direzione innovativa, dovrebbero prima farsi carico di fugare gli analoghi sospetti di incostituzionalita' che pesano su queste disposizioni. Quanto alla presunta specialita' della materia dei servizi pubblici, e' bene chiarire che, nel nostro ordinamento, non esiste alcuna possibilita' di configurare il g.a. come giudice addetto alla cura dell'"interesse pubblico" ipoteticamente ravvisabile in ogni controversia in cui sia parte una p.a. e cioe' a prescindere dalla necessita' di valutare la legittimita' del suo operato in rapporto ad una posizione soggettiva qualificabile in termini di interesse legittimo. Ma, pur ammettendo l'esistenza di settori dell'ordinamento particolarmente connotati in senso pubblicistico, si deve riconoscere, per trame le conseguenze volute in punto di riparto delle giurisdizioni con ampliamento di quella esclusiva del g.a., che e' necessario che quel settore sia conformato, quanto meno, da un regime giuridico derogatorio dal diritto comune (per spunti in tal senso v. Cass. n. 14032/2001). Cosi' non e' nel caso dei pubblici servizi, materia che abbraccia ambiti potenzialmente sconfinati, profondamente diversi ed eterogenei e priva di una normativa di settore unitaria (e, secondo alcuni, sarebbe addirittura utopistico immaginarla). Si obietta da alcuni sostenitori della riforma che l'interprete (in considerazione della genericita' del concetto di "servizio pubblico") dovrebbe ravvisarne l'esistenza in concreto, e trarne le conseguenze in punto di giurisdizione, sulla base delle indicazioni normative offerte dal legislatore nella disciplina di determinati settori. In sostanza, cosi' opinando, mentre l'art. 103, comma 1, Cost. vuole che sia il legislatore a indicare direttamente e volta per volta le singole materie attribuite al g.a., l'art. 33 del d.lgs. n. 80/1998 (sostituito nel 2000) avrebbe conferito al futuro legislatore ordinario una delega in bianco, potendo esso incidere direttamente sul riparto delle giurisdizioni identificando in concreto i settori in cui, a suo giudizio, siano ravvisabili servizi pubblici e cio' senza piu' il vincolo dell'art. 103, comma 1, Cost. (che ne limitava il potere alle "particolari materie"). E poi, soprattutto, non si vede davvero quale contenuto di specialita' rivestano le controversie, qual e' quella tra la Casa di cura Villa Maria Pia e l'Azienda Usl Rm/E, vertenti sull'accertamento (condotto secondo il diritto civile) dell'obbligo dell'Azienda di pagare il corrispettivo convenuto per le prestazioni eseguite e del diritto della casa di cura di riceverlo. La valutazione dell'interesse pubblico e delle modalita' di esercizio del potere della p.a. rimane (e deve rimanere) estranea e, per cosi dire, "a monte" rispetto alla fase esecutiva del rapporto pur originariamente conformato dalla stessa amministrazione. Anche il Cons. di Stato (V sez., n. 2440/1999) ha rilevato che "un'indiscriminata estensione della giurisdizione per materia, anche a controversie in cui non emerge in modo signcativo la connessione con interessi di rilevanza pubblicistica, potrebbe generare dubbi di legittimita' costituzionale"; e', inoltre, lo stesso legislatore del 2000 (cosi' confermando un'interpretazione che era tanto consolidata da assurgere a diritto vivente) a riconoscere nella costituzione del vincolo obbligatorio lo spartiacque tra la giurisdizione del g.a. e quella del g.o., come e' dimostrato dalla confermata giurisdizione di quest'ultimo nelle controversie riguardanti l'esecuzione dei rapporti obbligatori sorti in seguito a procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, nelle quali pure e' stata introdotta la giurisdizione esclusiva del g.a. (v., in tal senso, Cass. n. 5640/2002). Cio' proprio sul presupposto della sostanziale e tendenziale uguaglianza delle parti nella fase successiva alla costituzione del vincolo, qual e' dimostrata dall'applicazione delle regole del diritto civile (le quali, del resto, nell'ambito dei servizi pubblici, soffrono di deroghe di certo ben inferiori rispetto a quelle applicabili nell'ambito degli appalti pubblici). Il principio di uguaglianza, insomma, non tollera che una vertenza sia devoluta ad un giudice speciale solo in funzione della natura pubblica di una parte (sul punto si tornera' piu' avanti). Ed allora, posto che l'assegnazione di una vertenza su diritti a un giudice speciale determina inevitabilmente nel tempo il rischio dell'affermazione di regole sostanziali