N. 89 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 novembre 2002

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 19 novembre 2002 (della Regione Umbria)

Opere pubbliche - Infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per
  la  modernizzazione  e  lo  sviluppo  del  Paese  -  Norme  per  la
  realizzazione,  in  attuazione  della  delega contenuta nella legge
  n. 443/2001   (c.d.   legge  obiettivo)  -  Denunciata  invalidita'
  derivata   da  quella  delle  disposizioni  della  legge  obiettivo
  precedentemente impugnate dalla stessa Regione Umbria.
- D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198.
Opere pubbliche - Infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per
  la  modernizzazione  e  lo  sviluppo  del  Paese  -  Norme  per  la
  realizzazione,  in  attuazione  della  delega contenuta nella legge
  n. 443/2001  (c.d.  legge  obiettivo)  -  Denunciata espansione del
  concetto  di  infrastrutture  strategiche e di preminente interesse
  nazionale  Violazione  dei  principi  direttivi nonche' esorbitanza
  dall'oggetto della legge di delega - Conseguente indebita incidenza
  nelle  materie  di  competenza  residuale o concorrente regionale -
  Usurpazione dei poteri legislativi delle Camere e delle Regioni.
- D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198.
- Costituzione, artt. 70, 76 e 117, commi secondo, terzo e quarto.
Opere pubbliche - Infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per
  la  modernizzazione  e  lo  sviluppo  del  Paese  -  Norme  per  la
  realizzazione,  in  attuazione  della  delega contenuta nella legge
  n. 443/2001   (c.d.   legge   obiettivo)   -   Denunciata   mancata
  corrispondenza  delle disposizioni del decreto legislativo delegato
  ai  principi  e criteri direttivi stabiliti dalla legge di delega -
  In  particolare: difformita' dalla legge di delega delle previsioni
  concernenti  le  singole  opere  individue,  della  definizione  di
  "categorie"  di  opere  di  preminente  interesse strategico, della
  possibilita' di realizzazione delle infrastrutture "anche in deroga
  ad  ogni  altra  disposizione  di legge o regolamento" - Eccesso di
  delega.
- D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198.
- Costituzione, artt. 70, 76 e 117.
Opere pubbliche - Infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per
  la  modernizzazione  e  lo  sviluppo  del  Paese  -  Norme  per  la
  realizzazione,  in  attuazione  della  delega contenuta nella legge
  n. 443/2001    (c.d.    legge   obiettivo)   -   Installazione   di
  infrastrutture per impianti radioelettrici, di torri e tralicci, di
  impianti  radiotrasmittenti,  di  stazioni  radio  base per reti di
  telecomunicazioni di vario genere - Denunciata non riconducibilita'
  della  disciplina delle opere in questione a materie riservate alla
  potesta'  esclusiva  legislativa  statale o a principi fondamentali
  nell'ambito  della  potesta'  legislativa concorrente - Violazione,
  per  ulteriori  disposizioni,  della potesta' legislativa esclusiva
  regionale  o,  in subordine, della potesta' legislativa concorrente
  per  il  carattere  dettagliato  della  disciplina  - Lesione delle
  competenze amministrative regionali - Eccesso di delega.
- D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198.
- Costituzione,artt. 76, 117 e 118.
Opere pubbliche - Infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per
  la  modernizzazione  e  lo  sviluppo  del  Paese  -  Norme  per  la
  realizzazione,  in  attuazione  della  delega contenuta nella legge
  n. 443/2001  (c.d.  legge  obiettivo)  - Denunciata mancanza di una
  ragione  giustificatrice di un trattamento per le Regioni ordinarie
  differenziato  e  svantaggiato  rispetto  alle  Regioni  speciali -
  Violazione  del  principio  di parita' di trattamento tra autonomie
  regionali e del principio di ragionevolezza - Eccesso di delega.
- D.Lgs. 4 settembre 2002, n. 198.
- Costituzione, art. 3.
Opere pubbliche - Infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per
  la  modernizzazione  e  lo  sviluppo  del  Paese  -  Norme  per  la
  realizzazione,  in  attuazione  della  delega contenuta nella legge
  n. 443/2001    (c.d.   legge   obiettivo)   -   Infrastrutture   di
  telecomunicazioni    per   impianti   radioelettrici   -   Prevista
  compatibilita'    con    qualsiasi   destinazione   urbanistica   e
  possibilita'   di   realizzazione  in  ogni  parte  del  territorio
  comunale,  anche  in  deroga  agli  strumenti urbanistici e ad ogni
  altra  disposizione  di  legge  o di regolamento - Attribuzione del
  potere  autorizzatorio  agli  enti  locali,  previo accertamento da
  parte dell'A.R.P.A. della compatibilita' del progetto "con i limiti
  di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualita',
  stabiliti   uniformemente  a  livello  nazionale  in  relazione  al
  disposto"  della  legge  n. 36/2001  - Previsione della denunzia di
  inizio attivita' per gli impianti con potenza inferiore a 20 Watt e
  del   silenzio   assenso   nel  procedimento  di  autorizzazione  -
  Denunciata  lesione  della  tutela  del  paesaggio  e dell'ordinato
  sviluppo  urbanistico del territorio, oltre il limite dell'utilita'
  sociale -
    Violazione  delle  competenze amministrative regionali in materia
  urbanistica   nonche'   delle  competenze  legislative  in  materia
  edilizia  -  Violazione  delle  competenze regionali definite dalla
  legge  n. 36/2001  -  Violazione dell'interesse alla salute ed alla
  tutela  dell'ambiente  - Violazione del principio di precauzione in
  materia  ambientale  sancito  dall'art.  174,  comma  secondo,  del
  Trattato  CE  -  Omessa  limitazione dello Stato a porre unicamente
  norme di principio.
- D.Lgs.  4 settembre 2002, n. 198 (in particolare, artt. 3, comma 2,
  4, comma 1, 5, comma 2, 6, comma 1, 7, comma 7).
- Costituzione,  artt.  3,  9,  32,  41,  comma  secondo,  117 e 118;
  Trattato CE, art. 174; legge 22 febbraio 2001, n. 36.
(GU n.2 del 15-1-2003 )
    Ricorso  della  Regione  Umbria,  in persona del Presidente della
giunta  regionale  pro  tempore,  autorizzato con deliberazione della
giunta   regionale   n. 1463,   del  23 ottobre  2002  (allegato  1),
rappresentata  e difesa, come da mandato a margine del presente atto,
dagli  avvocati  Giandomenico  Falcon di Padova e Maurizio Pedetta di
Perugia,  ed elettivamente domiciliata in Roma nello studio dell'avv.
Luigi   Manzi,  via  Confalonieri  n. 5,  contro  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  per  la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale  del  decreto  legislativo  4 settembre  2002, n. 198.
Disposizioni    volte    ad   accelerare   la   realizzazione   delle
infrastrutture    di    telecomunicazioni    strategiche    per    la
modernizzazione  e  lo sviluppo del Paese, a norma dell'art. 1, comma
2,  della  legge  21 dicembre 2001, n. 443, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale  n. 215 del 13 settembre 2002 per violazione degli artt. 3,
9,  32,  70,  76,  117  e  118 della Costituzione e dell'art. 174 del
Trattato istitutivo della Comunita' europea.

