N. 123 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 febbraio 2003
Ordinanza emessa l'8 febbraio 2003 dal tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Adusbef contro Ministero dell'economia e delle finanze ed altra Credito (Istituti di) - Fondazioni bancarie - Ambito di attivita' - Limitazione ai "settori ammessi" tassativamente indicati e suddivisi in quattro categorie - Obbligo, per ciascuna fondazione, di scelta ogni tre anni, tra i settori ammessi, di non piu' di tre settori, definiti, in conseguenza della scelta, "settori rilevanti" - Destinazione dell'attivita' delle fondazioni esclusivamente nei settori ammessi, e in via prevalente, in quelli rilevanti - Irrazionalita', per contrasto con l'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 153/1999, quale norma di principio nei confronti della normativa di dettaglio e per indebita ed eccessiva compressione dell'autonomia privata e stravolgimento della nozione e del nucleo essenziale del modello codicistico della fondazione - Incidenza sul diritto di associazione e sui diritti dell'uomo nelle formazioni sociali ammesse dall'ordinamento - Violazione del principio di liberta' di iniziativa economica privata - Lesione della sfera di potesta' legislativa regionale concorrente (in materia di protezione civile, ricerca e beni culturali) o esclusiva (in materia di assistenza, edilizia locale e agricoltura) nonche' del principio di sussidiarieta'. - Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 11, commi 1, primo periodo, 2 e 3. - Costituzione, artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118. Credito (Istituti di) - Fondazioni bancarie - Attribuzione all'Autorita' di vigilanza del potere di modificare i "settori ammessi" con regolamento da emanare ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge n. 400/1988 - Dedotta delegificazione, in deroga al principio di gerarchia delle fonti, ad opera di fonte secondaria di mera esecuzione - Violazione del principio dell'esercizio in via esclusiva da parte del Parlamento della funzione legislativa - Incidenza sulla potesta' legislativa concorrente ed esclusiva delle Regioni. - Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 11, comma 1, ultimo periodo. - Costituzione, artt. 70 e 117. Credito (Istituti di) - Fondazioni bancarie - Organo di indirizzo - Composizione - Previsione di una prevalente e qualificata rappresentanza degli enti, diversi dallo Stato, di cui all'art. 114 della Costituzione, idonea a rifletterne le competenze nei settori ammessi in base agli artt. 117 e 118 della Costituzione - Irragionevolezza - Lesione dei diritti fondamentali dell'uomo nelle formazioni sociali e dei principi di liberta' di associazione, di autonomia regionale e di sussidiarieta'. - Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 11, comma 4. - Costituzione, artt. 2, 3, 18, 22, 41, 117 e 118, comma 4. Credito (Istituti di) - Fondazioni bancarie - Previsione, in assenza di espressa autorizzazione dell'Autorita' di vigilanza, della limitazione delle stesse attivita' all'ordinaria amministrazione - Incidenza sul principio di ragionevolezza, sui diritti fondamentali dell'uomo nelle formazioni sociali, sul diritto di associazione, sul principio di liberta' di iniziativa economica privata, sulla potesta' legislativa regionale concorrente ed esclusiva e sul principio di sussidiarieta'. - Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 11, comma 14, ultimo periodo. - Costituzione, artt. 2, 18 e 22. Opere pubbliche - Disposizioni in tema di infrastrutture e trasporti - Ambito oggettivo e soggettivo di applicazione - Denunciato contrasto con i principi di ragionevolezza, di tutela di diritti dell'uomo nelle formazioni sociali, di liberta' di associazione, di liberta' di iniziativa economica privata, di autonomia regionale e di sussidiarieta'. - Legge 1 agosto 2002, n. 166, art. 7, comma 1, lett. aa), punto 2. - Costituzione, artt. 2, 3, 18, 41, 70, 117 e 118, comma 4.(GU n.10 del 12-3-2003 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 11418 del 2002 Reg. Gen., proposto dalla Adusbef Associazione consumatori ed utenti, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Massimo Cemiglia e Salvatore Mazzamuto, con i quali elettivamente domicilia in Roma, Largo del Nazareno n. 8; Contro il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; e nei confronti dell'A.C.R.I. - Associazione Casse di Risparmio Italiane, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita; per l'annullamento del decreto ministeriale 2 agosto 2002, n. 217, recante il "Regolamento ai sensi dell'art. 11, comma 14 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in materia di disciplina delle fondazioni bancarie, e di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale, compreso, per le parti censurate, il parere del Consiglio di Stato Sezione consultiva per gli atti normativi n. 1354 del 2002; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'economia e delle finanze; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti di causa; Nominato relatore il consigliere Antonino Savo Amodio e uditi, all'udienza del 4 dicembre 2002, l'avv. Cemiglia, per la parte ricorrente, e l'avv. dello Stato Aiello per il Ministero dell'economia e delle finanze; Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue: F a t t o Con il ricorso in esame l'Adusbef, in qualita' di associazione esponenziale degli interessi dei consumatori e degli utenti, impugna l'atto indicato in epigrafe, deducendo: 1. - Illegittimita' dell'art. 2 del Regolamento per illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2 del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, in riferimento all'art. 1, comma 1 lettera c-bis) dello stesso decreto legislativo, come novellato dall'art. 11 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in relazione all'obbligo, imposto alle fondazioni bancarie, di agire esclusivamente nell'ambito dei settori espressamente ammessi. 