N. 175 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 2003

Ordinanza  emessa  il  18  gennaio  2003 dal tribunale di Bologna nel
procedimento penale a carico di Bettiab Hichem

Straniero  -  Espulsione  amministrativa - Reato di trattenimento nel
  territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento,
  entro il termine di cinque giorni, impartito dal questore - Arresto
  obbligatorio in flagranza - Irragionevole disparita' di trattamento
  rispetto ad ipotesi di reato piu' gravi.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, aggiunto
  dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, artt. 3.
(GU n.14 del 9-4-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Sulla  richiesta  del  p.m.  di convalida dell'arresto di Bettiab
Hichem,  alias  Bettaib  Hichem  nato  a Sfax (Tunisia) il 10 ottobre
1972,  arrestato  a Bologna il 17 gennaio 2003, ai sensi dell'art. 14
comma  5-quinquies  decreto legislativo n. 286/1998 - come modificato
dalla  legge  n. 189/2002  - per la contravvenzione prevista e punita
dall'art. 14 comma 5-ter stessa legge;
    Premesso  che  l'arrestato  e'  stato colpito da provvedimento di
espulsione del prefetto di Bologna in data 21 dicembre 2002 e in data
21 dicembre   2002,  il  questore  di  Bologna  gli  ha  ordinato  di
allontanarsi  dal  territorio  dello  Stato  entro 5 giorni, ai sensi
dell'art. 14,  comma  5-bis del decreto legislativo n. 286/1998, come
modificato dalla legge n. 189/2002;
    Dato   atto   che   l'arrestato   e'   privo   di   documenti  di
identificazione   validi   ed   e'   stato   sottoposto   a   rilievi
dattiloscopici  per  la  sua  identificazione, in base ai quali si e'
accertato  che  lo  stesso  e' privo di pendenze di qualunque natura,
essendo  solo stato identificato in due occasioni (di cui l'ultima ha
poi   provocato  l'emissione  del  provvedimento  prefettizio  e  del
conseguente ordine del questore);
    Osservato che:
        il   decreto   legislativo   n. 286/1998   come  recentemente
modificato   dalla   legge  n. 189/2002  prevede  l'espulsione  dello
straniero  che sia entrato nel territorio dello stato sottraendosi ai
controlli  di  frontiera  o  vi  si  sia trattenuto senza permesso di
soggiorno valido (art. 13, comma 2, lett. A-B);
        l'espulsione  e'  disposta dal prefetto ed e' sempre eseguita
dal  questore  con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza
pubblica (art. 13, comma 4), salvo nei casi concernenti lo straniero,
il cui permesso di soggiorno sia scaduto da piu' di sessanta giorni e
non  ne  sia  stato  chiesto  il  rinnovo,  per il quale l'espulsione
eseguita  mediante  accompagnamento  alla  frontiera viene sostituita
dall'intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro 15 giorni
(art. 13, comma 5);
        la  regola  fissata  dal  comma  4, dell'art. 13, puo' essere
derogata   quando   non   e'   possibile  eseguire  con  immediatezza
l'espulsione   mediante  accompagnamento  alla  frontiera  ovvero  il
respingimento, perche' occorre procedere al soccorso dello straniero,
accertamenti   supplementari   in   ordine   alla   sua  identita'  o
nazionalita',  ovvero  all'acquisizione  di documenti per il viaggio,
ovvero  per  l'indisponibilita' di vettore o altro mezzo di trasporto
idoneo (art. l4, comma 1);
        in  tal  caso  il  questore  dispone  che  lo  straniero  sia
trattenuto  per  il tempo strettamente necessario presso il centro di
permanenza temporanea e assistenza piu' vicino;
        come  rimedio  ulteriore  ed  estremo,  qualora non sia stato
possibile   trattenere   lo   straniero  nel  centro,  o  trattenerlo
ulteriormente  (essendo decorso il termine massimo di giorni 30+30 di
cui  al  comma  5 dell'art. 14), il questore ordina allo straniero di
lasciare  il  territorio  dello  Stato  entro 5 giorni (art. 14 comma
5-bis);
        orbene,  implicitamente  confermando che la clandestinita' in
se'  non  e' reato ma solo l'inottemperanza al relativo provvedimento
di   espulsione,   il  legislatore  ha  contemplato  diverse  ipotesi
sanzionatorie per l'inosservanza dei diversi tipi di espulsione;
        la  disobbedienza  che  si  realizzi  per  la prima volta, di
regola,  e'  un illecito contravvenzionale (l'eccezione e' costituita
dalla  trasgressione  all'espulsione disposta dal giudice a titolo di
sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione; art. 16 commi 1 e
5); le condotte sanzionate sono il rientro nel territorio dello stato
senza  speciale  autorizzazione  del ministero dell'interno (art. 13,
comma  13)  e  il  trattenimento  ingiustificato nel territorio dello
stato  in  violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore ai sensi
dell'art. 14  comma  5-bis;  per  entrambe le contravvenzioni la pena
prevista  e'  l'arresto  da sei mesi ad un anno ed e' previsto che si
proceda   a  nuova  espulsione  con  accompagnamento  alla  frontiera
(art. 13, comma 13 in fine e art. 14 comma-5-ter in fine);
        la  reiterazione  della  condotta disobbediente (ovverosia il
rientro   dello  straniero  gia'  denunciato  per  il  reato  di  cui
all'art. 13,  comma  13  o il rinvenimento nel territorio dello Stato
dello  straniero espulso ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter) realizza
un  delitto,  punito  con la reclusione da 1 a 4 anni (art. 13, comma
13-bis in fine e art. 14 comma 5-quater);
        quanto  agli  aspetti processuali, gli art. 13 e 14 prevedono
per i reati in ciascuno di essi contemplati rispettivamente l'arresto
facoltativo  in  flagranza  (art. 13, comma 13-ter; per le violazione
dell'art. 13-bis  e'  consentito  anche  il  fermo  fuori dei casi di
flagranza)  e  l'arresto  obbligatorio (art. 14, comma 5-quinquies) e
sempre il rito direttissimo;
    Ritenuto che:
        la  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 14,
comma  5-quinquies  nella  parte  in  cui  prevede  come obbligatorio
l'arresto   per   il   reato   di  cui  al  comma  5-ter  appare  non
manifestamente  infondata e rilevante e va sollevata d'ufficio per le
ragioni  che  seguono, con riferimento ai parametri costituzionali di
cui all'art. 3 Cost.;
        i   reati  contravvenzionali  previsti  dagli  art. 13  e  14
rivestono  quanto  meno pari gravita'; infatti sono sanzionati con la
medesima  pena  edittale,  prevedono  identiche conseguenze sul piano
amministrativo  (nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera)
e  penale  (lo  straniero  che,  dopo  essere stato denunciato per la
contravvenzione,  viene  nuovamente  colto nel territorio dello Stato
commette  un  delitto punito con la reclusione da 1 a 4 anni) in caso
di reiterazione della condotta;
        in  realta', a ben vedere, la condotta descritta all'art. 14,
comma 5-ter appare meno grave di quella di cui all'art. 13, comma 13;
in quest'ultimo caso lo straniero che, dopo essere stato accompagnato
coattivamente   alla   frontiera   a  meno  della  forza  pubblica  e
fisicamente  espulso  dal territorio dello Stato, vi rientra, pone in
essere  una  condotta  attiva  di trasgressione non solo ad un ordine
legalmente  dato  ma  anche ad attivita' che hanno impegnato lo Stato
con  risorse umane e materiali, e ha quindi mostrato un atteggiamento
volitivo particolarmente forte; la condotta di cui all'art. 14, comma
5-ter  e'  invece  meramente  omissiva,  nei  senso  che lo straniero
"intimato"  si  limita  a  non adempiere l'ordine e a non presentarsi
alla frontiera nei termine indicato, atteggiamento che e' compatibile
anche con la semplice colpa;
        se  e' dunque corretto ritenere che la contravvenzione di cui
all'art. 14  comma  5-ter  e'  di  gravita' pari o addirittura minore
rispetto  a  quella  di  cui  all'art. 13,  comma 13 non vi e' alcuna
ragione  che giustifichi la previsione di un arresto obbligatorio nel
primo caso e facoltativo nel secondo;
        ma  v'e'  di  piu';  l'art. 13,  comma  13-ter  prevede  come
facoltativo l'arresto anche in caso di commissione di uno dei delitti
previsti  dal  precedente  comma  13-bis;  e fra essi, oltre a quello
dello straniero che, gia' denunciato per la contravvenzione di cui al
comma   13  e  nuovamente  espulso  con  nuovo  accompagnamento  alla
frontiera,  sia  rientrato  nel  territorio  dello Stato, vi e' anche
quello  di  violazione  dell'espulsione disposta dal giudice; orbene,
tale  espulsione  ai  sensi  dell'art. 16  del  decreto  puo'  essere
disposta  con  la sentenza, come sanzione sostitutiva di condanna per
reato  non colposo ad una pena detentiva entro il limite di due anni,
e  quindi anche in relazione a soggetti che hanno dimostrato gia', in
concreto,  di  essere  pericolosi,  tenuto  conto  dell'entita' della
