N. 535 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 settembre 2002
Ordinanza emessa il 19 settembre 2002 dal g.i.p. del Tribunale di Forli' nel procedimento penale a carico di Gardini Secondo Reati e pene - False comunicazioni sociali - Natura - Reato contravvenzionale - Lesione del principio di eguaglianza per il diverso regime previsto, anche in relazione alla configurabilita' del tentativo, per la fattispecie, caratterizzata dal medesimo dolo specifico, di false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori, qualificata come delitto. - Cod. civ., artt. 2621 e 2622, in combinato disposto. - Costituzione, art. 3. Reati e pene - False comunicazioni sociali - Natura - Reato contravvenzionale - Perseguibilita' a querela - Non consentita perseguibilita' nel caso di commissione del reato all'estero - Mancata adeguata considerazione della gravita' della lesione (interesse pubblico alla trasparenza del mercato) in cui si sostanzia l'elemento oggettivo del reato - Lesione della finalita' rieducativa della pena - Violazione del principio di eguaglianza per il diverso regime previsto per il reato di aggiotaggio, lesivo dei medesimi interessi - Disparita' di trattamento nella ipotesi di falso consumato in una societa' controllata avente sede all'estero. - Cod. civ., art. 2621. - Costituzione, artt. 27, terzo comma, e 3. Reati e pene - False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori - Perseguibilita' a querela - Mancata considerazione del carattere plurioffensivo del reato previsto a tutela degli interessi patrimoniali di singoli (soci o creditori) ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza del mercato - Sostanziale impossibilita' per i soggetti legittimati a proporre querela - Irragionevolezza. - Cod. civ., art. 2622. - Costituzione, artt. 24, primo comma, e 3. Reati e pene - False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori - Perseguibilita' d'ufficio quando si tratti di societa' quotata in borsa - Sostanziale impossibilita' della perseguibilita' d'ufficio qualora la falsita' del bilancio consolidato di societa' quotate in borsa derivi da falsita' proprie di bilanci di societa' controllate non quotate - Disparita' di trattamento. - Cod civ., art. 2622, comma 2. - Costituzione, art. 3. Reati e pene - False comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori - Perseguibilita' a querela - Remissione della querela - Incidenza sulla configurabilita' del reato di false comunicazioni sociali di cui all'art. 2621 cod. civ. - Irragionevolezza - Disparita' di trattamento. - Cod civ., art. 2622. - Costituzione, art. 3.(GU n.50 del 18-12-2002 )
IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Premesso in fatto Con denuncia-querela in data 4 maggio 2001, Gardini Palma esponeva che il giorno 27 dicembre 1999 era morto senza lasciare testamento suo padre Gardini Quinto, al quale erano succeduti, quali legittimi eredi, ella ed il fratello Gardini Secondo, che l'asse ereditario era comprensivo di quote nominali, pari al 50%, di partecipazione alla societa' "Gardini Quinto & C. S.n.c." di Cesenatico; che ella aveva quindi chiesto la liquidazione della quota a lei spettante, pari a un quarto; che Gardini Secondo, che gestiva l'impresa, le aveva offerto, in liquidazione di quanto le spettava, una somma del tutto inadeguata rispetto all'entita' e al valore dell'azienda in questione; che dalla situazione patrimoniale societaria presentata da Gardini Secondo alla Confartigianato di Cesenatico, per la redazione del bilancio al 31 dicembre 1999, risultava una situazione patrimoniale assai diversa da quella invece risultante dalla dichiarazione di successione dal medesimo presentata a un notaio. Sulla base di tale denuncia, il p.m. di Forli' iscriveva sul registro delle notizie di reato, a carico di Gardini Secondo, fattispecie di reato ex artt. 56, 640 c.p. e 2621 c.c. All'esito delle indagini all'uopo disposte, il p.m., in data 3 novembre 2001, richiedeva l'archiviazione del procedimento al g.i.p., il quale, non accogliendo la richiesta, fissava udienza in camera di consiglio e poi, in data 21 marzo 2002, rigettava la richiesta. Il p.m., svolte le indagini indicate dal g.i.p., in data 6 aprile 2002 reiterava la richiesta di archiviazione. Nuovamente il g.i.p., non accogliendo la richiesta, con provvedimento in data 8 maggio 2002, fissava udienza in camera di consiglio. In data 11 giugno 2002, Gardini Palma proponeva, ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo n. 61/2002, querela in ordine al nuovo reato di cui all'art. 2622 c.c. In data 24 luglio 2002 si teneva l'udienza in camera di consiglio, all'esito della quale questo g.i.p. si e' riservato; Premesso in diritto Il fatto-reato attribuito nell'originaria denuncia a Gardini Secondo, e che il p.m. ha trasfuso nell'iscrizione del reato di cui all'art. 2621 c.c. vecchio testo, riproduce ora le due distinte fattispecie previste dal d.lgs. n. 61/2002, che ha riformato la materia del falso in bilancio, ossia la contravvenzione di cui al nuovo art. 2621, reato di false comunicazioni sociali, contraddistinto dal dolo specifico di trarre in inganno i soci o il pubblico, che il Gardini, nello specifico, avrebbe commesso nella dichiarazione di successione al padre in atto notarile, atto pubblico ed il delitto previsto dall'art. 2622 c.c. nuovo testo, che contempla la diversa, ulteriore ipotesi in cui, dalla condotta penalmente rilevante ai sensi dell'articolo precedente (contraddistinta dal medesimo dolo specifico), sia derivato un danno per un socio o un creditore (nel caso, Gardini Palma). Peraltro, la querela sporta da Gardini Palma ai sensi dell'art. 5 d.lgs. n. 61/2002, non puo' essere considerata tale in quanto mancante dei requisiti all'uopo previsti per la presentazione della querela. Essa, infatti, e' stata presentata su due fogli riportanti sia il testo della stessa che le relative sottoscrizioni in calce (della querelante e del difensore) in fotocopia. Con atto successivo di ratifica, sottoscritto da ufficiale dei Carabinieri e dalla Gardini di seguito nel secondo foglio, vi e' conferma del contenuto della querela. Tale formula, tuttavia, non e' aderente alle forme tassativamente previste a pena di nullita' dagli artt. 333 e 337 c.p.p. Infatti, la conferma e/o ratifica esula da poteri accertativi del contenuto della volonta' negoziale del querelante, propri del pubblico ufficiale che riceve la querela, il quale ha la sola funzione di stabilire l'identita' del querelante (si veda Cass. n. 7857/1987, la quale ha specificato che la cosiddetta conferma o ratifica della querela non e' riferibile al querelante, ma e' atto esclusivamente rapportabile all'autorita' che ha ricevuto la querela, la quale, appunto, ha la sola funzione di stabilire l'identita' del querelante; conf. Cass. 13055/2000, la quale riconduce l'attivita' del pubblico ufficiale che ha ricevuto la querela alla sola identificazione del querelante). Ne' la sottoscrizione apposta dalla Gardini al verbale di ratifica puo' essere riferita al contenuto della querela, in quanto non apposta in calce alla stessa ma in calce ad altro atto (sul punto, Cass. 4321/2000, per la quale "ogni documento scritto, per assumere rilevanza e produrre effetti giuridici, deve recare in calce la firma del suo autore"). Va inoltre considerato che, in via di principio, la ratifica puo' intervenire a sanare un atto viziato ma esistente, ma non un atto inesistente in quanto mancante di sottoscrizione. A tali considerazioni di principio ci si deve riferire in quanto qui la ratifica attiene a un atto come la querela che ha contenuto negoziale. (Giurisprudenza costante, da ultimo Cass. n. 4695/2000). La querela sporta dalla Gardini in data 11 giugno 2002, quindi, deve considerarsi tamquam non esset per difetto delle forme previste a pena di nullita'. A questo punto, questo giudice, in ordine all'ipotesi ex art. 2622 c.c., dovrebbe archiviare il procedimento, senza poter scendere nel merito della questione. lmpregiudicata ogni decisione in ordine alla fattispecie ex art. 2621, questa dovrebbe comunque, anche nell'ipotesi di rigetto della richiesta di archiviazione ed eventuale imputazione coatta, essere considerata secondo la sua nuova natura contravvenzionale, con tutto quanto ne segue (in primis, quanto riguarda la prescrizione). E' pertanto rilevante la questione di legittimita' costituzionale che si va ora ad esporre in relazione alla nuova normativa di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. Questione di legittimita' costituzionale, sul piano logico-sistematico, ed in relazione al comune dolo specifico, del combinato disposto degli artt. 2621 e 2622 c.c. Contrasto con l'art. 3 Cost. Occorre anzitutto considerare che le nuove fattispecie ex artt. 2621 e 2622 c.c. sono caratterizzate dal medesimo dolo specifico. Peraltro, questa diversita' dell'elemento oggettivo nei due reati (in relazione al