N. 170 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 settembre 2002

Ordinanza  emessa  il  17  settembre 2002 dal giudice per le indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Grosseto  nel  procedimento penale a
carico di Della Chiesa D'Isasca Federico

Edilizia  e  urbanistica - Reati edilizi - Obbligo per i proprietari,
  possessori  o  detentori,  a  qualsiasi titolo, di beni ambientali,
  inclusi  negli  elenchi approvati con decreti ministeriali adottati
  ai  sensi  dell'art. 4  della  legge  29  giugno 1993,  n. 497,  di
  sottoporre  alla Regione i progetti delle opere di qualunque genere
  che   intendano   eseguire,  al  fine  di  ottenere  la  preventiva
  autorizzazione - Eccesso di delega.
- Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, artt. 151 e 163.
- Costituzione, art. 76.
(GU n.14 del 9-4-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del  procedimento  penale iscritto nel registro
delle  notizie  di  reato  in  data  8 settembre 2001 ed esaminata la
richiesta  del  p.m.  in  data 24 ottobre 2001 con la quale si chiede
l'emissione  di  decreto  di  condanna  nei confronti di Della Chiesa
D'Isasca  Federico  nato  il  5 gennaio  1937 a Cagliari residente in
Monte  Argentario,  frazione  P.S.  Stefano,  via  Panoramica  n. 349
domicilio dichiarato, imputato del reato p. e p. dall'art. 163 d.lgs.
n. 490/1999,   per   aver   realizzato,  in  assenza  della  prevista
autorizzazione  ex  art.  7 legge n. 1497/1939 e in zona sottoposta a
vincolo  paesaggistico,  realizzato  un cancello con telaio in legno,
sorretto da due pali infissi nel terreno, avente larghezza di mt. 4 e
altezza  di  mt. 2 a cui e' stata posta una recinzione metallica e in
cannucciato  avente  una  dimensione  complessiva  di mt. 14 in Monte
Argentario fino al 7 agosto 2001;
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    In  esito a due sopralluoghi, compiuti in data 3 e 7 agosto 2001,
personale del Corpo forestale dello Stato rilevava l'esecuzione delle
opere   descritte   nel   capo   d'imputazione  (delle  quali  vi  e'
documentazione   fotografica),  in  localita'  del  comune  di  Monte
Argentario.
    Dagli  accertamenti  svolti  presso l'ufficio tecnico comunale e'
emerso  che  il  terreno  sul  quale  le opere sono state eseguite e'
soggetto a protezione paesistica per effetto del decreto ministeriale
21 febbraio  1958,  ma che il proprietario non si e' munito di alcuna
autorizzazione prima di intraprendere i lavori.
    Di  conseguenza  il p.m. ha chiesto l'emissione di decreto penale
di   condanna,  ritenendo  l'integrazione  della  contravvenzione  ex
art. 163 decreto legislativo n. 490/1999.
    L'esegesi   della   disposizione   contestata   sembrerebbe   non
consentire   l'accoglimento   della  richiesta,  atteso  che  i  beni
sottoposti  a  protezione paesistica dai decreti ministeriali ex lege
n. 1497/1939  non  sono  compresi  tra  quelli  in relazione ai quali
l'art. 151  del  decreto  citato - con norma sanzionata dall'art. 163
stesso decreto - richiede l'autorizzazione paesistica.
    Dubita,  pero',  questo giudice della legittimita' costituzionale
del combinato disposto degli artt. 163 e 151, d.lgs. 29 ottobre 1999,
n. 490  nella parte in cui non prevedono l'obbligo per i proprietari,
possessori  o detentori a qualsiasi titolo di beni ambientali inclusi
negli  elenchi  approvati  con decreti ministeriali adottati ai sensi
dell'art. 4  della  legge  29 giugno 1939, n. 1497 di sottoporre alla
Regione  i  progetti  delle  opere  di qualunque genere che intendano
eseguire,  al  fine  di  ottenere  la  preventiva  autorizzazione, in
relazione all'art. 76 della Costituzione.