                              F a t t o

    Nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 215 del 13 settembre 2002 e' stato
pubblicato   il   d.lgs.   4   settembre   2002,  n. 198,  contenente
"Disposizioni    volte   ad   accelerare   la   realizzazione   delle
infrastrutture    di    telecomunicazioni    strategiche    per    la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese a norma dell'art. 1, comma 2,
della legge 21 dicembre 2001, n. 443".
    Come  specificato  sin  dal titolo, e poi nelle premesse, la base
giuridica del provvedimento legislativo considerato consisterebbe nel
comma  2  dell'art. 1 (e unico) della legge 21 dicembre 2001, n. 443,
intitolata  "Delega  al  Governo  in  materia  di  infrastrutture  ed
insediamenti   produttivi  strategici  ed  altri  interventi  per  il
rilancio delle attivita' produttive".
    La  legge  n. 443  e' primariamente ordinata alla elaborazione ed
attuazione   di   un  programma,  approvato  dal  Governo,  di  opere
infrastrutturali  e  di  impianti  definiti di carattere "strategico"
ovvero  di  "preminente interesse nazionale". Precisamente, l'art. 1,
comma  1, stabilisce che "il Governo, nel rispetto delle attribuzioni
costituzionali delle regioni, individua le infrastrutture pubbliche e
private  e  gli  insediamenti  produttivi  strategici e di preminente
interesse  nazionale  da  realizzare  per  la  modernizzazione  e  lo
sviluppo del Paese". L'ultima frase del comma 1, a sua volta, dispone
(con  dizione mantenuta anche nella versione modificata dalla legge 1
agosto 2002, n. 166) che "in sede di prima applicazione" il programma
sia approvato dal CIPE "entro il 31 dicembre 2001".
    Fatto sta che il primo programma delle infrastrutture strategiche
e'  stato  approvato  con  del  CIPE  21 dicembre  2001,  n. 121/2001
(Gazzetta  Ufficiale  21 marzo  2002,  n. 68, S.O.). In altre parole,
tale delibera e' stata approvata il giorno stesso della promulgazione
della  legge  n. 443  del  2001,  ma  prima  della sua pubblicazione,
avvenuta  solo  il  27 dicembre.  Dunque,  la  delibera del CIPE dava
presunta attuazione ad una legge non ancora vigente: il che comporta,
secondo   i  consolidati  concetti  del  diritto  amministrativo,  la
nullita' assoluta di tale deliberazione per inesistenza giuridica del
potere  esercitato,  e la conseguente impossibilita' di sanatoria una
volta che il potere sia venuto ad esistenza. Sia consentito osservare
che,  sia pure nell'asserita urgenza di realizzare le "grandi opere",
questo non sembra davvero il migliore modo di cominciare.
    Ai fini che qui interessano, comunque, notiamo che in tale quadro
di  complessiva  illegittimita'  l'allegato n. 5 della delibera CIPE,
intitolato "interventi strategici di preminente interesse nazionale",
contempla  specificamente  il  "piano  degli  interventi nel comparto
delle  telecomunicazioni"  (doc.  2). Tuttavia, il presunto piano non
individua  affatto  gli  interventi,  ma si limita ad elencare, per i
diversi  tipi  di  reti  (reti a banda larga - fibra ottica; reti per
terminali  - UMTS; reti per televisione digitale terrestre), le somme
previste  come  investimento  negli anni 2002 e seguenti da operatori
privati,  quali  Wind,  Telecom  Italia, Omnitel, Mediaset, oltre che
dalla Rai.
    In  calce  alla delibera si precisa che la "distinta delle opere"
(sic) verra' effettuata "con successiva delibera".
    L'art. 1,  comma  2,  della  1.  n. 443/2001,  inoltre, delega il
Governo  "ad  emanare, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali
delle  regioni,  entro  dodici  mesi  dalla data di entrata in vigore
della presente legge, uno o piu' decreti legislativi volti a definire
un  quadro  normativo  finalizzato  alla  celere  realizzazione delle
infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1,
a  tal  fine  riformando  le  procedure per la valutazione di impatto
ambientale    (VIA)    e   l'autorizzazione   integrata   ambientale,
limitatamente  alle  opere  di cui al comma 1 e comunque nel rispetto
del disposto dell'art. 2 della direttiva 85/337/CEE del Consiglio del
27 giugno   1935,   come  modificata  dalla  direttiva  97/11/CE  del
Consiglio  del  3 marzo 1997 e introducendo un regime speciale, anche
in  deroga  agli  artt. 2, da 7 a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 32, 34,
37-bis,  37-ter  e  37-quater della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e
successive  modificazioni,  nonche' alle ulteriori disposizioni della
medesima  legge  che  non  siano necessaria ed immediata applicazione
delle  direttive comunitarie". Di seguito vengono elencati i principi
e   criteri  direttivi  che  devono  essere  rispettati  dai  decreti
legislativi.
    In   attuazione  di  tale  delega  e'  stato  emanato  il  d.lgs.
n. 190/2002,  attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la
realizzazione  delle  infrastrutture  e degli insediamenti produttivi
strategici  e  di interesse nazionale. Di seguito e' stato emanato il
qui  impugnato  d.lgs. n. 198/2002: mentre il d.lgs. n. 190 si occupa
delle  opere  "strategiche"  in  generale,  il d.lgs. n. 198 riguarda
specificamente  le "infrastrutture di telecomunicazioni strategiche";
esso,   infatti,   richiama  nelle  premesse  la  delibera  del  CIPE
n. 121/2001  "ed in particolare la sintesi del piano degli interventi
nel comparto delle telecomunicazioni".
    La  regione  Umbria  ha  gia'  impugnato la legge n. 443/2001, la
quale  -  come  detto - e' richiamata come propria base giuridica dal
decreto legislativo n. 198. Il ricorso della regione Umbria pende col
n. 13/2002  e  sara' discusso nell'udienza del 19 novembre 2002. Esso
comprende,  in particolare, per quello che qui specificamente rileva,
le  disposizioni  contenute  nel  comma  1 e nel comma 2 in base alle
quali il Governo ha emanato il d.lgs. qui impugnato.
    Come specificato nel titolo, col d.lgs. n. 198 il Governo si pone
l'obiettivo   generale   di   accelerare   la   realizzazione   delle
infrastrutture  di  telecomunicazioni strategiche. In particolare, il
d.lgs.  reca  "principi  fondamentali  in  materia di installazione e
modifica  delle  categorie  di  infrastrutture  di telecomunicazioni,
considerate  strategiche  ai  sensi dell'art. 1, comma 1, della legge
21 dicembre   2001,   n. 443,   al   fine   di:   a)   agevolare   la
liberalizzazione  del  settore delle telecomunicazioni, consentendo a
tutti  gli operatori di installare proprie infrastrutture celermente,
creando cosi' un mercato effettivamente concorrenziale; b) consentire
la   realizzazione   di   infrastrutture   di   nuova  generazione  e
l'adeguamento  di  quelle esistenti..; c) razionalizzare le procedure
autorizzatorie     per     l'installazione     di     impianti     di
telecomunicazioni..;   d)   assicurare  che  la  realizzazione  delle
infrastrutture  di  telecomunicazioni  sia  coerente  con  la  tutela
dell'ambiente   e  della  salute  ...  relativamente  alle  emissioni
elettromagnetiche  di cui alla legge 22 febbraio 2001, n. 36. ...; i)
favorire    una   adeguata   diffusione   delle   infrastrutture   di
telecomunicazioni sull'intero territorio nazionale" (art. 1).
