N. 7 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 19 marzo 2003
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 19 marzo 2003 (della Regione Emilia-Romagna) Caccia - Ordinanza emessa dal Consiglio di Stato, in sede di appello cautelare, di conferma della ordinanza del TAR Emilia-Romagna, sezione di Bologna, di sospensione delle deliberazioni, adottate dalla Provincia di Bologna, concernenti il calendario venatorio provinciale 2002/2003 - Conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Emilia-Romagna - Denunciata eccedenza dai limiti delle attribuzioni giurisdizionali assegnate al Consiglio di Stato (tenuto conto che il provvedimento cautelare e' stato emesso, con richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 536 del 2002, per vizi di illegittimita' costituzionale delle leggi regionali di cui le deliberazioni provinciali riproducono il contenuto) - Lesione del diritto di difesa, con violazione del principio del contraddittorio, della Regione ricorrente in ordine alla legittimita' costituzionale delle proprie leggi - Sostanziale disapplicazione con un atto giurisdizionale di una legge regionale - Incidenza sulla sfera di competenza legislativa regionale. - Decisione del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 90 del 15 gennaio 2003. - Costituzione, artt. 24, 117, 127, primo comma, e 134.(GU n.13 del 2-4-2003 )
Ricorso per conflitto di attribuzioni della Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, sig. Vasco Errani, rappresentata e difesa, per mandato speciale a margine, dal prof. avv. Franco Mastragostino e dall'avv. Luigi Manzi ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Confalonieri n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; in relazione alla decisione del Consiglio di Stato, sez. Vl, n. 90/2003 depositata in data 15 gennaio 2003, che ha comportato la sospensione, nella Regione Emilia-Romagna, di disposizioni legislative inerenti il calendario venatorio regionale e i calendari provinciali perche' sia dichiarato che non spetta al giudice amministrativo il potere di sospendere atti amministrativi, meramente ripetitivi di disposizioni di leggi regionali, per vizi di competenza asseritamente imputabili a queste ultime. F a t t o Il presente ricorso e' rivolto avverso il provvedimento giurisdizionale - di ordine cautelare - con il quale il giudice amministrativo - dapprima il Tribunale amministrativo regionale e poi, il Consiglio di Stato in sede di appello cautelare - ha di fatto legittimato la sospensione di disposizioni inerenti la disciplina del calendario venatorio, che la Regione Emilia-Romagna ha stabilito nel territorio regionale mediante approvazione di ben due leggi nell'esercizio della propria potesta' legislativa ex art. 17, quarto comma Cost. Occorre premettere, in fatto, che associazioni "radicalmente" ambientaliste, quali la lega per l'abolizione della caccia e la lega per l'antivivisezione hanno impugnato, con ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale Emilia Romagna, Bologna, notificato in data 8 ottobre 2002, le deliberazioni di approvazione del Calendario venatorio della provincia di Bologna e, precisamente. la deliberazione n. 257 della G.P. di Bologna, adottata in data 30 luglio 2002, avente ad oggetto: "Approvazione del calendario venatorio provinciale per l'annata 2002/2003"; la deliberazione G.P. di Bologna n. 258 del 30 luglio 2002, avente ad oggetto "Approvazione degli orari e delle modalita' relative alla caccia di selezione degli ungulati ad integrazione del calendario venatorio provinciale per l'annata 2002/2003" (ed anche la deliberazione della giunta regionale n. 969, adottata in data 10 giugno 2002 avente ad oggetto: "Direttive relative alla istituzione e alla gestione tecnica delle aziende venatorie", invero interessante marginalmente l'esercizio venatorio e senza alcun collegamento con le delibere precedentemente indicate) ma in realta', hanno censurato disposizioni introdotte con leggi regionali, di cui i suddetti provvedimenti della Provincia di Bologna