diverse, occorre riconoscere, se si vuole dare un significato razionale (prima che giuridico) alla riforma, il pericolo che cio' determini la creazione di un diritto civile speciale della p.a. conformato secondo valutazioni dell'interesse pubblico operate dal g.a. ma incompatibili con la natura civilistica del rapporto obbligatorio (anche su questo punto si tornera). E' lo stesso Consiglio di Stato a non fugare queste perplessita' quando osserva che le nuove regole "consentiranno al giudice amministrativo di verificare di volta in volta la compatibilita' dei principi del diritto civile con le esigenze del diritto amministrativo" e poi, ancora, che spettera' al "giudice amministrativo consapevole delle esigenze di giustizia, esperte del controllo sull'esercizio del potere pubblico, attenta all'emergenza economica, che e' elemento che permea l'ordinamento, la messa a punto della materia" (v. parere n. 30/1998 citato). Ed e' significativo che, a dispetto dell'esistenza di un corpus normativo dotato di specialita' pubblicistica (delineato dal Cons. di Stato, n. 1/2000 cit.) che regolerebbe i rapporti obbligatori a contenuto pecuniario tra cittadini o imprese e p.a. (e giustificherebbe la giurisdizione esclusiva del g.a.), con le gravi conseguenze che si possono intuire (un autore ha lucidamente rilevato che se il soggetto pubblico mantiene una posizione di privilegio diventa difficile sostenere la titolarita' in capo al cittadini di diritti primari), la direttiva 2000/35/CE del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali e per esplicita previsione applicabile anche ai crediti verso le pubbliche amministrazioni, ha previsto l'automatica decorrenza degli interessi in caso di ritardo nell'adempimento delle obbligazioni pecuniarie della p.a., segnando cosi' un passo forse decisivo verso il superamento di alcune forme di privilegio finora riservatele (come rilevato da Corte cost. n. 138/1981, "al di fuori dell'esercizio delle predette funzioni [in cui essa esercita potesta' pubbliche], l'azione della p.a. rientra nella disciplina del diritto comune e, ove venga a ledere un diritto soggettivo, la potenzialita' di tutela di questo affidata al giudice ordinario e' completa, incontrando il solo limite del non poter costui sostituirsi all'amministrazione nell'emanare un atto ne' condannarla ad emanarlo"). Se, invece, queste preoccupazioni fossero infondate e si ritenesse che l'esperienza e la professionalita' del g.a. siano elementi sufficienti a evitare rischi di questo genere, allora dovrebbe riconoscersi il dubbio di costituzionalita' per assoluta irragionevolezza della legge (art. 3 Cost.), in quanto attribuirebbe al g.a. le stesse materie e gli stessi strumenti processuali del g.o. facendone un inutile doppione, con l'ulteriore grave conseguenza della dispersione di quel patrimonio di esperienze e di attitudini accumulato dal g.o. nella risoluzione di siffatte controversie. Ma i profili di irragionevolezza della legge non finiscono qui. La circostanza che l'art. 103 Cost. abbia ammesso l'interpositio legislatoris nell'individuazione delle materie da attribuire al g.a. (v. Cons. di Stato n. 1/2000 cit.), tuttavia, non significa che si tratti di discrezionalita' assoluta e incondizionata, anzi il fatto stesso che il riparto delle giurisdizioni e' gia' soggetto a riserva di legge e che il comma 1 del predetto art. 103 Cost. faccia riferimento alle "particolari materie", dimostra che l'esercizio della suddetta discrezionalita' dev'essere attentamente vagliato dalla Corte costituzionale anche nella sua ragionevolezza (art. 3 Cost.). E non v'e' dubbio che ben difficilmente potrebbe superare il vaglio della Consulta una legge che volesse disfare trama per trama la tela tessuta dal costituente, quale (a sommesso avviso di chi scrive e' quella di cui trattasi ovvero) sarebbe, ad esempio, quella che ipoteticamente volesse invece cancellare il patrimonio culturale del g.a. sottraendogli le naturali funzioni di controllo di legalita' sull'esercizio del potere pubblico. La legge, inoltre, presenta ulteriori evidenti profili di irragionevolezza in quanto contraddittoriamente estende la giurisdizione del g.a. (che tradizionalmente e' giudice dei rapporti tra soggetti non paritari) in un momento storico che, invece, e' caratterizzato (anche per gli impulsi del diritto comunitario che e' attento ai profili concorrenziali i quali affondano le radici nel diritto comune) dall'emersione del ben conosciuto fenomeno (sul quale non e' possibile qui soffermarsi) della regressione del momento autoritativo nel rapporto tra l'apparato "pubblico" e la societa' civile e, di conseguenza, dell'interesse legittimo (che e' espressione della dialettica liberta' - autorita) in favore della categoria relazionale diritto (dei cittadini) - obbligo (della p.a. di provvedere e di comportarsi secondo buona fede, anche come effetto dell'affermarsi del modello negoziale). 