N. 8 ORDINANZA 13 - 15 gennaio 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Procedimento  per  decreto - Possibilita' che la
  difesa  dell'imputato  interloquisca  sulla  richiesta del pubblico
  ministero  di  emissione  del  decreto penale di condanna - Mancata
  previsione   -  Prospettata  disparita'  di  trattamento,  rispetto
  all'imputato  tratto  a  giudizio  con  le forme ordinarie, nonche'
  asserito   contrasto   con   il   diritto  di  difesa  -  Manifesta
  infondatezza delle questioni.
- Cod. proc. pen., artt. 459 e 460.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.3 del 22-1-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale:
    - degli artt. 459 e 460 del codice di procedura penale, promosso,
nell'ambito  di  un procedimento penale, dal Tribunale di Marsala con
ordinanza del 5 marzo 2002, iscritta al n. 273 del registro ordinanze
2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, 1a
serie speciale, dell'anno 2002;
    -   dell'art. 459  del  codice  di  procedura  penale,  promossi,
nell'ambito di diversi procedimenti penali, dal Tribunale di Avellino
con  ordinanza del 25 gennaio 2002, dal Tribunale di Torre Annunziata
con  ordinanza  del  7 marzo  2002, dal Tribunale di Avellino con due
ordinanze  del  5 giugno 2002, rispettivamente iscritte al n. 280, al
n. 286,  al  n. 393  e  al  n. 394  del  registro  ordinanze  2002  e
pubblicate  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, n. 25 e
n. 37, 1a serie speciale, dell'anno 2002.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 4 dicembre 2002 il giudice
relatore Guido Neppi Modona;
    Ritenuto  che  il  Tribunale di Marsala (r.o. n. 273 del 2002) ha
sollevato,  in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 459 e 460 del
codice  di procedura penale, nella parte in cui "non prevedono che il
giudice  per  le indagini preliminari anteriormente all'emissione del
decreto penale di condanna debba consentire l'intervento della difesa
sia  pure sotto il profilo della produzione di memorie difensive e di
documentazione";
        che  ad  avviso  del tribunale la disciplina del procedimento
per  decreto "mal si concilia con il quadro di riferimento introdotto
dalla  recente normazione in materia di giusto processo, che tende ad
assicurare  la parita' tra le parti processuali e una efficace tutela
dell'imputato  e  dell'indagato a fronte della pretesa punitiva dello
Stato;
        che  in  particolare  le  norme censurate, non prevedendo che
all'imputato  venga  notificata la richiesta di emissione del decreto
penale   di   condanna,   violerebbero   l'art. 3  Cost.,  in  quanto
determinano  un'evidente  disparita' di trattamento tra colui nei cui
confronti  e'  emesso  il  decreto  di condanna e l'imputato tratto a
giudizio  con  le  forme ordinarie, al quale, mediante l'avviso della
conclusione  delle  indagini preliminari di cui all'art. 415-bis cod.