    In  base  all'art. 3, comma 1, "le categorie di infrastrutture di
telecomunicazioni,  considerate  strategiche"  ai  sensi dell'art. 1,
comma  1,  legge  n. 443/2001,  "sono  opere  di interesse nazionale,
realizzabili  esclusivamente  sulla base delle procedure definite dal
presente  decreto,  anche in deroga alle disposizioni di cui all'art.
8,  comma  1, lettera e). della legge 22 febbraio 2001, n. 36" (Legge
quadro   sulla   protezione  dalle  esposizioni  a  campi  elettrici,
magnetici  ed  elettromagnetici"). Ora, tale art. 8, comma 1, lettera
c),   gia'  nel  vigore  della  precedente  normativa  costituzionale
attribuiva  alle  regioni  la  competenza  a definire le modalita' di
rilascio  delle  autorizzazioni  alla  installazione  degli  impianti
considerati.
    L'art. 3,  comma  2, stabilisce poi che "le infrastrutture di cui
all'art.  4,  ad  esclusione delle torri e dei tralicci relativi alle
reti   di   televisione  digitale  terrestre,  sono  compatibili  con
qualsiasi  destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte
del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e
ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento".
    In concreto, come specificato dall'art. 4, oggetto del decreto e'
"l'installazione  di  infrastrutture per impianti radioelettrici e la
modifica  delle  caratteristiche di emissione di questi ultimi ed, in
specie,   l'installazione   di   torri,   di  tralicci,  di  impianti
radio-trasmittenti, di ripetitori di servizi di telecomunicazione, di
stazioni  radio  base  per reti di telecomunicazioni mobili GSM/UMTS,
per  reti  di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla
televisione  digitale  terrestre,  per reti a radiofrequenza dedicate
alle  emergenze sanitarie ed alla protezione civile, nonche' per reti
radio a larga banda puntomultipunto nelle bande di frequenza all'uopo
assegnate".
    Il  rilascio  dell'autorizzazione spetta agli enti locali, previo
accertamento da parte dell'A.R.P.A. della compatibilita' con i limiti
di  esposizione e di attenzione nonche' con gli obiettivi di qualita'
stabiliti  in  base alla gia' citata legge n. 36/2001. Tuttavia, "nel
caso  di  installazione  di impianti con tecnologia UMTS o altre, con
potenza  in  singola  antenna  uguale  o  inferiore ai 20 watt, fermo
restando  il  rispetto  dei  limiti  di  esposizione,  dei  valori di
attenzione   e   degli  obiettivi  di  qualita'  sopra  indicati,  e'
sufficiente  la  denuncia  di  inizio  attivita'"  (art. 5,  comma 2;
l'art. 12,  comma  2,  prevede  la  conversione  delle  istanze  gia'
presentante in denunce di questo tipo).
    Il  decreto  n. 198  si  spinge  (art. 5)  fino  a predisporre un
modello  di  istanza  da  formulare  agli  enti  locali  per ottenere
l'autorizzazione,   stabilendo  minuziosamente  fasi  e  termini  del
relativo procedimento e prevedendo anche l'ordine delle preferenze in
caso di piu' domande.
    Si  prevede,  inoltre,  per  le  istanze  di  autorizzazione e le
denunce  di  attivita', nonche' per le istanze relative alla modifica
delle  caratteristiche di emissione degli impianti gia' esistenti, il
meccanismo  del  silenzio-assenso  (art. 6),  e si disciplina in modo
completo   (art. 7)   l'effettuazione   di  opere  civili,  di  scavi
(assimilati  ad  ogni  effetto alle opere di urbanizzazione primaria:
art. 3,  comma 3) nonche' l'occupazione di suolo pubblico, prevedendo
anche  qui  il  meccanismo del silenzio-assenso (art. 7, comma 7, che
per alcuni casi fissa addirittura un termine di trenta giorni).
    Gli artt. 8 e 9 disciplinano poi il caso della condivisione dello
scavo  e della coubicazione dei cavi per telecomunicazioni nei centri
abitati   e   quello  in  cui  l'installazione  delle  infrastrutture
considerate  interessi  aree  di proprieta' di piu' enti (art. 9); si
prevedono gli oneri connessi alle attivita' in questione (art. 10) e,
altresi', limitazioni legali alla proprieta' privata (art. 11).
    L'art. 13  -  intitolato  "legislazione  regionale" - e' riferito
alle  sole  regioni  a  statuto  speciale.  Queste  "provvedono  alle
finalita' di cui al presente decreto, nell'ambito delle competenze ad
esse spettanti ai sensi dei rispettivi statuti e delle relative norme
di  attuazione,  secondo  quanto  disposto  dai singoli ordinamenti".
Mentre, dunque, sembra farsi salva, perlomeno in una certa misura, la
competenza  delle  regioni  a  statuto  speciale, viene completamente
pretermessa  e, in effetti, annullata, quella delle regioni a statuto
ordinario alle quali il decreto non dedica neppure un accenno.
    D'altro  canto  va  tenuto presente che la Regione Umbria, con la
legge  n. 9  del  14 giugno  2002,  intitolata  "Tutela  sanitaria  e
ambientale   dall'esposizione   ai   campi  elettrici,  magnetici  ed
elettromagnetici"  ed  emanata  nell'ambito dei principi fondamentali
enunciati  dalla  ricordata  "Legge  quadro  sulla  protezione  dalle
esposizioni  a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici" (legge
n. 36/2001)  e con specifico riferimento alle competenze indicate nel
suo  art. 8,  ha,  a  sua  volta,  gia' disciplinato la materia della
installazione  delle  infrastrutture di telecomunicazione contemplate
dal d.lgs. n. 198/2002 e delle relative autorizzazioni.
    In   particolare   tale   legge,   nel   regolare   (art. 1)  "la
localizzazione,  la  costruzione,  la  modificazione e il risanamento
degli  impianti  che  producono  emissioni" elettriche, magnetiche ed
elettromagnetiche   (compresi,   dunque,  quelli  radioelettrici,  di
telefonia mobile, di radiodiffusione e cosi' via), stabilisce innanzi
tutto   che,  nella  localizzazione  e  in  sede  di  rilascio  delle
autorizzazioni,   gestori  e  concessionari  debbono  dimostrare  "le
ragioni  obiettive  della  indispensabilita'"  degli  stessi  ai fini
dell'operativita' del servizio.
    Stabilito,  altresi',  l'accesso  da  parte di "chiunque" ai dati
ambientali  relativi a detti impianti (art. 3), all'art. 4 si prevede
che  nelle  "aree sensibili" (zone ad alta densita' abitativa o nelle
quali  siano  presenti  strutture  di tipo assistenziale, sanitario o
educativo)  nonche'  nelle  aree  in  cui si trovano beni culturali e
ambientali,  individuate  e  perimetrate  dai comuni, l'installazione
degli  impianti  puo'  essere  esclusa  ed  e'  comunque sottoposta a
particolari restrizioni.
    Agli  artt. 5,  6,  7,  8  e  9  si  prevedono  poi le competenze
programmatiche,   amministrative  e  tecniche  rispettivamente  della
regione,  delle  province,  dei  comuni (cui spetta il rilascio della
autorizzazioni,    l'identificazione    delle    "aree    sensibili",
l'approvazione dei piani di risanamento, l'individuazione dei siti di
installazione,  l'attivita'  di  controllo), dell'ARPA e delle Unita'
sanitarie locali.
