N. 41 SENTENZA 30 gennaio - 6 febbraio 2003

Giudizio sull'ammissibilita' di richiesta di referendum abrogativo.

Lavoro (rapporto di) - Licenziamenti individuali - Reintegrazione dei
  lavoratori illegittimamente licenziati - Richiesta abrogativa delle
  norme   sui   limiti   numerici   degli  occupati  nelle  strutture
  produttive,  ai fini dell'estensione di operativita' della garanzia
  reale  -  Non  riconducibilita' delle norme oggetto della richiesta
  referendaria  alle  materie sottratte al referendum - Omogeneita' e
  non   contraddittorieta'   del   quesito   -  Ammissibilita'  della
  richiesta.
- Legge  20  maggio  1970,  n. 300,  art.  18, commi primo, secondo e
  terzo,  nel  testo risultante dalle modifiche apportate dall'art. 1
  della  legge  11 maggio 1990, n. 108; legge 11 maggio 1990, n. 108,
  artt.  2,  comma  1, e 4, comma 1, secondo periodo; legge 15 luglio
  1966,  n. 604,  art.  8, nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3,
  della legge n. 108 del 1990.
- Costituzione, art. 75, secondo comma, 4 e 35.
(GU n.1000 del 11-2-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI,
Guido  NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco
BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano
VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  ammissibilita', ai sensi dell'art. 2, primo comma,
della  legge  costituzionale  11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di
referendum popolare per l'abrogazione:
        dell'art. 18,   comma  primo,  della  legge  20 maggio  1970,
n. 300,  titolata  "Norme  sulla tutela della liberta' e dignita' dei
lavoratori,  della  liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei
luoghi   di   lavoro  e  norme  sul  collocamento",  come  modificato
dall'art. 1  della  legge  11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle
sole  parole  "che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o
reparto  autonomo  nel  quale  ha avuto luogo il licenziamento occupa
alle  sue  dipendenze piu' di quindici prestatori di lavoro o piu' di
cinque  se  trattasi  di  imprenditore agricolo" e all'intero periodo
successivo  che  recita:  "Tali disposizioni si applicano altresi' ai
datori  di  lavoro,  imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito
dello  stesso  comune  occupano  piu'  di quindici dipendenti ed alle
imprese  agricole  che nel medesimo ambito territoriale occupano piu'
di   cinque   dipendenti,   anche   se  ciascuna  unita'  produttiva,
singolarmente  considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso
al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle
sue dipendenze piu' di sessanta prestatori di lavoro";
        dell'art. 18,  comma  secondo,  della  legge  20 maggio 1970,
n. 300,  titolata  "Norme  sulla tutela della liberta' e dignita' dei
lavoratori,  della  liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei
luoghi   di  lavoro,  e  norme  sul  collocamento",  come  modificato
dall'art. 1  della legge 11 maggio 1990, n. 108, che recita: "Ai fini
del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui al primo comma
si  tiene  conto  anche  dei  lavoratori  assunti  con  contratto  di
formazione  e  lavoro,  dei  lavoratori assunti con contratto a tempo
indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto,
tenendo  conto,  a  tale  proposito,  che  il  computo  delle  unita'
lavorative  fa  riferimento  all'orario previsto dalla contrattazione
collettiva  del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del
datore  di  lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea
collaterale";
        dell'art. 18,   comma  terzo,  della  legge  20 maggio  1970,
n. 300,  titolata  "Norme  sulla tutela della liberta' e dignita' dei
lavoratori,  della  liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei
luoghi   di   lavoro  e  norme  sul  collocamento",  come  modificato
dall'art. 1  della  legge  11 maggio  1990,  n. 108,  che recita: "Il
computo  dei  limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide
su   norme  o  istituti  che  prevedono  agevolazioni  finanziarie  o
creditizie";
        dell'art. 2,  comma  1,  della  legge 11 maggio 1990, n. 108,
titolata  "Disciplina  dei licenziamenti individuali", che recita: "I
datori   di   lavoro   privati,   imprenditori  non  agricoli  e  non
imprenditori,  e  gli enti pubblici di cui all'articolo 1 della legge
15 luglio  1966,  n. 604,  che  occupano  alle loro dipendenze fino a
quindici  lavoratori  ed i datori di lavoro imprenditori agricoli che
occupano  alle loro dipendenze fino a cinque lavoratori computati con
il  criterio  di  cui  all'articolo  18  della  legge 20 maggio 1970,
n. 300,  come  modificato  dall'articolo 1 della presente legge, sono
soggetti  all'applicazione  delle  disposizioni  di  cui  alla  legge
15 luglio  1966,  n. 604, cosi' come modificata dalla presente legge.