                           R i t e n u t o

Quanto alla fondatezza della questione:
    La  tutela  del  paesaggio e' stata recentemente disciplinata dal
d.lgs.  29 ottobre  1999,  n. 490  (testo unico sui beni culturali ed
ambientali,  in  seguito indicato come T.U.B.CA.), con il quale si e'
proceduto  ad  un  intervento di riunione e coordinamento di tutte le
disposizioni  legislative  vigenti  in  materia  di  beni culturali e
ambientali.
    L'art. 163  del  decreto, per quanto qui interessa, ha sostituito
la  norma  dell'art. 1-sexies,  legge 8 agosto 1985, n. 431 inserendo
una  disposizione sanzionatoria che, se da un lato si pone in termini
di  continuita'  con  la  legge  "Galasso",  dall'altro  specifica il
precetto  in termini piu' puntuali, che, tuttavia, creano un vuoto di
tutela rispetto all'ambito delineato dalla normativa preesistente.
    La  S.C.  di Cassazione ha precisato che "tra le due disposizioni
sussiste  continuita'  normativa,  sia per l'oggetto della tutela sia
per  il  regime sanzionatorio, rimasto immutato stante il riferimento
alle  pene previste dall'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47"
(Cass.  sez. III, sent. 10863 del 23 ottobre 2000, Raguccia e n. 8359
del  28 febbraio  2001) ed ha visto nell'art. 151 del T.U.B.C.A. "una
testuale  conferma  normativa" dell'interpretazione giurisprudenziale
con  la  quale  il  regime sanzionatorio dell'art. 1-sexies era stato
esteso  ai  beni  tutelati  ai sensi dell'art. 1497/1939 (Cass., sez.
III, n. 34385 del 21 settembre 2001).
    Invero,   la   giurisprudenza   di  legittimita'  (1)  ha  sempre
interpretato  l'art.1-sexies  della  legge n. 431/1985 [che recitava:
"ferme  restando  le  sanzioni  di  cui  alla  legge  29 giugno 1939,
n. 1497,  per  le  violazione  delle  disposizioni di cui al presente
decreto  si  applicano  altresi'  quelle  previste dall'art. 20 della
legge 28 febbraio 1985, n. 47"] nel senso che integra il reato "anche
la  violazione  del  vincolo  paesaggistico imposto con provvedimento
amministrativo  a  norma della legge 29 giugno 1939, n. 1497: cio' in
quanto   la   suddetta  norma  si  riferisce  alle  violazioni  delle
disposizioni  di  cui  agli articoli precedenti, tra i quali l'art. 1
recepisce  e  fa  proprio  il regime del vincolo paesaggistico di cui
alla  citata  legge  e gli artt. "ter" e "quinquies" prevedono regime
unitario  sia  per  i beni sottoposti a vincolo derivante dalla legge
sia  per  quelli  il  cui  vincolo  sia  disposto  con  provvedimento
amministrativo;    a    cio'   aggiungasi   la   considerazione   che
l'art. 1-"sexies",   precisando   che   restano   ferme  le  sanzioni
amministrative  di  cui  alla  legge  29 giugno  1939, n. 1497, rende
evidente  la  propria  applicabilita'  alle  violazioni  dei  vincoli
imposti con provvedimenti amministrativi poiche' solo con riferimento
alle medesime possono trovare applicazione tali sanzioni".
    E'  pertanto  evidente  che  l'estensione  della tutela penale ai
vincoli  imposti  anteriormente  alla data di entrata in vigore della
"Galasso"  e'  stata  possibile proprio in ragione della formulazione
letterale  della  norma  e  dal  suo  inserimento  in  un dato corpus
normativo,  attraverso  il  rinvio  alle  disposizioni  del quale era
possibili delimitare l'ambito dei fatti penalmente rilevanti.
    Il  novellato  testo  della  disposizione sanzionatoria [art. 163
T.U.B.C.A.   "Chiunque,  senza  la  prescritta  autorizzazione  o  in
difformita'  di  essa,  esegue  lavori  di  qualsiasi  genere su beni
ambientali  e'  punito  con le pene previste dall'art. 20 della legge
28 febbraio  1985,  n. 47"),  anche  se  maggiormente  rispondente al
principio  di  tassativita', per effetto della riformulazione e della
frammentazione,  in  un piu' ampio testo di legge, delle norme cui il
reato gia' previsto dall'art. 1-sexies della legge n. 431/1985 faceva
rinvio, non consente piu' tale operazione ermeneutica.