costituiscono mera esecuzione e diretta trasposizione dei rispettivi contenuti. In particolare, trattasi della legge regionale n. 14 del 12 luglio 2002, recante: "Norme per la definizione del calendario venatorio regionale" e la legge regionale n. 15 del 12 luglio 2002, concernente "Disciplina dell'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE", nonche' la legge regionale n. 22 del 20 settembre 2002, di integrazione della legge regionale n. 15/2002 in ordine alla detenzione ed uso dei richiami. I predetti provvedimenti della Provincia di Bologna (cosi' come quelli delle altre Province della Regione, di adozione del calendario venatorio) costituiscono "trasposizione" e diretta applicazione delle leggi regionali sopra citate proprio per le parti di maggiore rilievo impugnate dalle associazioni ricorrenti e, segnatamente, inerenti la c.d. "caccia in deroga" e la caccia di selezione agli ungulati. Al di la' dei profili per i quali le Province dispongono di discrezionalita' amministrativa nel determinare e variare alcuni contenuti della disciplina quadro sul calendario venatorio, come stabilita dalla legge regionale, per gli ambiti' di cui sopra si e' detto vi e' stata fedele trasposizione ed esecuzione dei contenuti derivanti dalle disposizioni legislative, come si evince testualmente dall'allegato alla delibera della G.P. n. 257/2002 (pag. 1), nel quale si precisa che: "L'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/409/CEE avverra' secondo le modalita' e le prescrizioni riportate nella legge regionale n. 15 del 12 luglio 2002") e laddove, in relazione agli ungulati - specie cacciabili e periodi di caccia, e' precisato che "Il prelievo degli ungulati e' consentito, secondo i tempi di prelievo, per sesso e classe d'eta' e con le modalita' previste per ciascuna specie dalla legge regionale n. 14 del 12 luglio 2002" (cfr. pag. 11 dell'allegato). Specificamente, le disposizioni impugnate con il ricorso giurisdizionale amministrativo risultano le seguenti: primo motivo: si censura "in capo alla deliberazione della G.P. n. 257/2002 - la violazione di legge (con riferimento agli artt. 117, primo e secondo comma Cost.; art. 5 Cost.; art. 9 direttiva 79/409 CEE; art. 249 Trattato CEE) e si solleva questione di legittimita' costituzionale della legge regionale n. 15/2002, poiche' essa consente la caccia alle specie protette Storno, Passero Passera Mattugia; secondo motivo: per violazione degli art. 117, primo e secondo comma Cost; dell'art. 5 Cost; dell'art. 9 direttiva 79/409 CEE, dell'art. 249 del Trattato CEE, dell'art. 4, quarto comma della legge n. 157/1992, si censura la legge regionale 20 settembre 2002 n. 22 sulla detenzione e uso di richiami vivi provenienti da allevamenti o da catture svolte antecedentemente al d.P.C.m. del 21 marzo 1997, appartenenti alle specie di cui all'art. 2, sollevandosi questione di legittimita' costituzionale nei confronti di tale legge regionale; quarto motivo: si censurano "le delibere provinciali impugnate perche' hanno del tutto arbitrariamente dilatato l'arco temporale entro il quale e' possibile esercitare il prelievo venatorio, in particolare per gli ungulati", in preteso contrasto con l'art. 18, secondo comma lett. c) della legge n. 157/1992, che stabilisce che la caccia agli ungulati puo' essere esercitata dal 1 ottobre al 30 novembre. "L'art. 1, comma 1, legge regionale n. 14/2002, in applicazione alla quale ... la Provincia ha dato le prescrizioni valevoli per l'esercizio venatorio sul territorio di propria competenza, dilata, ... il periodo di caccia degli ungulati ... La delibera provinciale n. 257/2002 afferma espressamente l'applicazione della discipliia stabilita dalla legge regionale n. 14/2002 in ordine ai tempi e alle modalita' del prelievo. La successiva delibera provinciale n. 258/2002 esplicitamente dichiara che tra le innovazioni introdotte dalla legge regionale n. 14/2002, in considerazione della recente competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di caccia e recepite dal, calendario venatorio