condanna  loro  inflitta;  non  vi  e' alcun dubbio che tali soggetti
debbano  essere  ritenuti  piu'  pericolosi  e il loro reingresso nel
territorio  dello Stato piu' allarmante dei semplice permanere di uno
straniero  la  cui unica "colpa" e' quella di avere trasgredito ad un
ordine  del  Questore  che gli intimava di uscire dallo Stato entro 5
giorni;
        sembra  pertanto indiscutibile che nel sistema degli articoli
13  e 14 il legislatore abbia trattato in maniera difforme situazioni
quanto   meno   uguali  (prevedendo  l'arresto  obbligatorio  per  la
contravvenzione  di cui all'art. 14, comma 5-ter e quello facoltativo
per  la  contravvenzione di cui all'art. 13, comma 13) e maniera piu'
grave reati di minore gravita' (la contravvenzione di cui all'art. 14
comma 5-ter rispetto ai delitti di cui all'art. 13, comma 13-bis);
        peraltro   l'arresto   obbligatorio  e'  istituto  riservato,
nell'attuale  ordinamento,  solo  ai  delitti  e  fra  essi  a quelli
particolarmente   gravi   indicati   nell'art. 380   c.p.p.;  nessuna
contravvenzione prevede l'arresto obbligatorio e solo una (art. 6 del
d.l.  n. 122/1993  convertito  in legge n. 205/1993) lo consente come
facolta';  anche  in  tale  ultima  ipotesi, inoltre, la condotta che
viene  sanzionata  in  via  preprocessuale con l'arresto in flagranza
appare  di  notevole  pericolosita'  sociale  (porto  nelle pubbliche
riunioni  di  armi  o  strumenti  atti ad offendere e porto di armi o
strumenti  atti  ad  offendere  per  ragioni di odio razziale, etnico
ecc.)  in confronto alla condotta di chi contravviene all'obbligo del
questore di lasciare il territorio dello Stato entro 5 giorni;
        ne'  la  disparita'  di  trattamento  sembra  trovare  alcuna
giustificazione di natura processuale o di politica criminale;
        infatti  da  un  lato,  poiche'  nel  nostro  ordinamento  e'
consentito  procedere  nella  contumacia  dell'imputato,  non  appare
necessario  garantirne  fisicamente la presenza di fronte al giudice,
ne'  l'obbligatorieta'  dell'arresto  e' necessariamente collegata al
rito  processuale  adottabile (rito direttissimo), giacche' lo stesso
decreto   legislativo   n. 286/1998,  prevede  il  rito  direttissimo
obbligatorio  anche  per  i  reati  di cui all'art. 13 commi 13-bis e
13-ter,  per  i  quali  -come detto- l'arresto e' facoltativo, in tal
modo  introducendo  una  deroga  al  generale  principio  secondo cui
l'adozione   dei   rito   direttissimo   e'  generalmente,  collegata
all'arresto (peraltro gia' il comma 5 dell'art. 449 c.p.p prevede una
ipotesi  diversa  di  rito  direttissimo,  collegato alla confessione
dell'imputato  e non all'avvenuto arresto; analogamente l'art. 12-bis
del  d.l. n. 302 stabilisce che per i reati concernenti le armi e gli
esplosivi  il  pubblico  ministero  procede  al giudizio direttissimo
anche fuori dei casi previsti dagli art. 449 e 558 c.p.p.);
        per   quanto   concerne  le  eventuali  ragioni  di  politica
criminale  perseguite  dal  legislatore,  va  rammentato che la ratio
della norma incriminatrice e' quella di sanzionare un soggetto che si
e'  sottratto  all'esecuzione volontaria di un ordine dell'autorita',
ordine  che  e'  stato  emanato  perche'  egli si trova bensi' in una
condizione soggettiva particolare (senza documenti di identificazione
e  dunque  non  passibile  di  espulsione coatta verso un determinato
stato) ma in se' non illecita, non integrando alcuna ipotesi di reato
l'essere clandestino e non identificato; inoltre, scegliendo il reato
di   natura  contravvenzionale  (del  resto  conformemente  ad  altre
fattispecie  analoghe;  v. art. 650 del codice penale e art. 2, legge
n. 1423/1956)  lo  stesso  legislatore  ha qualificato la condotta in
termini  di minore gravita', rendendo anche impossibile l'adozione di
qualunque  misura  cautelare;  e'  ben  vero  che  nella  sfera della
discrezionalita'  legislativa  rientrano  le  scelte sulla qualita' e
quantita'  delle  sanzioni  e sui presupposti di applicabilita' delle
misure  cautelari  e  precautelari,  ma e' altrettanto vero che l'uso
della  discrezionalita'  legislativa  puo'  essere censurato sotto il
profilo  della  legittimita'  costituzionale  nei casi in cui non sia
stato  rispettato il limite della ragionevolezza (crf. sentenze Corte
cost.  26/1979,  103/1982,  409/1989,  341/1994;  secondo Corte cost.