    La descrizione della condotta illecita ruota oggi su due concetti
normativi: quello di autorizzazione e quello (strettamente correlato)
di bene ambientale.
    Ne  consegue  che  il  cardine del sistema della tutela penale e'
costituito  dall'art. 151  del  T.U.B.C.A., che contiene gli elementi
necessari  a  esplicitare le due nozioni. L'art. 15 stabilisce che "i
proprietari,  possessori  o  detentori  a  qualsiasi  titolo  di beni
ambientali  inclusi  negli elenchi pubblicati a norma dell'art. 140 o
dell'articolo 144 o nelle categorie elencate all'art. 146 (...) hanno
l'obbligo  di  sottoporre  alla  Regione  i  progetti  delle opere di
qualunque  genere  che  intendano  eseguire,  al  fine di ottenere la
preventiva autorizzazione.
    Dall'integrazione di questa disposizione con quella dell'art. 163
risulta  che  per determinare quando sia necessaria l'autorizzazione,
e,  di  conseguenza, quando - mancando l'autorizzazione - sussista il
reato,  occorre  fare  riferimento  agli  elenchi  pubblicati a norma
dell'art. 140 o dell'art. 144 o alle categorie elencate all'art. 146,
onde  verificare se il bene sia o meno da qualificare come ambientale
e,   quindi,   scatti  per  il  proprietario,  che  intenda  eseguire
interventi  su  tale  bene  l'obbligo  di sottoporre i progetti delle
opere all'esame dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo.
    Attraverso  il  rinvio  (diretto) all'art. 151 e (indiretto) agli
artt. 140,   144  e  146,  pertanto,  il  precetto  dell'art. 163  si
specifica  nel senso di assoggettare a sanzione chiunque esegue senza
autorizzazione  lavori  su  uno  dei  beni  compresi negli elenchi ex
artt. 140 e 144 o nelle categorie ex art. 146.
    Il  risultato conseguito a tale tecnica normativa di tipizzazione
delle  condotte e' la sottrazione dall'ambito della tutela penale dei
beni  sottoposti  a  protezione,  in  base alla normativa della legge
n. 1497/1939, con i decreti ministeriali. Infatti, l'art. 140 prevede
che le Regioni compilino su base provinciale due distinti elenchi dei
beni  indicati  alle  lettere a) e b) e delle localita' indicate alle
lettere  c)  e  d) dell'art. 1392; l'art. 144 attribuisce al Ministro
competente  il  potere  di  integrare  gli  elenchi  dei beni e delle
localita'  indicati  all'art. 139;  l'art. 146, invece, trasfonde nel
testo  unico le categorie di beni individuate dall'art. 1 del decreto
legge  27 giugno  1985,  n. 312,  convertito  con modificazioni nella
legge  8 agosto  1985,  n. 431  (che  ha  aggiunto  i  commi 5, 6 e 7
all'art. 82  al  decreto  del  Presidente  della Repubblica 24 luglio
1977,  n. 616):  in  nessuna  di  queste disposizioni (che contengono
l'elencazione dei casi in cui l'autorizzazione e' necessaria), ne' in
alta del testo unico, si fa alcun riferimento ai decreti ministeriali
adottati in base alla legge n. 1497/1939 (3).
    Per  le  opere da eseguire sui beni contemplati in detti decreti,
pertanto,  non  sembra  essere piu' necessario alcun assenso da parte
della  regione,  con la conseguenza che la mancata autorizzazione dei
lavori e' un fatto penalmente irrilevante.
    Invero,   nel   sistema  originario  della  legge  n. 1497/39  la
sottoposizione  di  un  bene  a  protezione  era  realizzata mediante
l'inserimento  dello  stesso  in  elenchi,  compilati  "provincia per
provincia"  da  una  "Commissione"  che  agiva  in  sede  locale,  ed
approvati con decreto del Ministro dei beni culturali ed ambientali.