Sono  altresi'  soggetti  all'applicazione  di  dette  disposizioni i
datori di lavoro che occupano fino a sessanta dipendenti, qualora non
sia  applicabile  il  disposto dell'articolo 18 della legge 20 maggio
1970, n. 300, come modificato dall'articolo 1 della presente legge";
        dell'art. 8  della  legge  15 luglio  1966,  n. 604, titolata
"Norme  sui  licenziamenti individuali", come sostituito dall'art. 2,
comma  3,  della  legge  11 maggio  1990, n. 108, che recita: "Quando
risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per
giusta  causa  o giustificato motivo, il datore di lavoro e' tenuto a
riassumere  il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o,
in  mancanza,  a  risarcire  il  danno  versandogli  un'indennita' di
importo  compreso  tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilita'
dell'ultima  retribuzione  globale di fatto, avuto riguardo al numero
dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianita'
di  servizio  del  prestatore  di  lavoro,  al  comportamento  e alle
condizioni  delle  parti. La misura massima della predetta indennita'
puo'  essere maggiorata  fino  a  10  mensilita' per il prestatore di
lavoro  con anzianita' superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilita'
per  il  prestatore di lavoro con anzianita' superiore ai venti anni,
se  dipendenti  da  datore  di  lavoro  che  occupa  piu' di quindici
prestatori di lavoro";
        dell'art. 4,  comma  1,  della  legge 11 maggio 1990, n. 108,
titolata "Disciplina dei licenziamenti individuali", limitatamente al
periodo che cosi' recita: "La disciplina di cui all'articolo 18 della
legge  20 maggio  1970, n. 300, come modificato dall'articolo 1 della
presente  legge,  non  trova applicazione nei confronti dei datori di
lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attivita' di
natura  politica,  sindacale,  culturale,  ovvero  di  religione o di
culto"; giudizio iscritto al n. 134 del registro referendum.
    Vista  l'ordinanza  del  9 dicembre  2002  con la quale l'Ufficio
centrale   per  il  referendum  presso  la  Corte  di  cassazione  ha
dichiarato conforme a legge la richiesta;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 14 gennaio 2003 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky;
    Uditi  gli  avvocati  Alberto Piccinini e Pier Luigi Panici per i
presentatori  Paolo Cagna Ninchi, Pier Luigi Panici, Giacinto Botti e
Pietro Alo'.

                          Ritenuto in fatto

    1. - L'Ufficio  centrale  per  il referendum costituito presso la
Corte  di  cassazione,  in  applicazione  della legge 25 maggio 1970,
n. 352, e successive modifiche e integrazioni, esaminata la richiesta
di  referendum  popolare  presentata  in  data  28 febbraio  2002  da
quattordici  cittadini  italiani  -  quale  risultante  dall'annuncio
pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  del 1 marzo 2002, n. 51 - per
l'abrogazione  (a)  di  parte  del  comma primo e dei commi secondo e
terzo  dell'art. 18  della  legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla
tutela  della  liberta'  e  dignita'  dei  lavoratori, della liberta'
sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento),  (b)  del  comma  1  dell'art. 2 della legge 11 maggio
1990,   n. 108   (Disciplina   dei  licenziamenti  individuali),  (c)
dell'art. 8   della   legge   15 luglio   1966,   n. 604  (Norme  sui
licenziamenti  individuali)  e  (d)  di parte del comma 1 dell'art. 4
della  citata  legge n. 108 del 1990, ne ha verificato la regolarita'
e,  rilevata  (con  ordinanza  del  21 ottobre 2002) la necessita' di
alcune  integrazioni  e correzioni formali del quesito, con ordinanza
del  9 dicembre  2002 ha dichiarato che la richiesta di referendum e'
conforme alla legge.