    All'art. 10  si prevede poi l'istituzione di un "Comitato tecnico
scientifico",  con funzioni consultive e, all'art. 11, di un "Catasto
regionale"  delle  sorgenti  fisse  dei campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici.
    Particolarmente  significativo  e', poi, l'art. 12 che prevede la
sottoposizione  degli  impianti  di telefonia mobile a valutazione di
impatto ambientale.
    Infine  gli  artt. 14  e  15  sono dedicati alla disciplina delle
procedure e delle sanzioni amministrative.
    Come  si  puo'  constatare  il  d.lgs.  n. 198 del 2002 e la l.r.
dell'Umbria   n. 9   del   2002   riguardano   la   medesima  materia
disciplinandola  entrambi  in  modo  completo,  ma  collocandosi, nel
contempo, in una prospettiva totalmente diversa.
    Il  d.lgs.  n. 198/2002,  infatti  "liberalizza", per cosi' dire,
pressoche'  totalmente  il  settore, affermando, ad es., il principio
della   compatibilita'  degli  impianti  con  qualsiasi  destinazione
urbanistica  di  zona  e  la  loro realizzabilita' "in ogni parte del
territorio  comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad
ogni  altra  disposizione  di  legge  o di regolamento", introducendo
nella  materia  l'istituto  della  denuncia  di inizio di attivita' e
quello  del  silenzio-assenso,  non  prevedendo  alcuna  procedura di
impatto ambientale e cosi' via.
    La  legge  regionale  dell'Umbria  n. 9  del  2002,  per  contro,
ispirandosi  al  principio  di  precauzione enunciato dal trattato CE
(art. 174,  par.  2)  e specificato, attraverso una normativa pure di
principio,  dalla  legge  quadro  n. 36 del 2001, prevede verifiche e
controlli  da parte dell'amministrazione pubblica, individuando, come
si  e'  visto, "aree sensibili", stabilendo standard, specificando la
necessita' della valutazione di impatto ambientale e cosi' via.
    Ad   avviso   della   regione   Umbria,  il  decreto  legislativo
4 settembre  2002,  n. 198,  risulta costituzionalmente illegittimo e
lesivo della sfera regionale di competenza per i seguenti motivi

                            D i r i t t o

    1.     -     Illegittimita'     costituzionale    derivata    per
incostituzionalita' della legge n. 443/2001.
    Come  detto,  il d.lgs. qui impugnato costituisce, o almeno (come
si dira) asserisce di costituire, attuazione della legge n. 443/2001.
    La  Regione  Umbria  ha  impugnato  tale  legge  per  ragioni che
permangono inalterate e che si riflettono inevitabilmente sul decreto
legislativo  n. 198/2002,  oggetto  della  presente impugnazione: per
semplicita'  sia  consentito  dunque rinviare qui alle argomentazioni
svolte  nel  ricorso  proposto  da  questa  regione  contro  la legge
n. 443/2001.
    Si  noti  che tali argomentazioni non sono affatto superate dalle
modifiche introdotte con la legge n. 166 del 2002: se e' vero infatti
che  tale  legge ha, quanto alla programmazione delle opere, previsto
(ancorche' solo per il futuro) procedure di intesa sia con la singola
regione interessata sia con la Conferenza Stato-regioni, neppure tali
previsioni  hanno  modificato  l'impianto  fondamentale  della  legge
n. 443,  basato  sulla  attrazione  alla  competenza statale non solo
della  programmazione,  ma anche dell'approvazione dei progetti ed in
larghissima  misura  della  stessa  realizzazione  delle  opere - sia
pubbliche   che   private   -   mediante   la   semplice   soggettiva
qualificazione  delle  stesse  come  "strategiche"  e  di "preminente
interesse   nazionale".  Dunque,  a  parte  il  fatto  che  la  legge
n. 166/2002  non  incide  sul primo programma delle "grandi opere" di
cui  alla  delibera  CIPE  n. 121/2001  (cui  si  rifa' il d.lgs. qui
impugnato),  l'art. 11.  n. 443/2001  tuttora  contempla una generica
categoria  di  opere  pubbliche,  ben al di la' dei confini assegnati
alla  potesta'  legislativa  statale  dai  commi  2 e 3 dell'art. 117
Cost.,  non  potendo  piu'  valere  l'interesse nazionale ai fini del
ritaglio delle materie e, comunque, non potendo l'interesse nazionale
essere  rimesso  alla  discrezionale definizione del Governo (si noti
che  tale  ultimo principio gia' operava anche nel vigore del vecchio
titolo  V:  si pensi alla giurisprudenza costituzionale sul principio
di legalita' sostanziale degli atti di indirizzo e coordinamento).
    Dunque,  e'  evidente  che,  ove ritenuta da codesta ecc.ma Corte
costituzionale,   l'illegittimita'   costituzionale  delle  impugnate
disposizioni  della  legge  n. 443  del 2001 non puo' non riflettersi
direttamente  sulla  legittimita'  del  decreto  legislativo delegato
emanato in base ad essa.
    2.  -  Estraneita'  della  disciplina  del d.lgs. n. 198 del 2002
all'ambito  della delega operata dalla legge n. 443 del 2001. Difetto
assoluto di delega e violazione degli artt. 70, 76, 117 Cost.
    Come  sopra  esposto, l'art. 1, comma 2, legge n. 443/2001 delega
il  Governo  ad  emanare  uno  o  piu'  decreti  legislativi "volti a
definire  un  quadro  normativo finalizzato alla celere realizzazione
delle  infrastrutture  e  degli insediamenti individuati ai sensi del
comma  1", cioe' delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi
"strategici e di preminente interesse nazionale".
    Si  tratta, in pratica, delle c.d. "grandi opere": valichi, ponte
sullo stretto di Messina, opere stradali e ferroviarie ecc., cioe' di
opere specifiche e chiaramente individuate.
    Pare  chiaro che l'installazione di una pluralita' di antenne, di
tralicci,  di  impianti  radio-trasmittenti,  di  ripetitori  ecc. ed
a maggiore ragione la modifica degli impianti esistenti non rientrano
fra  le  grandi opere "di preminente interesse nazionale". Si tratta,
invece,  di  una miriade di piccole opere, la cui natura non muta per
il  fatto che l'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 198 le qualifica "opere di
interesse nazionale".
    La  natura  specifica  ed individua delle opere di cui alla legge
n. 443  risulta  evidente dalla considerazione dei principi e criteri
direttivi  dettati  dal  comma  2  dell'art,  1,  ai  quali i decreti
delegati sono tenuti ad attenersi. Dalla previsione della "finanza di
progetto"  (lett.  a)  al  riferimento  alla  procedure concessorie e
autorizzatorie,   che   hanno   specifico  riferimento  ai  "progetti
preliminari"  ed  alla  "localizzazione  dell'opera" da effettuare di
intesa  con  la  regione  competente (lett. b), alla attribuzione "al
CIPE, integrato dai presidenti delle regioni interessate", di diversi
compiti,  quali  "approvare  il  progetto  preliminare e definitivo",
"vigilare  sulla esecuzione dei progetti approvati", anche "adottando
i  provvedimenti  concessori  ed autorizzatori necessari, comprensivi
della  localizzazione  dell'opera  e, ove prevista, della VIA" (lett.
c),  e  via  via  allo  stesso  modo  per  tutti i principi e criteri
direttivi.  D'altronde,  la  non  riconducibilita'  del d.lgs. n. 198
all'art. 1,  comma 2, legge n. 443/2001 e' confermata chiaramente dal
fatto  che il d.lgs. n. 198 detta una disciplina che (ovviamente) non
si  ispira affatto ai principi direttivi della legge di delega: anzi,
il  d.lgs.  n. 198  si  "autodetta"  (nell'art. 1)  i propri principi
direttivi,  cosi' rendendo palese che esso non trova fondamento nella
legge n. 443/2001.
