N. 10 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 27 marzo 2003
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 27 marzo 2003 (del Tribunale di Brescia) Parlamento - Immunita' parlamentari - Deliberazione della Camera dei deputati in data 8 febbraio 2001, con la quale si dichiara che i fatti per cui si procede penalmente nei confronti dell'on. Vittorio Sgarbi per diffamazione aggravata nei confronti del dott. Gherardo Colombo concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Tribunale di Brescia per la ritenuta mancanza di nesso tra i fatti attribuiti e l'esercizio delle funzioni parlamentari. - Deliberazione della Camera dei deputati 8 febbraio 2001. - Cost., art. 68, primo comma.(GU n.17 del 30-4-2003 )
Il giudice dott. Luciano Ambrosoli, letti gli atti del procedimento in epigrafe a carico di Sgarbi Vittorio e Gori Giorgio, imputati del delitto di diffamazione commesso in danno di Colombo Gherardo - sentite le parti sulle determinazioni da assumere in esito alla deliberazione della Camera dei deputati dell'8 febbraio 2001, la quale ha affermato che tutti i fatti in questa sede contestati al deputato Sgarbi Vittorio concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, comma primo della Costituzione, osserva F a t t o Il processo ha ad oggetto le opinioni espresse dal deputato Sgarbi Vittorio durante le puntate dell'8, dell'11 e del 12 febbraio 1997, del programma televisivo «Sgarbi quotidiani», diffuso dall'emittente Canale 5. In tali occasioni l'on. Sgarbi, conduttore del programma televisivo, aveva reiteratamente affermato che il dott. Colombo, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano, aveva costituito una falsa prova documentale (un passi di ingresso a Palazzo Chigi) da utilizzare (a dimostrazione di un preteso incontro tra l'avv. Berruti e l'on. Berlusconi, all'epoca presidente del consiglio dei ministri) in un procedimento penale a carico dell'on. Berlusconi 1). Con atti depositati il 18 e il 28 febbraio 1997, Colombo Gherardo sporgeva denuncia querela nei confronti di Sgarbi Vittorio e di chiunque altro avesse concorso nella commissione del reato, deducendo la natura diffamatoria delle dichiarazioni rese da Sgarbi nel corso delle trasmissioni televisive sopra richiamate, e allegava le videocassette recanti la registrazione di tali trasmissioni. Il querelante si costituiva inoltre parte civile avanti al giudice dell'udienza preliminare, che in data 1° ottobre 1999 disponeva il rinvio a giudizio di Sgarbi Vittorio e Gori Giorgio, quest'ultimo quale direttore responsabile della rete televisiva Canale 5. Il 16 febbraio 2001 il Presidente della Camera dei deputati, trasmetteva al tribunale la delibera adottata dall'assemblea nella seduta dell'8 febbraio 2001, nella quale si recepiva la proposta a maggioranza formulata dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere circa la insindacabilita' delle opinioni critiche espresse dall'on. Sgarbi nei confronti del dott. Colombo, in quanto connesse all'esercizio della funzione parlamentare. Il relatore onorevole Sergio Cola cosi' motivava la proposta: «Dall'analisi dei fatti, e' apparso alla maggior parte dei componenti la Giunta, espressisi sul punto, che le affermazioni dell'onorevole Sgarbi, si inseriscono nel contesto della perdurante polemica politica nel nostro Paese inerente al modo di procedere della magistratura e, in particolare nella forte critica politica manifestata dal deputato Sgarbi nei confronti dell'operato di taluni magistrati. Occorre tener presente infatti che le affermazioni riportate inerivano a un episodio che desto' grande scalpore nell'opinione pubblica. In particolare, in questa occasione, i motivi che hanno suscitato la critica dell'onorevole Sgarbi, sono dei profili solo apparentemente di dettaglio che legittimamente destano perplessita'. In primo luogo, il passi asseritamente rinvenuto nell'agenda dell'avvocato Berruti, in realta' fu ritrovato solo tre mesi dopo l'acquisizione dell'agenda stessa, da parte della magistratura. In secondo luogo, ancora a questo proposito, il brigadiere Piazza, sembra aver smentito il dottor Colombo, il quale aveva sostenuto che fosse stato proprio costui ad avergli consegnato il passi. Infine appare di rilievo ai presenti fini che Silvio Pastore, l'agente di guardia dell'ingresso di Palazzo Chigi, abbia negato di aver visto entrare l'avvocato Berruti, nel giorno e nell'ora indicati dalla pubblica accusa. Proprio su questi profili si e' incentrato l'esercizio del diritto