N. 135 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 novembre 2002

Ordinanza emessa il 25 novembre 2002 dalla Corte di appello di Milano
nel procedimento penale a carico di Marino Tommaso

Reati  e pene - Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato
  -  Trattamento  sanzionatorio  - Disparita' di trattamento rispetto
  alla  indebita  percezione  di erogazioni in danno di enti privati,
  integrante  la  fattispecie  della truffa comune - Violazione delle
  norme di diritto internazionale in materia.
- Codice penale, art. 316-ter.
- Costituzione, artt. 3 e 10.
(GU n.13 del 2-4-2003 )
                         LA CORTE D'APPELLO

    Riunita  in camera di consiglio per deliberare nel procedimento a
carico  di:  Marino Tommaso, appellante avverso la sentenza in data 8
settembre  2001  del Tribunale di Milano, che, concesse le attenuanti
generiche ed i doppi benefici di legge, lo ha condannato alla pena di
nove  mesi  di  reclusione,  nonche'  al  risarcimento  dei danni (da
liquidarsi  in  separata  sede)  nei  confronti  della  parte civile,
Istituto  per  il diritto allo studio dell'Universita' degli studi di
Milano,  in  ordine  ai  seguenti  reati  unificati dal vincolo della
continuazione:
        A)  art. 483  c.p.,  per  avere  falsamente attestato in atti
pubblici:
          di  non  avere  percepito  redditi nel 1994 e di non essere
proprietario di beni mobili ed immobili;
          di  non avere percepito redditi nel 1995 e non di non avere
svolto alcuna attivita' lavorativa;
essendo stati invece accertati:
          redditi  di  lavoro  dipendente negli anni 1994 e 1995 pari
rispettivamente a L. 10.371.445 e L. 22.282.823;
          redditi  di  beni mobili ed immobili negli anni 1994 e 1995
pari a L. 448.445 e L. 697.778;
in Milano dal 13 marzo 1996 al 4 marzo 1997.
        B)  art. 640-bis  c.p.,  perche', con artifizi consistiti nel
porre  in  essere le condotte di cui al capo che precede, induceva in
errore  l'Istituto  per il diritto allo studio dell'Universita' degli
studi  di  Milano  in  ordine  al possesso dei requisiti per ottenere
benefici ed erogazioni di denaro pubblico e, in particolare:
          nell'anno  1994/1995  il tesserino mensa di prima fascia in
luogo di quello spettante di seconda;
          nell'anno 1995/1996 una borsa di studio per L. 3.500.000 in
luogo di quella spettante per L. 1.500.000;
in Milano nel 1995 e 1996;
    Sentite le parti, ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Il  fatto  di  cui  Marino  e'  imputato  al  capo  B si attaglia
perfettamente  alla previsione dell'art. 316-ter c.p., introdotta nel
nostro  ordinamento dall'art. 4 della legge n. 300 del 2000, sotto la
rubrica  "indebita  percezione di erogazioni a danno dello Stato", la
quale  punisce  (tra  l'altro)  "chiunque  mediante  l'utilizzo  o la
presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose
non vere ... consegue indebitamente ... contributi, finanziamenti ...
o  altre  erogazioni  comunque  denominate,  concessi o erogati dallo
Stato,  da  altri  enti pubblici o dalle comunita' europee". La nuova
figura  delittuosa  persegue  il  dichiarato  scopo, in attuazione di
specifici  obblighi  internazionali  assunti  dal  nostro  Paese,  di
rafforzare  la  repressione  penale  degli interessi finanziari delle
comunita' europee.
    Occorre  stabilire in quale rapporto l'art. 316-ter c.p. si ponga
rispetto  all'art. 640-bis  c.p.  e,  in  particolare, se sussista un
rapporto  di specialita' o di sussidiarieta' tra le due norme, vale a
dire se la prima sia contenuta nella seconda (come sottoclasse di una
classe  piu' generale preesistente) oppure rappresenti un qualcosa di
diverso.  Il  testo  sembra  propendere  apertamente verso la seconda
soluzione, giacche' alla descrizione della nuova fattispecie premette
l'inciso   "salvo   che   il  fatto  costituisca  il  reato  previsto
dall'art. 640-bis  c.p.".  Tra  le  due ipotesi, sembrerebbe pertanto
delinearsi   una   relazione   di  sussidiarieta'  espressa:  rientra
nell'art. 316-ter  c.p. solo quello che non rientra nell'art. 640-bis
c.p.