quale essi si inquadrano come fattispecie a formazione progressiva: nell'un caso, la dichiarazione infedele, nel secondo la dichiarazione infedele a cui consegua un danno specifico e concreto per singoli soci o creditori), ovviamente, deve riflettersi sull'elemento soggettivo quale rappresentazione dell'evento tipico. Bisogna allora chiedersi se, in costanza del medesimo dolo specifico, si giustifichino risposte repressive cosi' diverse, tali addirittura che in un caso si ha contravvenzione e nell'altro delitto. E' utile, al riguardo, richiamare la giurisprudenza della Corte costituzionale affermativa di principi all'uopo assumibili, in particolare la sentenza n. 247/1989, concernente l'abrogata fattispecie ex art. 4 n. 7 d.l. n. 429/1982 (in particolare la legittimita' della previsione normativa dell'alterazione di componenti di reddito "in misura rilevante" quale soglia di punibilita' della falsa dichiarazione dei redditi del lavoratore indipendente), ove si e' affermato che la "misura rilevante" non poteva ragionevolmente far parte dell'oggetto del dolo, in quanto un tale coefficiente psicologico presupponeva da parte dell'agente, un calcolo puntuale di profitti da indebitamente conseguire, mentre, di regola, la condotta dissimulatoria o simulatoria e tenuta secondo un criterio di opportunita' criminosa non implica affatto la determinazione del risparmio da conseguire. Nel caso del nuovo falso in bilancio, e quindi delle nuove previsioni normative di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c., ci si deve allora chiedere se il diverso coefficiente psicologico che distingue le due ipotesi di reato (nella fattispecie ex art. 2622 c.c., mera rappresentazione di un evento di danno in costanza del medesimo dolo specifico che ispira la fattispecie ex art. 2621 c.c.) sia tale da giustificare risposte sanzionatorie cosi' radicalmente diverse. Invero, cio' non appare ragionevole, se si considera che, nella sentenza n. 247/1989 della Corte costituzionale, veniva contemplata un'ipotesi di evento voluto nel tipico interesse dell'agente (utile da risparmio fiscale), e quindi, fisiologicamente, oggetto di una volizione, mentre nel caso dell'art. 2622 c.c. si tratta, come detto, della mera rappresentazione di un evento di danno che, incidenter, viene causato a terzi (soci o creditori) quale conseguenza di una primaria e diversa volonta' di base (la frode in danno dei soci o del pubblico), e che puo' anche costituire mera accettazione di un rischio, nei termini del dolo eventuale (ammesso poi che questo sia configurabile, stante la previsione del dolo specifico). Sembra, quindi, che non vi sia quel ragionevole coefficiente psicologico tale da ritenere verosimile, in capo all'agente, una opportunita' criminosa (data dal danno incidentale a soci o creditori) cosi' diversa e decisiva da rendere plausibile il passaggio da una contravvenzione a un delitto. Sempre nella sentenza n. 247/1989, la Corte costituzionale ha affermato che gli elementi condizionanti la risposta punitiva devono fungere "da filtro selettivo nel ricorso alla sanzione criminale per fatti meritevoli di pena" "in funzione della parita' di trattamento tra gli autori del fatto illecito, la cui selezione repressiva non puo' porsi in contrasto con il principio di uguaglianza". Lo stridore della nuova impostazione normativa, poi, si avverte ulteriormente se si considera che per le ipotesi ex art. 2621 (contravvenzione) non e' ipotizzabile il tentativo, a differenza di quelle ex art. 2622 (delitto), quando l'elemento soggettivo di entrambe e' connotato dallo stesso dolo specifico. Apparendo, come detto, del tutto conseguenziale ed eventuale il danno a soci o creditori, e quindi essendo del tutto marginale, sul piano dell'elemento psicologico, la rappresentazione o l'accettazione ditale danno, il rilievo di una violazione del principio di proporzione della pena in fattispecie diverse, e quindi di uguaglianza (art. 3 Cost.), anche in relazione alla configurabilita' del tentativo, s'impone. Questione di legittimita' costituzionale della natura contravvenzionale del nuovo reato di false comunicazioni sociali previsto dal nuovo art. 2621 c.c. Contrasto con gli artt. 27, comma 3 e 3 Cost. Dubbi di legittimita' costituzionale della nuova normativa sul falso in bilancio, peraltro, devono incentrarsi anche sulla natura contravvenzionale dell'ipotesi ex art. 2621 c.c. (false comunicazioni sociali tout court). La Corte