7. - Con riferimento agli artt. 102, comma 1, e 113, comma 1, cost. A corollario dell'interpretazione che riconosce al legislatore mano libera nella disciplina del riparto delle giurisdizioni, ai sensi dell'art. 103, comma 1, Cost., e' l'implicita opinione che nega al g.o. nel nostro ordinamento costituzionale il ruolo di giudice naturale dei diritti soggettivi tra privati e p.a. La centralita' del g.o., tuttavia, risulta dall'evoluzione storica del nostro ordinamento che fonda le proprie radici nella legge n. 2248, all. E, del 1865: "Sono devolute alla giurisdizione ordinaria (...) tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorche' siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorita' amministrativa" (art. 2) e nel r.d. n. 1054 del 1924 che attribuisce invece "al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale di decidere sui ricorsi (...) contro atti e provvedimenti di una autorita' amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante, che abbiano per oggetto un interesse di individui o di enti morali giuridici" (art. 26). Secondo autorevoli e condivisibili opinioni, la Costituzione, confermando il sistema in precedenza vigente, ha elevato i suddetti principi contenuti nella legge del 1865 a norme di ordine costituzionale, non modificabili, quindi, se non con il procedimento di revisione costituzionale. La Carta costituzionale, inoltre, pur non innovando rispetto al criterio di riparto fondato sulle posizioni soggettive fatte valere, ha segnato un deciso passo avanti verso le istanze di tutela dei privati nei confronti della P.A. (come e' dimostrato dall'art. 113, comma 2 e 3, cost.). Il g.o., nel nostro ordinamento costituzionale, e' il giudice dei diritti con tendenziale generalita' ed illimitatezza delle sue attribuzioni (v., in tal senso, Corte cost. n. 641/1987), come risulta in modo del tutto evidente dagli articoli 102, comma 1, cost. ("La funzione giurisdizionale e' esercitata da magistrati ordinari") e 113, comma 1 ("Contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione [rispettivamente] ordinaria o amministrativa"); dal complesso di norme poste a tutela dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura ordinaria (v. gli artt. 104 e 105 cost.); dalla residualita' dell'attribuzione al g.a. della cognizione dei diritti soggettivi (v. art. 103, comma 1, cost.) e, per converso, dalla possibilita' riconosciuta al legislatore ordinario (v., in tal senso, Corte cost. n. 32/1970) di attribuire al g.o. i poteri (di cui puo' costituire presupposto la valutazione anche dell'interesse legittimo) di annullamento dell'atto amministrativo (art. 113, comma 2 e 3: "Tale tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione ..."); dalla completezza della tutela offerta dal g.o. nell'ambito dell'attivita' di diritto privato della p.a ovvero rispetto agli atti e ai comportamenti illeciti e dalla pienezza di cui e' dotato il g.o. nella conoscenza dei vizi di legittimita' dell'atto, seppur ai soli fini della disapplicazione (v., tra le altre, Cass. S.U. n. 4670/1997); dal diritto vivente (v. Cass. S.U. n. 500/1999, le cui affermazioni rimangono valide, al di fuori della giurisdizione esclusiva, anche dopo la legge n. 205/2000) che, riconoscendo il diritto al risarcimento del danno (la cui prospettazione in giudizio e' idonea da sola a radicare la giurisdizione ordinaria) nei casi di lesione di posizioni soggettive qualificabili non solo come interessi oppositivi (i c.d. diritti affievoliti) ma anche come interessi pretensivi ad opera dell'attivita' illegittima della p.a., ha contribuito a rafforzare l'equazione costituzionale "g.o. = giudice dei diritti". Proprio dalla tendenziale generalita' ed illimitatezza delle attribuzioni del g.o. si desume, in conclusione, che se v'e' incertezza nell'identificazione della posizione soggettiva coinvolta nell'azione della p.a., ai fini del riparto delle giurisdizione, deve valere, perche' piu' conforme a