N. 515 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 luglio 2002
Ordinanza emessa il 25 luglio 2002 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da I.N.A.I.L. contro Tec Flam Fonderie riunite S.r.l. Previdenza e assistenza sociale - Lavoratori in mobilita' assunti con contratti di lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi - Benefici contributivi per il datore di lavoro - Inapplicabilita', stabilita con norma innovativa, autoqualificata interpretativa, ai premi INAIL - Lesione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza, di certezza del diritto e di affidamento del cittadino. - Legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 68, n. 6. - Costituzione, art. 3, primo comma.(GU n.47 del 27-11-2002 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso proposto da: I.N.A.I.L - Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato; in Roma via IV Novembre 144, rappresentato e difeso dagli avvocati Quaranta Franco, Muccio Saverio, Rossi Pasquale, giusta delega in atti; ricorrente. Contro Tec Flam Fonderie Riunite S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma via Barnaba Oriani n. 85, presso lo studio dell'avvocato Giulia Trabalza, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati David Maria Santoro, Gian Paolo Sassi, giusta delega in atti; controricorrente. Avverso la sentenza n. 209/1999 del Tribunale di Busto Arsizio, depositata il 20 febbraio 1999 - R.G.N. 21/1998; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18 marzo 2002 dal Consigliere dott. Raffaele Foglia; Udito l'avvocato Muccio; Udito l'avvocato Sassi; Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore generale dott. Carlo Destro che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. Fatto e diritto Con ricorso del 23 febbraio 1998 al pretore di Busto Arsizio la soc. r.l. Tec Flam Fonderie riunite conveniva in giudizio l'Inail esponendo di aver assunto neali anni 1994/1995, 27 lavoratori a tempo determinato attingendoli dalle liste di mobilita' ai sensi della legge n. 223 del 1991, trasformando poi i rispettivi rapporti a tempo indeterminato. Avendo versato per detti lavoratori i prescritti contributi al predetto Istituto, con riserva di recupero in virtu' del disposto dell'art. 8 della medesima legge, la societa' ricorrente chiedeva nei confronti dell'Inail la restituzione della somma complessiva di L. 156.724.892 oltre accessori. L'istituto convenuto resisteva sostenendo che i benefici contributivi di cui al citato art. 8 non erano riferibili ai premi Inail. Il pretore accoglieva la domanda con sentenza del 13 maggio 1998 ritualmente impugnata dall'Istituto previdenziale. Costituitosi nuovamente il contraddittorio, il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza del 20 febbraio 1999, confermava la pronunzia di primo grado, osservando che nessun rilievo aveva la circostanza che il citato art. 8 faccia riferimento a "contributi" e non a "premi" essendo comune la ratio della disposizione di favorire comunque ii reinserimento del lavoratore nel processo produttivo, anche mantenendo in vita quelle imprese che vengono travolte da procedure concorsuali, sgravando di tutti gli oneri il datore di lavoro che vede cosi' incentivata la finalita' perseguita dallo Stato. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'Inail articolando un unico motivo: cui replica con controricorso la societa' intimata. In prossimita' dell'udienza l'istituto ha depositato memoria illustrativa, ex art. 378 c.p.c. Osserva il collegio Con l'unico motivo di ricorso, denunziando la violazione e falsa applicazione dell'art. 8 comma 2 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e dell'art. 21, lett. a) della legge 19 gennaio 1955, n. 25, l'Inail assume che la decisione impugnata avrebbe errato nel ritenere che i premi assicurativi dovuti dal datore di lavoro, in relazione ai lavoratori collocati in mobilita' ed assunti ex legge n. 223/1991 debbano essere calcolati secondo il regime contributivo previsto per apprendisti dalla legge n. 25/1955. La questione e' stata