    Tale  soluzione  si  scontra  pero'  frontalmente con la secolare
tradizione  interpretativa  vigente  in  materia  di truffa. Non v'e'
alcun   dubbio   che   il   falso   (nelle   sue  svariate  forme  di
manifestazione,  ivi comprese quelle elencate dall'art. 316-ter c.p.)
rappresenti  nel  diritto vivente lo strumento piu' comune attraverso
cui possono venire realizzati gli "artifizi o raggiri" caratteristici
della  truffa.  Prova  ne sia l'imputazione di cui al capo B, ma, del
resto,   la   casistica   giurisprudenziale  sul  punto  e'  talmente
sterminata  ed  univoca  da  rendere  pleonastica  ogni  ricognizione
analitica: l'assunto e' pacifico.
    Il  confronto  mette  dunque in luce un'insanabile contraddizione
tra  la  formale  sussidiarieta'  e  la sostanziale specialita' delle
norme,   che  la  Corte  di  cassazione  ha  ritenuto  di  sciogliere
restringendo il concetto tradizionale di truffa in modo da ritagliare
uno  spazio  di operativita' alla nuova figura, altrimenti condannata
all'ineffettivita'.  Pur  ammettendo  che rendere sistematiche le due
ipotesi  "non  e'  compito  di  facile momento" (Cass. 22 marzo 2002,
n. 23083),  la  Corte  regolatrice e' cosi' arrivata ad escludere che
possano   configurare  artificio  o  raggiro  le  condotte  descritte
nell'art. 316-ter c.p., avvertendo peraltro che con tale conclusione,
anziche'  inasprire  lo strumento penale, "si e' piuttosto indebolito
il  campo  della  tutela  degli  interessi finanziari pubblici, anche
comunitari" (sent. cit.).
    La  stessa  valutazione e' stata confermata dai primi commenti, i
quali   hanno   stigmatizzato   l'effetto   distonico   ottenuto  dal
legislatore  attraverso  un  intervento  apparentemente  ispirato  al
rafforzamento  della  tutela, ma che in realta', a prezzo di notevoli
forzature  sul  piano  ermeneutico,  ha  finito  col  raggiungere  il
risultato   esattamente   opposto,   beneficiando   di  una  risposta
sanzionatoria  piu'  lieve condotte che in precedenza sarebbero state
pacificamente  ricondotte  alla  piu' severa fattispecie della truffa
aggravata ex art. 640-bis c.p.
    Cio',  nella  misura  in cui rappresenta una sorta di accidentale
sviamento  dall'impulso che ha ispirato il legislatore, fa sorgere un
fondato  sospetto  d'incostituzionalita'  dell'art. 316-ter  c.p. per
violazione  degli  impegni  internazionali  cui l'Italia e' tenuta ad
uniformarsi ai sensi dell'art. 10 Cost.
    L'esito  controproducente dell'assestamento sistematico che si va
delineando  risulta  ancora  piu'  evidente  nella  prospettiva della
successione  delle  leggi  penali  nel  tempo.  Il  caso  in esame lo
sottolinea  molto bene, giacche' se le condotte ascrivibili al Marino
(anteriori  all'entrata  in  vigore  della legge n. 300 del 2000) non
fossero  piu' riconducibili alla truffa in quanto corrispondenti alla
violazione dell'art. 316-ter c.p., l'imputato dovrebbe essere assolto
perche'  il  fatto  all'epoca  non  era previsto come reato. In altre
parole, ridisegnare restrittivamente i contorni della truffa per dare
spazio  al  reato  di  cui  all'art. 316-ter c.p. significa, non solo
applicare  una  sanzione piu' mite a cio' che era punito in modo piu'
grave  in  passato, ma addirittura assicurare l'impunita' per tutti i
fatti  che, quando furono commessi, potevano sicuramente considerarsi
truffaldini ed ora non possono piu' esserlo.
    Ma  gli  effetti  della  novella diventano ancora piu' devastanti
qualora  si  allarghi l'orizzonte delle persone offese oltre il campo
delle  pubbliche amministrazioni. Invero, non si puo' dimenticare che
l'ipotesi  prevista dall'art. 640-bis c.p. (tantopiu' se si tratta di
una  semplice aggravante, com'e' stato recentemente stabilito) non e'
che  uno  sviluppo  della  figura  base  prevista dall'art. 640 c.p.,
sicche'  occorre  domandarsi se quest'ultima possa uscire indenne dal
rivolgimento  portato  dall'art. 316-ter c.p., restando quella che e'
sempre stata, oppure debba subire le stesse restrizioni cui e' andata
incontro la truffa in danno dello Stato.
    Qualunque  risposta  si  voglia  dare, essa conduce ad una palese
irrazionalita'   di  disciplina,  tale  da  suscitare  altri  fondati
sospetti  d'incostituzionalita'  dell'art. 316-ter  c.p.  rispetto al
parametro generale previsto dall'art. 3 Cost.