2. - Illegittimita' dell'art. 2, comma 1 del Regolamento per illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2 del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, come modificato dall'art. 11 della legge 28 dicembre 2001, n. 448; illegittimita' dell'art. 3 del Regolamento per illegittimita' costituzionale dell'art. 4 lettere c) e d) del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, come novellato dall'art. 11, comma 4 della legge 28 dicembre 2001, n. 448. La censura e' rivolta, in primo luogo, nei confronti dell'imposizione di uno specifico ed indissolubile legame con il territorio, al quale andrebbero destinate le risorse dei soggetti in parola. Il vizio denunciato rimane integro anche dopo che, per l'intervento del Consiglio di Stato in sede consultiva, si e' previsto che debbano essere gli statuti a stabilire se individuare un territorio di elezione. In secondo luogo, l'attenzione di parte ricorrente e' rivolta alla disposizione che impone la presenza, nell'organo di indirizzo, di una "prevalente" rappresenza del territorio. 3. - Violazione dell'art. 17, comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400, da parte dell'art. 9, comma 2 del Regolamento, atteso che quest'ultimo, disattendendo il parere del Consiglio di Stato, consentirebbe le sole modifiche statutarie strettamente necessarie per recepire i principi introdotti dall'art. 11 della legge n. 448, del 2001. In ogni caso, mancherebbe una specifica motivazione in merito alle ragioni che hanno portato a disattendere l'avviso espresso dall'Organo consultivo. 4. - Illegittimita' dell'art. 9, comma 6 del Regolamento, nella parte in cui prevede l'obbligatoria decadenza degli organi, di indirizzo e di amministrazione, delle fondazioni bancarie e la loro necessaria ricostituzione, anche qui in spregio a quanto suggerito dal Consiglio di Stato. Si e' costituito in giudizio il Ministero dell'economia e delle finanze, il quale, nella memoria difensiva, controdeduce ai singoli motivi di doglianza. D i r i t t o 1. - Viene all'esame del tribunale il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 2 agosto 2002, n. 217, recante il regolamento previsto dall'art. 11 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, in materia di disciplina delle fondazioni bancarie. Avverso tale provvedimento vengono mossi numerosi rilievi, alcuni dei quali investono la legittimita' costituzionale della fonte attributiva del potere regolamentare. Occorre, innanzi tutto, individuare la natura giuridica delle fondazioni bancarie, quale emerge dal diritto positivo oggi vigente e che costituisce la risultante dell'evoluzione normativa, che, nel corso di piu' di un decennio, ha portato a compimento il processo di separazione delle stesse dalle banche ex pubbliche conferitarie, processo che si inserisce in quello, ancor piu' radicale, riguardante la privatizzazione dell'intero settore creditizio. Punto di partenza ditale evoluzione e' la legge cd. Amato-Carli 30 luglio 1990, n. 218, ed il conseguente decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356. Quest'ultimo contiene le "disposizioni per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio" e, in particolare, al Titolo III, reca la disciplina degli "Enti pubblici conferenti", attribuendo ad essi una piena capacita' di diritto pubblico e di diritto privato ed assoggettandoli alle disposizioni legislative appositamente varate e a quelle dei loro rispettivi statuti. La prospettiva muta profondamente con la legge c.d. Ciampi 23 dicembre 1998, n. 461, che conferisce la delega al Governo per il riordino della disciplina civilistica e fiscale di detti enti. L'art. 2, comma 1 lettera l), in particolare, impone a questi ultimi di adeguare i propri statuti alle disposizioni dell'emanando decreto legislativo, stabilendo, altresi', che "con l'approvazione delle relative modifiche statutarie gli enti diventano persone giuridiche private con piena autonomia statutaria e gestionale". Risulta cosi' evidente l'opzione legislativa generale dell'affidamento della materia delle fondazioni bancarie al diritto privato, come ha osservato il Consiglio di Stato nel parere, reso sul Regolamento in esame, nell'adunanza del 1 luglio 2002, che ne ha altresi' individuato la ratio: privilegiare l'appartenenza, quanto meno morale, del patrimonio accumulato nel corso di decenni dalle banche pubbliche alla collettivita' dei depositanti risparmiatori e dei beneficiari del credito. Assume rilievo peculiare il carattere di pienezza dell'autonomia di detti enti, garantito dal citato art. 2, comma 1 lettera l) e riferito tanto al potere di autodisciplinarsi (autonomia statutaria), quanto a quello di svolgere la propria attivita' istituzionale (autonomia gestionale). I limiti di tale liberta' sono quelli tassativamente imposti dalla legge, in perfetta coerenza con la circostanza che le fondazioni bancarie sono il prodotto di una precisa scelta del Parlamento, chiamato, percio' stesso, a predisporre una serie di regole a salvaguardia del loro patrimonio e del corretto perseguimento dei fini istituzionali. All'uopo, il medesimo art. 2 ha fissato i principi e i criteri direttivi al legislatore delegato, riguardanti gli scopi, l'organizzazione interna e la forma dei controlli su tali soggetti. Il risultato perseguito e' stato di prevedere un regime peculiare, che si discosta da quello dettato dal codice civile, pur non dovendosi sottovalutare che anche quest'ultimo sottopone le "ordinarie" fondazioni ad un'attenta vigilanza, preordinata a garantire il perseguimento dello scopo indicato dal fondatore. La precedente esposizione consente di chiarire l'esatta portata del carattere di "specialita'" dei soggetti in parola, che non riguarda la loro natura, si' da renderli una sorta di tertium genus fra gli enti pubblici e le persone giuridiche private, ma attiene, piuttosto, alla disciplina cui i medesimi sono sottoposti, che, rispetto a quella codicistica, si pone, appunto, in rapporto di species ad genus, con tutte le conseguenze ermeneutiche ed applicative che ne discendono. Il decreto delegato 17 maggio 1999, n. 153, si pone nella medesima prospettiva, esordendo con una definizione delle fondazioni bancarie in tutto identica a quella della legge di delega. Analoga conferma viene dall'art. 11 della citata legge n. 448 del 2001, che lascia invariata tale definizione, pur modificando, per il resto, l'impianto legislativo precedente in