N. 513 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 settembre 2002
Ordinanza emessa il 27 settembre 2002 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Fiore Umberto ed altra Processo penale - Incompatibilita' del giudice - Trattazione dell'udienza preliminare - Annullamento in dibattimento del decreto che dispone il giudizio - Incompatibilita' del giudice ad assumere nuovamente la funzione di giudice dell'udienza preliminare nei confronti degli stessi imputati e per i medesimi fatti - Mancata previsione - Violazione del principio di terzieta' ed imparzialita' del giudice. - Codice di procedura penale, art. 34. - Costituzione, art. 111.(GU n.47 del 27-11-2002 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Fiore Umberto e Fusco Giuseppina, avverso l'ordinanza della corte d'appello di Roma, che il 26 novembre 2001 ha dichiarato inammissibili le dichiarazioni di ricusazione da loro proposte nei confronti del magistrato Luisanna Figliolia; Letta la requisitoria del sostituto procuratore generale, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio. O s s e r v a Il 22 novembre 2001 Umberto Fiore e Giuseppina Fusco ricusavano il giudice Luisanna Figliolia, perche' aveva assunto la funzione di giudice dell'udienza preliminare tenuta nei loro confronti per i medesimi fatti per i quali in precedenza lo stesso magistrato aveva gia' disposto il rinvio a giudizio con decreto, successivamente annullato. Il 26 novembre 2001 la corte d'appello di Roma ha dichiarato inammissibili le dichiarazioni di ricusaziane, osservando che l'ipotesi attuale non rientra tra i casi di ricusazione normativarnente previsti, che sono tassativi e suscettibili soltanto d'interpretazione letterale, con esclusione di quella analogica o anche estensiva. Ricorrono i succitati Fiore e Fusco, proponendo questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34 nella parte in cui non prevede la fattispecie in esame, per contrasto con con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., in quanto anche nel caso di specie sussisterebbe una evidente compromissione dell'imparzialita' del giudice, per la "forza di prevenzione" esercitata nella rinnovata fase processuale, dalle valutazioni precedentemente Reputa il collegio che la questione vada nuovamente sottoposta alla valutazione della Corte costituzionale, esclusivamente alla luce dell'art. 111 della Carta fondamentale. Con l'ordinanza n. 112 del 2001 la Corte ha esaminato proprio, questo tema ed e' pervenuta alla declaratoria di manifesta infondatezza, in quanto non ha potuto valutare la disposizione dell'art. 34 alla luce delle innovazioni nel frattempo apportate alla disciplina dell'udienza preliminare dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, la quale ha attribuito al giudice di quell'udienza il potere di compiere apprezzamenti sul merito dell'accusa, idonei a pregiudicare la terzieta' e l'imparzialita' del medesimo giudice, una volta chiamato a pronunciarsi nuovamente sulla richiesta di rinvio a giudizio. Queste modifiche legislative, infatti, non erano ancora operanti nel momento in cui i giudici per l'udienza preliminare avevano pronunziato i decreti nei procedimenti sottoposti al vaglio della Corte costituzionale. Successivamente con la sentenza n. 224 del 2001 la Corte si e' occupata di una specifica fattispecie, ossia quella del giudice che, avendo pronunciato o concorso a pronunciare sentenza di primo grado, sia chiamato ad esercitare funzioni di giudice dell'udienza preliminare nel medesimo processo per effetto di una vicenda regressiva consequenziale all'annullamento della decisione da parte del giudice di appello. Il comma 2 dell'art. 34 cod. proc. pen.- ha rilevato la Corte al riguardo - stabilisce che non puo' partecipare al giudizio il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare, ma non prevede l'incompatibilita' nell'evenienza inversa. Ha precisato, inoltre, che per il carattere tassativo delle ipotesi di incompatibilita' non e' possibile estendere analogicamente questa disposizione a casi diversi da quelli in esse considerati. In particolare con la decisione menzionata la Corte ha ricordato che le norme sulla incompatibilita' del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento presidiano i valori costituzionali della terzieta' e dell'imparzialita' della giurisdizione, risultando finalizzate: a) da un lato ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire incondizionata dalla "forza della prevenzione" - ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione gia' presa o a mantenere un atteggiamento gia' assunto - scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda; b) dall'altro ad impedire che un giudizio