proc.  pen., viene data la possibilita' di interloquire e di svolgere
efficacemente  la  propria difesa in vista dell'esercizio dell'azione
penale;
        che  tale  disciplina violerebbe inoltre l'art. 111 Cost., ad
avviso  del  rimettente  applicabile  anche  alla fase delle indagini
preliminari,  dal  momento che "la richiesta di emissione del decreto
penale   di  condanna  costituisce  esercizio  dell'azione  penale  e
determina il sorgere della fase processuale in senso proprio, tant'e'
che  l'indagato assume la qualita' di imputato", cui vanno assicurate
le garanzie del contraddittorio e della parita' tra le parti previste
dal secondo comma del parametro costituzionale evocato;
        che  il  contraddittorio  differito che si instaura a seguito
dell'eventuale  opposizione  non  vale  ad escludere il contrasto con
l'art. 111  Cost.,  posto  che  l'imputato  opponente rimane comunque
privato  del  diritto di vedere definita la sua posizione processuale
senza  dovere  affrontare  "i  costi economici e morali" del pubblico
dibattimento;
        che  le  norme censurate violerebbero infine gli artt. 3 e 24
Cost.,   in   quanto   privano   irragionevolmente  l'indagato  della
possibilita'  di  presentare  documenti  o  memorie al giudice per le
indagini  preliminari  e  di  svolgere  investigazioni difensive, dal
momento   che  il  condannato  per  decreto  non  e'  normalmente  in
condizione  di  conoscere  anticipatamente  che  nei  suoi  confronti
vengono svolte indagini;
        che,   quanto  alla  rilevanza,  il  rimettente  precisa  che
l'accoglimento  della questione, sollevata su eccezione della difesa,
"comporterebbe  una nullita' di ordine generale del decreto penale di
condanna opposto" con conseguente regressione del procedimento;
        che  il Tribunale di Avellino con tre ordinanze (r.o. n. 280,
n. 393  e n. 394 del 2002) ha sollevato analoga questione, dubitando,
in   riferimento  agli  artt. 24  e  111  Cost.,  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 459 cod. proc. pen., nella parte in cui non
prevede  che  la  difesa  sia posta in condizione di contraddire, sia
pure  a  livello  meramente  cartolare,  sulla richiesta del pubblico
ministero di emissione del decreto di condanna;
        che   nelle  tre  ordinanze  (le  ultime  due  identiche)  il
tribunale    rimettente    svolge    sostanzialmente    le   medesime
considerazioni, precisando, quanto alla rilevanza, che l'accoglimento
delle  questioni  comporterebbe  la  nullita'  di ordine generale del
decreto  penale  di condanna opposto, emesso inaudita altera parte, e
la regressione del procedimento;
        che,  nel  merito,  il  rimettente ritiene che la mancanza di
ogni  forma  di  contraddittorio  e  l'impossibilita' della difesa di
interloquire  nella  fase  processuale  successiva alla richiesta del
pubblico  ministero  di  emissione del decreto penale di condanna, se
potevano  conciliarsi  con  il  sistema  processuale  anteriore  alla
modifica  dell'art. 111  Cost.,  si pongono ora in evidente contrasto
con i principi del giusto processo;
        che,  in particolare, l'art. 459 cod. proc. pen., consentendo
al  giudice  di emettere il decreto di condanna sulla base della sola
richiesta  del  pubblico  ministero,  violerebbe l'art. 111 Cost., in
quanto  tale  richiesta,  integrando  una  delle  possibili  forme di
esercizio  dell'azione  penale  e  comportando l'assunzione, da parte
dell'indagato,  della  qualita'  di  imputato,  determina l'insorgere
della  fase  processuale  in  senso stretto, nella quale deve in ogni
caso  essere garantito il contraddittorio fra le parti, in condizioni
di parita';
        che  la  violazione  dell'art. 111  Cost. sarebbe ancora piu'
evidente  ove  si  consideri  che  i  poteri  del  giudice chiamato a
decidere  sulla  emissione  del  decreto  penale  si  estendono  alla
valutazione della sussistenza delle condizioni per un proscioglimento
ex  art. 129  cod.  proc.  pen. o  per  la restituzione degli atti al
pubblico ministero;
        che,  con  riferimento a tale ventaglio di possibili epiloghi
decisionali,  la mancanza di contraddittorio lede anche il diritto di
difesa  dell'imputato,  in  quanto  la  decisione  del giudice per le
indagini   preliminari   -   che   potrebbe   anche   comportare   il
proscioglimento    dell'imputato   -   viene   presa   senza   alcuna
considerazione    delle    eventuali    ragioni    di   quest'ultimo,
impossibilitato   ad  esprimerle  nella  fase  iniziale  dell'attuale
procedimento per decreto;
        che  il  contraddittorio,  eventuale e differito, conseguente
all'opposizione  al  decreto  di  condanna,  non  vale  a  sanare  la
precedente  violazione  del  diritto  di difesa, posto che l'indagato
rimane  comunque  privato  della  possibilita'  di interloquire sulla
richiesta   del   pubblico   ministero   al   fine   di  ottenere  un
proscioglimento anticipato;
        che  un  contraddittorio  meramente  cartolare,  realizzabile
mediante  la  concessione di un breve termine per la presentazione di
memorie  da  parte  della difesa, potrebbe adeguatamente bilanciare i
diversi  interessi  in  gioco,  e  non  sarebbe  incompatibile con le
peculiarita'   dell'istituto   del   decreto   penale   di  condanna,
finalizzato alla rapida definizione di procedimenti concernenti reati
"minori";
        che  censure nella sostanza analoghe sono state formulate, in
termini  piu'  sintetici,  dal  Tribunale  di  Torre Annunziata (r.o.