gia' affrontata e risolta da questa Corte con le sentenze nn. 2202/1998 e 3445/1999, in senso contrario a quanto sostenuto dal ricorrente e dalle ragioni esposte nelle suindicate pronunzie la Corte non ritiene di discostarsi. Senonche', con la memoria illustrativa l'istituto ricorrente ha invocato l'art. 68, comma 6 della sopravvenuta legge 23 dicembre 2000, n. 388 secondo il quale "l'art. 8, comma 2 della legge 23 luglio 1991, n. 223 si interpreta nel senso che il beneficio contributivo non si applica ai premi Inail". L'applicazione della disposizione appena citata, quale ius superveniens imporrebbe, dunque, l'accoglimento del ricorso. La societa' intimata, peraltro, resiste sollevando eccezione di legittimita' costituzionale del citato art. 68, comma 6 nei termini gia' condivisi dal Tribunale di Taranto con ordinanza del 28 gennaio 2002 resa in causa INAIL, contro ILVA S.p.a (R.G. 25511/99). Ad avviso del Collegio - scontata la rilevanza della questione sollevata con riferimento ad una norma che ha una evidente e diretta incidenza sulla soluzione della controversia presente - il dubbio di legittimita' costituzionale non appare manifestamente infondato. Si ripropone la tematica delle leggi di interpretazione autentica, per loro natura retroattive, rispetto alla quale esiste un antico dibattito ii quale ha preso le mosse dall'art. 11 delle preleggi (secondo il quale "la legge non dispone che per l'avvenire: essa non na valore retroattivo") soffermandosi sull'art. 25, comma 2 Cost. il quale vieta espressamente le leggi retroattive in materia penale. Come noto, si e' proposto di estendere questo divieto alle leggi non penali, richiamandosi talvolta il principio di irragionevolezza espresso dall'art. 3 Cost., talvolta quello di divisione dei poteri, con l'esclusiva potesta degli organi giurisdizionali di decidere sull'efficacia degli atti normativi, o il principio di eguaglianza. Talvolta si e' affermata l'incostituzionalita' della retroattivita' non adeguatamente giustificata e talaltra si e' voluto imporre a chi sostiene l'incostituzionalita' l'onere di provare la violazione, determinata, appunto, dalla retroattivita', di una certa norma costituzionale, pervenendosi comunque alla conclusione - comunemente condivisa - che al di fuori delle leggi penali non esiste alcun divieto assoluto di retroattivita', e che non puo' dunque escludersi la necessita' - valutata dal legislatore secondo una discrezionalita' insindacabile dalla giurisdizione costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1957, n. 87, di imporre l'efficacia retroattiva di una legge. I problemi che si pongono in sede giurisdizionale - piu' frequentemente con riferimento alle leggi di interpretazione autentici retroattive per definizione, come quella richiamata nel motivo del ricorso - concernono, appunto, i limiti di questa discrezionalita'. In proposito la Corte costituzionale ha in varie occasioni affermato che il divieto di retroattivita' pur non sancito in termini generali dalla legge fondamentale, "rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salva una effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini" (sent. 4 aprile 1990, n. 155). Non sempre e necessario, peraltro, ai fini della legittimita' della norma di interpretazione autentica, che essa a dirima un contrasto ermeneutico, cio' che importa e che la scelta imposta dalla legge interpretativa rientri tra le possibili varanti di senso del testo originario con cio' vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore entro questo limite, e sempre che non risulti l'intenzione di incidere direttamente su concrete fattispecie sub iudice (il che aprirebbe l'adito a possibili interferenze con i principi enunciati dagli artt. 101, 102 e 104 Cost.) non e' contestabile la legittimita' del ricorso a tal forma di produzione giuridica da parte del legislatore anche in presenza di un indirizzo omogeneo della Corte di cassazione, istituzionalmente investita del potere nomofilattico (cfr. le sentenze della Corte costituzionale nn. 311 del 1995, 397 del 1994 e l'ordinanza