costituzionale, in un'altra sentenza (n. 50/1980), infatti, gia' aveva rimarcato come l'eventuale dubbio di incostituzionalita' di una previsione di reato "puo' essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell'illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest'ultima appaia ragionevolmente proporzionata rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibile allo specifico tipo di reato" Occorre allora richiamare, ai fini che qui interessano, la giurisprudenza, univoca e consolidata, della Corte di cassazione, la quale ha affermato che il reato di falso in bilancio e' reato plurioffensivo, posto a tutela degli interessi patrimoniali della societa', dei singoli soci, dei creditori, ma anche a tutela degli interessi dei terzi in genere e della fede pubblica (Cass. n. 4073/1994, idem, sulla plurioffensivita', Cass. n. 307/1990). Sempre secondo la Corte, "la pubblicazione del bilancio e' strumento insostituibile di garanzia per i terzi che vengono a contatto con la societa'" (Cass. n. 1585/1966), ed ancora, la tutela garantita dalla previsione del reato di falso in bilancio "riguarda non solo la societa', i soci uti singuli, i futuri soci, i creditori e, in genere, i terzi interessati, ma si estende all'interesse generale al regolare funzionamento delle societa' commerciali" (Cass. n. 6889/2001). Il bilancio, quindi, proprio per la sua attitudine a garantire la veridicita' di un documento ufficiale destinato a riprodurre lo stato economico di un soggetto operante nel mercato, soddisfa un preminente interesse pubblico. Ed infatti, la Corte ha anche affermato, esplicitamente e coerentemente, che la norma di cui all'abrogato art. 2621 c.c. tutelava la fede pubblica documentale, ossia un bene tipicamente indisponibile, come tale fuori della teoria del consenso dell'offeso (Cass. n. 3416/1981). Il sistema normativo introdotto dai nuovi artt. 2621 e 2622 c.c., quindi, non sembra aderire al principio di proporzione ribadito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 50/1980, peraltro poi confermato dalla stessa Corte costituzionale in altra successiva sentenza, n. 243/1994, ove, ancora, si riafferma che nel sistema penale sussiste pur sempre un'apprezzabile differenza fra delitti e contravvenzioni che comporta, sotto taluni aspetti, quali l'elemento psicologico, un diverso regime giuridico (nella sentenza n. 50/1980 gia' la Corte aveva dato atto che "la congiunta considerazione di fatti dolosi e colposi", sia pure "a fronte di cornici edittali aperte", "e' la regola in materia contravvenzionale"). Viene infatti sanzionato come contravvenzione un reato che non solo non implica quella fisiologica indifferenziazione dell'elemento soggettivo che, di massima, contraddistingue la species delle contravvenzioni, ma addirittura presuppone il dolo specifico. Vero e' che il sistema penale prevede ipotesi di reato contravvenzionale tipicamente dolose (art. 661 c.p., abuso della credulita' popolare, art. 137, comma 2, d.lgs. n. 385/1993, mendacio e falso interno bancario da parte del dipendente bancario, pure contraddistinta da dolo specifico). Peraltro (considerato, ovviamente, l'insindacabile potere di valutazione delle opportunita' di politica penale proprie del legislatore), questa apparente anomalia si spiega in quanto si tratta di fatti contrassegnati da un disvalore limitato, segnatamente, nel caso del falso e mendacio bancario, contenuto entro ambiti di interesse privato e individuale (favorire il singolo mutuatario), per i quali, quindi, si giustifica la piu' tenue dimensione contravvenzionale. L'ipotesi contravvenzionale ex art. 2621 c.c., invece, concerne un fatto altamente lesivo di un bene pubblico, ossia l'interesse pubblico alla trasparenza del mercato, fattore primario e fondante della moderna societa' liberale. L'elemento oggettivo di tale reato si sostanzia, quindi, in una lesione estremamente grave. Non solo. Anche l'elemento soggettivo del reato e' previsto nella piu' intensa espressione possibile (il dolo specifico). A fronte di tali elementi di (primaria) gravita', la risposta sanzionatoria ideata dal legislatore e' quella tipicamente ancorata alla sussistenza del requisito subiettivo minimo di imputazione costituito dalla colpa, ed altresi' tipicamente riservata alla parvitas materiae (cosi' si esprime la dottrina piu' recente ed accreditata in materia di contravvenzioni: Donini, "Il delitto contravvenzionale"). Sorgono quindi dubbi sull'adeguatezza