    Il  Governo ha dunque utilizzato impropriamente e strumentalmente
la  delega  di  cui  all'art. 1,  legge  n. 443/2001,  espandendo  il
concetto  di  infrastrutture  strategiche  e  di preminente interesse
nazionale al di fuori dell'ambito chiaramente definito dalla legge di
delega.
    Ne',  naturalmente,  tale  conclusione e' inficiata dal fatto che
l'allegato 5 della delibera CIPE n. 121/2001 contempli interventi nel
comparto  delle  telecomunicazioni:  a  parte  il  fatto che, come si
vedra',  l'allegato  5  prevede  solo  investimenti finanziari per la
realizzazione   di   reti,   se   il  d.lgs.  n. 198  e'  fuoriuscito
dall'oggetto  della  legge  di delega, la sua incostituzionalita' non
puo'  certo  essere  sanata  dal  fatto che un atto amministrativo ha
anch'esso applicato scorrettamente la legge n. 443/2001.
    Dunque,  il  decreto  legislativo  qui impugnato interviene nelle
materie di competenza residuale o concorrente regionale, senza alcuna
base  giuridica  nella  legge  di  delega, con conseguente violazione
dell'art. 117,  commi  2,  3  e  4 e dell'art. 70 della Costituzione,
usurpando  al tempo stesso i poteri legislativi delle Camere e quelli
delle regioni.
    3.  - Violazione dei principi e criteri direttivi stabiliti dalla
legge  di  delega  e  conseguente  violazione degli artt. 70, 76, 117
Cost.
    Si e' sopra accennato alla circostanza che il decreto legislativo
qui  impugnato  non  corrisponde  per  nulla  ai  principi  e criteri
direttivi stabiliti dalla legge di delega come riprova che esso e' in
realta'  estraneo  all'oggetto  stesso della delega. Cio' non toglie,
ovviamente,  che tale mancata corrispondenza sia anche autonomo vizio
delle disposizioni del decreto legislativo delegato.
    Praticamente,  nulla  di  cio'  che e' stabilito tra i principi e
criteri   direttivi   della   delega   trova   corrispondenza   nelle
disposizioni  del  decreto n. 198. Cio' e' stato gia' sopra ricordato
per  le  lettere  a),  b)  e  c)  del comma 2 dell'art. 1 della legge
n. 443,  ma  e'  ugualmente  vero  per  le  altre:  non  vi e' alcuna
disciplina  della  conferenza  di  servizi  (lett.  d),  meno  ancora
dell'affidamento mediante gara ad un unico soggetto contraente (lett.
e), dell'affidamento a contraente generale (lett. f), dell'obbligo di
rispetto  della  normativa europea in tema di appalti pubblici (lett.
g),  o  di  specifiche  deroghe alla vigente disciplina in materia di
aggiudicazione  e di realizzazione dei lavori pubblici (lett. h). Ne'
risultano  pertinenti,  senza che occorra qui indicarne singolarmente
gli  oggetti, i criteri di cui alle rimanenti lettere i), l), m), n),
o).
    Si  dira'  che  tali  principi e criteri direttivi non sono stati
seguiti perche' non si prestavano ad esserlo, date le caratteristiche
della  materia  trattata: ma questo da un lato non assolverebbe certo
un decreto legislativo delegato dalla censura di non avere rispettato
nessuno  dei  principi e criteri della delega, dall'altro costituisce
prova  proprio di cio' che qui si vuole dimostrare: che cioe' oggetto
e  principi  di  delega  e decreto legislativo delegato costituiscono
universi separati e non comunicanti.
    In  realta', la disciplina dettata dal Governo e' percorsa da una
radicale  contraddizione. Infatti, se - pur contro il senso normativo
della  legge  n. 443  -  si  fossero  volute  concepire  le "reti" di
telecomunicazione  come  "opere"  nel loro insieme, esse si sarebbero
dovute  considerare  nella  loro  globalita',  applicando  allora gli
istituti  generali  previsti  dalla  legge  n. 443  e dai principi di
delega   in  tema  di  approvazione  dei  progetti,  competenza  alle
concessioni,   approvazione  delle  localizzazioni  d'intesa  con  le
regioni  interessate,  tipologia  di  gara,  valutazione  di  impatto
ambientale  etc.  Si sarebbe trattato di un disegno in un certo senso
mostruoso,  e  radicalmente  espropriativo  delle  competenze locali,
oltre  che regionali, ma tale disegno avrebbe avuto una sua esteriore
corrispondenza  con le previsioni della legge n. 443 e con i principi
della delega.
    Se  invece  le  installazioni per le telecomunicazioni rimangono,
come   nel   decreto  legislativo  n. 198  rimangono,  singole  opere
individue,  soggette  ciascuna  alla sua disciplina in relazione alla
dimensione  singola  di essa, all'autorizzazione locale, etc., allora
si  esce  completamente  non  solo dall'oggetto ma anche dalla logica
normativa  della legge n. 443, e si pone in essere una disciplina che
non  ha piu' alcun contatto con quella della legge di delega, che non
e' legittimata da questa e che comunque ne viola i principi.
    La  contraddizione  della  disciplina di cui al d.lgs. n. 198 del
2002  con  la  legge n. 443 del 2001 emerge con chiarezza anche se si
considera   il   contenuto   dell'allegato   5  della  delibera  CIPE
n. 121/2001, pure richiamato nelle premesse del decreto.
    Infatti  l'allegato  5,  pur nella sua generale illegittimita' di
cui si e' detto in premessa, e pur non individuando affatto le opere,
per  le quali rinvia ad una successiva "distinta" (sic), si riferisce
pur  sempre  a  reti,  ovvero  a  progetti unitariamente concepiti ed
aventi  rilievo  giuridico  in quanto progetti unitari: "reti a banda
larga",  "reti  per  terminali"  e  "reti  per  televisione  digitale
terrestre".
    Invece,  come  sopra  osservato,  il  d.lgs. n. 198 disciplina in
realta'  i  singoli  impianti  (v.  l'art. 4, gia' citato) e le opere
civili  e gli scavi (art. 7), cioe', in pratica, "piccole opere" (per
quanto  pericolose  per la salute). Fra l'altro, lo schema di decreto
legislativo  sottoposto  al  parere  della  Conferenza  unificata  si
intitolava   Disposizioni   per  accelerare  la  realizzazione  delle
infrastrutture per le reti di telecomunicazioni, e le regioni avevano
chiesto  un  chiarimento  sull'oggetto  del  decreto,  ritenendo  non
coerente   il  titolo  dello  schema  con  l'art.  3  (corrispondente
all'attuale  art. 4),  che  contemplava  impianti non riconducibili a
reti (v. il parere della Conferenza unificata 20 giugno 2002, n. rep.
582, ed in particolare l'allegato A: doc. 3).