criteri di ragionevolezza costituzionale, la naturale presunzione di devoluzione della controversia al g.o. 8. - Con riferimento agli artt. 25, comma 1, e 102, comma 2, Cost. La scelta del legislatore di attribuire al g.a. gran parte delle controversie in cui sia parte una p.a. e, per quanto qui interessa, quella dei sevizi pubblici, dev'essere esaminata anche sotto il profilo della sua conformita' al principio costituzionale del giudice naturale. La diffusa tendenza a identificare il principio espresso dall'art. 25, comma 1, cost. ("Nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge") in quello di giudice precostituito per legge, cosi' risolvendolo nel divieto di costituzione del giudice post factum, farebbe ritenere questo principio non utilizzabile al fine di sindacare la costituzionalita' delle leggi che incidono sulla materia giurisdizionale. come se la costituzione avesse riconosciuto al legislatore una discrezionalita' piena ed insindacabile in fatto di organizzazione delle giurisdizioni. Questa affermazione, anche alla luce di influssi provenienti da ordinamenti stranieri vicini alla nostra esperienza, merita di essere rivista almeno con riguardo a leggi (come quella di cui trattasi) che incidono su profili non secondari o semplicemente procedimentali della giurisdizione (ad esempio in materia di regolamentazione del processo o della competenza del singolo giudice) ma, in maniera rilevantissima, sull'ordine costituzionale delle giurisdizioni. Questa espressione - che ha radice nella costituzione rivoluzionaria francese del 16-24 agosto 1790 (il cui art. 17 disponeva: "l'ordine costituzionale delle giurisdizioni non potra' essere alterato, ne' le parti sottratte ai loro giudici naturali") ed alla quale molti paesi hanno fatto riferimento come modello per l'edificazione dei moderni Stati di diritto - e' significativa nel senso che nel concetto di giudice naturale (e di giudice in senso lato in uno Stato democratico) confluiscono tutti i valori e i caratteri fissati nella costituzione. In questo senso il principio del giudice naturale si puo' interpretare come vincolante per lo stesso legislatore ordinario che non potrebbe alterare l'ordine costituzionale, cioe' quel nucleo di principi che giustificano l"'essere giudice" in uno Stato di diritto. E' significativa, ad es., una decisione del Consiglio cost. francese che dichiaro' incostituzionale una legge che attribuiva al g.o. il potere esclusivo di decidere sulla legittimita' di determinati atti amministrativi, affermando che "va inserito tra i "principi fondamentali riconosciuti dalle leggi della Repubblica quello secondo cui, ad eccezione delle materie riservate per natura all'autorita' giudiziaria, appartiene in ultima istanza alla competenza della giurisdizione amministrativa il contenzioso relativo all'annullamento e alla riforma degli atti amministrativi che costituiscono l'espressione dei pubblici poteri" (CC. n. 86-224, 23 gennaio 1987). In Italia l'"essere giudice" riceve sostanza dai caratteri e dalle attribuzioni stabilite dalla Costituzione che riservano al g.o. la cognizione dei diritti e, nelle controversie aventi come oggetto principale (e forse esclusivo) la valutazione di legittimita' dell'azione della p.a. in veste di potere pubblico, al g.a. la cognizione degli interessi legittimi: questa regola puo' subire eccezioni ma non stravolgimenti. Anche la Corte costituzionale, del resto, affermando, ad esempio, "la maggiore idoneita' del giudice ordinario alla cura di interessi concernenti rapporti di natura paritaria" (v. sent. n. 641/1987) ovvero che "la Corte dei conti e' il giudice naturale in materia di pensioni a totale carico dello Stato" (v. ord. n. 388/1990), ha accolto del principio del giudice naturale un'interpretazione non tradizionale ma attenta ai valori su cui si fonda l'ordine costituzionale delle giurisdizioni, la cui violazione da parte del legislatore diviene suscettibile di controllo dal giudice delle leggi sotto il profilo della violazione anche dell'art. 102, comma 2, Cost. ("Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali"): la sottrazione al g.o. della controversie sui diritti nell'intera materia dei servizi pubblici (per quanto qui interessa), infatti, finisce per connotare il g.a. come giudice speciale o straordinario vietato dalla Costituzione. La legittimita' della scelta operata dal legislatore e' sostenuta da parte della dottrina che ha invocato