    L'art. 141 ha sostituito (in tal modo coordinando la normativa de
qua  con  l'art. 82,  comma 2, d.P.R. n. 616/1977 cit.) le competenze
ministeriali  in  materia  con  quelle  della  regione,  che provvede
all'approvazione degli elenchi.
    L'effetto   che   ne   e'   scaturito  e'  stato  di  sostanziale
depenalizzazione  delle  condotte aggressive dei beni individuati dai
decreti  ministeriali  ex  art. 4,  legge  n. 1497/39.  Poiche', come
osservato, nelle norme che valgono a definire il precetto (artt. 151,
140,  144  e 146 cit.) non si fa menzione dei decreti ministeriali, i
beni  in  essi  individuati  non  si possono piu' ritenere presidiati
dalla   tutela  penale,  salvo  due  casi:  che  sia  intervenuto  un
provvedimento  della  Regione che classifichi quei medesimi beni come
ambientali;  che detti beni appartengano anche ad una delle categorie
ex art. 146.
    Cio'  in  violazione  della legge delega, che aveva ad oggetto il
solo  riordino  della  normativa  e  non attribuiva al Governo alcuna
facolta' di eliminazione degli illeciti.
    La  legge  8  ottobre 1997, n. 352 recante "Disposizioni sui beni
culturali"  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre
1997  -  Supplemento ordinario n. 212, all'art. 1 prevede che: "1. Il
Governo  della Repubblica e' delegato ad emanare, entro un anno dalla
data   di   entrata  in  vigore  della  presente  legge,  un  decreto
legislativo  recante  un  testo  unico  nel  quale  siano  riunite  e
coordinate  tutte  le  disposizioni legislative vigenti in materia di
beni  culturali e ambientali. Con l'entrata in vigore del testo unico
sono  abrogate  tutte  le  previgenti  disposizioni in materia che il
Governo  indica  in  allegato  al  medesimo  testo  unico.  2.  Nella
predisposizione  del  testo  unico  di  cui al comma 1, il Governo si
attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:
        a)  possono  essere  inserite nel testo unico le disposizioni
legislative  vigenti  alla  data  di entrata in vigore della presente
legge,   nonche'  quelle  che  entreranno  in  vigore  nei  sei  mesi
successivi;
        b)  alle  disposizioni devono essere apportate esclusivamente
le  modificazioni  necessarie  per  il  loro  coordinamento formale e
sostanziale,  nonche' per assicurare il riordino e la semplificazione
dei procedimenti".
    Questo   giudice   dubita,  di  conseguenza,  della  legittimita'
costituzionale  del  combinato disposto degli artt. 163 e 151 - nella
parte  in cui richiedono la preventiva autorizzazione paesistica solo
per  i  beni  elencati negli artt. 140, 144 e 146 - poiche', operando
una  depenalizzazione  delle  condotte  sopra  descritte,  violano  i
criteri  e  principi  direttivi  della delega sulla cui base e' stato
emanato il T.U.B.C.A.
    In  primo  luogo occorre porre in evidenza che la legge 8 ottobre
1997,  n. 352  contiene  propria  delega  legislativa,  in  quanto ha
attribuito al Governo il potere di modificare norme in vista del loro
coordinamento.  Ne  consegue  che  il  testo licenziato non ha natura
amministrativa,  ma  legislativa,  e  la sua legittimita' puo' essere
valutata alla luce dell'art. 76 della Costituzione. (4)
    Secondo  la  giurisprudenza  di  codesta  Corte  "il  giudizio di
conformita'  della norma delegata alla norma delegante, condotto alla
stregua  dell'art. 76  Cost.,  si esplica attraverso il confronto tra
gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l'uno, relativo alle
norme  che  determinano  l'oggetto,  i principi e i criteri direttivi
indicati  dalla  delega,  tenendo  conto  del complessivo contesto di
norme  in  cui  si collocano e individuando le ragioni e le finalita'
poste a fondamento della legge di delegazione; l'altro, relativo alle
norme   poste   dal   legislatore   delegato,  da  interpretarsi  nel
significato  compatibile  con  i  principi  e criteri direttivi della
delega" (5).