    Il  quesito  referendario,  quale risultante dalle integrazioni e
correzioni disposte, e' cosi' formulato:
    "Volete voi l'abrogazione:
        dell'art. 18,   comma  primo,  della  legge  20 maggio  1970,
n. 300,  titolata  "Norme  sulla tutela della liberta' e dignita' dei
lavoratori,  della  liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei
luoghi   di  lavoro  e  norme  sul  collocamento  ,  come  modificato
dall'art. 1  della  legge  11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle
sole  parole  "che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o
reparto  autonomo  nel  quale  ha avuto luogo il licenziamento occupa
alle  sue  dipendenze piu' di quindici prestatori di lavoro o piu' di
cinque  se  trattasi  di  imprenditore  agricolo e all'intero periodo
successivo  che  recita:  "Tali disposizioni si applicano altresi' ai
datori  di  lavoro,  imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito
dello  stesso  comune  occupano  piu'  di quindici dipendenti ed alle
imprese  agricole  che nel medesimo ambito territoriale occupano piu'
di   cinque   dipendenti,   anche   se  ciascuna  unita'  produttiva,
singolarmente  considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso
al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle
sue dipendenze piu' di sessanta prestatori di lavoro ;
        dell'art. 18,  comma  secondo,  della  legge  20 maggio 1970,
n. 300,  titolata  "Norme  sulla tutela della liberta' e dignita' dei
lavoratori,  della  liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei
luoghi  di  lavoro,  e  norme  sul  collocamento  ,  come  modificato
dall'art. 1  della legge 11 maggio 1990, n. 108, che recita: "Ai fini
del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui al primo comma
si  tiene  conto  anche  dei  lavoratori  assunti  con  contratto  di
formazione  e  lavoro,  dei  lavoratori assunti con contratto a tempo
indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto,
tenendo  conto,  a  tale  proposito,  che  il  computo  delle  unita'
lavorative  fa  riferimento  all'orario previsto dalla contrattazione
collettiva  del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del
datore  di  lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea
collaterale ;
        dell'art. 18,   comma  terzo,  della  legge  20 maggio  1970,
n. 300,  titolata  "Norme  sulla tutela della liberta' e dignita' dei
lavoratori,  della  liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei
luoghi   di  lavoro  e  norme  sul  collocamento  ,  come  modificato
dall'art. 1  della  legge  11 maggio  1990,  n. 108,  che recita: "Il
computo  dei  limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide
su   norme  o  istituti  che  prevedono  agevolazioni  finanziarie  o
creditizie ;
        dell'art. 2,  comma  1,  della  legge 11 maggio 1990, n. 108,
titolata  "Disciplina  dei licenziamenti individuali , che recita: "I
datori   di   lavoro   privati,   imprenditori  non  agricoli  e  non
imprenditori,  e  gli enti pubblici di cui all'articolo 1 della legge
15 luglio  1966,  n. 604,  che  occupano  alle loro dipendenze fino a
quindici  lavoratori  ed i datori di lavoro imprenditori agricoli che
occupano  alle loro dipendenze fino a cinque lavoratori computati con
il  criterio  di  cui  all'articolo  18  della  legge 20 maggio 1970,
n. 300,  come  modificato  dall'articolo 1 della presente legge, sono
soggetti  all'applicazione  delle  disposizioni  di  cui  alla  legge
15 luglio  1966,  n. 604, cosi' come modificata dalla presente legge.