provinciale, e' da annoverare quella relativa al periodo di caccia agli ungulati, infatti consentita in maniera differenziata, specie per specie, dal mese di giugno al mese di marzo ... Cio' basta per radicare la censura di illegittimita' costituzionale nei confronti dell'art. 1, primo comma lett. d) della legge regionale n. 14/2002, ma a corredo si vuol rilevare anche la violazione dell'art. 25, secondo comma Cost., il quale stabilisce, come noto, sia rispetto al precetto che alla sanzione, una riserva di legge statale in materia penale". In effetti, la legge regionale n. 14/2002, all'art. 3, lett. d), cosi' stabilisce i periodi di prelievo, differenziati specie per specie: ===================================================================== SPECIE TEMPI DI PRELIEVO SESSO CLASSE SOCIALE --------------------------------------------------------------------- Capriolo 1° giugno - 15 luglio e M I, II e III 15 agosto - 30 settembre F I e II 1° gennaio - 10 marzo M e F 0 Daino 1° gennaio - 10 marzo M e F tutte Cervo 10 agosto - 15 settembre M III e IV 5 ottobre - 15 febbraio M I e II 5 ottobre - 10 marzo F I e II 1° gennaio - 10 marzo M e F 0 Muflone 1° novembre - 31 gennaio M e F tutte Cinghiale 1° giugno - 31 luglio M e F rossi 1° agosto - 31 gennaio M e F tutte sesto motivo: (il quinto, probabilmente per mero errore materiale, non risulta formulato) si censura per illegittimita' costituzionale l'art. 1, terzo comma legge regionale n. 14/2002, che dispone che la caccia agli ungulati puo' essere consentita anche su terreni in tutto o in parte coperti di neve, nella misura in cui il Calendario provinciale riconosce espressamente tale facolta', in piena aderenza alla legge regionale; settimo motivo: viene dedotta l'illegittimita' della delibera della G.P. n. 257/2002, nella parte in cui il calendario provinciale, in applicazione dell'art. 1, comma 5, legge regionale n. 14/2002 (e della direttiva regionale di cui alla delibera G.R. n. 969/2002) include la volpe tra le specie cacciabili nelle aziende agrituristico-venatorie; ottavo motivo: viene dedotta l'illegittimita' per violazione degli artt. 117, secondo comma, e 5 Cost., nonche' degli artt. 1, secondo comma, 7 e 10 della legge n. 157/1992, del punto 8 del calendario venatorio provinciale, poiche' esso dispone l'applicazione della disposizione di cui all'art. 9, quinto comma della legge regionale n. 15/2002, che stabilisce, per i soli prelievi di fauna selvatica migratoria in forma vagante, il sistema di annotazione sul tesserino venatorio a consuntivo, e cioe' al termine della giornata di caccia; nono motivo: la deliberazione provinciale e' poi censurata per aver disposto, in piena conformita' con la regola stabilita dall'art. 4, secondo comma della legge regionale n. 14/2002, la possibilita' di usufruire, dal 1 ottobre al 30 novembre, di cinque giornate settimanali di caccia, sia pure solo per la caccia di appostamento alla fauna selvatica migratoria. Come si vede, i provvedimenti amministrativi sono stati, per la parte piu significativa e rilevante e per la pressoche' integrale totalita', impugnati non tanto per illegittimita' dell'atto per vizi propri, di ordine amministrativo, ma in quanto fondato su disposizioni legislative ritenute dalle associazioni ricorrenti costituzionalmente, illegittime e cio' con particolare riguardo ai periodi di caccia degli ungulati (derivanti dalla peculiarita' della caccia di selezione, che e' cosa ben diversa dalla caccia normale o "programmata") e alle modalita' di disciplina dell'esercizio della caccia in deroga (a passeri e storni), con una coincidenza pressoche' assoluta fra il petitum oggetto del ricorso proposto innanzi al giudice amministrativo e quello in cui si sostanziavano le questioni di illegittimita' costituzionale, eventualmente da proporre innanzi alla Corte costituzionale, per il pregiudiziale vaglio di non manifesta infondatezza e rilevanza. Le associazioni ricorrenti formulavano, inoltre, richiesta di sospensione dei provvedimenti impugnati, richiamandosi al preteso fumus