n. 286  del  2002) in riferimento agli artt. 24 e 111 [secondo comma]
Cost;
        che nei giudizi instaurati a seguito delle ordinanze iscritte
al  n. 393 e al n. 394 del r.o. del 2002 e' intervenuto il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato;
        che,  quanto alla questione sollevata nell'ordinanza iscritta
al  n. 394  del  2002,  l'Avvocatura  chiede che la Corte ne dichiari
l'infondatezza,  sottolineando  che nella disciplina del procedimento
per   decreto   -   caratterizzata   dall'estrema  semplificazione  e
dall'evidente  finalita'  della  rapida  definizione dei procedimenti
concernenti i reati meno gravi, punibili in concreto con la sola pena
pecuniaria - la garanzia del contraddittorio e' assicurata, ove venga
proposta   opposizione,  nella  fase  successiva  all'emanazione  del
decreto   di   condanna,   in   perfetta   aderenza  con  il  dettato
dell'art. 111  Cost.,  che  prevede "obblighi a garanzia della difesa
[...],  ma  non  ne  determina  con criterio rigido la decorrenza con
riferimento ad una specifica fase processuale";
        che, quanto alla questione sollevata con l'ordinanza iscritta
al  n. 393  del 2002, l'Avvocatura chiede, in via principale, che sia
dichiarata   l'inammissibilita'  della  questione  e,  in  subordine,
l'infondatezza,  sulla  base  delle  medesime considerazioni relative
all'ordinanza iscritta al n. 394 del r.o. del 2002.
    Considerato  che  tutti  i rimettenti dubitano della legittimita'
costituzionale  della  disciplina  del  procedimento  per decreto, in
quanto  non  consente alla difesa dell'imputato di interloquire sulla
richiesta  del  pubblico  ministero  prima  che  il giudice emetta il
decreto penale di condanna;
        che, in particolare, il Tribunale di Marsala (r.o. n. 273 del
2002)  censura  gli  artt. 459  e 460 del codice di procedura penale,
nella  parte  in  cui  "non  prevedono che il giudice per le indagini
preliminari   anteriormente   all'emissione  del  decreto  penale  di
condanna debba consentire l'intervento della difesa sia pure sotto il
profilo della produzione di memorie difensive e di documentazione";
        che  il  Tribunale  di Avellino (r.o. n. 280, n. 393 e n. 394
del  2002)  e il Tribunale di Torre Annunziata (r.o. n. 286 del 2002)
sottopongono  invece  a  scrutinio  di legittimita' costituzionale il
solo  art. 459 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la
difesa  sia  posta  in condizione di contraddire, a livello meramente
cartolare,  sulla  richiesta  del pubblico ministero di emissione del
decreto di condanna;
        che i rimettenti ritengono violati:
          -  l'art. 3  Cost.  (r.o.  n. 273  del  2002), in quanto la
disciplina   censurata   determinerebbe   un'evidente  disparita'  di
trattamento  tra l'imputato nei cui confronti e' emesso il decreto di
condanna e l'imputato tratto a giudizio con le forme ordinarie;
          -  gli artt. 3 e 24 Cost. (r.o. n. 273 del 2002), ovvero il
solo art. 24 Cost. (r.o. nn. 280, 286, 393 e 394 del 2002), in quanto
la  mancanza  di contraddittorio priverebbe l'imputato del diritto di