    Procedendo  in  questa  valutazione salta agli occhi il fatto che
non   era  stato  attribuito  alcun  potere  di  innovare  l'apparato
sanzionatorio   esistente   (6).   Infatti,   la  delega  legislativa
consentiva  solo  la  modificazione delle disposizioni vigenti che si
fosse   rese   necessaria   per   il  loro  coordinamento  formale  e
sostanziale,  nonche' per assicurare il riordino e la semplificazione
dei  procedimenti.  Che  non  fosse attribuito alcun potere in ambito
penale  si  evidenzia  anche  attraverso il raffronto con altre leggi
delega  che,  invece,  tale potere prevedevano. Un caso paradigmatico
(senza  andare  a scomodare come termine di paragone le leggi con cui
il  governo  e'  stato  delegato alla depenalizzazione degli illeciti
minori, evidentemente non significativo) e' fornito dall'art. 2 della
legge n. 146 del 1994. Analogamente al caso in esame, la delega aveva
la  finalita'  di  consentire  il  coordinamento di una pluralita' di
testi  legislativi  (direttive comunitarie in materia di rifiuti). La
lettera "d" dell'articolo, pero', dettava specifici criteri in ordine
alle  norme  sanzionatorie  accessorie alla disciplina sostanziale di
attuazione  delle diverse direttive; criteri invece mancanti nel caso
di specie.
    Non  pare a questo giudice che l'erosione della tutela penale del
paesaggio, in effetti attuata, risponda all'esigenza di coordinamento
delle disposizioni ovvero ad una semplificazione dei procedimenti.
    La depenalizzazione delle condotte sembra piuttosto frutto di una
dimenticanza  del  legislatore, non emendabile in via interpretativa.
Come  detto,  l'individuazione  delle  condotte  rilevanti  ai  sensi
dell'art. 163  e'  il  risultato  di  una  operazione ermeneutica che
coinvolge, per il tramite dell'art. 151, gli artt. 140, 149 e 146 del
testo  unico.  In  nessuna  di  queste  norme, ne' in altra del testo
unico,  si  fa il benche' minimo riferimento ai beni qualificati come
ambientali  da decreti ministeriali emessi ai sensi dell'art. 4 della
legge n. 1497/39. In particolare, tale categoria di provvedimenti non
e'  rapportabile  al  decreto  ministeriale  di cui all'art. 144, che
presuppone l'esistenza di un elenco regionale e che, dovendo svolgere
una  funzione  sussidiaria,  non  puo'  essere  che  cronologicamente
successivo  alla  pubblicazione  degli  elenchi della regione. Con la
conseguenza  che non possono considerarsi tali i decreti emessi prima
ancora della pubblicazione di detti elenchi o, addirittura, prima del
trasferimento delle funzioni alla Regione.
    Neppure   si   puo'   interpretare   l'art. 163   nel  senso  che
autorizzazione  rilevante  al  fine  dell'integrazione  del reato sia
quella  ex  art. 7  della  legge  n. 1497/39,  poiche'  l'art. 166 ha
espressamente abrogato tale legge.
    L'esclusione  delle condotte aggressive di tali beni dalla tutela
penale  inoltre  sembra  incrinare  l'intrinseca ragionevolezza della
legge,  introducendo  un  trattamento  differenziato di situazioni in
effetti   identiche.   Identiche,   infatti,  sono  le  finalita'  di
protezione  sottostanti  tanto  agli  elenchi  regionali,  quanto  ai
decreti  ministeriali  ex  legge n. 1497/39. Invero, le regioni hanno
soltanto  preso  il  posto  dello  Stato  nell'esercizio della tutela
paesistica.  Le  modalita' con le quali tale tutela si attua, invece,
sono  rimaste  immutate, cosi' come lo strumento normativo in base al
quale si concretizza: nell'articolato normativo si e' solo sostituito
la   parola   "Ministero"  con  "regione".  Non  si  puo',  pertanto,
differenziare  l'efficacia  dei  provvedimenti di tutela in relazione
all'autorita'   emanante   e,   cosi',   giustificare   il  diseguale
trattamento  normativo.  Ne',  di  conseguenza, si puo' attribuire un
differente rilievo alle condotte offensive, sanzionando come illecito
penale  le  violazioni  attinenti  ai  beni ambientali protetti dalle
regioni e non sanzionando quelle relative ai beni gia' tutelati dallo
Stato.