di tale risposta del tutto inadeguata, quanto meno in relazione alla funzione rieducativa della pena. Occorre, su questo punto, richiamare nuovamente la giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale (sentenza n. 50/1980) ha affermato che "l'adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti, in termini di uguaglianza e/o differenziazione di trattamento ... e' strumento per una determinazione della pena il piu' possibile finalizzata, nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma della Costituzione", ed ancora, piu' di recente, che "la determinazione della pena quanto piu' possibile finalizzata alla rieducazione del condannato, nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma della Costituzione", consente il rispetto del "principio di uguaglianza che, di fronte alla pena, acquista il significato di proporzione della pena rispetto alle personali responsabilita' ed alle esigenze di risposta che ne conseguono, svolgendo una funzione di giustizia e di tutela delle posizioni individuali nonche' di limite alla potesta' punitiva statale" (C. cost. n. 299/1992). Pare quindi sussistere contrasto fra l'art. 2621 c.c. e l'art. 27, comma 3 della Costituzione. Altre ancora, pero', sono le perplessita' che la natura contravvenzionale dell'ipotesi di reato ex art. 2621 c.c. puo' suggerire, a seguito, in particolare del raffronto con la fattispecie di cui all'art. 501 c.p. (rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio, alias aggiotaggio "comune"). Sempre la Corte costituzionale affermo' la costituzionalita' di tale previsione criminosa, costituente delitto perseguibile d'ufficio (punibile con reclusione fino a tre anni) e pure analogamente lesivo dell'interesse alla trasparenza del mercato, riconoscendovi un contesto di "tutela dell'economia pubblica, che non puo' dirsi estranea al contenuto e allo spirito della Costituzione". In quel caso la Corte ribadi' che "la liberta' d'iniziativa economica non puo' comunque svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale, la quale ha anche un contenuto economico", citando all'uopo espressamente i fini indicati dall'art. 47 Cost., e quindi anche il diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese". La previsione dell'aggiotaggio, concludeva la Corte, "mira a che non sia compromesso, mediante una determinazione fraudolenta delle merci o delle quotazioni, l'interesse pubblico legato alla circolazione e allo scambio delle merci e dei valori" (C. cost. n. 123/1976). Ci si deve allora domandare per quale motivo un reato di frode quale l'aggiotaggio, lesivo dei medesimi interessi che riguardano il falso in bilancio, sia previsto come fattispecie delittuosa perseguibile d'ufficio (come, del pari l'aggiotaggio "speciale", ora punito con reclusione fino a cinque anni, a mente dell'art 2637, pure introdotto dal d.lgs. n. 61/2002), mentre una fattispecie non meno fraudolenta e lesiva del pubblico interesse all'economia, quale il falso in bilancio, possa essere prevista come fattispecie contravvenzionale (con prescrizione ben inferiore). Riaffiorano a questo proposito, ancora, inevitabilmente, perplessita' in ordine al rispetto del principio di proporzione della pena in relazione a diverse ipotesi di reato, e quindi di eguaglianza (art. 3 Cost.). Non solo. Il reato di falso ex art. 2621 c.c., in quanto contravvenzione, a mente degli artt. 9 e 10 c.p., neppure e' piu' perseguibile se commesso all'estero. Quindi, nel caso di bilanci consolidati di complessi societari che hanno ramificazioni anche all'estero, il falso consumato in una societa' controllata avente sede all'estero, ma i cui effetti lesivi dell'interesse pubblico alla trasparenza del mercato si determinano, identicamente, nel bilancio della societa' controllante italiana, e quindi in Italia, inopinatamente non e' punibile (a differenza di tutti gli altri falsi in bilancio non "viziati" ab origine in questo modo). Anche sotto questo profilo vi sono aspetti di diseguaglianza. Questione di legittimita' costituzionale del nuovo reato di false comunicazioni sociali previsto dall'art. 2622 c.c. in relazione alla perseguibilita' a querela. Contrasto con gli artt. 24, comma 1 e 3 Cost. Neppure la fattispecie di cui all'art. 2622 c.c., in se', sembra immune da rilievi attinenti la sua costituzionalita', per ragioni che riguardano la perseguibilita' a querela (cio' lo si afferma anche per l'ipotesi che la norma ex art. 2621 sia affetta da