Sono  altresi'  soggetti  all'applicazione  di  dette  disposizioni i
datori di lavoro che occupano fino a sessanta dipendenti, qualora non
sia  applicabile  il  disposto dell'articolo 18 della legge 20 maggio
1970, n. 300, come modificato dall'articolo 1 della presente legge ;
        dell'art. 8  della  legge  15 luglio  1966,  n. 604, titolata
"Norme  sui  licenziamenti individuali , come sostituito dall'art. 2,
comma  3,  della  legge  11 maggio  1990, n. 108, che recita: "Quando
risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per
giusta  causa  o giustificato motivo, il datore di lavoro e' tenuto a
riassumere  il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o,
in  mancanza,  a  risarcire  il  danno  versandogli  un'indennita' di
importo  compreso  tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilita'
dell'ultima  retribuzione  globale di fatto, avuto riguardo al numero
dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianita'
di  servizio  del  prestatore  di  lavoro,  al  comportamento  e alle
condizioni  delle  parti. La misura massima della predetta indennita'
puo'  essere maggiorata  fino  a  10  mensilita' per il prestatore di
lavoro  con anzianita' superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilita'
per  il  prestatore di lavoro con anzianita' superiore ai venti anni,
se  dipendenti  da  datore  di  lavoro  che  occupa  piu' di quindici
prestatori di lavoro ;
        dell'art. 4,  comma  1,  della  legge 11 maggio 1990, n. 108,
titolata "Disciplina dei licenziamenti individuali , limitatamente al
periodo che cosi' recita: "La disciplina di cui all'articolo 18 della
legge  20 maggio  1970, n. 300, come modificato dall'articolo 1 della
presente  legge,  non  trova applicazione nei confronti dei datori di
lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attivita' di
natura politica, sindacale, culturale, ovvero di religione o di culto
?".
    Con la medesima ordinanza del 19 dicembre 2002 l'Ufficio centrale
ha stabilito, in applicazione dell'art. 32, ultimo comma, della legge
n. 352   del   1970,   la   seguente  denominazione  del  referendum:
"Reintegrazione    dei    lavoratori   illegittimamente   licenziati:
abrogazione delle norme che stabiliscono limiti numerici ed esenzioni
per l'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori".
    2. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale,
il  Presidente  di  questa  Corte ha fissato, per la deliberazione in
camera  di  consiglio  sull'ammissibilita' del referendum la data del
14 gennaio   2003,   dandone   comunicazione  ai  presentatori  della
richiesta  e  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  a norma
dell'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.
    3. - I  presentatori  della  richiesta  hanno  depositato in data
9 gennaio 2003, a norma dell'art. 33, terzo comma, della legge n. 352
del 1970, una memoria nella quale, richiamati alcuni precedenti della
giurisprudenza  di questa Corte, si conclude per l'ammissibilita' del
referendum  in  particolare  sotto i profili della omogeneita', della
chiarezza e della univocita' del quesito proposto.
    4. - Nella   camera   di   consiglio   del   14 gennaio   2003  i
rappresentanti  dei presentatori hanno insistito per una pronuncia di
ammissibilita' della richiesta di referendum popolare.

                       Considerato in diritto

    1. - La    richiesta    di    referendum   abrogativo   popolare,
sull'ammissibilita'   della   quale   questa   Corte  e'  chiamata  a
pronunciarsi,  investe  quattro disposizioni in materia di disciplina
dei  licenziamenti  individuali  di  lavoratori  operanti nel settore
privato, e precisamente:
        a)  l'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla
tutela  della  liberta'  e  dignita'  dei  lavoratori, della liberta'
sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento)  (c.d.  statuto  dei  lavoratori), nel testo risultante
dalle  modifiche  apportate  dall'art. 1  della legge 11 maggio 1990,
n. 108,  del quale si propone l'abrogazione limitatamente a parte del
comma primo e ai commi secondo e terzo;
        b)  l'art. 2,  comma  1,  della  citata legge n. 108 del 1990
(Disciplina dei licenziamenti individuali);
        c)  l'art. 8  della  legge  15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui
licenziamenti  individuali),  nel testo sostituito dall'art. 2, comma
3, della legge n. 108 del 1990;
        d)  l'art. 4,  comma  1,  secondo periodo, della stessa legge
n. 108 del 1990.