    L'allontanamento   della  normativa  qui  contestata  dall'ambito
normativo  e  dai principi della legge n. 443 del 2001 trova conferma
letterale  nell'art. 3,  comma  1,  secondo il quale "le categorie di
infrastrutture  di  telecomunicazioni,  considerate  strategiche"  ai
sensi dell'art. 1, comma, legge n. 443/2001, "sono opere di interesse
nazionale,  realizzabili  esclusivamente  sulla  base delle procedure
definite dal presente decreto". Ora e' agevole osservare che la legge
n. 443  del  2001 non prevedeva affatto ne' consentiva la definizione
di  "categorie" di opere che siano di preminente interesse strategico
in  quanto  astrattamente appartenenti alla categoria, ma prevedeva e
prevede l'individuazione di specifiche opere, in concreto individuate
a  mezzo  di  un  programma  come di interesse strategico. La regione
Umbria  ha  contestato  tale  disposizione  nel ricorso relativo alla
legge  n. 443:  ma  soltanto questa e' la disposizione nel cui ambito
puo' muoversi qualunque decreto legislativo delegato.
    Anche  questo  profilo  conferma  la  generale illegittimita' del
decreto  legislativo impugnato, ivi compreso l'art. 3 ora citato, per
estraneita'  alla  legge  n. 443,  e  comunque alla delega ed ai suoi
principi.
    Un  ulteriore diverso profilo di violazione della legge di delega
concerne  in particolare l'art. 3 d.lgs. n. 198, che eccede la delega
perche'  rende possibile la realizzazione delle infrastrutture "anche
in  deroga ... ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento",
laddove  l'art. 1,  comma  2,  legge n. 443 prevedeva solo una deroga
"agli  articoli 2, da 7 a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 32, 34, 37-bis,
37-ter e 37-quater della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive
modificazioni,  nonche'  alle  ulteriori  disposizioni della medesima
legge  che  non  siano  necessaria  ed  immediata  applicazione delle
direttive comunitarie".
    4. - Violazione degli artt. 76, 117 e 118 Costituzione.
    Con   riferimento  al  d.lgs.  n. 198/2002,  in  se'  e  per  se'
considerato,   si   osserva  innanzitutto  che  la  materia  da  esso
disciplinata   riguardante   l'installazione  di  infrastrutture  per
impianti   radioelettrici,   di   torri   e   tralicci,  di  impianti
radiotrasmittenti,    di    stazioni   radio   base   per   reti   di
telecomunicazioni  di  vario  genere  -  non  rientra sicuramente tra
quelle riservate allo Stato dal comma 2 dell'art. 117 Cost.
    Le  opere  in  questione  non appaiono, infatti, riconducibili ad
alcuna  delle espressioni usate dall'art. 117, comma 2, per designare
le   materie   considerate.   In  particolare,  non  potrebbe  essere
richiamata la materia di cui alla lett. s) del comma 2, indicata come
"tutela  dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", se non
per  quei  limitati  richiami alla tutela dell'ambiente contenuti nel
d.lgs.  qui  impugnato  (v.  l'art. 1,  lett. d) e lett. f) l'art. 4,
comma  1,  ultima  parte,  e  comma  2,  l'art. 5, comma 2 e comma 7,
l'art. 7, comma 5, l'art. 9, comma 3).
    Ne'  potrebbe  essere  invocata  la  lett. m), dato che il d.lgs.
n. 198  non  si  occupa certo di livelli essenziali delle prestazioni
concernenti  i  diritti, mirando invece a "massimizzare" i sistemi di
telecomunicazione.
    D'altra  parte e' lo stesso legislatore a escludere di aver agito
nell'esercizio  della potesta' esclusiva la dove asserisce all'art. 1
di   dettare   "principi   fondamentali"  nella  materia  considerata
lasciando,  cosi',  intendere  che il decreto si collochi nell'ambito
della potesta' legislativa concorrente.
    Se  non  che,  come  si e' argomentato nel ricorso contro la lege
n. 443/2001,  tra  le  materie di potesta' legislativa concorrente il
legislatore  costituzionale  ha indicato precise categorie di opere -
porti  e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione;
produzione   trasporto   e   distribuzione  nazionale  dell'energia;-
nell'ambito  delle  quali  le infrastrutture disciplinate dal decreto
impugnato non possono essere ricomprese.
    Neppure  la  normativa  in questione puo' ricondursi alla materia
"ordinamento  della  comunicazione": la quale ha evidente riferimento
non   alle   infrastrutture,   ma   alle   regole  sostanziali  della
comunicazione,   a   tutela  della  liberta'  di  manifestazione  del
pensiero, della concorrenza, etc.
    Quanto  alla  materia  "tutela della salute", e' certo che, nella
specie,   il  d.lgs.  n. 198/2002  si  e'  collocato  in  una  simile
prospettiva in misura molto limitata (v. l'art. 1, lett. d) l'art. 4,
comma  1,  ultima frase, l'art. 5, comma 2 e comma 7, l'art. 7, comma
5,  l'art. 9,  comma  3), preoccupandosi invece, essenzialmente (come
dichiarato  sin  dall'intitolazione del provvedimento), di accelerare
le   procedure   di   realizzazione   delle  infrastrutture  da  esso
contemplate e subordinando, anzi, per certi aspetti, al conseguimento
di questo fine l'esigenza fondamentale di salvaguardare adeguatamente
la salute pubblica.
    Ne',  infine, il d. n. 198 puo' collocarsi nella materia "governo
del territorio", se non, al limite, per la censurabile (come si dira)
norma di cui all'art. 3, comma 2.
    Per  altro  verso, le nuove formule utilizzate dalla Costituzione
con  riguardo alle "materie di legislazione concorrente" indicate nel
comma  3 (la detta potesta' "spetta alle regioni" restando "riservata
alla  legislazione  dello  Stato"  "la  determinazione  dei  principi
fondamentali")  valgono  a  connotare  la stessa potesta' legislativa
"concorrente" in modo profondamente diverso rispetto al passato (come
confermato  anche  da codesta Corte costituzionale nella sent. n. 282
del 2002). La "spettanza" alle regioni della relativa potesta' sta ad
indicare  che  quest'ultima  si estende all'intera materia al massimo
grado  compatibile  con  le esigenze di unita' dell'ordinamento che i
"principi  fondamentali"  dovrebbero  necessariamente  esprimere.  Ne
discende  che le formule utilizzate non possono essere utilizzate per
ritagliare  spazi  da recuperare allo Stato, come avverrebbe nel caso
di  specie  ove  si  pretendesse  di  ricomprendere  nell'espressione
"governo  del  territorio"  o  in  quella  "tutela  della  salute" la
disciplina    della    realizzazione    delle    infrastrutture    di
telecomunicazioni.
    La  verita'  e' che nella materia oggetto del decreto legislativo
qui  impugnato  spetta  alle  regioni  una potesta' legislativa piena
salvi  gli aspetti relativi alla tutela dell'ambiente, della salute e
quelli   collegati   al   governo   del   territorio   (cioe',   alla
localizzazione  delle opere, in quanto si tratti di opere in grado di
incidere sul "governo" del territorio).
    E'  precisamente  in un simile contesto che si collocano la legge
statale  n. 36/2001 ("legge quadro sulla protezione dalle esposizioni
a   campi  elettrici  magnetici  ed  elettromagnetici")  e  la  legge
regionale  dell'Umbria  n. 9/2002  ("Tutela  sanitaria  e  ambientale
dall'esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici").
