N. 509 SENTENZA 20 novembre - 4 dicembre 2002

Giudizio su conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Atto  introduttivo  del  giudizio  - Asserita carenza di requisiti di
  forma e di contenuto - Eccezione di inammissibilita' - Rigetto.
Parlamento - Immunita' parlamentari - Dichiarazioni rese nel corso di
  una  comunicazione privata intra moenia tra parlamentari - Giudizio
  civile  per  risarcimento danni - Deliberazione di insindacabilita'
  della  Camera  di  appartenenza  dei  parlamentari  -  Ricorso  per
  conflitto  di  attribuzione  del  Tribunale  di Roma - Fondatezza -
  Annullamento conseguente della delibera di insindacabilita'.
- Deliberazione della Camera dei deputati 15 luglio 1998.
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.49 del 11-12-2002 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Cesare RUPERTO;
  Giudici:  Riccardo  CHIEPPA,  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio ONIDA,
Carlo  MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,
Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  delibera  della  Camera  dei  deputati  del
15 luglio   1998,   relativa  alla  insindacabilita'  delle  opinioni
espresse  dal  deputato Fabio Mussi nei confronti del deputato Cesare
Previti,  promosso  con  ricorso del Tribunale di Roma - sezione XIII
civile,  notificato il 2 maggio 2000, depositato in cancelleria il 17
successivo ed iscritto al n. 22 del registro conflitti 2000.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito nell'udienza pubblica del 9 luglio 2002 il giudice relatore
Piero Alberto Capotosti ;
    Udito l'avvocato Sergio Panunzio per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il Tribunale di Roma, XIII sezione civile, nel corso di un
giudizio  civile  di  risarcimento danni promosso dal deputato Cesare
Previti  nei  confronti  del  deputato  Fabio  Mussi  ed  altro,  con
ordinanza  in  data 3 novembre 1999, depositata presso la cancelleria
della  Corte  il  successivo  24 novembre,  ha sollevato conflitto di
attribuzionetra   poteri  dello  Stato  in  relazione  alla  delibera
adottata  dalla  Camera  dei  deputati  il  15 luglio 1998 (documento
IV-quater n. 30), chiedendo che la Corte dichiari che non spetta alla
Camera   dei   deputati   dichiarare   l'insindacabilita',  ai  sensi
dell'art. 68,  primo  comma,  della Costituzione, "dei fatti oggetto"
del  giudizio  civile  e  che,  conseguentemente, annulli la relativa
deliberazione adottata dalla Camera nella seduta del 15 luglio 1998.
    2.  -  Il  tribunale  premette  che il deputato Cesare Previti ha
convenuto  in  giudizio,  tra  gli  altri,  il  deputato Fabio Mussi,
chiedendone  la  condanna  al risarcimento dei danni subiti a seguito
delle    dichiarazioni,    asseritamente    diffamatorie,   rese   da
quest'ultimo,  pubblicate  sul  periodico  "Milano  Finanza"  in data
29 gennaio   1998.   In   particolare,   il  convenuto  avrebbe  reso
dichiarazioni  lesive  della  reputazione del deputato Cesare Previti
nel   corso   di  una  conversazione  avuta  con  un  altro  deputato
all'interno  della  buvette della Camera dei deputati, utilizzando un
tono  di voce tale da rendere percepibile il colloquio ad oltre dieci
metri,  al punto da essere ascoltato da uno dei giornalisti presenti,
il quale ne riportava il contenuto sul periodico sopra indicato.
    Il  convenuto  -  prosegue l'ordinanza - ha contestato la domanda
eccependo  l'insindacabilita'  delle  dichiarazioni ex art. 68, primo
comma,  della  Costituzione  e,  all'udienza  del  1 ottobre 1998, ha
prodotto  la  deliberazione  adottata dalla Camera dei deputati nella
seduta  del  15 luglio  1998  con  la  quale,  in  accoglimento della
proposta  formulata dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere in
giudizio,  e' stata dichiarata l'insindacabilita' delle dichiarazioni
del  deputato Fabio Mussi, in quanto rese da un membro del Parlamento
nell'esercizio delle funzioni parlamentari.