maniera cosi' penetrante da avvertire la necessita' di attribuire all'Autorita' di vigilanza il potere regolamentare di coordinamento con le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 153 del 1999. La prospettiva non cambia neppure con la legge 15 giugno 2002, n. 112, che, convertendo il d.l. 15 aprile 2002, n. 63, aggiunge un ulteriore periodo all'art. 5; puo', anzi, fondatamente sostenersi che l'ulteriore intervento normativo non ha alcun effetto novativo della disciplina in vigore; tale conclusione e' confermata: a) dalla lettera dell'art. 5 citato. Esso puo' essere scomposto in tre parti fondamentali, in ragione degli effetti che e' destinato a produrre: vi e', anzitutto, una conferma della precedente normativa adottata, espressa dalla proposizione di apertura del periodo aggiunto: "Resta fermo quanto disposto dalla citata legge n. 461 del 1998 e dal medesimo decreto legislativo n. 153 del 1999..."; segue una precisazione in merito alla natura giuridica dei soggetti in parola, che, per dirla anche qui con il Consiglio di Stato, rende esplicita l'esistenza di un "regime privatistico speciale" che li caratterizza. La formula utilizzata - "in ragione del loro regime giuridico privatistico, speciale rispetto a quelle delle altre fondazioni, in quanto ordinato per legge ..." - costituisce, peraltro, la migliore conferma della gia' evidenziata portata del carattere di specialita' impresso dal legislatore alle fondazioni bancarie. Tale affermazione non e' smentita neppure dalla successiva elencazione, che si limita a richiamare i caratteri salienti della disciplina legislativa precedentemente varata (riguardanti il modus operandi delle fondazioni, l'organizzazione e la gestione del patrimonio, gli obiettivi da perseguire e i criteri applicativi della normativa che riguarda detti soggetti). si stabilisce infine, che "la disposizione di cui al precedente periodo costituisce norma di interpretazione autentica della legge 23 dicembre 1998, n. 461 e del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153". Basta in proposito osservare che la giurisprudenza, costituzionale (cfr. Corte cost. 23 novembre 1994 n. 397) ed amministrativa (cfr. Cons. Stato, V Sez., 2 luglio 2002 n. 3612), afferma costantemente che la norma legislativa puo' qualificarsi interpretativa e, quindi, retroattiva e costituzionalmente legittima solo quando si limita a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente, non integra il precetto di quest'ultima e non adotta un'opzione ermeneutica non desumibile dall'ordinaria attivita' di esegesi della stessa: tale risulta essere la norma in esame; b) dalla ratio e dall'occasio legis. Emerge dai lavori parlamentari che il periodo aggiunto all'art. 5 del d.l. n. 63 del 2002 (significativamente rubricato: "Adempimenti comunitari iniziali a seguito di condanna per aiuti di Stato") ha la funzione di "esplicitare agli organi della Comunita' europea le motivazioni della particolarita' del regime fiscale delle fondazioni, precisando che non si tratta di aiuti di Stato" (tanto risulta dalla dichiarazione del relatore dell'emendamento, on. Alfano, resa alle Commissioni parlamentari V e VI riunite). Lo Stato italiano ha cosi' inteso dare attuazione alla decisione della Commissione CEE dell'11 dicembre 2001, con la quale era stata giudicata incompatibile con la disciplina comunitaria la previsione, di cui alla legge n. 461 del 1998 e al decreto legislativo n. 153 del 1999, di un regime fiscale agevolato per le ristrutturazioni e per le fusioni fra le banche. La soluzione accolta e' stata quella di sospendere tale regime, ma, nel contempo, di far salvo quello analogo introdotto per le fondazioni bancarie, in considerazione del fatto che queste ultime non sono destinate a svolgere attivita' commerciale o di impresa; pertanto, le provvidenze fiscali previste in loro favore non sarebbero suscettibili di produrre effetti perturbativi del mercato. Solo per mero scrupolo, deve aggiungersi che al quadro normativo, appena delineato, non apporta alcuna variazione sostanziale l'art. 80, comma 20 della legge 28 dicembre 2002, n. 289, che, alla lettera a), disciplina un aspetto peculiare, in punto di incompatibilita' degli organi delle fondazioni bancarie, e, alla lettera b), si limita ad una proroga del periodo riservato per l'operazione di dismissione della partecipazione nella Societa' bancaria conferitaria. Le conclusioni raggiunte consentono di fare un passo ulteriore e di affermare che, se il paradigma normativo di riferimento e' quello evidenziato, il riconoscimento della "piena autonomia statutaria e gestionale" delle fondazioni bancarie assume il valore di un principio guida sia per l'interpretazione che per la valutazione di legittimita', sub specie della compatibilita' con esso, delle disposizioni successivamente enunciate dal decreto legislativo n. 153 del 1999, pur dopo le modificazioni introdotte dall'art. 11 della legge n. 448 del 2001. Piu' specificamente, l'affermazione della "piena" autonomia statutaria garantisce alle fondazioni il potere di darsi una propria "costituzione", che ne rispecchi i caratteri peculiari: la legge ben puo' conformare l'esercizio di tale potere, per garantire il perseguimento degli interessi di rilevanza sociale propri delle fondazioni (e non solo di quelle) bancarie, ma non puo' spingersi a comprimerlo fino ad annullarlo, in toto o per specifici aspetti, tradendo il carattere peculiare che essa stessa ha impresso a tali soggetti. Analogamente, l'affermazione dell'autonomia gestionale e' destinata ad assicurare il libero esplicarsi dell'attivita' istituzionale dei soggetti in parola, in tutti i suoi momenti tipici e, in primo luogo, nella fase di formazione della loro volonta'. Il problema e', quindi, di misura e si sostanzia nel verificare se sia stato superato il "grado di compressione che e' possibile imprimere all'autonomia privata...senza che cio' si traduca in uno stravolgimento della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale, che la Carta Costituzionale ha inteso preservare soprattutto con le modifiche introdotte dagli articoli 117 e 118 Cost.". L'espressione, mutuata dal piu' volte citato parere del Consiglio di Stato, consente anche di replicare all'obiezione, svolta oralmente dalla difesa di parte resistente, che ha negato la configurazione di un possibile vizio di costituzionalita' nella scelta del legislatore di discostarsi dal modello privatistico della fondazione. 