boni juris dei motivi del ricorso (e, quindi, in sostanza, alla ritenuta pregiudizialita' e rilevanza delle questioni di incostituzionalita' sollevate), mentre, per quanto riguarda il danno, si erano rimesse genericamente alle esigenze di tutela della fauna selvatica, in relazione alla circostanza che l'esecuzione degli illegittimi provvedimenti assunti avrebbe determinato "la rarefazione e la estinzione delle specie animali protette". Il Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, sez. II, senza attribuire alcun rilievo alla richiesta avanzata dalla Amministrazione regionale in ordine al necessario apprezzamento, sia pure nella sommaria delibazione, della fondatezza o meno delle proposte eccezioni di incostituzionalita', assolutamente rilevanti nel caso di specie per poter formulare un giudizio di ragionevole previsione sull'esito del ricorso avanti al G.A. (come oggi richiesto specificamene e puntualmente dall'art. 21, legge n. 1034/1971, come modificato dall'art. 3 della legge n. 205/2000), liquidava la questione con una pronuncia generica ed elusiva: "Considerato che le censure delineare in ricorso necessitano di ulteriore approfondimento nel merito; rilevato che, peraltro, il pregiudizio prospettato ha i requisiti della gravita' ed irreparabilita', poiche' l'esecuzione delle impugnate delibere di giunta provinciale comporta effetti irreversibili in ordine alla protezione e tutela della fauna selvatica ... P. Q. M. accoglie l'istanza ...". Siffatta ordinanza, nella misura in cui non esprimeva alcuna valutazione, sotto il profilo del fumus, in ordine alla ragionevole previsione dell'esito del ricorso, presupposto richiesto dalla riforma del processo amministrativo come correlato e concorrente alla sussistenza dell'eventuale grave pregiudizio, e' stata impugnata, sempre in sede cautelare, innanzi al Consiglio di Stato, perche' palesemente in contrasto con la norma dell'ordinamento che regola la concessione di misure cautelari, nonche' per erroneo e apodittico apprezzamento circa la sussistenza del danno. Innanzi al Consiglio di Stato veniva, in particolare, messo in evidenza che la laconica affermazione in ordine alla esigenza di un approfondimento nel merito delle censure delineate nel ricorso, lungi dall'aver soddisfatto il necessario requisito della valutazione sulla fondatezza o meno del gravame, evidenziava proprio la impossibilita', da parte del giudice, di formulare un qualsivoglia apprezzamento su tale piano, ovvero la incapacita' giuridica, allo stato, di esprimere un giudizio prognostico, come richiesto e imposto dal nuovo settimo comma dell'art. 21 legge sui Tribunale amministrativo regionale Il che era del tutto prevedibile, a fronte della oggettiva complessita' del quadro di riferimento in cui si deve calare oggi la materia della caccia. A causa dell'intreccio di fonti normative di vario livello e delle modifiche del quadro costituzionale, cui ha fatto seguito l'esercizio della nuova competenza residuale regionale da parte della Regione Emilia Romagna in tale settore, e' di oggettiva difficolta' il valutare, sulla base della mera impugnazione amininistrativa, quali aspetti e con quale grado di vincolativita' operino ancora i principi della legge quadro statale n. 157/1992, rispetto alla competenza residuale regionale e, su altro versante, come possano interagire, rispetto alla competenza legislativa piena regionale in tema di disciplina venatoria e di esercizio delle deroghe, i poteri statali di fissazione del nucleo minimo essenziale, non ancora ex novo esercitati, ma discendenti, appunto, dalle previgenti norme in materia. Da sottolineare che analogo ricorso proposto dalle Associazioni WWF ed ENPA avverso i provvedimenti di approvazione del calendario venatorio della Provincia di Reggio-Emilia e di approvazione del Piano di prelievo per la caccia di selezione agli ungulati (anchessi adottati in attuazione e in piena conformita' con quanto disposto dalle vigenti disposizioni regionali sul calendario venatorio, sopra citate) avevano dato luogo alla