    2.1. - A differenza di quanto stabilito dall'art. 2118 cod. civ.,
che  prevedeva il cosiddetto recesso ad nutum dal rapporto di lavoro,
la  materia  dei  licenziamenti  individuali  e'  oggi  regolata,  in
presenza  degli artt. 4 e 35 della Costituzione, in base al principio
della necessaria giustificazione del recesso e del potere di adire il
giudice,   riconosciuto  al  lavoratore,  in  caso  di  licenziamento
arbitrario.  Tale principio, affermato con la legge n. 604 del 1966 e
confermato  con la legge n. 300 del 1970 (nonche' con la legge n. 108
del  1990,  modificativa  delle  due  precedenti),  e' stato peraltro
svolto per mezzo di due forme di garanzia:
        a)  la cosiddetta garanzia obbligatoria, prevista dall'art. 8
della  legge  n. 604  del  1966, che comporta l'obbligo del datore di
lavoro   di   riassumere   il   lavoratore   o,  in  alternativa,  di
corrispondergli  un'indennita'  quando il licenziamento risulti privo
di una giusta causa (art. 2119 cod. civ.) o di un giustificato motivo
(art. 3 della medesima legge del 1966);
        b)  la cosiddetta garanzia reale, prevista dall'art. 18 della
legge   n. 300   del   1970,   che,  per  il  caso  di  licenziamento
ingiustificato,  inefficace  e  nullo,  stabilisce,  per il datore di
lavoro,  l'obbligo di "reintegrare" nel posto di lavoro il lavoratore
e di corrispondergli un'indennita' a titolo di risarcimento del danno
subito,  e,  per  il  lavoratore,  la  possibilita'  di rinunciare al
"reintegro"  e  di  ottenere,  in  alternativa  a  esso, un'ulteriore
indennita'.
    Tutela   obbligatoria   e   tutela   reale   differiscono  dunque
profondamente  circa  le  conseguenze  del  licenziamento arbitrario:
l'una  e'  incentrata  sulla  garanzia  patrimoniale, sul presupposto
dell'idoneita'  del  recesso  illegittimo  a risolvere il rapporto di
lavoro;  l'altra, sulla continuita' del rapporto di lavoro, garantita
dal  diritto  al  reintegro,  sul  presupposto  dell'inidoneita'  del
recesso illegittimo a risolverlo.
    2.2. - Apprestando le due forme di garanzia, il legislatore ne ha
altresi' definito gli ambiti di applicazione. Dopo l'intervento della
legge n. 108 del 1990, essi risultano configurati come segue.
    La  tutela  reale  trova applicazione nei confronti dei datori di
lavoro,  imprenditori  e  non  imprenditori,  che  occupino  piu'  di
quindici  dipendenti  in ciascuna unita' produttiva, come individuata
dalla  legge,  e,  in  ogni  caso,  quando  occupino piu' di sessanta
dipendenti;  per  i datori di lavoro imprenditori agricoli, il limite
numerico  e'  stabilito  in piu' di cinque dipendenti (art. 18, primo
comma, della legge n. 300 del 1970).
    La  tutela  obbligatoria  opera invece in tutti i casi in cui non
vale  la tutela reale, cioe' (art. 2 della legge n. 108 del 1990) nei
confronti   dei  datori  di  lavoro  che  occupino  fino  a  quindici
lavoratori  (computati  secondo  i  medesimi criteri previsti ai fini
della  tutela reale) ovvero fino a cinque dipendenti, se imprenditori
agricoli;  nonche'  nei  confronti  dei datori di lavoro che comunque
occupino  fino  a sessanta dipendenti, sempre che non sia applicabile
la garanzia reale.
    La  tutela  reale,  inoltre,  e'  prevista  in  tutti  i  casi di
licenziamento  dettato da ragioni discriminatorie (art. 3 della legge
n. 108 del 1990).