2. - Puo' a questo punto, passarsi all'esame dei singoli motivi di ricorso, che, come risulta dalla precedente esposizione in fatto, possono essere suddivisi in due tipologie: a) censure che, pur rivolte nei confronti di singole disposizioni regolamentari, non possono essere decise indipendentemente dalla risoluzione delle questioni di costituzionalita' delle corrispondenti norme primarie; b) doglianze che hanno ad oggetto esclusivo ed immediato il d.m. 2 agosto 2002 n. 217, nessuna delle quali, pero', suscettibile di produrre l'integrale effetto annullatorio dell'atto impugnato: il che renderebbe irrilevante qualsivoglia questione di costituzionalita'. Quest'ultima precisazione consente al Collegio di fissare il proprio ambito decisionale, distinguendo due fasi. La prima riguarda la prioritaria trattazione delle questioni di costituzionalita' sollevate, limitando l'esame delle censure rivolte alle norme regolamentari ai soli casi in cui esso sia necessario per accertare la rilevanza, ai fini decisori, delle questioni stesse. La seconda, da minviarsi all'esito dell'esame che andra' ad effettuare la Corte costituzionale, che ha ad oggetto sia le disposizioni attuative strettamente consequenziali all'assetto normativo primario, sia quelle indicate alla precedente lettera b), in considerazione del fatto che, come risultera' evidente dalla successiva trattazione, i dubbi di costituzionalita', insorti nel Collegio, assumono un'importanza preponderante per quantita', ma, soprattutto, per qualita', toccando aspetti di fondo della normativa introdotta nel 2001, sicche' appare quantomai opportuno attendere il pronunciamento della Corte costituzionale sulla legittimita' dell'assetto normativo primario, per una piu' compiuta ed esaustiva disamina del complessivo testo regolamentare. Fatta tale premessa, puo' esaminarsi il primo motivo di ricorso, non senza aver preliminarmente riconosciuto la sussistenza della legittimazione attiva in capo all'Adusbef, in quanto ente esponenziale degli interessi dei consumatori e degli utenti, fruitori dell'attivita' istituzionale dei soggetti in parola. La censura, pur rivolta avverso l'art. 2 del decreto ministeriale n. 217 del 2002, denuncia, in realta', l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, commi 1, 2 e 3 della legge n. 448 del 2001, del quale la norma regolamentare costituisce la fedele applicazione. L'attenzione si appunta, in particolare, sull'obbligo imposto alle fondazioni di svolgere la loro attivita' esclusivamente nei "settori ammessi", prescegliendo, nell'ambito di quelli creati dalla legge, un massimo di tre settori che, percio' stesso, diventano "rilevanti". Non risulterebbe risolutore il correttivo - frutto di una sollecitazione in tal senso del Consiglio di Stato - che consente di effettuare la scelta senza tener conto della suddivisione dei settori ammessi nelle quattro categorie generali, operata dal legislatore del 2001. Parte ricorrente sostiene che tale previsione normativa comporterebbe l'indebita compressione dell'autonomia statutaria, alla quale sarebbe rimessa, in via esclusiva, la facolta' di individuare il proprio raggio di azione. Il vizio sarebbe aggravato da un'individuazione dei settori ammessi del tutto casuale o, quanto meno, avulsa dalla realta' storica delle fondazioni, alle quali verrebbe assegnata la cura di interessi (per tutti: prevenzione della criminalita' e sicurezza pubblica) da sempre appannaggio esclusivo della pubblica amministrazione. Un'ulteriore prova in tal senso sarebbe il recente ampliamento dell'elenco con il riferimento ai compiti attinenti alla realizzazione di beni pubblici e di pubblica utilita', operato dalla legge 1 agosto 2002, n. 166. In via preliminare, va affermata la rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata, atteso che l'art. 2 del Regolamento impugnato riproduce fedelmente il dettato legislativo, e, proprio in ragione di tale identita', non puo' che subire la sorte della norma legislativa che riproduce. Nel merito, la prospettazione di parte ricorrente non appare manifestamente infondata. La contestata disciplina, in estrema sintesi, prevede: a) l'introduzione di numerosi "settori ammessi", partitamente elencati e suddivisi in quattro categorie (comma 1); b) la nozione di "settori rilevanti", consistenti in quelli - tra gli ammessi - scelti ogni tre anni dalle singole fondazioni in numero non superiore a tre (comma 2); c) la destinazione dell'attivita' di queste ultime esclusivamente nei settori ammessi e, in via prevalente, in quelli rilevanti (comma 3). Le disposizioni riassunte apportano una profonda modificazione al decreto legislativo n. 153 del 1999: l'art. 2 comma 2, nella versione originaria, riconosceva agli statuti il potere di individuare i settori nei quali indirizzare l'attivita' delle fondazioni e di stabilire l'entita' degli interventi da effettuare in ciascuno di essi; l'unica limitazione riguardava l'obbligo di assicurare la cura di almeno uno dei settori rilevanti, indicati dall'art. 2 lettera e) della legge n. 461 del 1998 (ricerca scientifica, istruzione, arte, conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, sanita' e assistenza alle categorie sociali deboli). Tale compressione dell'autonomia statutaria - per la sua portata - non determinava lo snaturamento dei soggetti in parola, in quanto era giustificata dall'esigenza di garantire la cura dei (pochi) settori rilevanti individuati, appartenenti, per giunta, alla tradizionale sfera di operativita' delle fondazioni bancarie, ponendosi cosi' come una forma di necessario bilanciamento - in funzione della salvaguardia di interessi collettivi - dell'amplissima autonomia attribuita ai soggetti in parola. Infine, nell'originaria versione del decreto legislativo n. 153 del 1999, non era imposto alcun raccordo con il territorio di riferimento, ne', tantomeno, un'interdipendenza dell'attivita' delle fondazioni bancarie nel loro