di critica del collega Sgarbi, le cui riflessioni rientrano, pertanto, nel contesto della costante e intensa battaglia politica che egli svolge in Parlamento, al di fuori di esso, su tali tematiche. D i r i t t o Sono noti i principi delineati in materia dalla sentenza 29 dicembre 1988, n. 1150 della Corte costituzionale: le prerogative parlamentari non possono non implicare un potere dell'organo a tutela del quale sono disposte, e pertanto, spetta alla camera di appartenenza il potere di valutare se la condotta addebitata ad un proprio membro debba qualificarsi come esercizio delle funzioni parlamentari, con l'effetto - in caso affermativo - di inibire una difforme pronuncia giudiziale di responsabilita'. D'altra parte, il potere valutativo delle camere, puo' dirsi legittimamente esercitato solo entro i limiti della fattispecie contemplata dall'art. 68, comma 1 Cost.: in un sistema costituzionale che riconosce i diritti inviolabili dell'uomo (fra cui il diritto all'onore ed alla reputazione) quali valori fondamentali dell'ordinamento giuridico, il potere valutativo delle camere, lungi dall'essere arbitrario o vincolato a sole regole interne di self-restraint, e' soggetto al controllo di legittimita' affidato all'organo giurisdizionale di garanzia costituzionale mediante lo strumento del conflitto di attribuzione, a norma degli artt. 134 Cost. e 37 legge n. 87/1953. Cosi' prosegue la motivazione della sentenza della Consulta: «Qualora il giudice di una causa civile di risarcimento dei danni, promossa da una persona lesa da dichiarazioni diffamatorie fatte da un deputato o da un senatore, in sede extraparlamentare, reputi che la delibera della camera di appartenenza, affermante l'irresponsabilita' del proprio membro convenuto in giudizio, sia il risultato di un esercizio illegittimo [...] del potere di valutazione, puo' provocare il controllo della Corte costituzionale sollevando avanti a questa conflitto di attribuzione. Il conflitto non si configura nei termini di una vindicatio potestatis (il potere di valutazione del parlamento non e' in astratto contestabile), bensi' come contestazione dell'altrui potere in concreto, per vizi del procedimento, oppure per omessa o erronea valutazione dei presupposti, di volta in volta richiesti per il valido esercizio di esso». Tali principi hanno, quindi, trovato conferma nelle successive sentenze della Corte, costituzionale 16 dicembre 1993 n. 443 («in sede di conflitto di attribuzione [...] e' possibile solo verificare se ai fini dell'esercizio, in concreto del potere che ha condotto alla dichiarazione di insindacabilita' [...] da parte della camera di appartenenza, sia stato seguito un procedimento corretto oppure se mancassero i presupposti di detta dichiarazione - tra i quali essenziale quello del collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare - o se tali presupposti siano stati arbitrariamente valutati») e 24 aprile 1996, n. 129. E' dunque evidente che, secondo l'ormai consolidato orientamento della stessa Corte costituzionale, il giudizio ad essa devoluto in sede di conflitto di attribuzione non si limita alla verifica della validita' e congruita' della motivazione con la quale la Camera di appartenenza del parlamentare abbia dichiarato insindacabile l'opinione espressa: «il giudizio in sede di conflitto tra poteri non si atteggia a giudizio sindacatorio ... su di una determinazione discrezionale dell'assemblea politica. In questo senso va precisato e in parte corretto quanto affermato nella pregressa giurisprudenza circa i caratteri del controllo di questa Corte sulle deliberazioni di insindacabilita' adottate dalle Camere ... la Corte, chiamata a svolgere, in posizione di terzieta', una funzione di garanzia, da un lato dell'autonomia della Camera di appartenenza del parlamentare, dall'altro della sfera di attribuzione dell'autorita' giurisdizionale, non puo' verificare la correttezza, sul piano costituzionale, di una pronuncia di insindacabilita' senza verificare se, nella specie, l'insindacabilita' sussista, cioe' se l'opinione di cui si discute sia stata espressa nell'esercizio delle funzioni parlamentari, alla luce della nozione di tale esercizio che si desume dalla Costituzione» (Corte, Cost. 17 gennaio 2000, n. 10). Non puo', in conclusione, dubitarsi che l'autorita' giurisdizionale sia legittimata a far valere, mediante conflitto di attribuzione, la menomazione della propria sfera di attribuzioni che ritenga discendere dalla deliberazione di insindacabilita' della