N. 532 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 settembre 2002
Ordinanza emessa il 20 settembre 2002 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Fusco Antonio ed altri e Ministero dell'interno Impiego pubblico - Controversie promosse dalle organizzzazioni sindacali ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300/1970 (repressione condotta antisindacale del datore di lavoro) - Devoluzione al giudice amministrativo qualora il comportamento antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti ai rapporti d'impiego di cui all'art. 3 d.lgs. n. 165/2001 - Mancata previsione - Irragionevolezza - Incidenza sul diritto di difesa e sul principio del giudice naturale. - Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 3. - Costituzione, artt. 3, 24 e 25.(GU n.48 del 4-12-2002 )
IL GIUDICE DI PACE Letti gli atti osserva quanto segue. Il sindacato italiano appartenenti alla polizia (SIAP), nonche' i dipendenti del Ministero dell'interno, l'ispettore Antonio Fusco ed il vice ispettore Giampaolo Pavanello, entrambi in servizio presso il VI reparto mobile, rispettivamente responsabile e segretario della SIAP in seno al predetto reparto, ricorrono ai sensi dell'art. 28 legge 300/1970 (legge detta anche statuto dei lavoratori) avverso due provvedimenti con cui il Fusco e' stato trasferito alla Polfer di Genova (provvedimento comunicato il 17 aprile 2002), il Pavanello alla questura di Genova (provvedimento comunicato il 23 aprile 2002). A sostegno del ricorso assumono che i provvedimenti di cui sopra, sommariamente motivati con il generico richiamo a "pressanti ed inderogabili esigenze di servizio", sono affetti dai seguenti vizi: a) mancata previa consultazione del sindacato (SIAP) con violazione dell'art. 88 comma 4 della legge 1 aprile 1981, n. 121, che dispone "i trasferimenti ad altre sedi di appartenenti alla Polizia di Stato che ricoprono cariche sindacali possono essere effettuati sentita l'organizzazione sindacale di appartenenza"; b) violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 per difetto di motivazione; c) violazione dell'art. 1 della legge n. 24/1990 per inosservanza dei criteri di economicita' e di efficacia; d) eccesso di potere in quanto il vero scopo dei trasferimenti in questione e' stato l'allontanamento del Fusco e del Pavanello dal VI reparto mobile per impedir loro di svolgere attivita' sindacale nelle vesti gia' precisate di responsabile e di segretario del SIAP; e) eccesso di potere per carenza di istruttoria; f) eccesso di potere contraddizione con precedenti manifestazioni di volonta'; g) violazione del principio del buon andamento. Vanno subito rilevati due aspetti. Il primo riguarda la natura dei rapporti di lavoro degli attori Fusco e Pavanello con il ministero convenuto; trattasi di rapporti non investiti dalla c.d. "privatizzazione" del pubblico impiego, ma rimasti in regime di diritto pubblico ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. 165/2001, e la cui cognizione resta demandata al g.a. in forza dell'ultima parte del quarto comma dell'art. 63 del d.lgs. 165/2001. Il secondo aspetto concerne la natura dei motivi addotti a sostegno del presente ricorso. E' chiaro che tutti denunciati vizi dei trasferimenti impugnati prospettano un pregiudizio a carico dei dipendenti che ne sono destinatari. Ma soltanto quelli sub a) e sub d) attengono a profili di antisindacalita' dei trasferimenti stessi, perche' prospettano un pregiudizio anche per l'organizzazione sindacale ricorrente. Pertanto in ordine alla controversia introdotta con motivi che deducono la violazione di posizioni soggettive facenti capo esclusivamente al Fusco ed al Pavanello andrebbe dichiarata la inammissibilita' del ricorso per difetto di legittimazione a agire quanto alla domanda proposta dall'organizzazione sindacale, e quanto alla domanda proposta dai dipendenti, per difetto di giurisdizione ai sensi del combinato disposto degli artt. 63 quarto comma e 3 del d.lgs. 165/2001. I residui motivi sub a) e d) sollevano un grave problema di giurisdizione, cui sono connessi profili di illegittimita' costituzionale che saranno subito esaminati. E' opportuno un richiamo ad alcuni principi di fondo per bene intendere la problematica che si va ad