interloquire   sulla   richiesta   di  decreto  penale  del  pubblico
ministero;
          -  l'art. 111  Cost.,  in quanto l'imputato sarebbe privato
della  possibilita' di esporre le proprie ragioni sulla richiesta del
pubblico  ministero  di  emissione  del decreto di condanna e non gli
sarebbe  assicurata  la possibilita' di esercitare il contraddittorio
in  vista  di una decisione di merito quale e' quella del giudice per
le  indagini  preliminari  che  deve  valutare se emettere decreto di
condanna,  prosciogliere ex art. 129 cod. proc. pen. o restituire gli
atti al pubblico ministero;
        che,  investendo  le  questioni  la  medesima  disciplina  ed
essendo  sollevate sulla base di censure sostanzialmente analoghe, va
disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che, precedentemente all'entrata in vigore del nuovo art. 111
Cost., questa Corte, nell'affrontare in riferimento agli artt. 3 e 24
Cost.   analoghe   questioni  di  legittimita'  costituzionale  della
disciplina  del  procedimento  per  decreto,  relative  alla  mancata
previsione  dell'interrogatorio  dell'indagato,  ovvero dell'avviso a
presentarsi  per  l'interrogatorio prima della richiesta del pubblico
ministero,   ha   avuto   ripetute  occasioni  di  affermare  che  la
specificita'  del  procedimento  monitorio,  configurato quale rito a
contraddittorio  eventuale  e  differito,  improntato  a  criteri  di
economia  processuale  e  di  massima  speditezza,  non  si  pone  in
contrasto  ne' con il principio di eguaglianza, ne' con il diritto di
difesa;
        che,  in  particolare,  la  Corte ha osservato che, stante la
peculiarita'  del  procedimento per decreto, "l'esigenza di garantire
la  conoscenza  dell'indagine  [...]  si trasferisce [...] sulla fase
processuale,  conseguente all'esercizio dell'opposizione, operando il
decreto  solo  quale  mezzo  di  contestazione dell'accusa definitiva
[...],  che  e' essenziale per garantire il diritto di difesa", e che
"il  decreto  penale costituisce una decisione preliminare soggetta a
opposizione,  cosicche'  l'esperimento  dei  mezzi  di difesa, con la
stessa  ampiezza  dei  procedimenti  ordinari,  si colloca nel vero e
proprio  giudizio che segue all'opposizione" (v. ordinanza n. 432 del
1998  e  i precedenti ivi menzionati, nonche' le successive ordinanze
n. 325, n. 326 e n. 458 del 1999);
        che  tali  conclusioni si innestano sul consolidato principio
(v.  di  recente  ordinanza  n. 203  del  2002  ed  i  precedenti ivi
richiamati)   secondo  cui  l'esercizio  del  diritto  di  difesa  e'
suscettibile  di  essere regolato in modo diverso per essere adattato
alle   esigenze   delle   specifiche   caratteristiche   dei  singoli
procedimenti,  purche' di tale diritto siano assicurati lo scopo e la
funzione;
        che  le  censure prospettate dai rimettenti in relazione agli
artt. 3 e 24 Cost. - non contengono argomentazioni tali da indurre la
Corte  a  discostarsi  dalle  conclusioni  raggiunte nelle precedenti
decisioni in materia;
        che in riferimento all'art. 111, secondo e terzo comma, Cost.