n. 480 del 1992 in precedenza, cfr. sentenze nn. 390 del 1990, 455 del 1992 e 39 del 1993). Anche la piu' recente giurisprudenza del giudice delle leggi ha ribadito l'avviso che non contrasta di per se' con precetti costituzionali l'emanazione di una legge di interpretazione, anche se approvata in assenza di pronunce discordanti, a meno che l'interpretazione "non collida con il generale principio di ragionevolezza" (Corte cost. nn. 29 del 2002; 525 del 2000 e 229 del 1999), sicche' puo' dirsi che lo scrutinio di costituzionalita' della norma impugnata si sostanzia nella valutazione riguardo alla sua compatibilita' con il tenore della norma interpretata, alla ragionevolezza della opzione ermeneutica imposta ed al rispetto dei limiti di retroattivita' delle norme extrapenali individuati dalla giurisprudenza costituzionale sent. n. 29 del 2002 cit.). L'effettivo problema da affrontare nella presente fattispecie riguarda, pertanto, non gia' la natura (interpretativa o meno) della legge, ma solo i limiti che essa incontra quanto alla sua portata retroattiva., con particolare riferimento al "valore costituzionale" dell'affidamento della certezza dei rapporti giuridici e dei propri diritti e doveri. Come e' stato gia' sottolineato da questa Corte in riferimento ad altra disposizione contenuta nel medesimo art. 68 della legge n. 388 del 2000 (cfr. ordinanza del 20 giugno 2001, n. 8454. concernente il precedente comma 5), anche nel caso di specie, viene in rilievo l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica; principo che, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non puo' essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da una disciplina legislativa precedente pacificamente intesa (Corte cost. sentenze nn. 525 del 2000; 416 del 1999; 211 del 1997; 155 del 1990; 822 del 1988; 349 del 1985). Ne' la finalita' della contrazione della spesa pubblica, sottesa alla disposizione in esame, pare ragione sufficiente a giustificare le prospettate volazioni dei suddetti principi costituzionali. La norma impugnata fornisce una interpretazione del citato art. 8 della legge n. 223 del 1991 che non era tra quelle accolte in sede giudiziale, oltre ad essere nettamente minoritaria in dottrina. Come gia' ricordato, in analoghe circostanze la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima una norma interpretativa che interveniva su una applicazione prolungata ed incontroversa della norma "interpretata", considerando questo un elemento rilevatore di concreta irrazionalita' (v. Corte cost.. n. 283 del 1989: nonche' n. 155 del 1990). Orbene, nel caso di specie, non puo' sottacersi che l'interpretazione dettata dal legislatore anche per il passato e' intervenuta a distanza di oltre nove anni dall'entrata in vigore della legge n. 223 del 1991, a fronte di una disposizione che sia per la sua formulazione testuale, sia per la sua operativita' in concreto, ha trovato una lettura univoca nella giurisprudenza di questa Corte per tutto questo periodo. Sotto questo profilo, l'intervento del legislatore e' oggettivamente destabilizzante rispetto ad un assetto di rapporti che la stessa Corte costituzionale definisce comunemente quale "diritto vivente". In particolre, va rilevato che il comma 2 dell'art. 8 della legge 23 luglio 1991, n. 223 - su cui interviene la legge n. 388 del 2000 - prevedendo la possibilita' di assumere lavoratori in mobilita' con contratto a termine di durata non superiore a 12 mesi, stabilisce che "la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro e' pari a quella prevista per gli apprendisti dalla legge 19 gennaio 1955 e successive modificazioni". Tale beneficio contributivo puo' essere prolungato per un massimo di altri 12 mesi per l'ipotesi di successiva trasformazione dei predetto contratto a termine in contratto o tempo indeterminato. Confermando un orientamento gia' condiviso dai giudici di merito, questa Corte ha, in piu' occasioni precisato che la "quota di contribuzione" anzidetta comprende anche i versamenti dovuti all'Inail, a nulla rilevando la circostanza