l'inesistenza nel nostro ordinamento di un principio di unita' della giurisdizione, avendo la costituzione optato per il diverso principio della pluralita' delle giurisdizioni, cosa che giustificherebbe l'esistenza di giudici diversi specializzati in settori diversi dell'ordinamento. Pur ammettendo questa premessa (ma la Corte costituzionale ha piu' di una volta affermato esistente nel nostro ordinamento il principio generale, pur tendenziale, di unita' della giurisdizione: v. sentt. n. 41/1957 cit.; 48/1959), questi autori pero' non arrivano al punto di intendere quella pluralita' nel senso di ammettere l'esistenza di piu' giudici che decidano controversie identiche ovvero non caratterizzate da una sostanziale ed intrinseca reciproca diversita' con riguardo all'oggetto e alle posizioni soggettive delle pani. Infatti, essi leggono il principio di pluralita' delle giurisdizioni in funzione di una asserita specificita' delle materie devolute al g.a., in considerazione della peculiarita' della p.a. come parte pubblica ovvero della rilevanza pubblica dell'oggetto della controversia. Tuttavia, si ripete, le circostanze che nella controversia sia parte una p.a. ovvero, ancor meno, che il suo oggetto presenti una generica rilevanza pubblica, sono del tutto irrilevanti perche' e' alla consistenza delle posizioni soggettive fatte valere, in connessione al bene della vita chiesto in giudizio (petitum), che occorre aver riguardo ai fini del riparto delle giurisdizioni. Come un autorevole studioso scrisse nel 1964: "e' importante affermare la vigenza del principio della giurisdizione unica, poiche' esso presuppone che i diritti soggettivi del privato siano tali non solo nei confronti degli altri privati, ma anche nei confronti dell'autorita' amministrativa; da questo presupposto consegue che giudice delle controversie con la pubblica amministrazione in ordine ai diritti soggettivi deve essere lo stesso giudice delle analoghe controversie tra privati". Se la situazione soggettiva vantata e' di diritto soggettivo, e' perche' la p.a. si e' posta sullo stesso piano del privato agendo iure privatorum (come nel caso della controversia in esame) ovvero compiendo un'attivita' illecita, sicche' ogni assenta specificita' viene meno e non puo' rilevare nella sede giurisdizionale. 9. - Con riferimento agli artt. 3, comma 1, 24 e 111, comma 7 e 8 (nella nuova numerazione ex legge costituzionale n. 2/1999), Cost. 9.a) - Ancor piu' grave e' il dubbio di costituzionalita' con riguardo al principio di uguaglianza ("Tutti i cittadini [...] sono eguali davanti alla legge": art. 3 Cost.), di cui costituisce aspetto fondamentale l'uguaglianza davanti alla giustizia e alla giurisdizione (art. 24 Cost.): da qui la regola che le controversie aventi una natura giuridica uguale o affine siano giudicate dalla medesima giurisdizione o da giurisdizioni strettamente identiche anche nelle regole di composizione (cfr., ad es., Consiglio Cost. francese, n. 86-213, 3 ottobre 1986). Il disegno legislativo di unificare dinanzi al g.a. - che e' giudice diverso nella composizione rispetto al g.o. - tutte le controversie (e, anzi, il che fa ulteriormente dubitare dell'intrinseca ragionevolezza della legge, solo quelle ritenute di maggiore importanza) in cui sia parte una p.a. alimenta, come si e' gia' detto, il dubbio di costituzionalita' per la dispanita' di trattamento tra i cittadini dinanzi alla giurisdizione, essendo l'individuazione del giudice fatta dipendere dalla qualita' soggettiva di una parte (la p.a.), alla quale la costituzione, specie quando essa non esercita un "potere" riconosciutole dalla legge o si rapporta ai privati su un piano di parita', non riconosce alcun privilegio o statuto particolare. Il dubbio di costituzionalita' e' aggravato dalla mancanza di elementi normativi utili ad identificare nell'attuale momento storico sia il soggetto "p.a." (stante la tendenza a valorizzare a questo fine parametri incerti ed evanescenti come quelli dell'interesse pubblico dell'attivita' svolta e a svalutarne altri, quali la forma e la struttura giuridica del soggetto) sia la materia stessa, del tutto vaga ed incerta, dei servizi pubblici. 