illegittimita' costituzionale, e quindi residui la sola ipotesi di reato ex art. 2622 c.c.). Anche qui occorre rifarsi alla pregressa giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale ha piu' volte affermato che la perseguibilita' a querela costituisce una deroga alla obbligatorieta' dell'azione penale e puo' essere sindacata in sede di giudizio di legittimita' costituzionale solo per vizio di manifesta irrazionalita' o arbitrarieta' (C. cost. n. 354/1999), massimamente "quando la necessita' dell'impulso di parte si risolverebbe, nella generalita' dei casi, nella sostanziale impunita' dell'autore del reato" (C. cost. n. 7/1987). "Cio' che conta", infatti, sempre secondo la Corte costituzionale, "e' il contributo alla conoscenza del fatto che la parte offesa e' costretta a fornire se non vuole rinunciare alla punizione del colpevole" (C. cost. n. 216/1974). Ancora, sempre secondo la Corte costituzionale, "la perseguibilita' a querela e' prevista per i reati di lieve entita', in considerazione anche della tenuita' dell'interesse pubblico all'esercizio dell'azione penale" (C. cost. n. 216/1994). Piu' apprafonditamente, la Corte ha chiarito che "la scelta del modo di procedibilita' dei reati deve rimanere affidata a valutazioni discrezionali del legislatore, insindacabili nel giudizio di costituzionalita', ed al riguardo concorrono a spiegare l'istituto della querela sia l'interesse pubblico sia l'interesse privato". Pero', ha anche affermato la Corte, la scelta di tale modo di procedibilita' e' giustificabile dalla "tenuita' dell'interesse pubblico", a fronte del quale il legislatore abbia "preferito, per ragioni di politica criminale e di opportunita', rendere rilevante, come presupposto della perseguibilita' del reato, la volonta' del privato" (C. cost. n. 204/1988). Cosi', ad esempio, sempre la Corte costituzionale, a suo tempo, ritenne ragionevole "il mantenimento della perseguibilita' d'ufficio per un reato posto a salvaguardia dell'ordine economico quale la frode nell'esercizio del commercio (art. 515 c.p.)" (C. cost. n. 294/1987), ed altresi' dichiaro' l'illegittimita' costituzionale dell'art. 573 c.p. ove esso prevedeva la perseguibilita' a querela da parte del solo padre (unico titolare, allora, di potesta' genitoriale) del delitto di sottrazione di minore, importando tale reato una offesa a tutta la famiglia, nella intera consistenza dei suoi interessi sociali, morali, affettivi (C. cost. n. 9/1964). Premessi questi fondamenti della legittimita' costituzionale, occorre considerare due presupposti essenziali: se la fattispecie di reato di cui all'art. 2622 c.c. sia prevista a tutela di un rilevante interesse diffuso che supera quello individuale e privato di chi ha o ha avuto rapporti con l'impresa; se la normativa che regola la formazione del bilancio sia compatibile con la perseguibilita' a querela del singolo privato, ossia sussista una reale possibilita' (e quindi la capacita) del privato, socio o creditore, di acquisire elementi e coordinate idonei a proporre e sostenere una notizia di reato. La risposta al primo quesito e' affermativa. Come infatti abbiamo gia' visto, la giurisprudenza della Corte di cassazione e' univoca nel ritenere che il falso in bilancio comunque pregiudica gli interessi dei terzi in genere e della fede pubblica (Cass. n. 4073/1994, Cass. n. 307/1990), e che il bilancio e' strumento insostituibile di garanzia per i terzi che vengono a contatto con la societa'" (Cass. n. 1585/1966). Il bilancio, quindi, proprio per la sua attitudine a garantire la veridicita' di un documento ufficiale destinato a riprodurre lo stato economico di un soggetto operante nel mercato, soddisfa un preminente interesse pubblico. Ed infatti, la Corte ha anche affermato, esplicitamente e coerentemente, che la norma di cui all'abrogato art. 2621 c.c. tutelava la fede pubblica documentale, ossia un bene tipicamente indisponibile, come tale fuori della teoria del consenso dell'offeso (Cass. n. 3416/1981), e che tale tutela si estendeva all'interesse generale al regolare funzionamento delle societa' commerciali" (Cass. n. 6889/2001). Il nuovo reato di cui all'art. 2622 c.c., quindi, se pur previsto espressamente a tutela di interessi patrimoniali di singoli (soci o creditori), e' comunque, ontologicamente, una fattispecie plurioffensiva, in quanto, in ogni caso, la lesione sofferta dall'interessato discende imprescindibilmente da una pregressa lesione dell'interesse