che, a differenza dei contributi destinati all'Inps, quelli dovuti all'Inail sono ad esclusivo carico del datore di lavoro (ex art. 27 del testo unico 30 giugno 1965, n. 1124) dovendosi piuttosto ritenere che nell'espressione anzidetta il termine "quota" e' usato col sinonimo di "ammontare" o "importo" e non gia' nel senso (proprio) di parte di una somma globale dovuta o che spetta secondo una determinata ripartizione (Cass., 27 febbraio 1998, n. 2202; Cass., 8 aprile 1999, n. 3445 gia' citate). Del resto, l'unitarieta' della nozione non solo corrisponde alla comune finalita' - perseguita dall'art. 8, comma 2 - di favorire la rioccupazione dei lavoratori, ma si trae anche dal fatto che essa equipara la "quota" contributiva del datore di lavoro del personale in mobilita' assunto a tempo determinato per un periodo inferiore a dodici mesi alla "quota", prevista per i datori di lavoro degli apprendisti secondo la legge 10 gennaio 1955 n. 25 sebbene questa non preveda alcuna ripartizione dell'onere assicurativo, giacche' tale onere - espressamente comprensivo anche dell'assicurazione lnail (art. 21) - e' ad esclusivo carico del datore di lavoro (art. 22). Negli stessi termini questa Corte si e' pronunziata in ordine agli sgravi previsti dal decreto legge 1 aprile 1989, n. 120, convertito nella legge 15 maggio 1989, n. 181 (in materia di risanamento del settore siderurgico) ritenuti pacificamente applicabili sia ai contributi Inps che a quelli dovuti all'Inail (Cass. 5 maggio 2000, n. 5628). In sostanza, l'intervento del legislatore del 2000, escludendo dai benefici della decontribuzione i premi lnail, introduce una inedita dissociazione all'interno della contribuzione, a seconda degli enti di destinazione, in tal modo ponendo a carico dei datori di lavoro, con effetto retroattivo, maggiori oneri contributivi non previsti, ne' prevedibili - sulla base del "diritto vivente all'epoca" - nei rispettivi piani di investimento o di produzione, con possibili distorsioni sul piano della concorrenza, rispetto ad altri datori di lavoro che - pur stipulando, nei medesimi periodi, contratti di lavoro a termine con lavoratori gia' iscritti nelle liste di mobilita' - abbiano avuto la definizione della vertenza contributiva con l'istituto prima dell'approvazione e dell'entrata in vigore della nuova legge. E' legittimo il dubbio che la suindicata dissociazione sia ingiustificata. Ad avviso del Collegio, infatti, appare plausibile il sospetto che la volonta' di chiarire il senso dell'anzidetto art. 8 comma 2 della legge n. 223 del 1991 e le eventuali, pur legittime, considerazioni di convenienza del legislatore abbiano travalicato il limite della ragionevolezza nella parte in cui lo stesso legislatore ha disposto l'applicabilita', anche per il passato della nuova disciplina, perche' in tal modo e' stato frustrato l'affidamento dei soggetti nella possibilita' di operare sulla base delle condizioni normative esistenti nell'ordinamento in un dato periodo storico, e si e' introdotto un elemento di distorsione nel trattamento riservato, per il periodo 1992/2000, ai medesimi soggetti, senza che vi fosse una ragionevole necessita' di sacrificare tale affidamento nel bilanciamento con altri interessi costituzionalmente costituzionali. Tale esigenza di garanzia si arresta, come riconosciuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 525 del 22 novembre 2000, solo nel momento in cui la norma interpretativa sia entrata in vigore, sicche' non si ravvisa alcuna ragione per fornire una interpretazione di una norma non piu' in vigore. Deve, conclusivamente, ritenersi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma denunciata.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 68, n. 6 della legge 23 dicembre n. 388, in relazione all'art. 3, comma 1 della Costituzione. Sospende il giudizio e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Manda alla cancelleria perche' la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Roma, il 18 marzo 2002. Il Presidente: Senese Il consigliere relatore: Foglia 02C1053