    Accanto  a  questa  disciplina generale, basata (a parte l'ultima
ipotesi  menzionata)  sul  criterio  del numero di occupati, esistono
norme  che  (a)  escludono dall'ambito di applicazione della garanzia
reale  i  lavoratori  che  prestano  la loro opera alle dipendenze di
datori  non imprenditori che svolgono, senza fini di lucro, attivita'
cosiddette   di  tendenza,  cioe'  "di  natura  politica,  sindacale,
culturale,  di  istruzione  ovvero  di religione o di culto" (art. 4,
comma 1, secondo periodo, della legge n. 108 del 1990), (b) escludono
altresi'  dall'ambito  di  applicazione  tanto  della  garanzia reale
quanto  di quella obbligatoria - valendo per esse la regola residuale
del  recesso  ad  nutum  -  alcune  categorie  di  lavoratori come: i
lavoratori  domestici  (art. 4,  comma  1, primo periodo, della legge
n. 108  del  1990);  i  lavoratori  ultrasessantenni  in possesso dei
requisiti  pensionistici e che non abbiano optato per la prosecuzione
del  rapporto  (art. 4, comma 2, della stessa legge); i dirigenti (ex
artt. 10  e  2,  quarto comma, della legge n. 604 del 1966, e 3 della
legge  n. 108  del  1990); i lavoratori in prova, fino all'assunzione
definitiva e comunque per non oltre sei mesi dall'inizio del rapporto
(art. 10 della legge n. 604 del 1966).
    2.3. - Tramite  la  soppressione delle disposizioni e delle parti
di  disposizioni  indicate  nell'esposizione del fatto, il referendum
abrogativo  la  cui  ammissibilita'  costituzionale  deve  qui essere
vagliata  e'  rivolto  in  primo  luogo all'estensione della garanzia
reale   contro  i  licenziamenti  ingiustificati  ai  lavoratori  che
attualmente,  in  conseguenza  dei  limiti  numerici sopra ricordati,
godono  esclusivamente  della garanzia obbligatoria. Questo obiettivo
e'  perseguito,  da  un  lato,  attraverso  l'eliminazione dei limiti
numerici  che  impediscono attualmente alla garanzia reale di operare
in   favore   dei   lavoratori   impiegati  nelle  piccole  strutture
produttive;   dall'altro,   parallelamente   a   questa   estensione,
attraverso  l'abrogazione  della  norma  che  attualmente  assicura a
questi lavoratori soltanto la garanzia obbligatoria.
    Il   referendum   mira  altresi'  all'estensione  della  medesima
garanzia reale anche ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro non
imprenditori   che   svolgono  senza  fini  di  lucro  attivita'  "di
tendenza".
    Restano invece fuori della portata del referendum altre categorie
di  lavoratori  del  settore  privato per le quali valgono discipline
particolari    (come    i    lavoratori   domestici,   i   lavoratori
ultrasessantenni, i dirigenti, i lavoratori in prova).
    3. - La richiesta di referendum e' ammissibile.
    3.1. - Le  norme  oggetto  del quesito referendario sono estranee
alle  materie in relazione alle quali l'art. 75, secondo comma, della
Costituzione   preclude   il   ricorso  all'istituto  del  referendum
abrogativo.
    3.2. - La domanda posta agli elettori con il quesito referendario
e'   inoltre  omogenea.  Essa  concerne,  nel  suo  nucleo  centrale,
disposizioni   e   parti   di  disposizioni  che,  nell'ambito  della
disciplina  dei  licenziamenti individuali e alla stregua dei criteri
dimensionali  sopra indicati (paragrafo 2. 2. ), definiscono l'ambito
e i limiti di operativita' della tutela reale apprestata dall'art. 18
della legge n. 300 del 1970 in favore del lavoratore illegittimamente
licenziato.