emanazione, da parte del Tribunale amministrativo regionale sede di Parma (sezione territoriale competente) ad una ordinanza ancora piu' inaccettabile, sul piano logico-giuridico, in quanto tale udice concedeva la sospensione dei provvedimenti impugnati non in sede di impugnazione della legge come conseguenza della sospensione del giudizio avanti al giudice a quo instaurato, con remissione degli atti alla Corte, ma la disponeva in vista di una futura e solo probabile ordinanza di remissione alla Corte costituzionale (e alla conseguente remissione del giudizio), con cio' violando la necessaria consequenzialita' temporale e logico-giuridica tra due diversi contesti e provvedimenti. E', infatti, evidente che la valutazione del fumus boni juris, ai fini della sospensione del provvedimento tacciato di illegittimita' e la valutazione della (rilevanza e della) non manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale, ai fini della rimessione alla Corte (e della conseguente sospensione del giudice a quo sono due momenti necessariamente diversi: il primo non puo' che seguire il secondo e, comunque, il giudice puo' ritenere necessario sospendere gli effetti pregiudizievoli solo basandosi su un giudizio prognostico legato all'esito del giudizio di fronte alla Corte, ma giudizio dato, seppure in via di sommaria delibazione, per certo nell'an. Cosa che nella fattispecie non e' avvenuta, in quanto l'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale Parma n. 233/2002 rinvia la sollevazione della non manifesta infondatezza della eccezione di illegittimita' costituzionale eccepita nei confronti delle leggi regionali n. 14 e n. 15 del 2002 alla "sede di merito", omettendo di assumere, contestualmente alla sospensione, una ordinanza motivata di remissione alla Corte costituzionale. In sede di appello cautelare avverso le due ordinanza del Tribunale amministrativo regionale Emilia-Romagna sopra citate, il Consiglio di Stato dava luogo ad esiti completamente difformi; l'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale Parma, impugnata assai tempestivamente dalla Provincia di Reggio-Emilia (e successivamente anche dalla Regione Emilia-Romagna) veniva riformata dal Consiglio di Stato con la seguente motivazione: "Ritenuto che, ad una prima sommaria delibazione l'odierno appello appare assistito da sufficienti elementi di fumus boni juris, avendo il legislatore statale attribuito alle regioni il potere di disciplinare l'esercizio delle deroghe previste dalla direttiva 79/4/EE ed avendo la Provincia di Reggio-Emilia approvato i provvedimenti impugnati in primo grado nel rispetto delle leggi regionali in proposito emanate peraltro sulla base del parere dell'INFS alle cui prescrizioni si e' sostanzialmente attenuta; rilevato che l'ordinanza impugnata non motiva sulla sussistenza del danno grave ed irreparabile della parte appellata in consenta dei provvedimenti provinciali; P. Q. M. accoglie ...". L'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale Bologna, sez. II, invece, veniva confermata e l'appello della Regione Emilia-Romagna era respinto sulla base della seguente motivazione: "tenuto conto dei principi espressi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 536 del 20 dicembre 2002 ... respinge l'appello ...". Analoga sorte subiva il ricorso in appello promosso dalla Provincia di Forli-Cesena e della Provincia di Bologna. Nel territorio regionale si veniva a creare, conseguentemente, una disparita' di applicazione della medesima disciplina-quadro regionale sul prelievo degli ungulati e sulla caccia in deroga e solo nella Provincia di Reggio-Emilia il prelievo venatorio ha potuto aver luogo in conformita' alle leggi regionali in vigore. Avverso tale atteggiamento del G.A. ha, quindi, deciso di reagire la Regione Emilia-Romagna, in considerazione della circostanza che ad oggi nessuna pronuncia di tale giudice, ne' cautelare, ne' tantomeno di merito, ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale nei confronti delle citate leggi regionali avanti alla