                           R i t e n u t o

Quanto alla rilevanza della questione:
    La  questione  e'  rilevante nel giudizio a quo, atteso che dalla
soluzione  della  stessa  dipende  l'emissione  del decreto penale di
condanna richiesto.
    L'intervento  rilevato, qualora l'art. 163 fosse applicabile alla
fattispecie,  sarebbe  penalmente  rilevante  sotto  il profilo della
tutela paesistica.
    La  Corte  di cassazione - sulla linea tracciata da codesta Corte
(7)  -  ha gia' avuto modo di chiarire che "in materia paesaggistica,
anche  dopo  la  entrata in vigore del decreto legislativo 29 ottobre
1999,  n. 490, che ha sostituito le previgenti disposizioni di cui al
decreto-legge  27 giugno  1985,  n. 312, convertito in legge 8 agosto
1985,  n. 431,  le ipotesi di reato ivi previste mantengono la natura
di  reati  di  pericolo,  sicche'  rimane  esclusa la sanzionabilita'
soltanto  di interventi non autorizzati di entita' talmente minima da
non  potere  dare  luogo,  neppure  in  astratto,  al  pericolo di un
pregiudizio  ai  beni  protetti"  (v. Cass. sez. III, sent. 40862 del
16 novembre  2001).  Invero,  "l'integrita'  ambientale  e'  un  bene
unitario, che puo' risultare compromesso anche da interventi minori e
che   pertanto   va   salvaguardato   nella   sua  interezza"  (Corte
costituzionale n. 67 del 1992).
    Nel caso di specie, la consistenza degli interventi di recinzione
e'  tale,  per  dimensioni  (m.  14  x  1,65) e materiali (che mal si
integrano con l'ambiente circostante) da non potersi qualificare come
"di  minima  entita'".  Al  contrario la loro consistenza e tipologia
postulava,  gia' in base ad una valutazione ex ante, l'autorizzazione
paesistica.
    Non solo. Vi e' anche un preciso indice normativo della rilevanza
paesistica delle opere del tipo posto in essere dall'indagato.
    L'art. 152    del    T.U.B.C.A.    ha   escluso   la   necessita'
dell'autorizzazione  paesistica  per  gli interventi di manutenzione,
restauro  e risanamento - col limite della non incidenza degli stessi
sullo  stato  dei luoghi e sull'aspetto esteriore degli edifici - con
cio'  ponendo  una presunzione legale di rilevanza "ambientale" degli
interventi   ascrivibili  a  categorie  edilizie  diverse  da  quelle
elencate.
    L'art. 4,  legge  4 dicembre  1993, n. 493, novellato dalla legge
23 dicembre  1996,  n. 662,  distingue  le  due  categorie  di  opere
(lettera   a:   opere   di  manutenzione  straordinaria,  restauro  e
risanamento  conservativo;  lettera  c:  recinzioni,  muri di cinta e
cancellate),  per  cui  i  lavori di realizzazione di cancellate e di
recinzioni   non  possono  essere  ricondotti  alla  categoria  della
manutenzione  o  del  risanamento  ed  al  regime  di favore per essa
previsto.
    Alle  luce  delle  considerazioni  che precedono, quindi, si deve
concludere  che  non  e'  possibile superare in via interpretativa la
prospettata illegittimita' costituzionale delle norme esaminate e che
il   giudizio   non  puo'  essere  definito  indipendentemente  dalla
soluzione della questione devoluta all'esame di codesta Corte.