    Investendo   contemporaneamente  (a)  la  norma  che  prevede  la
garanzia   obbligatoria,   avente  originariamente  portata  generale
(art. 8  della legge n. 604 del 1966), (b) la connessa previsione che
successivamente  ha delineato i limiti numerici al di sotto dei quali
si applica la medesima garanzia (art. 2 della legge n. 108 del 1990),
nonche' (c) la speculare determinazione dei limiti dimensionali al di
sopra  dei  quali  si  applica la tutela reale (art. 18, primo comma,
della  legge  n. 300  del  1970, nelle parti indicate), la domanda di
abrogazione  in  esame chiarisce la propria obbiettiva ratio unitaria
consistente,   conformemente   al   titolo  assegnato  al  referendum
dall'Ufficio   centrale,   nell'estensione   della   garanzia   della
reintegrazione  e  del  risarcimento del danno contenuta nell'art. 18
dello  statuto  dei  lavoratori, in modo da comprendere in essa anche
l'ambito in cui oggi vale la tutela obbligatoria.
    La    domanda   referendaria   coinvolge   inoltre   disposizioni
strettamente   conseguenziali,   dettate  ai  fini  del  computo  dei
dipendenti   e  per  l'applicazione  di  agevolazioni  finanziarie  e
creditizie  indipendentemente  dal  limite  numerico (commi secondo e
terzo   dell'art. 18   della   legge   n. 300  del  1970),  le  quali
perderebbero  ogni  ragion  d'essere una volta espunto dal sistema il
criterio dimensionale al quale esse fanno riferimento.
    3.3. - Il  quesito  e'  omogeneo,  pur  concernendo  altresi'  la
disposizione  (art. 4,  comma  1,  della  legge  n. 108 del 1990) che
esclude  l'applicabilita'  della  garanzia  di stabilita' reale per i
dipendenti  da  datori  di  lavoro,  non imprenditori, che esercitano
un'attivita'  "di tendenza". L'esistenza di una matrice razionalmente
unitaria  e'  comunque  assicurata dall'obiettivo comune di estendere
l'ambito  di  operativita'  della garanzia reale in settori nei quali
essa attualmente non opera.
    3.4. - Non  incide  poi  sulla  completezza  del quesito e quindi
sull'esigenza  della  sua non-contraddittorieta' rispetto all'intento
referendario - ma solo sull'estensione della sua portata abrogatrice,
rimessa   evidentemente  alla  discrezionalita'  dei  proponenti,  la
circostanza  che  esso  non concerna la posizione di alcune categorie
particolari   di   lavoratori,   come   ad  esempio  quelle  previste
dall'art. 4 della legge n. 108 del 1990 o da normative speciali.
    3.5. - La  domanda  referendaria  si  presenta, per quanto detto,
chiara e univoca nella sua struttura e nei suoi effetti. Essa propone
al   corpo   elettorale  un'alternativa  netta  tra  il  mantenimento
dell'attuale  disciplina  caratterizzata  dalla  coesistenza  di  due
parallele  forme  di  tutela,  quella  obbligatoria e quella reale, e
l'estensione della seconda.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  ammissibile  la  richiesta  di  referendum popolare per
l'abrogazione,  nelle parti indicate in epigrafe: dell'art. 18, commi
primo,  secondo  e  terzo,  della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme
sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta'
sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul
collocamento),   nel   testo  risultante  dalle  modifiche  apportate
dall'art. 1  della  legge  11 maggio  1990,  n. 108  (Disciplina  dei
licenziamenti  individuali);  degli  artt. 2,  comma 1, e 4, comma 1,
secondo periodo, della legge n. 108 del 1990; dell'art. 8 della legge
15 luglio  1966,  n. 604  (Norme  sui licenziamenti individuali), nel
testo  sostituito  dall'art. 2, comma 3, della legge n. 108 del 1990;
richiesta  dichiarata  legittima,  con ordinanza del 9 dicembre 2002,
dall'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di
cassazione.
    Cosi' deciso in Roma, il 30 gennaio 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                      Il redattore: Zagrebelsky
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 6 febbraio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
03C0101