Corte, mentre ne risultano, sospesi gli effetti e mentre, per altro verso, diviene indilazionabile ed urgente per laegione salvaguardare le proprie leggi in materia (anche al fine di evitare comportamenti futuri di illegittimo uso del potere, da parte del G.A.), atteso che la legge regionale inerente al calendario venatorio ha durata quadriennale, il problema della disciplina venatoria si ripresenta puntualmente ogni anno, dovendo essere definita la relativa regolamentazione entro il mese di giugno, sicche' l'interesse della Regione a ricorrere in difesa delle proprie prerogative legislative appare con tutta evidenza. D i r i t t o Premessa. Di fronte a tre ricorsi delle associazioni ambientaliste pressoche' identici contro i provvedimenti di tre province che riproducono i disposti delle leggi regionali, le Sezioni del Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna (Bologna e Parma) hanno sospeso le delibere provinciali con motivazioni analoghe, anche se non equivalenti. In sede di riesame, il Consiglio di Stato ha accolto un appello e respinto gli altri due. Il fattore che ha determinato la differenza di atteggiamento del giudice d'appello e' di natura temporale, nel senso che dopo la prima decisione di riforma e' stata emanata la sentenza di codesta Corte n. 536 del 20 dicembre 2002, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della recente legge sulla caccia della Regione Sardegna. Il richiamo a questa sentenza e', in sostanza, l'unica argomentazione espressa dalle ordinanze del Consiglio di Stato con cui e' stato respinto l'appello cautelare della Regione Emilia-Romagna e della Provincia di Bologna. 1. - Violazione dell'art. 24 Cost. in relazione al diritto di difesa e al principio del contraddittorio. Violazione dell'art. 134 Cost. Il Consiglio di Stato, estendendo alla Regione Emilia-Romagna i principi stabiliti dalla sentenza n. 536/2002 di codesta Corte in relazione alla legislazione della Regione Sardegna, eccede dalle attribuzioni giurisdizionali ad esso assegnate e viola il diritto di difesa della Regione Emilia-Romagna, alla quale e' stato impedito di difendere la legittimita' costituzionale delle proprie leggi. Si deve evidenziare che la Regione Emilia-Romagna in primo grado aveva con forza sottolineato l'esigenza che i provvedimenti provinciali ripetitivi di norme e disposizioni della legge regionale non fossero sospesi, annullati o disapplicati, senza aver prima sollevato la questione di legittimita' costituzionale della legge stessa, portandola avanti a codesta ecc.ma Corte e garantendo alla regione di esplicitare le proprie ragioni. All'opposto, sia in primo grado le sezioni del Tribunale amministrativo regionale, che in appello il Consiglio di Stato, hanno negato alla regione il diritto di difendersi dai rilievi di incostituzionalita' di fronte alla sede propria, la Corte costituzionale: il giudice amministrativo ha, invece, applicato una sentenza pronunciata in un giudizio di cui la Regione non era parte, per inficiare indirettamente una legge regionale sulla cui legittimita' la Corte costituzionale non ha avuto modo di pronunciarsi. Palese e', percio', la violazione dello status riconosciuto alla regione dall'art. 134, nonche' del suo diritto di difendere le sue leggi in regolare contraddittorio di fronte alla Corte costituzionale, ex art. 24 Cost. 2. - Violazione dell'art. 117 nonche' dell'art. 127 primo comma e dell'art. 134 Cost. Il Consiglio di Stato, confermando la pronuncia del Tribunale amministrativo regionale Emilia-Romagna, sez. II, Bologna, ha convalidato la sospensione degli effetti di provvedimenti provinciali che non conseguono da autonome e discrezionali determinazioni, proprie delle Amministrazioni provinciali, ma riproducono i contenuti delle leggi regionali; come rilevato nella parte in fatto, il rinvio alle disposizioni legislative inerenti all'esercizio della caccia in deroga e al prelievo degli ungulati, secondo i tempi e i periodi di caccia individuati dalle rispettive leggi regionali n. 15 e 14 del 2002 e' diretto e