9. b) - Un ulteriore e ancor piu' grave dubbio di costituzionalita' e' stato prospettato con riguardo all'art. 111, ora comma 7 e 3, Cost. ("Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla liberta' personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, e' sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge ... contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione e' ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione"). Come rilevato dalla Cassazione (v. sent. S.U. n. 72/2000 cit.): "Anche l'art 3 Cost. potrebbe risultare vulnerato, sia sotto il profilo della (dubbia) ragionevolezza di una scelta distributiva tra due diversi plessi giurisdizionali di controversie identicamente attinenti a vicende di inadempimento di obbligazioni di diritto comune; sia sotto il profilo dell'eguaglianza, cui si riconduce l'esigenza della un forme interpretazione della legge che (stante la non ricorribilita' delle sentenze dei giudici amministrativi per violazione di legge ex art. 360, n. 3, c.p. c.) non avrebbe, viceversa, strumento alcuno per attuarsi a fronte di differenti orientamenti (e di un diverso "diritto vivente ; quindi) che dovesse (e lo potrebbe) formarsi in ordine a medesime disposizioni codicistiche nelle non comunicanti giurisprudenze dei giudici ordinari e amministrativi". La previsione costituzionale dell'impugnabilita' delle sentenze del g.a, per i soli motivi inerenti alla giurisdizione alle sezioni unite della Cassazione aveva nel sistema una razionale giustificazione nella sufficiente eterogeneita' ed incomparabilita' dei territori occupati dai diversi plessi giurisdizionali, sicche' ridotto era il pericolo di orientamenti giurisprudenziali contrastanti e l'uniforme interpretazione della legge era assicurata dalla Corte di Cassazione nell'ambito della giurisdizione ordinaria e dal Consiglio di Stato (e dalla Corte dei Conti) nell'ambito della giurisdizione amministrativa (sebbene dottrina autorevole, soprattutto in passato, abbia dubitato che l'istituto dell'appello sia congeniale all'esercizio della nomofilachia da parte del Consiglio di Stato, in considerazione di una certa incongruenza determinata dall'ingresso del fatto nella valutazione di legittimita). La situazione oggi e' del tutto mutata: l'attribuzione al g.a. della giurisdizione esclusiva su interi settori dell'ordinamento e la pienezza dei poteri decisori riconosciutigli (si veda il comma 4 dell'art. 35 d. lgs. n. 80/1998, sostituito dalla l. n. 205/2000, che ha conferito al g.a. il potere risarcitorio anche al di fuori della giurisdizione esclusiva e nell'ambito della sua giurisdizione generale di legittimita) rendono concreto e forte il rischio di contrasti giurisprudenziali tra le decisioni dei due giudici, essendo il g.a. ormai proiettato in una dimensione civilistica (si pensi all'interpretazione delle norme del codice civile sulle obbligazione e i contratti, la responsabilita' ecc.) che fino a ieri costituiva territorio esclusivo del g.o. La non impugnabilita' in Cassazione delle sentenze del g.a. per violazione di legge (a differenza di quanto avviene per le decisioni delle commissioni tributarie e di quanto, ad esempio, avviene in Germania) confligge con il principio di uguaglianza non solo per la irragionevole disparita' dei gradi di giudizio cui sono soggette le decisioni dei due plessi giurisdizionali (e la Corte costituzionale non ha mancato di sottolineare la garanzia insita nella "sussistenza di tre gradi di giurisdizione": v. sent. n. 641/1987 cit.) ma, soprattutto, per la grave ed ingiustificata deroga al principio di nomofilachia esercitato dalla Cassazione (cui spetta di assicurare "l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unita' del diritto oggettivo nazionale"), ai sensi dell'art. 65 dell'ordinamento giudiziario. Questo principio, avente copertura costituzionale nell'art. 111 Cost. (e in relazione al quale vanno letti anche gli artt. 363, 374, comma 2, 376, comma 3, 384, comma 2, c.p.c.), svolge la funzione (assicurata anche dalla prevedibilita' delle decisioni giurisdizionali) di realizzare l'unita' e la certezza del diritto e, soprattutto, l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e cioe' alla sua interpretazione, la quale postula la necessita' di sottoporre fattispecie identiche o simili (profilo questo sul quale non puo' incidere la qualita' soggettiva delle parti) a identica disciplina. Si tratta di un dubbio di costituzionalita' reso ancor piu' grave dall'essere il principio di uguaglianza annoverato tra i principi supremi dell'ordinamento costituzionale, non derogabile nemmeno dal legislatore costituente in sede di revisione costituzionale. Ma il problema della nomofilachia