affrontare. Come e' noto il comportamento viziato da antisindacalita' puo' configurarsi come monoffensivo se pregiudica solo il sindacato, oppure plurioffensivo se pregiudica anche situazioni soggettive individuali facenti capo al singolo (o a singoli) lavoratore (lavoratori). Ai primi tempi dell'applicazione dello statuto dei lavoratori una parte minoritaria della dottrina ha sostenuto l'applicabilita' dell'art. 28 dello statuto medesimo si soli comportamenti monoffensivi. Ma tale opinione, che si puo' chiamare restrittiva, e' rimasta del tutto isolata e non e' stata seguita dalla giurisprudenza per una molteplicita' di ragioni. Innanzitutto appare in contrasto con la chiara lettera della legge la cui ampia formulazione: "... comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della liberta' e della attivita' sindacale nonche' del diritto di sciopero" mal si concilia con una lettura riduttiva. Inoltre l'art. 28 della legge n. 300/1970, proprio nel passo appena trascritto, si riferisce espressamente anche alla lesione del diritto di sciopero che riveste, secondo l'opinione dominante, natura individuale (o almeno anche individuale). Ma soprattutto la tesi in esame non e' accettabile perche' in evidente contrasto con la ratio che ispira il citato articolo 28 e che va ravvisata nell'intento di promuovere la presenza del sindacato in azienda assicurandogli una adeguata tutela. Tale intento sarebbe assai inadeguatamente realizzato ove fosse accolta la opinione restrittiva. Rimarrebbero infatti fuori dall'operativita' della cennata norma tutti i pregiudizi arrecati dal datore all'organizzazione sindacale che fossero contestuali alla lesione di una posizione individuale del lavoratore; ed in non pochi casi si tratterebbe proprio dei pregiudizi piu' insidiosi a carico del sindacato (basti pensare ad un licenziamento, o ad un trasferimento viziati da motivi antisindacali). In proposito e' stata ampiamente sottolineata la convergenza dei diritti individuali di liberta' e di attivita' sindacale (compreso il diritto di sciopero) e dell'interesse proprio del sindacato ad una loro tutela rapida ed efficace in occasione di una condotta antisindacale del datore. Si puo' quindi concludere che l'interprete, accogliendo la tesi restrittiva in esame, incorrerebbe in un macroscopico fraintendimento dello spirito informatore del menzionato art. 28, norma configurata dal legislatore dello statuto, come e' stato efficacemente osservato, la chiave di volta che assicura nella sua attuazione pratica la credibilita' dei principi stessi e di gran parte delle statuizioni contenute nello statuto. Ma la tesi non restrittiva, che e' nettamente prevalsa sia in dottrina che in giurisprudenza, se indubbiamente condivisibile perche' in linea con lo spirito dello statuto dei lavoratori, ha fatto sorgere delicati problemi di ordine processuale. Una controversia promossa dal sindacato ex art. 28 legge n. 300/1970, ed avente ad oggetto un comportamento plurioffensivo che si assume viziato da antisindacalita', sfocia in una decisione che coinvolge anche la posizione soggettiva del lavoratore interessato (ad esempio decide sulla legittimita' o meno, sotto il medesimo profilo, di un licenziamento), il quale, se non ammesso ad interloquire nel processo, vede violato il proprio diritto di difesa. E' pur vero che il lavoratore interessato puo', avverso il comportamento del datore da cui si ritiene leso, promuovere un autonomo giudizio ai sensi degli artt. 413 ss. c.p.c.; ma tale possibilita' complica la problematica in esame perche' introduce la coesistenza di due azioni giudiziarie aventi ad oggetto l'accertamento, in via principale, della legittimita' o meno, sotto il medesimo profilo, di un determinato comportamento del datore di lavoro. Il tutto con pericolo di contrasto di giudicati. Ad esempio un denunciato vizio di antisindacalita', che inficerebbe un licenziamento, potrebbe essere ritenuto sussistente in sede di controversia ex art. 28 legge n. 300/1970, con conseguente condanna alla reintegra, e nel contempo essere da altro giudice, adito con ricorso ex art. 413 c.p.c., ritenuto insussistente con conseguente dichiarazione della sopravvenuta legittima risoluzione del rapporto di lavoro. L'ampio e ben noto