    2.1. - Il Tribunale di Roma deduce che l'autorita' giudiziaria e'
legittimata a sollevare conflitto di attribuzioni in riferimento alla
delibera di insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati, allo
scopo  di ottenere che la Corte accerti se la Camera abbia esercitato
correttamente  il  potere  ad  essa  spettante  e  se  vi  sia  stata
un'illegittima   interferenza   nelle   attribuzioni   dell'autorita'
giudiziaria,  determinata  dalla sussistenza di vizi del procedimento
ovvero da una inesatta valutazione delle condizioni e dei presupposti
richiesti   dall'art. 68,   primo   comma,  della  Costituzione,  che
riguarderebbe  esclusivamente  i  casi  nei  quali  esiste  un  nesso
funzionale  tra le opinioni espresse dal deputato e l'esercizio della
funzione parlamentare.
    Nel  caso  in  esame,  osserva  il  tribunale,  la  Giunta per le
autorizzazioni   a   procedere   in  giudizio  ha  sostenuto  che  le
dichiarazioni  rese dal deputato Fabio Mussi sarebbero insindacabili,
in  quanto  costituirebbero  opinioni  "espresse,  nell'ambito  della
Camera,  da un parlamentare ad un altro parlamentare su questioni che
in  quel  torno  di  tempo, con riferimento all'on. Previti, venivano
discusse  in  Parlamento  e  in  ogni  parte  del Paese e che, per le
ragioni  che tutti sanno, hanno assunto un marcato rilievo politico",
le  quali  non perdono "la loro natura per essere espresse ad un solo
collega   invece   che  a  tutta  l'Assemblea,  o  per  essere  state
pronunciate  in  un  luogo  piuttosto  che  in un altro degli edifici
parlamentari,  magari  e  proprio  per  cio'  con  un linguaggio meno
curiale".  Inoltre,  "lo scambio di opinioni su questioni che abbiano
un   rilievo   politico   in  conversazioni  private  puo'  contenere
considerazioni  e  giudizi anche crudi che, proprio per la natura non
formale  della  comunicazione  privata,  non  hanno bisogno di quella
cautela  e  prudenza  che  ci  si aspetta nelle dichiarazioni formali
(...)  pertanto le conversazioni tra parlamentari che riguardino temi
politici (...) sono insindacabili".
    Il  tribunale contesta la correttezza delle argomentazioni svolte
nella  relazione  della  Giunta  per le autorizzazioni a procedere in
giudizio,  fatte  proprie dalla Camera dei deputati. A suo avviso, le
dichiarazioni  rese  dal  deputato  Fabio  Mussi,  in tesi, sarebbero
suscettibili  di  ledere la reputazione dell'attore in giudizio e non
sarebbero  state rese nell'esercizio delle funzioni parlamentari, non
rientrando tra queste "un colloquio personale, del tutto sganciato da
qualsiasi  atto,  tipico  o  atipico,  di  esercizio  di attribuzioni
parlamentari",  che,  in  quanto  tale, dovrebbe ritenersi "confinato
nella    sfera    della    libera    manifestazione   del   pensiero,
costituzionalmente  garantita  alla  generalita' (art. 21 Cost.), nei
limiti   connaturali   al  diritto  stesso,  spettando  all'autorita'
giudiziaria,  nell'esercizio del suo potere istituzionale, accertarne
la  violazione". Inoltre, secondo il tribunale, la circostanza che la
conversazione si e' svolta all'interno dell'edificio della Camera dei
deputati,  "peraltro  non  in  sede istituzionale, ma nella buvette",
sarebbe  insufficiente a far ritenere esistente il nesso di funzione;
l'eventuale   configurabilita'  delle  dichiarazioni  come  attivita'
politica  sarebbe  del pari insufficiente a far ritenere integrato il
presupposto  dell'art. 68,  primo  comma, della Costituzione, pena lo
svuotamento  del  nesso  di funzione e la violazione del principio di
eguaglianza  (art. 3  Cost.), a causa della ingiustificata disparita'
di  trattamento  che si determinerebbe tra i cittadini, a seconda che
essi rivestano o meno la carica di parlamentare.
    3.  -  Nel  giudizio  preliminare  di  delibazione  in  camera di
consiglio  il  conflitto  e'  stato dichiarato ammissibile (ordinanza
n. 80 del 2000).
    Dopo  l'avvenuta  notifica  alla  Camera dei deputati il 2 maggio
2000,   ed  il  deposito  in  cancelleria  il  successivo  17 maggio,
l'ordinanza  che  ha sollevato il conflitto e' stata pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n. 24, 1a serie speciale, del
7 giugno 2000.
    4.  -  La  Camera  dei  deputati  si e' ritualmente costituita in
giudizio,  chiedendo  -  nell'atto  di  costituzione  e nella memoria
depositata  in  prossimita'  dell'udienza pubblica - che il conflitto
sia  dichiarato  inammissibile  e, in via gradata, che sia dichiarato
infondato.