insieme. L'assetto dato dall'art. 11, piu' volte citato, fa sorgere fondati dubbi in merito alla sua compatibilita' con l'affermata "piena" autonomia, statutaria e gestionale, in quanto finisce con il comprimere, in maniera eccessiva, i due elementi peculiari di cui essa si connota: lo scopo e l'utilizzo del patrimonio della persona giuridica. Tali effetti sono indotti: a) dall'obbligo di operare "esclusivamente" nei settori ammessi, che preclude la possibilita' di scelta di ambiti di attivita', che, pur se non contemplati nell'elenco di cui all'art. 11 comma 1, si ascrivano comunque in quelli tradizionalmente propri delle fondazioni bancarie o rivestano, comunque, una rilevanza sociale. Tale conclusione non e' inficiata dall'obiezione di parte resistente che l'ampia latitudine dei "settori ammessi" e l'aderenza degli stessi all'attivita' istituzionale delle fondazioni bancarie non consentirebbero di configurare una rilevante incidenza sull'autonomia di queste ultime. Deve osservarsi, intanto, che la questione va correttamente impostata in termini di principio e che, pertanto, essa deve riguardare la legittimita', in astratto, delle limitazioni introdotte. Peraltro, pur volendo seguire il ragionamento dell'Amministrazione, deve comunque rilevarsi che l'elencazione legislativa non copre tutti i possibili settori di attivita' di detti soggetti: lo dimostrano, da un lato, lo stesso art. 11 comma 1, ultimo periodo, il quale avverte la necessita' di attribuire all'Autorita' di vigilanza il potere di modificare con regolamento i settori ammessi, in una visione, evidentemente, dinamica dell'attivita' complessiva da riservare alle fondazioni bancarie; dall'altro, l'ulteriore intervento del legislatore che, con la legge n. 166 del 2002, ha integrato l'elenco varato solo un anno prima. La suddetta delimitazione, spinta fino al punto da elidere un autonomo potere di scelta dei soggetti in parola, si giustifica, quindi, solo se la si considera come una manifestazione della volonta' di sottoporre questi ultimi, nel loro insieme, ad un penetrante (ed inammissibile) potere di direzione e di indirizzo, che risultera' piu' evidente con le considerazioni in merito ai commi 2 e 3 dell'art. 11 della legge n. 448 del 2001, che seguono immediatamente; b) dall'obbligo di scegliere, ogni tre anni, non piu' di tre settori di attivita', che divengono percio' "rilevanti". Tale carattere comporta che le fondazioni operino in essi in via prevalente, assicurando, singolarmente e nel loro insieme, l'equilibrata destinazione delle proprie risorse, dando altresi' preferenza ai settori a maggiore rilevanza sociale. La prima osservazione critica, che ricalca il vizio di legittimita' gia' esposto alla precedente lett. a), consiste nel fatto che le fondazioni bancarie sono tenute ad individuare il o i settori rilevanti nell'ambito di quelli tassativamente "ammessi", sicche', anche a tal proposito, esse sono costrette ad agire nel solco tracciato in via eteronoma, non potendo scegliere liberamente un ulteriore ambito di attivita', al quale dare un valore preminente. Altro e', insomma, il poter operare in piu' settori, purche' lo si faccia anche in uno di quelli indicati dal legislatore, come era previsto in passato; altro e', invece, l'essere astretti ad operare nell'ambito di settori - non importa se numerosi - imposti dall'esterno. La seconda riguarda la limitazione numerica imposta, non riscontrandosi alcun interesse collettivo che giustifichi la compressione dei settori rilevanti ad un numero non superiore a tre. I vizi denunciati acquistano la loro definitiva consistenza alla stregua delle conseguenze che la scelta triennale dei settori comporta: l'insorgenza dell'obbligo di destinare ad essi la maggior parte delle risorse impiegabili e di garantirne l'equilibrata distribuzione, dando altresi' preferenza a quelli di maggiore rilevanza sociale. L'intenzione del legislatore del 2001, a questo punto, risulta chiara: creare un'interdipendenza fra i soggetti in parola, convogliando e coordinando in una prospettiva unitaria le potenzialita' espresse da ciascuno di essi. Cosi' si spiegano, quindi, tanto la limitazione numerica prevista per la scelta dei settori rilevanti, quanto l'imposizione dell'obbligo - perche' tale esso deve configurarsi, a meno di non volere depotenziare la portata di una disposizione di legge - di garantire il raggiungimento del risultato complessivo che l'ordinamento si aspetta da detti soggetti. Il quadro normativo si chiude con la previsione dell'ultimo comma dell'art. 11 della legge n. 448 del 2001, che e' pienamente coerente con il disegno complessivo delineato: l'esposizione, da parte del Ministro dell'economia e delle finanze, nella Relazione previsionale e programmatica, dell'ammontare delle risorse complessivamente attivate nei settori ammessi, ai fini degli stanziamenti nei fondi investimenti di cui all'art. 46 della legge citata. Prima di trarre le conclusioni in merito al dubbio di legittimita' costituzionale dell'assetto appena descritto, puo' agevolmente affermarsi che la questione sollevata da parte ricorrente e' rilevante per definire il giudizio in corso. La previsione legislativa, della quale ci si occupa e', infatti, immediatamente precettiva, per quel che riguarda le scelte da effettuare da parte delle fondazioni bancarie; inoltre, essa costituisce il fondamento del potere di segnalazione dell'Autorita' di vigilanza, contemplato dall'art. 2, comma 4 del Regolamento, il cui scopo e' di orientare l'azione dei destinatari, atteso che, senza un intervento eteronomo, non risulterebbe possibile quella attivita' di concertazione che pure l'art. 11 comma 3 espressamente impone. Non puo' negarsi, inoltre, conformemente ai principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa, anche di questa Sezione (cfr. in tal senso, per tutte, l'ordinanza di rimessione del 10 novembre 1997, n. 2655, che ha portato alla sentenza della Corte costituzionale 27 novembre 1998, n. 383), che l'interesse primario di parte ricorrente e' di sentirsi dichiarare la radicale illegittimita' della fonte attributiva del potere - che, nella specie, potrebbe essere non solo di indirizzo, ma anche sanzionatorio -, cosi' da porre definitivamente al riparo le fondazioni bancarie da un possibile riesercizio dello stesso. Militano, in favore di questa tesi, tanto ragioni di giustizia sostanziale, che di economia processuale, tenuto conto, altresi', della delicatezza e della rilevanza degli interessi in gioco, che postulano l'eliminazione di ogni possibile dubbio di costituzionalita' della normativa primaria. Quanto ai profili di non manifesta infondatezza, deve osservarsi che l'art. 11, commi 2 e 3 della legge n. 448 del 2001, ha come risultato di assumere, nell'ambito organizzativo della pubblica amministrazione, persone giuridiche private, pur dotate di piena autonomia statutaria e gestionale. Pertanto, pur non arrivando alla conclusione che queste ultime risultano trasformate in enti pubblici strumentali, l'assetto innanzi esposto - per certi versi simile a quello dei concessionari di servizi pubblici, descritti pure come organi indiretti della Pubblica amministrazione - si pone in insanabile contrasto con la natura privatistica delle stesse, che, se non consente l'eccessiva compressione del potere di scelta dei settori, ancor meno tollera il loro inserimento in un ordinamento sezionale, orientato al perseguimento di un risultato collettivo che travalica l'individualita' di ciascuna di esse, incidendo, in tal modo, su una tipica espressione della "piena" autonomia statutaria e gestionale. Un'ulteriore considerazione si impone con riguardo alla composizione dell'elenco dei "settori ammessi", che, oltre ad essere eccessivamente ampio, contiene ambiti di attivita' che sono del tutto avulsi dalla tradizione operativa delle fondazioni bancarie. Se queste ultime fossero completamente libere nella scelta dei settori in cui operare, pur nell'ambito delle materie indicate dalla legge, esse non riceverebbero alcun vulnus, ben potendo orientare la propria attivita' esclusivamente verso quelle che presentino maggiore affinita' con la loro storia. La prospettiva cambia se si tiene conto del gia' descritto risultato complessivo preteso dall'art. 11 comma 3, che porta ad ipotizzare inevitabili iniziative dell'Autorita' di vigilanza per indirizzare la scelta verso quei settori, dai quali, spontaneamente, i soggetti in parola rifuggirebbero. La segnalata eterogeneita', in primo luogo, rafforza il convincimento che il legislatore del 2001 ha inteso attribuire alle fondazioni bancarie una funzione servente dell'organizzazione pubblica; inoltre, l'affidamento, a largo spettro, di ambiti di attivita', avulse dalla loro tradizionale sfera operativa, finisce con il minarne l'identita' e, quindi, l'autonomia, agendo, in maniera significativa, su uno degli elementi peculiari - lo scopo -, di cui le persone giuridiche di diritto privato, sia pur soggette ad una disciplina speciale, ontologicamente si connotano. Da quanto esposto deriva l'emergere di un'ulteriore e specifica questione di costituzionalita' dell'art. 11 comma 1 primo periodo, nella parte in cui esso prevede settori - segnatamente "la criminalita' e sicurezza pubblica" l'"edilizia popolare locale" e la "sicurezza alimentare e agricoltura di qualita'" - che sono del tutto estranei alla tradizionale sfera di attivita' delle fondazioni bancarie, rientrando nell'ambito dei compiti tipicamente appartenenti ai pubblici poteri. Ai predetti settori va aggiunto (utilizzando il potere, riconosciuto dall'ordinamento al giudice de quo, di sollevare anche d'ufficio questioni di costituzionalita' che ritenga rilevanti e non manifestamente infondate) la "realizzazione di lavori pubblici o di pubblica utilita'", contemplata dall'art. 7, comma 1 lett. aa) punto 2 della legge 1 agosto 2002, n. 166, che modifica l'art. 37-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109; c) un ulteriore aspetto problematico presenta il comma 1 dell'art. 11, ma e' preferibile posporne la trattazione alle conclusioni in merito all'assetto legislativo descritto alle lettere a) e b). A tal proposito, il Collegio reputa che non siano manifestamente infondate le seguenti questioni di costituzionalita', riguardanti l'art. 11 commi 1, primo periodo, 2 e 3 della legge n. 448 del 2001 (oltre il citato art. 7, in parte qua, della legge n. 166 del 2002), per possibile contrasto rispetto: 1) all'art. 3 della Costituzione, sub specie dell'irrazionalita' legislativa, che rileva: a) come contrasto con il disposto dell'art. 2, comma 1 del decreto legislativo n. 153 del 1999, attribuendo a quest'ultimo il rango, che gli compete, di norma di principio, cui informare tutta la normazione di dettaglio; b) come indebita ed eccessiva compressione dell'autonomia privata, da intendersi, quindi, non come allontanamento, tout court, dal modello codicistico di fondazione, quanto, piuttosto, come "stravolgimento della sua stessa nozione e del suo nucleo essenziale" (per mutuare l'espressione utilizzata in sede consultiva); 2) all'art. 18 e all'art. 2 della Costituzione, che costituisce l'ulteriore sviluppo di quanto detto in chiusura del punto precedente. L'avviso del Collegio e' che le modifiche apportate dalla legge n. 448 del 2001, comportano la sostanziale negazione del modello voluto dal legislatore solo due anni prima e, soprattutto, non espressamente sconfessato, sicche' e' possibile affermare che il decreto legislativo n. 153 del 1999 configura, tuttora, le fondazioni bancarie come persone giuridiche di diritto privato, delle quali non puo', percio', essere intaccato quello che potrebbe definirsi il "contenuto minimo", frutto della scelta legislativa, innanzi evidenziata, di privilegiare la genesi volontaristica ditali soggetti. Risultano, pertanto, irragionevolmente compressi tanto il diritto di associazione dei cittadini (art. 18 Cost.), quanto i diritti dell'uomo nelle formazioni sociali ammesse dall'ordinamento (art. 2 Cost.) (sul punto, e' utile richiamare i principi sanciti dalla Corte costituzionale nelle sentenze 18 luglio 1997 n. 248 e 29 dicembre 1993 n. 500, quest'ultima riferita proprio ai conferimenti degli enti creditizi di cui alla legge 30 luglio 1990, n. 218 ed al decreto delegato 20 novembre 1990, n. 356, con particolare attenzione ai rapporti fra le originarie fondazioni bancarie e la