              (1) (cfr. Cass. sez. III, sentenze n. 4136 del 31 marzo
          1999; n. 3957 del 5 aprile 1994; n. 5343 del 7 maggio 1994;
          n. 5627  del  12 maggio  1994; n. 11352 del 4 ottobre 1999;
          n. 5865 del 23 maggio 1994).
              (2)  Si  tratta  dei  beni gia' individuati dall'art. 1
          della legge n. 1497/39: le cose immobili che hanno cospicui
          caratteri di bellezza naturale o di singolarita' geologica;
          le ville, i giardini e i parchi, non tutelati a norma delle
          disposizioni  del  Titolo 1, che si distinguono per la loro
          non  comune  bellezza;  i  complessi  di  cose immobili che
          compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico
          e  tradizionale;  le  bellezze panoramiche considerate come
          quadri  e  cosi'  pure  quei punti di vista o di belvedere,
          accessibili  al pubblico dai quali si goda lo spettacolo di
          quelle bellezze.
              (3)  Unico  accenno  ai  decreti ministeriali, peraltro
          inconferente    rispetto   alla   materia,   e'   contenuto
          nell'art. 145:  "Gli  elenchi  dei  beni  e delle localita'
          indicati   all'art. 139   approvati   dal  Ministero  prima
          dell'entrata  in  vigore  del  decreto del Presidente della
          Repubblica  24 luglio 1977, n. 616, nonche' le integrazioni
          previste  dall'art. 144,  non  possono  essere  revocati  o
          modificati  se non previo parere del competente comitato di
          settore  del  Consiglio  nazionale  per  i beni culturali e
          ambientali  che  si pronuncia nel termine di quarantacinque
          giorni dalla data della richiesta".
              (4)  v.  C.  cost.  n. 54/1957, n. 24/1961, n. 32/1962,
          n. 57/1964, n. 145/1971 e n. 226/1974.
              (5)  Sentenza  n. 425 del 2000 e, negli stessi termini,
          sentenze nn. 276, 163 e 126 del 2000; nn. 15 e 7 del 1999.
              (6)  In questi termini, v. Cass. sez. III, n. 08359 del
          28 febbraio   2001   (UD.16 gennaio   2001):  "In  tema  di
          costruzione  senza  autorizzazione  paesaggistica  in  zona
          soggetta  a  vincolo,  la  violazione dell'art. 1-"sexies",
          legge  8 agosto  1985,  n. 431  e'  punita  con la sanzione
          prevista  dall'art. 20, lettera c), legge 28 febbraio 1985,
          n. 47,  anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 163 d.lgs.
          n. 490  del 1999, atteso che tale ultima fonte ha carattere
          compilativo   e  non  e'  idonea  a  introdurre  una  nuova
          disciplina  sanzionatoria  in  materia penale, vuoi perche'
          manca una espressa delega legislativa (art. 1, legge n. 352
          del  1997) vuoi perche' una diversa interpretazione sarebbe
          contraria a quella fornita dalla Corte costituzionale sulla
          valenza del vincolo paesistico".
              (7)  v.  Corte  costituzionale  nn. 360/1995; 133/1992;
          333/1991; 296/1996; 247/1997.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondati la questione di
legittimita'   costituzionale   -   in  relazione  all'art. 76  della
Costituzione   -  degli  artt. 163  e  151  del  decreto  legislativo
29 ottobre  1999,  n. 490  nella parte in cui non prevedono l'obbligo
per  i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di beni
ambientali  inclusi  negli elenchi approvati con decreti ministeriali
adottati  ai sensi dell'art. 4 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 di
sottoporre  alla  regione  i progetti delle opere di qualunque genere
che   intendano   eseguire,   al   fine  di  ottenere  la  preventiva
autorizzazione.
    Sospende  il  procedimento  iscritto  al  n. 01/2860 del registro
delle notizie di reato ed al n. 01/3353 del registro g.i.p.;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale.
    Ordina  che  a  cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata  agli indagati, al pubblico ministero ed al Presidente del
Consiglio  dei  ministri, e comunicata ai Presidenti dei due rami del
parlamento.
        Grosseto, addi' 17 settembre 2002
           Il giudice per le indagini preliminari: Mammone
03C0294