-  premesso che in sostanza i rimettenti denunciano la violazione del
principio  audiatur  et  altera pars prima dell'emissione del decreto
penale   e   lamentano   che  all'indagato  sia  quindi  preclusa  la
possibilita'  di  interloquire al fine di ottenere un proscioglimento
anticipato  ex  art. 129 cod. proc. pen. ovvero la restituzione degli
atti  al  pubblico  ministero  -  si  deve  rilevare  che  il dettato
costituzionale,  da  un  lato,  non  impone che il contraddittorio si
esplichi  con  le  medesime modalita' in ogni tipo di procedimento e,
soprattutto,  che  debba  sempre essere collocato nella fase iniziale
del  procedimento  stesso,  dall'altro  non  esclude  che  il diritto
dell'indagato  di essere informato nel piu' breve tempo possibile dei
motivi  dell'accusa  a suo carico possa essere variamente modulato in
relazione alla peculiare struttura dei singoli riti alternativi;
        che   nel   procedimento  per  decreto,  ove  venga  proposta
opposizione,  il  contraddittorio  tra  accusa e difesa si esplica da
quel  momento  in  modo  pieno,  con le medesime modalita' e garanzie
previste  nel  procedimento  ordinario,  in  un  contesto  in  cui la
notificazione  del  decreto  viene  a  svolgere  la  mera funzione di
informazione dei motivi dell'accusa;
        che  il decreto penale, al di la' della denominazione formale
di  "decreto  di condanna", costituisce dunque una sorta di decisione
"preliminare",  destinata  ad  essere  posta  nel  nulla  in  caso di
opposizione  ed  a  trasformarsi  in pronuncia definitiva di condanna
solo   nel  caso  in  cui  l'imputato,  non  opponendosi,  vi  presti
acquiescenza;
        che  in tale logica si iscrive il rilievo centrale che assume
la  peculiare  disciplina  della  notificazione  del  decreto penale,
finalizzata a renderne effettiva la conoscenza ed a consentire quindi
l'instaurazione del contraddittorio tra accusa e difesa, posto che, a
differenza di quanto previsto in via generale dall'art. 159, comma 1,
cod.  proc.  pen. (notificazione  dell'atto all'imputato irreperibile
mediante  consegna  al  difensore),  l'art. 460,  comma 4, cod. proc.
pen. stabilisce  che,  se  non e' possibile eseguire la notificazione
per  irreperibilita'  dell'imputato,  il  giudice revoca il decreto e
restituisce gli atti al pubblico ministero;
        che   la   garanzia   rappresentata   da   un   regime  della
notificazione  ancorato all'effettiva conoscenza del decreto e' stata
rafforzata  da  questa  Corte con la sentenza n. 504 del 2000, che ha
esteso  la  previsione  della revoca del decreto e della restituzione
degli  atti  al  pubblico  ministero  anche  al  caso  in cui non sia
possibile  eseguire la notificazione nel domicilio dichiarato a norma
dell'art. 161 cod. proc. pen;
        che,  al fine di assicurare l'assistenza della difesa tecnica
all'imputato  che  deve  operare la scelta tra proporre opposizione o
accettare  la  condanna  per decreto, l'art. 460, comma 3, cod. proc.
pen.,  cosi' come sostituito dalla legge 6 marzo 2001, n. 60, prevede
inoltre  che  copia  del  decreto  sia  notificata anche al difensore
d'ufficio o al difensore di fiducia eventualmente nominato;
        che, a fronte delle cautele predisposte per rendere effettiva
la  conoscenza del decreto e per porre l'imputato nelle condizioni di
operare  una scelta consapevole tra l'opposizione e l'acquiescenza al
decreto,  l'omessa  previsione  di un avviso all'indagato prima della
notificazione  del  decreto  penale  non si traduce in un sacrificio,
costituzionalmente  rilevante,  del  diritto  al contraddittorio, che
l'imputato  potra'  pienamente  esercitare  ove  decida  di  proporre
opposizione;
        che    la   questione   deve   pertanto   essere   dichiarata
manifestamente infondata in relazione a tutti i parametri evocati dai
rimettenti.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 459  del  codice di procedura
penale,   sollevate,   in  riferimento  agli  artt. 24  e  111  della
Costituzione,  dai  Tribunali  di  Avellino  e  di  Torre Annunziata,
nonche'  degli  artt. 459  e  460  del  codice  di  procedura penale,
sollevata,  in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione,
dal Tribunale di Marsala, con le ordinanze in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                     Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 15 gennaio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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