pubblico alla trasparenza del mercato (e d'altronde, anche il dato letterale della norma, esplicitamente, esprime tale risvolto pubblicistico, laddove contempla, quale dolo specifico, l'intento di ingannare il pubblico). La risposta al secondo quesito, invece, e' negativa. Il socio puo' unicamente, ai sensi dell'art. 2429, comma 3 c.c., prendere visione del bilancio (unitamente alla relazione ed ai prospetti annessi) quando questo e' gia' redatto e depositato, ma nulla puo' conoscere in ordine alla veridicita' delle modalita' e dei passaggi che hanno condotto alla redazione del bilancio (come argomentati nelle relazioni accompagnatorie e nella nota integrativa), ossia dell'effettivo rispetto di tutti i criteri e principi stabiliti dagli artt. 2423-2429 c.c. per la formazione del bilancio. Ne', per i soci, vi e' la possibilita' reale di verificare tale veridicita' ai sensi dell'art. 2489 c.c. (nelle societa' a responsabilita' limitata), il quale prevede, per i soci, un diritto di consultazione limitato alla visione dei libri contabili, ma non delle scritture contabili (giurisprudenza costante). Questa norma prevede altresi' la possibilita' di richiedere la revisione della gestione da parte di una minoranza qualificata di soci, ma anche questa norma e' estranea a una tutela specifica per il singolo socio. Come una maggioranza qualificata e' quella prevista dall'art. 2409 c.c., in ordine alla quale valgono le stesse considerazioni. Ne' si puo' obiettare che il collegio sindacale, quando esiste, costituisca un filtro di garanzia, considerando che esso, realisticamente e normalmente, e' espressione della maggioranza (ed in ogni caso non si puo' sancire, per il socio diretto titolare di diritto querela, l'onere di una ricognizione mediata dall'intervento dei sindaci). Il creditore sociale, poi, in ogni caso, non ha alcuna possibilita' nemmeno di accedere alle opportunita' previste dalle suddette norme. In definitiva, quindi, la cognizione del terreno ove si annida il falso (ossia l'analisi di tutta la documentazione fiscale e commerciale, fatture, ordinativi e altro, nonche' la visione dei supporti e degli archivi informatici) al privato e' preclusa. Non si vede, allora, in quali termini egli possa elaborare una querela, la quale, costituendo notitia criminis, deve comunque contenere elementi, comunque minimi, suscettibili di una valutazione sul piano indiziario, al fine di un possibile, ragionevole sviluppo investigativo. Non puo' invece essa basarsi sull'enunciazione di apodittici ed arbitrari sospetti (nei quali qualsiasi affermazione si risolverebbe in mancanza di una ricognizione, se pure sommaria, dell'attivita' d'impresa nel suo svolgersi, per come documentata o documentabile). Tutto questo si risolve in una sostanziale impossibilita', per il singolo socio e il singolo creditore, da soli, di denunciare qualcosa di apprezzabile, appartenendo la formazione e la redazione del bilancio a una sfera completamente "blindata", riservata ai soli amministratori sociali. Questa impossibilita', d'altro canto, e' stata riconosciuta dalla stessa giurisprudenza, laddove si e' ritenuto, nel caso di bilancio consolidato, ove la falsita' derivi dai dati contabili contenuti in uno o piu' bilanci delle societa' collegate, che addirittura gli amministratori della societa' controllante non rispondano penalmente della falsita' in bilancio consolidato, "non essendo titolari di alcun potere di accertamento sulla veridicita' dei dati trasmessi dalla societa' del gruppo" (Cass. n. 191/2001). La Corte costituzionale, in ordine alla perseguibilita' a querela, ha affermato che "cio' che conta e' il contributo alla conoscenza del fatto che la parte offesa e' costretta a fornire se non vuole rinunciare alla punizione del colpevole". Ebbene, non si vede quale contributo serio possa dare alla conoscenza di un fatto come il falso in bilancio il socio o il creditore, che non hanno alcun accesso alla documentazione, cartacea e informatica, della societa'. Come gia' detto, inoltre, la Corte costituzionale ha riconosciuto l'irragionevolezza della scelta legislativa della perseguibilita' a querela "quando la necessita' dell'impulso di parte si risolverebbe, nella generalita' dei casi, nella sostanziale impunita' dell'autore del reato" (C. cost. n. 7/1987). Il caso di specie che ispiro' tale affermazione di principio fu la procedibilita' comunque d'ufficio dell'omicidio colposo, pur se commesso in danno