    Se,  infatti,  la  truffa  comune  mantenesse la struttura che ha
sempre  avuto,  verrebbe a profilarsi un'ingiustificata disparita' di
trattamento  dal punto di vista del reo rispetto alla truffa in danno
di  ente  pubblico  o  comunitario.  Chi avesse ottenuto "contributi,
finanziamenti,  mutui agevolati o altre erogazioni" da soggetti, enti
o  associazioni  private  mediante  "l'utilizzo o la presentazione di
documenti  falsi  o  attestanti  cose  non  vere"  verrebbe punito ex
art. 640  c.p.  come  un  qualunque  truffatore  che avesse impiegato
artifici  o  raggiri di altra natura, viceversa nei confronti di enti
pubblici o comunitari tale distinzione costituirebbe il discrimine di
un  rilevante mutamento della sanzione edittale, sia verso l'alto che
verso  il basso, in direzione rispettivamente dell'art. 640-bis c.p.,
oppure dell'art. 316-ter c.p. (fino ad arrivare, nei casi piu' lievi,
alla degradazione in mera violazione amministrativa).
    Se, viceversa, l'operazione di ortopedia ablativa praticata dalla
Corte  di  cassazione  alla truffa in danno degli enti pubblici fosse
estesa  alla  truffa  comune, non per questo il sistema recupererebbe
razionalita'.
    Al  riguardo,  va peraltro osservato in via preliminare che nella
prassi  giurisprudenziale  tale  operazione  e' ben lungi dall'essere
compiuta  e,  forse,  persino  concepita  e  vagliata. Nessun giudice
attualmente  dubita  che  comportamenti  come quelli rientranti nello
schema  dell'art. 316-ter c.p., se commessi in danno di enti privati,
integrino  la  fattispecie della truffa comune, sicche' il cosiddetto
"diritto   vivente"   respinge  l'ipotetica  alternativa  che  si  e'
tracciata  ed  impone  di  prendere atto di quello che, nei fatti, si
rivela  al  momento  una  palese  e  non  giustificata  disparita' di
trattamento.
    Ma,  quand'anche  si  arrivasse  per via ermeneutica ad escludere
puramente  e  semplicemente  dalla truffa comune - e dunque a rendere
penalmente  leciti  nei  confronti  degli  enti  privati  -  tutti  i
comportamenti  astrattamente  riconducibili all'art. 316-ter c.p., la
soluzione  non  sarebbe  comunque appagante. Si conserverebbe infatti
agli enti pubblici una tutela penale (seppure attenuata) che verrebbe
completamente sottratta agli enti privati, di nuovo con disparita' di
trattamento   difficilmente   giustificabile   dal   punto  di  vista
costituzionale, questa volta dal punto di vista della persona offesa.
    In  sintesi, pur ammessa la maggiore lesivita' dei fatti commessi
in  danno  dello  Stato,  degli  enti  pubblici  e  delle istituzioni
comunitarie,  logica  vuole  che,  quanto meno sotto il profilo della
rilevanza  penale, sia mantenuta una simmetria di disciplina rispetto
alla  tutela comune. Sarebbe inaccettabile una differenziazione tanto
abissale  tra pubblico e privato che arrivasse ad investire, non gia'
la  misura della pena, ma la stessa liceita' delta condotta, rispetto
alla  protezione  di  valori  che  attengono  pur  sempre  alla sfera
economica  e  non coinvolgono l'esercizio di funzioni caratteristiche
ed esclusive delle pubbliche amministrazioni, tali da giustificare la
repressione  autonoma di condotte tipiche non suscettibili o comunque
non degne di tutela rispetto ai privati.
    E'  superfluo  aggiungere che i dubbi sopra evidenziati in ordine
all'illegittimita'    costituzionale   dell'art. 316-ter   c.p.   per
contrasto  con  gli  artt. 3 e 10 Cost., oltreche' non manifestamente
infondati, appaiono rilevanti ai fini della decisione.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953;
    Dispone:
        la   trasmissione   degli   atti  alla  Corte  costituzionale
affinche'   decida   sulla   questione   di  costituzionalita'  sopra
illustrata;
        la sospensione del giudizio;
        la  notificazione  della presente ordinanza al Presidente del
Consiglio dei ministri;
        la  comunicazione  della presente ordinanza al Presidente del
Senato ed al Presidente della Camera dei deputati.
          Milano, addi' 25 novembre 2002
                      Il Presidente: Chiarolla
                                   Il consigliere relatore: Monti
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