53/1958  "non si compiono valutazioni di natura politica e nemmeno si
controlla  l'uso  dei  potere  discrezionale  del  legislatore  se si
dichiara  che  il  principio  dell'uguaglianza  e'  violato quando il
legislatore  assoggetta  ad una indiscriminata discliplina situazioni
che esso stesso considera e dichiara diverse");
        ne'   puo'   dubitarsi   che  il  principio  di  uguaglianza,
nonostante  il  riferimento letterale dell'art. 3 cost. ai cittadini,
debba  ritenersi  esteso  anche  agli  stranieri, allorche' si tratti
della   tutela   dei   diritti  inviolabili  dell'uomo  (Corte  cost.
104/1969);
        nella  fattispecie  concreta la questione e' anche rilevante;
infatti  Bettiab  Hichem, e' stato privato della liberta' personale a
seguito   di   arresto   obbligatorio,  a  prescindere  da  qualunque
valutazione  di  pericolosita'  personale  (che nella fattispecie non
sussisteva,  trattandosi  di  soggetto  privo  di  pregiudizi) per la
violazione dell'art. 14, comma 5-ter e condotto avanti al giudice per
la  convalida  dell'arresto  e  il  giudizio  direttissimo  ai  sensi
dell'art. 558 c.p.p.;
        la  circostanza  che  la  mancata  convalida dell'arresto del
prevenuto  nel  termine  previsto  dagli  art. 558 e 391 u.co. c.p.p.
determinera'  la  caducazione  della  misura, non puo' influire sulla
rilevanza   della   questione   di  legittimita',  come  puntualmente
osservato dalla Corte cost. con sentenza 54/1993 nella quale si legge
"il  provvedimento  di,  liberazione dell'arrestato era imposto dalla
disposizione dell'art. 391, settimo comma, ultima parte del codice di
rito...  poiche'  tale disposizione ricollega la perdita di efficacia
dell'arresto alla carenza, per qualsiasi ragione, di un provvedimento
positivo   di   convalida   nello   stesso  termine,  e'  ovvio,  che
l'impossibilita'  di  rispettarlo  conseguente  all'elevazione  della
questione  comportava  (o  avrebbe  di  li'  a  poco  ineludibilmente
comportato) l'intervento, di tale autonoma causa di carenza di valido
titolo di detenzione, a prescindere dall'esaurimento del procedimento
di   convalida,   che...  era  stato  contestualmente  sospeso.  Tale
procedimento  non  puo'  percio'  ritenersi  esaurito,  ne' di esso i
giudici  si  sono  spogliati:  e  la  sua  persistenza  nonostante la
liberazione  trova  ragione  nell'interesse generale ad una pronuncia
sulla  legittimita'  dell'arresto,  che ha pur sempre determinato una
privazione  della  liberta'.  La  rilevanza  della questione, dunque,
permane,  trattandosi  di  stabilire se la liberazione dell'arrestata
debba   considerarsi   conseguente  all'applicazione  dell'art.  391,
settimo  comma,  ovvero,  piu'  radicalmente,  alla  caducazione  con
effetto retroattivo della disposizione in base alla quale gli arresti
furono eseguiti".
    Sulla  base  delle  considerazioni fin qui svolte la questione di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 14,  comma  5-quinquies  del
decreto legislativo n. 286/1998 come modificato dalla legge 189/2002,
nella  parte  in cui prevede come obbligatorio l'arresto per il reato
previsto  dal comma 5-ter, in relazione all'art. 3 della Costituzione
appare non manifestamente infondata e rilevante.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 legge n. 87/1953;
    Dichiara  non  manifestamente  infondata e rilevante nel presente
giudizio  la  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14
comma  5-quinquies  d.lgs.  n. 286/1998  come  modificato dalla legge
189/2002, per contrasto con l'art. 3 Costituzione;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Bologna, addi' 18 gennaio 2003
                         Il giudice: Zavatti
03C0299