    Nondimeno,  anche a voler ammettere che il d.lgs. n. 198/2002 sia
stato   emanato  solo  nell'esercizio  di  una  potesta'  legislativa
concorrente (secondo la sua stessa intenzione, espressa dall'art. 1),
si  perviene  ugualmente  alla  conclusione  della sua illegittimita'
costituzionale  per  contrasto  con l'art. 117 Cost. Infatti, benche'
l'art. 1   d.lgs.   n. 198   dichiari   che   esso   detta  "principi
fondamentali",  la  realta' e' che esso detta una disciplina completa
ed  esauriente, che tende ad inibire qualsiasi intervento legislativo
regionale.
    Non  a  caso l'art. 3, comma 1 (gia' contestato sopra sotto altro
profilo),   prevede   che   "le   categorie   di   infrastrutture  di
telecomunicazioni,  considerate  strategiche"  ai  sensi dell'art. 1,
comma  1,  legge  n. 443/2001,  "sono  opere  di interesse nazionale,
realizzabili  esclusivamente  sulla base delle procedure definite dal
presente  decreto,  anche in deroga alle disposizioni di cui all'art.
8,  comma  1,  lettera  c) della legge 22 febbraio 2001, n. 36". Tale
art. 8,  comma  1,  lett.  c)  ha attribuito alle regioni (gia' prima
della  riforma  costituzionale) la competenza a definire le modalita'
di  rilascio  delle  autorizzazioni alla installazione degli impianti
considerati nella legge quadro.
    Con  cio'  si  viola, oltre tutto, la stessa delega conferita dal
Parlamento  (e,  quindi, l'art. 76 Cost.) secondo la quale il Governo
avrebbe  dovuto  elaborare  un  "quadro normativo" ovvero, secondo il
significato  proprio  della  espressione, un insieme di veri e propri
principi, lasciando adeguato spazio al legislatore regionale: come si
evince  anche  dalla  specificazione  secondo la quale il legislatore
delegato  doveva  esercitare  il  proprio  potere "nel rispetto della
attribuzioni   costituzionali  delle  regioni".  Tale  specificazione
serviva   non   a   "stabilire"   un  dovere  che  ovviamente  deriva
direttamente  dalla  Costituzione,  ma  a  richiamare  in concreto il
legislatore  delegato  alla  realta'  della  competenza  regionale in
materia: cosa che tale legislatore ha invece completamente disatteso.
    La  censura  qui esposta investe diverse disposizioni del decreto
legislativo:  oltre  agli  articoli  1  e 3 gia' esaminati, l'art. 4,
comma  1,  relativo  alle  infrastrutture  di  telecomunicazioni  per
impianti  radioelettrici,  l'art. 5  (Procedimenti  autorizzatori per
tali infrastrutture), l'art. 6 (Esiti e conseguenze), l'art. 7 (Opere
civili,   scavi   e   occupazioni   di   suolo   pubblico),  l'art. 8
(Condivisione    dello    scavo   e   coubicazione   dei   cavi   per
telecomunicazioni),   l'art. 9   (Reti  dorsali),  l'art.  10  (Oneri
connessi  alle  attivita'  di  installazione, scavo ed occupazione di
suolo pubblico), l'art. 12 (Disposizioni finali).
    Per tutte tali disposizioni, infatti, oltre alle censure generali
di  cui  ai  punti  1), 2) e 3) del presente ricorso vale l'ulteriore
censura di invasione della potesta' legislativa affidata alle regioni
in  via  esclusiva,  ai  sensi  dell'art. 117,  quarto  comma,  della
Costituzione,  o,  qualora  si  ritenesse  che  esse rientrano in una
materia   di   potesta'  concorrente,  di  invasione  della  potesta'
legislativa regionale concorrente, per il loro carattere dettagliato.
Inoltre  il  d.lgs.  n. 198 viola non solo l'art. 117 Cost.. ma anche
l'art. 118,  dato  che,  in  una  materia di competenza regionale, lo
Stato  attribuisce  potesta'  amministrative  (v.  in particolare gli
artt. 4 ss.).
    5.  -  Violazione  del  principio  di  parita' di trattamento tra
autonomie  regionali  e  de  principio  di  ragionevolezza,  entrambi
riconducibili all'art. 3 Cost. Violazione della delega.
    L'art.  13,  che  non forma specificamente oggetto della presente
impugnazione  (salve  le  ragioni  di  illegittimita'  che colpiscono
l'intero  decreto,  sopra  illustrate),  stabilisce che "le regioni a
statuto  speciale  e  le  province  autonome  di  Trento e di Bolzano
provvedono  alle  finalita'  di  cui al presente decreto, nell'ambito
delle  competenze ad esse spettanti ai sensi dei rispettivi statuti e
delle  norme  di  attuazione,  secondo quanto disposto dai rispettivi
ordinamenti".
    E'  palese  che  tale  disposizione - che rende rilevanti le sole
finalita' del decreto legislativo e demanda alle singole autonomie di
attuarle attraverso la propria normativa - e' stata concepita come se
fosse  ancora  vigente il precedente quadro costituzionale, nel quale
si  poteva  dire  a  priori  che le regioni ordinarie godevano di una
autonomia limitata rispetto a quelle speciali.
    Ora  tale  quadro  e'  mutato,  e  la  situazione  e'  molto piu'
articolata:  al  punto  che,  ai  sensi dell'art. 101, Cost. n. 3 del
2001,  e' proprio alle autonomie speciali che si estendono i poteri e
le    responsabilita'    delle   regioni   ordinarie,   quando   essi
siano maggiori di quelli delle autonomie speciali.
    Ora,  e' evidente che nella materia delle opere pubbliche e delle
infrastrutture  proprio  questa  e'  la situazione, essendo in genere
tale materia, tranne che per le opere menzionate dall'art. 117, comma
3, di competenza esclusiva regionale.
    Difetta  dunque una ragione giustificatrice di un trattamento per
le  regioni  ordinarie  differenziato  e  svantaggiato  rispetto alle
regioni  speciali. D'altronde, cio' e' presupposto anche dall'art. 1,
comma   2,   della   legge  n. 443  del  2001,  il  quale  impone  di
salvaguardare  le  autonomie  costituzionali delle regioni in genere,
non essendovi nella materia considerata differenze tra le ordinarie e
le  speciali,  in  virtu'  dell'estensione  alle  seconde delle nuove
autonomie stabilite per le prime.
    Per contro, come si e' visto, dal d.lgs. n. 198/2002 le regioni a
statuto  ordinario  non  vengono  neppure  nominate,  e  la normativa
dettata chiude ogni spazio a qualsiasi loro intervento.
    6.  -  Violazione  degli  artt. 3,  9,  32,  117  e  118  Cost. e
dell'art. 174 Trattato CE.
    Occorre   soffermarsi   ancora   sull'illegittimita'  di  singole
disposizioni,  in  relazione al loro specifico contenuto dispositivo,
sotto profili diversi da quello appena esaminato.