relativa liberta' statutaria); 3) all'art. 41 della Costituzione, che tutela l'autonomia privata, sottoponendola a forme di controllo e di coordinamento solo a fini sociali, ma che non ne consente lo "snaturamento", attraverso la sovrapposizione di una volonta' eteronoma a quella propria dell'ente; 4) all'art. 117 e all'art. 118 comma 4 della Costituzione, configurabile in relazione all'assunzione dei soggetti in parola nell'ambito della piu' complessiva organizzazione pubblica, quale si realizza, in particolare, con il comma 3 dell'art. 11 della legge n. 448 del 2001. Quanto all'art. 118 comma 4 della Costituzione, lo spunto viene fornito dal Consiglio di Stato, che, formulando il prescritto parere sullo schema del Regolamento attualmente in esame, ha evidenziato il mutamento della stessa nozione di autonomia privata, che, alla stregua del principio di sussidiarieta' orizzontale, introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, risulta oramai orientata al perseguimento non solo di bisogni individuali, ma anche di utilita' generale, connotando, conseguentemente, un nuovo rapporto fra pubblico e privato. Piu' specificamente, il citato parere, riprendendo una sollecitazione proveniente proprio dalla Corte, costituzionale (nella nota decisione 7 aprile 1988 n. 396), ha chiarito che "lo Stato e ogni altra autorita' pubblica proteggono e realizzano lo sviluppo della societa' civile partendo dal basso, dal rispetto e dalla valorizzazione delle energie individuali, dal modo in cui coloro che ne fanno parte liberamente interpretano i bisogni collettivi emergenti dal sociale": ed al Collegio appare particolarmente significativo l'uso, da parte della Corte, dell'avverbio "liberamente". La conclusione rassegnata in quella sede e' che, ferma restando la natura privata delle fondazioni bancarie, con le implicazioni in punto di intangibilita' dell'autonomia gia' evidenziata, e' consentito al legislatore introdurre strumenti di vigilanza e di controllo, che costituiscono la connotazione tipica del regime privatistico speciale di tali soggetti. Dal discorso appena riassunto, sembra doversi concludere che, se vi e' spazio per interventi ab externo in sede di controllo, altrettanto non puo' dirsi per atti di indirizzo e ancor meno per interventi di carattere dirigistico. La ragione e' evidente: l'organizzazione pubblica puo' giovarsi delle attivita' di iniziativa del privato, che puo' favorire, predisponendo, se del caso, anche un sistema di vigilanza su di esse; non puo', pero', sollecitarle, ne', tanto meno, sostituire la propria volonta' (nel campo dell'organizzazione, dell'individuazione dei fini e della spendita del patrimonio) a quella delle persone giuridiche di diritto privato, che si connotano, appunto, per la loro genesi volontaristica. Non vi e' dubbio, quindi, che le previsioni dei primi tre commi dell'art. 11 comportano una pervasivita' dei pubblici poteri, del tutto incompatibile con il principio di sussidiarieta' nei termini su esposti. Non appare manifestamente infondato neppure il dubbio della violazione dell'art. 117 della Costituzione, derivante dal fatto che alcuni dei settori indicati dall'art. 11 comma 1 rientrano nell'ambito delle materie che la norma costituzionale assegna alla potesta' legislativa concorrente (tra le altre, la protezione civile, la ricerca ed i beni culturali) o, addirittura, a quella esclusiva delle Regioni (quali l'assistenza, l'edilizia locale e l'agricoltura). E allora, nulla quaestio se la legge statale si limita a normare il solo "ordinamento civile"; se, pero', come il Collegio e' orientato a ritenere, essa travalica l'ambito del diritto privato, di sua esclusiva spettanza, emergono le possibili implicazioni sulla sfera di attribuzioni delle regioni, in quanto il legislatore finisce, sostanzialmente, con il disciplinare la singola materia, riservando allo Stato pervasivi poteri (amministrativi) di indirizzo, oltre che di controllo, esercitati dal Ministro dell'economia e delle finanze, in attesa dell'istituzione dell'apposita Autorita' di vigilanza; d) residua un'ultima questione, relativa alla legittimita' della previsione dell'art. 11 comma 1 ultimo periodo, che attribuisce all'Autorita' di vigilanza il potere di modificare i "settori ammessi" con regolamento da emanare ai sensi dell'art. 17, comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400. Due sono i dubbi che tale previsione ingenera nell'interprete. Il primo, e piu' radicale, riguarda l'introduzione di una forma di delegificazione ad opera di una fonte secondaria di mera esecuzione, qual'e' il regolamento contemplato dall'art. 17 comma 1 citato. Tale risultato non e' consentito dall'ordinamento, se non attraverso i regolamenti cd. di delegificazione, espressamente contemplati dal comma 2 del medesimo art. 17, che, oltre a presentare una ben diversa veste formale, presuppongono che le leggi, che li autorizzano ad innovare in deroga al principio di gerarchia delle fonti, indichino le norme generali regolatrici della materia, che, nella specie, e' costituita dal raggio di azione riservato alle fondazioni bancarie: di tali norme, nella specie, non vi e' traccia, ne' formalmente, ne', tanto meno, sostanzialmente, atteso che non le si puo' ricavare dall'elencazione dei settori ammessi fatta dall'art. 11 comma 1, in se' non particolarmente significativa, tenuto conto anche della sua disomogeneita'. Ne discende che l'Autorita' di vigilanza risulta sostanzialmente libera di incidere, ad libitum, sulla fonte primaria, in spregio al principio, sancito dall'art. 70 della Costituzione, che riserva in esclusiva al Parlamento la funzione legislativa. L'ulteriore dubbio attiene all'attribuzione di un siffatto potere regolamentare all'autorita' ministeriale, con le implicazioni, in punto di possibile violazione dell'art. 117 della Costituzione, gia' evidenziate alla precedente lett. c). 