dibattito che si e' svolto in dottrina sul delicato tema in questione si e' articolato in una pluralita' di posizioni a seconda del concetto cui si e' fatto ricorso per avviare a soluzione la problematica appena prospettata: si e' fatto ricorso al concetto di giurisdizione sui fatti; alla figura di sostituzione processuale; alla nozione di litisconsorzio necessario; al concetto di pregiudizialita' dipendenza. Non e' certo questa la sede per esaminare le varie teorie in proposito elaborate; qui preme osservare che tutte le posizioni dottrinali di cui si e' fatto cenno sono mosse da un motivo ispiratore comune: assicurare un collegamento, mediante riunione, tra azione ex art. 28 n. legge n. 300/1970 ed azione ordinaria per evitare un possibile conflitto di giudicati, ed assicurare al lavoratore, per salvaguardare il suo diritto di difesa, l'intervento nel procedimento speciale promosso dal sindacato, almeno nella seconda fase del procedimento, quella instaurata a seguito di opposizione al decreto che chiude la prima. Il problema cosi' affrontato dalla dottrina restava insoluto nel pubblico impiego, atteso che la controversia promossa dal sindacato e quella promossa dal lavoratore interessato erano rispettivamente demandate alla cognizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo. E' chiaro che non e' praticabile la riunione fra due processi pendenti avanti a diverse giurisdizioni; e l'eventuale ricorso all'istituto della pregiudizialita', per prevenire un possibile contrasto fra giudicati, avrebbe (ammessa la pregiudizialita' dell'azione ex art. 28 legge n. 300/1970) leso il diritto di difesa del lavoratore non legittimato ad intervenire nel giudizio avanti al giudice ordinario, con intervento adesivo autonomo, per tutelare una sua posizione soggettiva deducibile solo avanti al giudice amministrativo. Per ragioni del tutto analoghe sarebbe rimasto leso il diritto di difesa dell'organizzazione sindacale qualora si fosse ritenuto pregiudiziale il procedimento ordinario instaurato dal lavoratore ex artt. 413 ss. c.p.c. Al cospetto di siffatti gravi inconvenienti la giurisprudenza della Corte di cassazione si era orientata nel senso di ammettere, nei confronti di enti pubblici non economici, l'azione ex art. 28 legge n. 300/1970 solo avverso comportamenti del datore c.d. monoffensivi, vale a dire legittimando le associazioni sindacali a dedurre, con lo speciale procedimento avanti al giudice ordinario, posizioni soggettive proprie ed esclusive di esse, senza coinvolgimenti di singoli rapporti di pubblico impiego (vedi tra le altre Cass., sez. lavoro n. 3477 del 1974, n. 3700 del 1974, nonche' n. 1558 del 1975). Tale soluzione si poneva tuttavia in grave contrasto con lo spirito informatore dello statuto medesimo perche' gravemente limitativa della tutela pur riconosciuta all'organizzazione sindacale e volta ad assicurarne l'effettiva presenza in azienda (vedi sul punto le considerazioni sopra svolte). La stessa Suprema Corte ha posto in discussione la propria giurisprudenza in talune ordinanze (vedi tra le altre le n. 104, 105 e 106 del 1980 in Gazzetta Ufficiale n. 118 del 30 aprile 1980) di remissione alla Corte costituzionale che, con sentenza 169/1982, ha dichiarato inammissibili (per motivi che non e' caso di approfondire in questa sede) le questioni avanti a lei prospettate. Il grave problema di cui si e' appena detto e' stato risolto con espresso intervento legislativo; l'art. 6 della legge n. 146/1990 ha disposto che avverso comportamenti antisindacali posti in essere dall'amministrazione statale, o da enti pubblici non economici, le organizzazioni sindacali legittimate propongono azione rispettivamente avanti al giudice ordinario od al giudice amministrativo, a seconda che il comportamento lamentato sia monoffensivo o plurioffensivo. E' stato cosi espressamente chiarito che la tutela accordata dall'art. 28 legge n. 300/1970 conserva la sua ampiezza anche nell'ambito del pubblico impiego, ed e' stato adeguatamente risolto il problema del coordinamento tra azione speciale ed azione ordinaria, consentendo tra l'altro al lavoratore interessato di interloquire nel procedimento promosso dall'organizzazione sindacale. Successivamente la norma, appena richiamata, introdotta