    4.  1.  - La difesa della Camera dei deputati eccepisce anzitutto
che   il  conflitto  sarebbe  inammissibile,  poiche'  sollevato  con
"ordinanza",  anziche'  con  "ricorso",  come  stabilito dall'art. 26
delle   norme   integrative   per   i   giudizi  davanti  alla  Corte
costituzionale,  ed  in quanto mancherebbero i requisiti di un valido
atto  introduttivo  del  giudizio. In particolare, a suo avviso, esso
"non soddisfa l'esigenza fondamentale di definizione delle specifiche
attribuzioni  dell'autorita'  giudiziaria  asseritamente  lese, ne' -
certamente - delle relative norme costituzionali di attribuzione", in
quanto  si  limita  a  sostenere genericamente la lesione "di una non
meglio   identificata   "sfera   di  attribuzione  costituzionalmente
garantita   ",  indicando  quale  parametro  costituzionale  soltanto
l'art. 68  della  Costituzione,  che  fonda il potere delle Camere di
deliberare   l'insindacabilita',  non  l'attribuzione  dell'autorita'
giudiziaria asseritamene lesa.
    4. 2. - Nel merito, secondo la resistente, la questione sollevata
con  il  conflitto richiederebbe di accertare se le opinioni espresse
all'interno  della Camera dei deputati da un parlamentare ad un altro
parlamentare  siano  in  quanto  tali  insindacabili ex art. 68 della
Costituzione, concernendo peraltro fatti oggetto di atti di sindacato
ispettivo  - puntualmente indicati - i quali assumerebbero importanza
non   tanto   allo  scopo  di  sottolinearne  la  corrispondenza  tra
dichiarazione  e  contenuto  degli  atti  stessi,  bensi'  al fine di
dimostrarne  la "valenza "politico-parlamentare ", in quanto rese nel
corso  di  una  conversazione  politica  tra due rappresentanti degli
schieramenti  politici  di maggioranza  e  di  minoranza,  relativa a
vicende  oggetto  di  interrogazioni  ed  interpellanze  e,  percio',
riconducibile ad un contesto parlamentare.
    Ad   avviso   della   Camera   dei  deputati,  la  giurisprudenza
costituzionale    ha    affermato   l'insindacabilita'   delle   sole
dichiarazioni  avvinte  da  un  "nesso  funzionale"  con  l'attivita'
parlamentare;  tuttavia,  poiche' la funzione parlamentare e' "libera
nel  fine"  e la tutela dell'autonomia delle istituzioni parlamentari
e'   fondata  sulla  "liberta'  della  rappresentanza  politica",  la
funzione  parlamentare  non  potrebbe  risolversi soltanto nei cc.dd.
"atti  tipici",  ma  dovrebbe  comprendere anche quelli presupposti e
consequenziali, cosi' da far ritenere insindacabili tutte le opinioni
rese   in  un  "contesto  parlamentare",  ancor  piu'  in  quanto  la
comunicazione   politica   si  sviluppa  in  un  ambito  comunicativo
costituito soprattutto dalla partecipazione di ogni parlamentare alle
funzioni  ed ai lavori delle Camere, tra l'altro, anche "nei colloqui
politici  -  piu'  o  meno  "confidenziali - che in Parlamento potra'
avere  anche  con  colleghi  di  altri gruppi di diverso orientamento
politico".
    Secondo  la  resistente, il rigore dell'orientamento piu' recente
della  giurisprudenza  costituzionale nell'identificare la ricorrenza
del  "nesso  di  funzione"  deriverebbe  dalla progressiva estensione
"spaziale"  attribuita all'insindacabilita' delle opinioni, che pero'
riguarda  il  caso  di  quelle rese extra moenia. In riferimento alle
opinioni  rese intra moenia - come nel caso in esame - la liberta' di
espressione  sarebbe, invece, illimitata, rinvenendo l'ampiezza della
guarentigia    ulteriore   conforto   nei   principi   di   autonomia
regolamentare  delle  Camere,  per quanto attiene al loro ordinamento
interno ed alla disciplina delle attivita' dei parlamentari (art. 64,
primo  comma, della Costituzione), e nella immunita' della sede delle
Camere  e  nei  poteri  di  polizia  interna previsti dai regolamenti
parlamentari  (Regolamento  della  Camera dei deputati, artt. 58 ss.;
Regolamento  del  Senato  della  Repubblica,  artt. 66  ss.), i quali
indurrebbero  a  ritenere  che  l'accertamento in ordine al "nesso di
funzione" possa essere meno rigoroso, qualora le opinioni siano state
espresse intra moenia.