3. - Il secondo motivo, pur diretto avverso la normativa regolamentare, denuncia, in realta', l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 11 della legge n. 448 del 2001, che integra l'art. 7, comma 1 del decreto legislativo n. 153 del 1999, aggiungendovi le parole "assicurando il collegamento funzionale con le loro finalita' istituzionali ed in particolare con lo sviluppo del territorio". Il legislatore, in tal modo, avrebbe inteso prevedere un nesso inscindibile fra attivita' delle fondazioni bancarie e territorio di riferimento, limitando cosi', sotto il profilo spaziale, l'operativita' dei soggetti in parola. Tale risultato si porrebbe in patente contrasto con l'autonomia gestionale, riconosciuta a questi ultimi dal medesimo decreto legislativo n. 153 del 1999. La questione di costituzionalita' risulta manifestamente infondata, in quanto la formula legislativa utilizzata non e' suscettibile di comportare gli effetti temuti da parte ricorrente. Per convincersene, e' sufficiente por mente all'attuazione che del principio normativo primario ha fatto il Regolamento impugnato, raccogliendo il suggerimento proveniente dal Consiglio di Stato: l'art. 2 del d.m. n. 217 del 2002 attribuisce, infatti, alla sede statutaria la scelta di definire lo specifico ambito territoriale di attivita' delle singole fondazioni bancarie, laddove lo consiglino le caratteristiche peculiari di ciascuna di esse, vale a dire il luogo di insediamento, le tradizioni storiche e le dimensioni. Da quanto detto, discende l'assenza di qualsivoglia vulnus dell'autonomia dei soggetti in parola ad opera della disciplina di rango primario. Quanto, poi, alla proposizione "L'attivita' istituzionale delle fondazioni si svolge in rapporto prevalente con il territorio", contenuta nell'art. 2 del d.m. n. 217 del 2002, il Collegio ritiene di poter decidere pure prescindendo dalla questione di costituzionalita' della disposizione primaria di riferimento, sicche', sotto questo aspetto, la questione stessa risulta irrilevante. 4. - Da ultimo, l'Adusbef censura l'art. 9 del d.m. n. 217 del 2002, proponendo, altresi', la questione di costituzionalita' della corrispondente disposizione primaria - l'art. 11 comma 14, ultimo periodo, della legge n. 448 del 2001 -, nella parte in cui quest'ultimo stabilisce la decadenza dei componenti degli organi di indirizzo e di amministrazione delle fondazioni bancarie ed il rinnovo degli stessi a seguito dell'adeguamento dei rispettivi statuti operato dai soggetti in parola. Parte ricorrente sostiene che tale previsione si porrebbe in palese contrasto con la natura privatistica comunque riconosciuta alle fondazioni bancarie. Dalla sia pur sintetica illustrazione risulta evidente che la definizione della questione di costituzionalita' e' strettamente legata alla soluzione di quelle precedentemente formulate: senza ripetere cose gia' dette, e' innegabile che le modificazioni introdotte dall'art. 11, commi 1, 2 e 3 della legge n. 448 del 2001, alterano grandemente la natura giuridica delle fondazioni bancarie, si' da svuotarne dall'interno e in maniera, a giudizio del Collegio, inaccettabile, sia l'autonomia statutaria che quella gestionale, in patente contrasto con il principio sancito dall'art. 2 comma 1 del decreto legislativo n. 153 del 1999. Va aggiunto, in punto di rilevanza della questione di costituzionalita' sollevata, che le contestate previsioni sono cosi' specifiche e circostanziate da vincolare l'interprete ad una lettura univoca. Rimane, pertanto, la strada della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 comma 14, ultimo periodo, citato che, per quanto detto in precedenza, si salda con la valutazione in merito alla compatibilita' dell'assetto complessivo dei soggetti in parola, fornito dalle restanti disposizioni del medesimo art. 11, con i principi ricavabili dallo stesso decreto legislativo n. 153 del 1999 e, piu' in generale, dalla Costituzione. Se detto assetto risultasse legittimo, lo sarebbe anche la specifica disciplina dettata per la fase transitoria, che si porrebbe cosi in piena coerenza con il mutamento operato sulla natura giuridica delle fondazioni bancarie. In caso contrario, l'incostituzionalita' si estenderebbe a quanto stabilito dall'art. 11 comma 14 in esame, quale diretta conseguenza di un'inammissibile trasformazione della natura giuridica dei soggetti in parola. Alla stregua della precedente trattazione, la Corte costituzionale va investita della questione di legittimita' dell'att. 11 comma 14 (in parte qua) piu' volte citato, in quanto incidente su soggetti che, ottenuta l'approvazione ministeriale del proprio statuto, sono diventati, a tutti gli effetti, persone giuridiche dotate di quella "piena" autonomia statutaria e gestionale", alla quale vanno riconosciuti il significato ed il valore emergenti dagli artt. 2, 3, 18, 41 e 118 comma 4 della Costituzione. Non deve sottovalutarsi, conseguentemente, neppure il vulnus che deriva ai soggetti attualmente componenti degli organi delle fondazioni, che si vedrebbero sottratto il loro incarico, pur se risultassero in possesso di tutti i requisiti di professionalita', moralita' ed indipendenza richiesti per l'espletamento di dette funzioni. 4. - Per le considerazioni che precedono, il tribunale solleva, in quanto rilevanti e non manifestamente infondate, le seguenti questioni di legittimita' costituzionale, aventi ad oggetto: a) l'art. 11, commi 1, primo periodo, 2 e 3 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e l'art. 7, comma 1 lett. aa) punto 2 della legge 1 agosto 2002, n. 166 (che modifica l'art. 37-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109), per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118 comma 4 della Costituzione; b) l'art. 11 comma 1, ultimo periodo, della citata legge n. 448 del 2001, per contrasto con gli artt. 70 e 117 della Costituzione; c) l'art. 11 comma 14, ultimo periodo, della citata legge n. 448 del 2001, per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41, 117 e 118 comma 4 della Costituzione. Deve disporsi, pertanto, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia sulla legittimita' costituzionale delle suindicate norme.
P. Q. M. Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale indicate in parte motiva. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente giudizio. Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio del 4 dicembre 2002 e del gennaio 2003. Il Presidente: Cossu Il consigliere estensore: Savo Amodio 03C0183