dalla legge n. 146/1990 ed integrativa dell'art. 28 della legge n. 300/1970, e' stata abrogata dalla legge n. 83/2000 con una disposizione (articolo 4) del seguente testuale tenore: "i commi sesto e settimo dell'art. 28 della legge 20 maggio 1970 n. 300, introdotti dall'art. 6 comma 1, della legge 12 giugno 1990 n. 146, sono abrogati". Resta quindi applicabile l'art. 68 d.lgs 80/1998 che recita: "Sono devolute al giudice ordinario, in funzione del giudice del lavoro, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni al sensi dell'art. 28 della legge 20 maggio 1970 n. 300 ... "; norma testualmente ribadita dall'art. 63 del d.lgs. 165/2001. Ad avviso del giudicante questi ultimi interventi legislativi non hanno inteso limitare la azione ex art. 28 della legge n. 300/1970, riducendone il campo di operativita' avverso i soli comportamenti antisindacali monoffensivi posti in essere dalle pubbliche amministrazioni, e ripristinando cosi', nei rapporti con le pubbliche amministrazioni i principi affermati dalla giurisprudenza che si era formata in epoca precedente all'entrata in vigore della legge n. 146/1990. Siffatta interpretazione non appare, ad avviso del giudicante, condivisibile. Essa infatti si risolverebbe in una drastica riduzione, nell'ambito dell'impiego presso le pubbliche amministrazioni, della tutela accordata al sindacato, riduzione in netto contrasto con lo spirito informatore dello Statuto dei lavoratori (sul punto si richiamano le osservazioni sopra svolte). E' ragionevole ritenere che il legislatore, se avesse inteso introdurre innovazioni di cosi' rilevante portata (in senso negativo) per le organizzazioni sindacali, avrebbe manifestato in modo espresso la propria volonta', non avrebbe lasciato all'interprete il compito di ... leggerla tra le righe. In realta' la abrogazione dell'art. 6 della legge n. 146/1990 agevolmente si spiega ove si consideri che nel frattempo era sopravvenuta la c.d. privatizzazione del pubblico impiego con conseguente devoluzione al giudice ordinario, in veste di giudice del lavoro, delle controversie promosse dai dipendenti delle pubbliche amministrazioni. In questo nuovo quadro normativo non avrebbe avuto piu' senso demandare al giudice amministrativo le azioni promosse dal sindacato, ex art. 28 della legge n. 300/1970, avverso i comportamenti della pubblica amministrazione plurioffensivi. Anzi proprio nel nuovo quadro normativo tale soluzione avrebbe fatto rinascere quegli inestricabili problemi di coordinamento fra azione speciale ed azione ordinaria, le quali sarebbero rimaste rispettivamente demandate alla cognizione di diverse giurisdizioni, problemi che proprio l'articolo 6 della legge 146/1990 aveva inteso risolvere. Si deve tuttavia rilevare, in ordine alla abrogazione del citato art. 6, un difetto di coordinamento col quarto comma dell'art. 63 del d.lgs. 165/2001 (gia' comma 4 dell'art. 68 del d.lgs. 80/1998) che ha lasciato alla cognizione del giudice amministrativo le controversie contro le pubbliche amministrazioni promosse dai dipendenti indicati dall'art. 3 del d.lgs. 165/2001, fra cui appunto il personale delle Forze di polizia di Stato. In questo ambito si ripristinano, a seguito dell'abrogazione dell'art. 6 della legge n. 146/1990, quelle incongruenze che avevano indotto la giurisprudenza ad ammettere, in tutto il pubblico impiego, l'azione ex art. 28 dello statuto dei lavoratori avverso i soli comportamenti antisindacali monoffensivi; incongruenze cui aveva posto rimedio proprio l'art. 6 della legge n. 146/1990. Cosi' nel caso in esame questo giudice, in relazione ai motivi di impugnazione sub a) e sub d) (vedi sopra), dovrebbe, ai sensi del terzo comma dell'art. 63 del d.lgs. 165/2001, ritenere la propria giurisdizione in ordine al procedimento speciale promosso dal SIAP, e dovrebbe nel contempo, ai sensi del quarto comma del medesimo articolo, ritenere il proprio difetto di giurisdizione in ordine alle domande proposte dal Fusco e dal Pavanello, con le quali vengono fatte valere situazioni soggettive individuali deducibili avanti al giudice amministrativo. Ebbene il terzo comma dell'art. 63 del d.lgs. 165/2001, nella parte in cui demanda alla cognizione del giudice ordinario, anziche' a quella del giudice