inteso nel senso sostanziale dei suoi contenuti ed in ogni sequenza del procedimento - anche diversa dal giudizio dibattimentale - la quale, collocandosi in una fase diversa da quella in cui si e' svolta l'attivita' "pregiudicante", implichi una valutazione sul merito dell'accusa, e non determinazioni incidenti sul semplice svolgimento del processo, ancorche' adottate sulla base di un apprezzamento delle risultanze processuali. In quell'occasione la Corte ha constatato che, a seguito delle importanti innovazioni introdotte, in particolare, dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, l'udienza preliminare ha subito una profonda trasformazione sul piano sia della quantita' e qualita' di elementi valutativi che vi possono trovare ingresso, sia dei poteri correlativamente attribuiti al giudice, e, infine, per cio' che attiene alla piu' estesa gamma delle decisioni che lo stesso giudice e' chiamato ad adottare. Ha ricordato: 1) L'esigenza di completezza delle indagini preliminari (v. sentenza n. 115 del 2001) ora significativamente valutabile anche in sede di udienza preliminare, al cui giudice e' attribuito il potere di disporre l'integrazione delle indagini stesse (art. 421-bis cod. proc. pen.); 2) l'analogo potere di integrazione concernente i mezzi di prova, a fronte del quale il giudice puo' assumere anche d'ufficio le prove delle quali appaia evidente la decisivita' ai fini della sentenza di non luogo a procedere (art. 422 cod. proc. pen.); 3) le nuove cadenze delle indagini difensive - introdotte dalla legge 7 dicembre 2000, n. 397 - ed il conseguente ampliamento del tema decisorio, non piu' limitato al materiale raccolto dall'organo dell'accusa. Ha altresi', evidenziato che questi sono tutti elementi di novita' che postulano, all'interno della udienza preliminare, da un lato, un contraddittorio piu' esteso rispetto al passato, e, dall'altro, un incremento degli elementi valutativi, cui necessariamente corrisponde - quanto alla decisione finale - un apprezzamento del merito ormai privo di quei caratteri di "sommarieta'" che prima della riforma erano tipici di una delibazione tendenzialmente circoscritta allo "stato degli atti". La Corte ha anche considerato i nuovi "contenuti" che puo' assumere la decisione con la quale il giudice e' chiamato a definire l'udienza preliminare: nel caso di rinvio a giudizio il giudice deve valutare la sufficienza, non contraddittorieta' e, comunque, idoneita' degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa in giudizio; nel caso contrario, deve pronunziare sentenza di non luogo a procedere, che puo' conseguire anche all'applicazione delle circostanze attenuanti generiche e della conseguente disciplina del bilanciamento, di cui all'art. 69 cod. pen.; nel caso di sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilita' (ora consentita, quando non ne consegna l'applicazione di una misura di sicurezza) del pari il giudice adotta statuizioni che incidono sul merito della causa, in quanto per giungere a tale pronunzia deve compiere "il necessario accertamento di responsabilita' in ordine al fatto reato" (v. sentenza n. 41 del 1993). L'alternativa decisoria che si offre al giudice quale epilogo dell'udienza preliminare, riposa, dunque, su una valutazione del merito della accusa ormai non piu' distinguibile - quanto ad intensita' e completezza del panorama delibativo - da quella propria di altri momenti processuali, gia' ritenuti non solo "pregiudicanti", ma anche "pregiudicabili", ai fini della sussistenza della incompatibilita'. Ne deriva, a parere del collegio, che la dedotta questione e' rilevante e non manifestamente infondata, poiche', nel caso d'annullamento del decreto che dispone il giudizio, appaiono ricorrere tutte le anzidette condizioni d'incompatibilita'. Questa Corte, pero', per il principio di tassativita' delle cause d'incompatibilita', reputa che non e' possibile estendere la norma in esame, andando oltre il suo significato letterale, come ha richiesto il procuratore generale presso la Cassazione, dovendo essere, invece, invocato l'intervento adeguatore della Corte costituzionale.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata in relazione all'art. 111 della Costituzione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' del giudice che ha pronunziato il decreto che dispone il giudizio, successivamente annullato, ad assumere le funzioni di giudice dell'udienza preliminare nei confronti degli stessi imputati e per i medesimi fatti; Sospende il presente procedimento e manda alla cancelleria gli adempimenti previsti dall'art. 23, ultimo comma, della legge n. 87 del 1953. Roma, addi' 9 luglio 2002 Il Presidente: Fantacchiotti 02C1051