    Ad  avviso  della  Camera dei deputati, le opinioni scambiate tra
parlamentari all'interno del Parlamento dovrebbero, quindi, ritenersi
insindacabili,  dato  che "elemento essenziale del parlamentarismo e'
appunto  la  discussione"  e  gli stessi atti parlamentari tipici non
nascono  da  una  solitaria  riflessione,  bensi' sono alimentati dal
confronto  costante. L'insindacabilita' non riguarderebbe soltanto le
dichiarazioni  rese  nell'Aula,  ma anche quelle espresse negli altri
ambienti  della  Camera  dei deputati, quali il "Transatlantico" e la
buvette  che  sono  ad  essa contigui e costituiscono luoghi in cui i
parlamentari  si  incontrano  e  dialogano  e  per  i  quali le norme
regolamentari  stabiliscono,  sotto  molteplici  profili,  un  regime
giuridico analogo a quello concernente l'Aula.
    5. - All'udienza pubblica la Camera dei deputati ha insistito per
l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.

                       Considerato in diritto

    1. - Il  conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato ha ad
oggetto  la  deliberazione con la quale la Camera dei deputati, nella
seduta  del 15 luglio 1998, ha dichiarato che i fatti, per i quali e'
in  corso  innanzi  al  Tribunale  di  Roma,  XIII sezione civile, un
giudizio  per  risarcimento  danni  nei  confronti del deputato Fabio
Mussi,  riguardano  opinioni  espresse  nell'esercizio delle funzioni
parlamentari   e   sono   conseguentemente  insindacabili,  ai  sensi
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Secondo  il tribunale ricorrente, la delibera impugnata lederebbe
la  propria  sfera  di  attribuzioni,  costituzionalmente  garantite,
poiche'  non  potrebbero  essere ritenute insindacabili dichiarazioni
rese  nel  corso  di  un  colloquio  privato,  del tutto sganciato da
qualsiasi  atto  di  esercizio di funzioni parlamentari. Ne' il fatto
che tali dichiarazioni siano avvenute all'interno dell'edificio della
Camera  dei  deputati  potrebbe  essere  sufficiente  a fare ritenere
sussistente, nella fattispecie in esame, il "nesso di funzione".
    2. - Preliminarmente va rigettata l'eccezione di inammissibilita'
del  conflitto sollevata dalla difesa della Camera dei deputati sotto
il  profilo  della  carenza  nell'atto  introduttivo dei requisiti di
forma e di contenuto prescritti.
    Va  infatti  osservato che, quanto alla forma dell'atto, non sono
state  prospettate  argomentazioni nuove, tali comunque da indurre la
Corte  ad  un  riesame della sua consolidata giurisprudenza sul punto
(cfr.  da  ultimo sentenza n. 51 del 2002). Quanto, poi, all'asserita
carente  indicazione  delle  "ragioni  del  conflitto" e delle "norme
costituzionali  che regolano il conflitto", va rilevato che dall'atto
stesso  si  ricava  una  sufficiente  esposizione  dei "fatti" - come
ammette   la   stessa   parte   resistente  -  quali  presupposti  di
applicabilita'  dell'art. 68,  primo  comma, della Costituzione, che,
secondo  questa  Corte  (cfr.  sentenza  n. 137  del  2001), e' norma
destinata a definire e limitare le rispettive sfere della prerogativa
parlamentare   e   della  giurisdizione,  per  cui  ogni  illegittima
estensione  dell'una  o dell'altra costituisce, di per se' stessa, la
"materia"  di  un  conflitto  per  indebita interferenza nelle altrui
attribuzioni costituzionali.
    3. - Nel merito il ricorso e' fondato.
    Il  conflitto di attribuzioni in esame ha come presupposto alcune
opinioni,  ritenute  lesive  dell'onorabilita'  del deputato Previti,
espresse  dal deputato Mussi nell'ambito di una conversazione privata
intercorsa  con altro membro del Parlamento all'interno della buvette
della Camera dei deputati, riferite da un periodico e per le quali e'
pendente un giudizio civile per risarcimento danni.
    Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte ad essa non
spetta  certo di valutare il merito del giudizio civile pendente, ma,
come  giudice  dei  conflitti,  di  valutare  in  concreto  l'ambito,
trattandosi di norma costituzionale, di quell'"esercizio di funzioni"
parlamentari al quale le opinioni in oggetto sono state ricondotte da
parte  della Camera di appartenenza in base all'art. 68, primo comma,
della  Costituzione.  Va  peraltro  rilevato  che,  in  ragione delle
descritte modalita' di svolgimento della vicenda, essa costituisce un
quid novi nell'ambito di applicazione dell'art. 68, primo comma, come
e'  stato  appunto  osservato  dalla  Giunta  per le autorizzazioni a
procedere.