amministrativo, il procedimento instaurato ex 28 della legge art. 300/1970 avverso comportamenti antisindacali lesivi anche di situazioni soggettive facenti capo al personale contemplato dall'art. 3 del d.lgs. 165/2001, presenta profili di illegittimita' costituzionale. Un primo profilo attiene al contrasto con l'art. 3 della Costituzione per manifesta irragionevolezza. Invero due controversie aventi il medesimo oggetto, vale a dire l'accertamento in via principale della illegittimita' dello stesso comportamento e per lo stesso vizio denunciato, sono demandate a differenti giurisdizioni, col gia' rilevato difetto di strumenti per prevenire i possibili contrasti fra giudicati. Appare chiaramente irragionevole (in ordine al principio di ragionevolezza quale limite posto alla discrezionalita' del legislatore vedi Corte costituzionale sentenza n. 72 e n. 87 del 1962; n. 7 del 1965; n. 94 del 1966; n. 103 del 1969; n. 190 del 1971; n. 9 del 1975) creare situazioni di possibili contrasti fra giudicati e nel contempo non delineare strumenti per prevenire siffatto grave inconveniente. Un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale attiene al contrasto con l'art. 24 della Costituzione. Il dipendente della pubblica amministrazione si vedrebbe leso nel proprio diritto di difesa perche' non sarebbe ammesso ad interloquire nel procedimento promosso dall'organizzazione sindacale avanti al giudice ordinario e diretto a decidere in via principale anche su di una posizione soggettiva del dipendente stesso. Un intervento in detto procedimento sarebbe, come gia' si e' detto, inammissibile perche' volto a far valere una situazione soggettiva del dipendente deducibile solo avanti al giudice amministrativo. E' ravvisabile poi una violazione del principio del giudice naturale, ex art. 25 della Costituzione, inteso quale giudice precostituito per legge, poiche' la medesima controversia viene demandata a due differenti giurisdizioni (il giudice ordinario od il giudice amministrativo) a seconda del soggetto da cui e' presa l'iniziativa giudiziaria. Alla stregua delle considerazioni svolte si deve ritenere non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale del terzo comma dell'art. 63 del d.lgs. 165/2001, nella parte in cui non demanda al giudice amministrativo le controversie promosse ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300/1970, qualora il comportamento antisindacale dedotto sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti ai rapporti di impiego previsti dall'art. 3 del d.lgs. 165/2001. La questione oltre che non manifestamente infondata, per le ragioni gia' esposte, appare anche rilevante al fine del decidere. Infatti il giudicante, al sensi del combinato disposto dei commi 3 e 4 dell'art. 63 del d.lgs. 165/2001, e sempre in relazione ai motivi sub a) e sub d) del ricorso introduttivo (vedi sopra), dovrebbe ritenere la propria giurisdizione in ordine alla domanda proposta dall'organizzazione sindacale ricorrente, mentre dovrebbe dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in ordine alle domande proposte dal Fusco e dal Pavanello; l'accoglimento della prospettata questione di illegittimita' costituzionale avrebbe invece quale conseguenza la dichiarazione del difetto di giurisdizione in ordine alle domande proposte da tutti gli attori.
P. Q. M. 1) Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 63 comma 3 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, per contrasto con gli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione, nella parte in cui non demanda alla cognizione del giudice amministrativo le controversie promosse dalle organizzazioni sindacali ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300/1970, qualora il comportamento antisindacale dedotto sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti ai rapporti di impiego previsti dall'art. 3 del d.lgs. 165/2001; 2) dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il presente giudizio; 3) ordina che la presente ordinanza, di cui e' stata data lettura in udienza, sia, a cura della cancelleria, notificata al Presidente del Consiglio dei ministri, e sia comunicata ai Presidenti del Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il giudice: Gelonesi 02C1098