riguarda anche un profilo diverso e nuovo, cioe' quello dell'idoneita' istituzionale all'esercizio di questa funzione da parte di un organo (di alta consulenza amministrativa), quale e' il Consiglio di Stato, che ha si' svolto questo ruolo ma nel proprio tradizionale ordine di giurisdizione, nell'ambito del quale l'interesse pubblico costituisce, si potrebbe dire, parametro di riferimento naturale per la valutazione dell'interesse legittimo. Cosi' non e' nell'ambito privatistico dei rapporti paritetici ove la comparazione degli interessi in conflitto e' mal tollerata nella coscienza giuridica collettiva che. infatti, considera negativamente i casi in cui la Cassazione si lasci condizionare da considerazioni, in senso lato, di "interesse pubblico" e si vuole, invece, che decida facendo applicazione solo dello stretto diritto. Non si vedono ne' si conoscono le ragioni per le quali organi istituzionali debbano riconvertirsi in funzioni diverse da quelle ad essi. riconosciute dall'ordinamento, con l'effetto di avere giudici diversi che giudicano pero' in materie identiche e con ormai analoghi strumenti processuali. La prevedibile obiezione secondo cui il Consiglio di Stato assolvera' ai nuovi compiti con prontezza e competenza si puo' condividere ma non e' pertinente. Qui il problema non e' di fatto ma giuridico e costituzionale, cioe' riguarda la ragionevolezza di una riforma che, senza apportare (come sta gia' emergendo) alcun beneficio in termini di agevolazione del riparto delle giurisdizioni (come ha riconosciuto il Consiglio di Stato "un criterio di ripartizione della giurisdizione fondato su materie pone problemi non sicuramente piu' semplici rispetto a quelli posti dal criterio fondato sulle situazioni giuridiche soggettive", v. parere n. 30/1998), ha inciso su delicati equilibri istituzionali senza che il legislatore abbia tenuto conto, in conclusione, del monito rivoltogli piu' volte dalla Corte costituzionale di operare per il cambiamento in modo prudente e "conforme a Costituzione" (v. sentt. n. 292/2000 e n. 35/1980). Espressione di questo equilibrio era la sostanziale e formale pariordinazione dei due plessi giurisdizionali (con l'armonica previsione, ad esempio, della possibilita' di riconoscere al g.o. il potere di annullare l'atto amministrativo e al g.a. di coscere dei diritti soggettivi in particolari materie), che oggi e' stata vulnerata, con l'effetto innegabile e riconosciuto da molti osservatori di far confluire presso il g.a. la cognizione delle controversie di maggiore importanza sotto il profilo quanto meno degli interessi economici coinvolti e di devolvere al g.o. quelle (in cui e' parte una p.a.) oggettivamente "minori". La ragionevolezza della legge dev'essere valutata anche per questo effetto. Non si vede poi quale utilita' abbia per i cittadini, in termini di celerita' dei giudizi, la previsione di una giurisdizione esclusiva del g.a. in controversie, quali sono quelle di cui trattasi, riguardanti comuni obbligazioni pecuniarie, ove non si pone nemmeno un problema di deprecato doppio binario di tutela dinanzi a giudici diversi. Un'ultima considerazione che sa di riconoscimento della illegittimita' del d.lgs. n. 80/1998 (modificato dall'art. 7 della legge n. 205/2000) ovvero come si enuncia anche pubblicamente, della necessita' di dare "copertura costituzionale" alla riforma, e' offerta dalla proposta di legge costituzionale C.7645 presentata in data 28 novembre 2000, che e' rivolta a far scomparire dall'attuale primo comma dell'art. 103 Cost. il riferimento ai "diritti soggettivi" e a trasformare le "particolari materie" in "materie omogenee".
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione, che solleva su istanza di parte, di legittimita' costituzionale dell'art. 33, comma 1 e 2, lett. b) ed e), del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, nella parte in cui devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi "tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi" e, in particolare, "riguardanti le attivita' e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del servizio sanitario nazionale", per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 102, 103, 111 e 113 Cost.; Dispone la sospensione del presente giudizio e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata al Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e alle parti. Roma, addi' 31 luglio 2002 Il giudice: Lamorgese 02C0986