    Proprio tali modalita' di svolgimento inducono a ritenere che non
si  tratti  di dichiarazioni rivolte all'esterno, ma piuttosto - come
esattamente  afferma  il relatore alla giunta per le autorizzazioni a
procedere  -  di una "comunicazione privata" tra due parlamentari, la
cui  pubblicazione  risulta  certo  non  autorizzata e immediatamente
smentita  da  entrambi,  escludendo  cosi'  ogni loro presunto animus
divulgandi.   Se   dunque  si  e'  al  di  fuori  dell'ipotesi  della
riproduzione    e   divulgazione   all'esterno   di   atti   compiuti
nell'esercizio  di funzioni parlamentari, viene meno conseguentemente
ogni  necessita'  di  ricercare  ai fini dell'insindacabilita' - come
invece  fa la difesa della Camera - la corrispondenza sostanziale del
contenuto di quella conversazione con un atto parlamentare. Va invece
valutato  se  quelle stesse opinioni, per le modalita' ed il luogo in
cui sono state espresse, possano costituire, di per se', una forma di
esercizio  di  funzioni  parlamentari,  secondo appunto la tesi della
parte  resistente,  per  la  quale  le espressioni in esame sarebbero
insindacabili  per il solo fatto di essere state rese intra moenia da
due  parlamentari  nei  riguardi di un terzo parlamentare, per cui il
loro nesso funzionale sarebbe comunque presunto.
    Tale  prospettazione  difensiva non e' pero' condivisibile. Nella
giurisprudenza di questa Corte non si e' infatti mai accolto, in base
alla  formulazione  dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, il
criterio  della  mera  "localizzazione"  dell'atto,  ma  si e' invece
specificato   che   sono   coperti  dall'immunita'  gli  atti  svolti
all'interno  dei  vari  organi parlamentari, o anche paraparlamentari
(cfr.  sentenze  n. 10 e n. 11 del 2000 e n. 79 del 2002), cioe' atti
che  si esplicano nell'ambito di lavori comunque rientranti nel campo
applicativo  del  "diritto  parlamentare",  in  quanto  proprio  tale
condizione  connota  l'esercizio  di funzioni parlamentari. In base a
questo    criterio,    dunque,    si    debbono    ritenere   coperti
dall'insindacabilita'  gli  "atti  di  funzione",  anche  se posti in
essere extra moenia, mentre invece non si possono ritenere coperti da
tale  immunita'  gli  atti  non  "di  funzione",  anche  se  compiuti
all'interno  della  sede della Camera o del Senato. In definitiva, il
criterio    di    delimitazione    dell'ambito    della   prerogativa
dell'immunita'  e'  quello  funzionale  e  non  gia'  quello spaziale
(sentenza n. 10 del 2000).
    La  sede  di  svolgimento  non  puo'  pertanto,  di per se' sola,
conferire  carattere  di  funzione parlamentare ad una "comunicazione
privata"  svoltasi  tra  due parlamentari nella buvette della Camera,
giacche'  tale  circostanza  attiene  semmai ad un asserito "contesto
politico",  che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non puo',
di  per se' stesso, fare presumere l'esistenza di un nesso funzionale
idoneo a rendere insindacabili le opinioni ivi espresse.
    Si  deve  pertanto  concludere  che  la delibera della Camera dei
deputati  di  insindacabilita'  delle  opinioni  in  esame  e'  stata
adottata  in violazione dell'art. 68, primo comma, della Costituzione
e   va   quindi   annullata,  in  quanto  lesiva  delle  attribuzioni
dell'autorita' giurisdizionale ricorrente.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara che non spetta alla Camera dei deputati deliberare che i
fatti,  per  i  quali  e'  in  corso  presso  il Tribunale di Roma il
giudizio  civile,  di  cui  all'atto  in  epigrafe, nei confronti del
deputato  Fabio  Mussi, concernono opinioni espresse da un membro del
Parlamento  nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68,
primo   comma,  della  Costituzione  e  conseguentemente  annulla  la
deliberazione  in  tal senso adottata dalla Camera dei deputati nella
seduta del 15 luglio 1998.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.
                       Il Presidente: Ruperto
                       Il redattore: Capotosti
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 4 dicembre 2002.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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