    Viene  in  rilievo,  in  primo  luogo,  l'art. 3,  comma  2  ("le
infrastrutture  di  cui  all'art.  4, ad esclusione delle torri e dei
tralicci  relativi  alle reti di televisione digitale terrestre, sono
compatibili   con   qualsiasi   destinazione   urbanistica   e   sono
realizzabili  in  ogni parte del territorio comunale, anche in deroga
agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di
regolamento"). Tale norma implica la completa liberalizzazione, sotto
il  profilo  urbanistico, del diritto di installazione degli impianti
di telecomunicazione, realizzando una vera e propria deregulation del
settore. Essa vanifica le previsioni degli strumenti urbanistici e, a
quanto  pare, rende persino superflua la concessione edilizia, la cui
necessita' per gli impianti in questione risulta peraltro chiaramente
dall'art. 3,  comma  1, d.lgs. n. 380/2001 (t.u. in materia edilizia,
che  entrera'  in  vigore  il  30 giugno  2003),  ai  sensi del quale
rientrano   fra   gli   "interventi   di  nuova  costruzione  ...  la
realizzazione  di  infrastrutture  e  di impianti, anche per pubblici
servizi,  che  comporti  la trasformazione in via permanente di suolo
inedificato"  e  "l'installazione  di  torri  e tralicci per impianti
radio-ricetrasmittenti   e   di   ripetitori   per   i   servizi   di
telecomunicazione".
    Cio'  privilegia  in  modo  esasperato ed irrazionale l'interesse
d'impresa all'installazione degli impianti, a scapito di interessi di
livello  costituzionale  come quello alla tutela del paesaggio di cui
all'art. 9  Cost.  e  quello  all'ordinato  sviluppo  urbanistico del
territorio,   ed  in  definitiva  oltre  il  limite  della  "utilita'
sociale",  con  conseguente  violazione dell' art. 41, secondo comma,
Cost.
    All'incostituzionalita'   per   questi  profili  della  norma  si
accompagnano  la lesione delle competenze amministrative regionali in
materia  urbanistica  (vanificandosi  le  scelte  compiute in sede di
pianificazione,   e   rendendo   superfluo   lo  stesso  concetto  di
urbanistica)  e persino la sottrazione alle regioni di competenze che
ad  esse erano riconosciute gia' nel vigore della precedente versione
del Titolo V della parte seconda: dato che, in base all'art. 8, comma
1,   lett.   a)   della   legge   n. 36/2001,   spetta  alle  regioni
l"'individuazione  dei  siti  di  trasmissione  e  degli impianti per
telefonia  mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per
radiodiffusione".  A maggiore ragione tale competenza non puo' essere
sottratta alle regioni nel nuovo quadro costituzionale.
    Inoltre,  stabilendo l'art. 3, comma 2, la derogabilita' di "ogni
disposizione  di  legge",  si  viola  anche  la  potesta' legislativa
regionale  in  materia edilizia, riconosciuta dall'art. 117, comma 4,
Cost.
    L'art. 4, comma 1, attribuisce il potere autorizzatorio agli enti
locali,    previo   accertamento   da   parte   dell'A.R.P.A.   della
compatibilita' del progetto "con i limiti di esposizione, i valori di
attenzione  e  gli  obiettivi  di qualita', stabiliti uniformemente a
livello nazionale in relazione al disposto" della legge n. 36/2001.
    Anche  tale norma segna una illegittima sottrazione di competenza
regionale  in  materia,  dato  che  l'art. 3, comma 1, lett. d) legge
n. 36/2001   definisce   "obiettivi   di   qualita'  ...,  i  criteri
localizzativi,   gli  standard  urbanistici,  le  prescrizioni  e  le
incentivazioni  per l'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili,
indicati   dalle  leggi  regionali  secondo  le  competenze  definite
dall'art.  8".  Alludendo invece ad obiettivi di qualita' stabiliti a
livello  nazionale,  l'art. 4  d.lgs. n. 198 pregiudica la competenza
regionale  quale  definita,  in  attuazione della Costituzione, dalla
legge n. 36/2001.
    Inoltre,   secondo  l'art. 117,  comma  secondo,  lo  Stato  puo'
definire  soltanto  le funzioni fondamentali, degli enti locali. Ora,
tale   disposizione   e'   stata   oggetto  in  dottrina  di  diverse
interpretazioni  ma  sembra  evidente  che,  per  quanto  si  volesse
assumere   una   nozione  lata  di  tale  concetto,  in  nessun  caso
l'attribuzione  di una singola competenza autorizzativa in materia di
impianti  potrebbe rientrarvi. Anche sotto tale profilo e' violata la
Costituzione e la riserva di competenza legislativa alle regioni.
    Vengono  poi  in  rilievo  le  norme  che  prevedono  la semplice
denunzia di inizio attivita' per gli impianti con potenza inferiore a
20  Watt  (art. 5 comma 2) e quelle che prevedono il silenzio-assenso
nel  procedimento  di  autorizzazione  (v. art. 6, comma 1, e art. 7,
comma  7). Trattandosi di impianti comunque pericolosi per la salute,
dato  che  sarebbero  posti  in qualunque posizione, senza regole che
fissino  distanze  minime  dalle abitazioni, tali norme attribuiscono
una  esasperata  ed  irrazionale preferenza all'interesse alla celere
realizzazione  degli  impianti a discapito dell'interesse alla salute
ed alla tutela dell'ambiente (artt. 9 e 32 Cost.).
    Risulta   anche   ed  in  particolare  violato  il  principio  di
precauzione  di  cui  all'art. 174,  comma 2, del Trattato istitutivo
della  CE  ("La politica della comunita' in materia ambientale mira a
un  elevato  livello  di tutela, tenendo conto della diversita' delle
situazioni  nelle  varie regioni della comunita'. Essa e' fondata sui
principi  della  precauzione e dell'azione preventiva ..."), recepito
dalla   totalita'  delle  leggi  regionali  vigenti  in  materia  (v.
l'art. 1,  comma 1,  l.r.  Umbria  n. 9/2002).  In  una materia cosi'
delicata  non ci si puo' affidare sulla "autodisciplina" dei privati,
prevedendo    denunce   di   inizio   attivita'   e   meccanismi   di
silenzio-assenso.
    La  censura  di  incostituzionalita'  qui  prospettata include la
lesione  della sfera di competenza regionale, perche' la legislazione
e l'amministrazione regionale vengono costrette in un quadro di norme
statali   illegittime,   del]  quali  dovrebbero  comunque  subire  i
contenute  addivenendo  a statuizioni legislative ed amministrative a
loro volta di conseguenza illegittime.
    Si rilevi poi che la competenza concorrente statale in materia di
tutela  della  salute ha il suo senso costituzionale nell'idea che lo
Stato  ne  sia  l'ultimo  garante, e non certo nell'idea che lo Stato
possa metterla a repentaglio, in contrasto con le leggi regionali che
stabiliscono  piu'  elevati  livelli  di  tutela,  in  conformita' al
diritto comunitario.
    In   ogni   modo,   nell'ambito   del   riparto   di   competenza
costituzionale  lo  Stato  avrebbe dovuto limitarsi a porre principi,
lasciando  alle  regioni  di  attuarli  e  svilupparli: e non dettare
invece  norme  direttamente  operative,  autoapplicabili  dai privati
interessati.
                              P. Q. M.
    Con riserva di ulteriormente argomentare, la regione Umbria, come
sopra   rappresentata   o   difesa,   chiede   che   l'ecc.ma   Corte
costituzionale  voglia  dichiarare  costituzionalmente illegittimo il
d.lgs.  n. 198 del 2002, sotto i profili e per le ragioni esposte nel
ricorso.
        Padova-Perugia, addi' 8 novembre 2002
       Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Maurizio Pedetta
02C1068