di congiunti, in considerazione dell'indiscutibile preminenza del bene della vita rispetto a interessi diversi, e del fatto che, in tal caso, "la necessita' dell'impulso di parte si risolverebbe, nella generalita' dei casi, nella sostanziale impunita' dell'autore del reato". Il caso del reato di falso in bilancio perseguibile a querela del singolo socio o creditore (peraltro, all'uopo trasformato, e snaturato, da reato di pericolo in reato di evento) realizza il pericolo di un'analoga, viziata impostazione. Di fronte alla lesione di un interesse pubblico preminente (trasparenza del mercato e affidabilita' dei soggetti di mercato), la sostanziale impossibilita' per i soggetti legittimati a proporre querela ora conduce alla sostanziale impunita' degli autori del falso, pur in presenza di un preminente interesse pubblico. Ne derivano dubbi di illegittimita' costituzionale ai sensi degli artt. 24, comma 1 e 3 Cost. Note critiche devono inoltre formularsi relativamente alla norma dell'art. 2622, comma 2 c.c., che prevede la procedibilita' d'ufficio del falso in bilancio in danno di soci o creditori quando si tratta di societa' quotata in borsa. Tale procedibilita' d'ufficio, in realta', appare illusoria nel caso in cui la societa' quotata in borsa sia una holding che controlla societa' non quotate in borsa (evenienza normalissima). Come gia' detto, secondo quanto ha affermato la superiore giurisprudenza, ove la falsita' derivi dai dati contabili contenuti in uno o piu' bilanci delle societa' collegate, gli amministratori della societa' controllante non rispondono penalmente della falsita' in bilancio consolidato, "non essendo titolari di alcun potere di accertamento sulla veridicita' dei dati trasmessi dalla societa' del gruppo" (Cass. n. 191/2001). Ne deriva che la falsita' del bilancio consolidato di societa' quotate in borsa, derivante da falsita' proprie dei bilanci di societa' controllate non quotate, in realta' non e' perseguibile d'ufficio. Vi sono quindi, anche sotto questo aspetto, elementi di disparita' di trattamento. Inoltre, ad abundantiam si deve osservare che, in ogni caso, gia' suscita perplessita' in se' la devoluzione della tutela di un interesse pubblico fondamentale a un'iniziativa (come gia' detto) negoziale quale la querela (si vedano, sulla natura negoziale della querela, espressamente, fra le tante, Cass. n. 1754/1983, n. 2610/1983, n. 4554/1986 e, di recente, Cass. n. 4695/2000), e quindi all'ambito dell'autonomia privata. Occorre qui tenere presente, realisticamente, che la remissibilita' della querela puo' favorire soluzioni altamente compromissorie fra privati, evenienza ancora una volta ed ulteriormente lesiva del pubblico interesse alla trasparenza dei bilanci e del mercato. Quest'ultimo risvolto, peraltro, ha anche una precisa rilevanza tecnico-giuridica. Se si considera infatti l'inciso che introduce la norma dell'art. 2621 c.c., "Salvo quanto previsto dall'art. 2622" si deve ritenere che fra le due ipotesi di reato sussista rapporto di specialita'. Ne consegue che l'eventuale remissione di querela per il reato di cui all'art. 2622 c.c., per il suo effetto estintivo, travolgerebbe anche la configurabilita' del reato di cui all'art. 2621 c.c., e cio', indebitamente e irragionevolmente, con prevalenza di ragioni transattive di natura privata su un interesse pubblico (comunque) sancito dall'ordinamento attraverso la previsione dell'ipotesi di reato di cui all'art. 2621 c.c. In altri termini, si e' cosi' creata una via legale, affidata alla concertazione privata, per elevare la falsificazione a opportunita' di gestione. Anche sotto questo profilo vi sono elementi di irragionevolezza e di disparita' di trattamento (l'iniziativa conciliatoria del singolo "danneggiato patrimoniale", infatti, cosi' preclude la tutela diffusa degli "ingannati").
P. Q. M. Solleva questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2621 e 2622 c.c., per come introdotti dall'art. 1, d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, per contrasto con gli artt. 3, 24, comma 1 e 27, comma 3 della Costituzione; Dispone pertanto la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente procedimento penale; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al p.m., all'indagato Gardini Secondo, alla persona offesa Gardini Palma, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Forli', addi' 19 settembre 2002 Il giudice per le indagini preliminari: Leoni 02C1150