immediatamente applicativo: rispetto ad esse gli atti deliberati dalla Province non introducono alcun elemento di novita'. Che la relazione tra i provvedimenti provinciali e le leggi regionali citate fosse cosi' precisa e stringente e' dimostrato dalla stessa scarna motivazione delle ordinanze del giudice amministrativo. In primo grado, il Tribunale amministrativo regionale Parma, nella decisione poi cassata dal Consiglio di Stato, motiva il fumus sulla base di un giudizio prognostico sulla non manifesta infondatezza delle questioni di illegittimita' delle leggi regionali che, peraltro, non viene sollevata, ma rinviata al merito. Meno esplicitamente, anche la sezione di Bologna rinvia al merito "l'ulteriore approfondimento" delle censure delineate nel ricorso. Entrambi, pero', dispongono la sospensione dei provvedimenti impugnati. Il Consiglio di Stato, che pure aveva annullato in un primo tempo l'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale Parma ritenendo che la Provincia di Reggio Emilia avesse "approvato i provvedimenti impugnati in primo grado nel rispetto delle leggi regionali in proposito emanate", conferma in seguito, invece, la decisione del Tribunale amministrativo regionale Bologna, mostrando di applicare il precedente della Corte nei confronti della Regione Sardegna proprio ai fini di anticipare il giudizio sulla legittimita' della legge regionale, senza neppure la cautela di rinviare ad una impugnazione futura delle leggi regionali di fronte alla Corte costituzionale. Con cio' dimostra di aver ritenuto la questione di legittimita' delle leggi regionali dell'Emilia-Romagna gia' risolta. Il risultato e' che vengono sospesi provvedimenti amministrativi che non costituiscono scelte discrezionali della amministrazione, ma pure ripetizioni di disposizioni legislative, motivate proprio sulla supposta illegittimita' di queste ultime. Il G.A. percio', si e' arrogato un diritto che l'ordinamento non riconosce neppure alla Corte costituzionale e, cioe', di ordinare la sospensione cautelare di applicazione delle leggi impugnate. Come questa ecc.ma Corte ha avuto occasione di precisare nella nota sentenza n. 285/1990, di fronte al giudice che sospende l'applicazione di una legge regionale si puo' sollevare conflitto di attribuzioni, in quanto non si denuncia un error in judicando, ma "l'erroneo convincimento" che ha indotto il giudice "ad esercitare un potere che non gli compete, errore cioe' che e' caduto sui confini stessi della giurisdizione e non sul concreto esercizio di essa". E anche qui "e' proprio l'esercizio di tale potere di disapplicazione delle leggi che costituisce l'oggetto del conflitto", non potendovi essere dubbio che "la prospettata disapplicazione di leggi regionali ... in quanto ritenute costituzionalmente illegittime, violi, ove accertata, le invocate norme costituzionali e incida, in particolare, sulla competenza legislativa garantita alla Regione dall'art. 117, comma 1" (ora commi 3 e 4). A differenza del caso deciso dalla Corte con la cit. sentenza n. 285/1990 ne' il Consiglio di Stato, ne' il Tribunale amministrativo regionale teorizzano il potere del G.A. di sospendere l'efficacia delle leggi regionali; tuttavia, sospendendo l'efficacia degli strumenti provinciali di mera, ma necessaria applicazione della legge regionale, per supposto vizio di incompetenza delle legge stessa, producono un risultato del tutto equivalente a quello della sospensione della legge, in ciascun ambito provinciale.
P. Q. M. La regione ricorrente chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare: che non spetta alla competenza del giudice amministrativo (nella specie il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale) il potere di sospendere atti amministrativi meramente ripetitivi di disposizioni di leggi regionali per vizi di illegittimita' imputabili a queste ultime; di conseguenza, voglia annullare la decisione del Consiglio di Stato citata in epigrafe. Bologna-Roma, addi' 11 marzo 2003 Prof. Avv.: Franco Mastragostino - Avv. Luigi Manzi 03C0286