Camera, in ipotesi adottata in mancanza di qualsivoglia nesso funzionale tra le opinioni espresse e la funzione parlamentare. In proposito si deve osservare che il pressoche' unanime orientamento della dottrina costituzionalistica e della giurisprudenza della Corte di cassazione e di merito afferma che la prerogativa prevista dall'art. 68, comma 1 Cost., e' posta ad esclusiva tutela della funzione, e non della persona del parlamentare: le opinioni del parlamentare sono insindacabili in quanto espresse nell'esercizio dell'attivita' istituzionale in aula o presso gli organi parlamentari, mentre l'attivita' di propaganda e critica politica non costituisce affatto espressione della funzione parlamentare, ne' puo' considerarsi attivita' propria dei membri del Parlamento, i quali sono in tale campo soggetti ai medesimi limiti di espressione di ogni altro cittadino che voglia concorrere a determinare la politica nazionale. E la necessita' di una rigorosa individuazione delle attivita' funzionali e' infine affermata da recenti pronunce della Corte costituzionale che, a partire dalla sentenza n. 379/1996 («sono coperti da immunita' non tutti i comportamenti dei membri delle Camere, ma solo quelli strettamente funzionali all'esercizio indipendente delle attribuzioni proprie del potere legislativo, mentre ricadono sotto il dominio delle regole di diritto comune i comportamenti estranei alla ratio giustificativa dell'autonomia costituzionale delle Camere» - punto 4 del considerato in diritto), individuano un indirizzo ormai consolidato, in forza del quale piu' deliberazioni dell'uno o dell'altro ramo del Parlamento in punto di insindacabilita' sono state, in situazioni analoghe a quella in esame, annullate sul ricorso dell'autorita' giudiziaria (prima in tal senso la sentenza 18 luglio 1998, n. 289). L'art. 68 comma 1 Cost. e' espressione del principio di autonomia parlamentare, a garanzia del quale viene in parte sacrificato il fondamentale principio costituzionale di legalita' e giurisdizione, in vista della realizzazione del superiore interesse dello Stato al libero svolgimento dell'attivita' legislativa e delle funzioni proprie del Parlamento: l'arbitraria estensione delle prerogative previste dall'an. 68 comma 1 Cost., a comportamenti non strettamente funzionali all'esercizio delle attribuzioni parlamentari importa l'ingiustificata menomazione della sfera delle attribuzioni costituzionali dell'autorita' giudiziaria (e del diritto di ognuno a far valere in giudizio la lesione del proprio diritto all'onore ed alla reputazione). Nessun rapporto di stretta funzionalita' - ritenuto necessario dalla menzionate pronunce della Corte costituzionale - puo' ravvisarsi nell'attivita' che il parlamentare svolga extra moenia come uomo di partito o come privato cittadino: la prerogativa costituzionale tutela l'indipendente svolgimento delle attivita' proprie del parlamentare (all'interno o all'esterno del Parlamento) e quelle ad esse strettamente connesse (e' il caso della divulgazione al pubblico dell'attivita' svolta in sede istituzionale 2) e non costituisce in suo favore una posizione di privilegio della quale possa avvalersi allorche' - come qualunque cittadino e' ammesso a fare - svolga attivita' politica o eserciti comunque il diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero, non essendovi ragione alcuna perche' in tale veste egli non operi su piano di parita' con ogni altra persona e nel rispetto dei limiti sanciti dall'ordinamento giuridico 3). Tale rigorosa interpretazione e' ribadita e precisata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 10 del 17 gennaio 2000, laddove, nel ribadire che l'immunita' investe gli att funzionali del parlamentare («anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea»), esplicita chc «l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito, non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione parlamentare», e che l'estensione della prerogativa alle opinioni espresse in altra sede non puo' affermarsi sul presupposto della mera comunanza di argomento con quelle gia' esposte in sede istituzionale, ne' tanto meno invocando «la ricorrenza di un contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca», richiedendosi invece «l'identificabilita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare». Sulla base di tale criteri appare evidente che la sicura inerenza a temi politici della vicenda narrata dall'on. Sgarbi nel proprio programma televisivo, o la stessa «comunanza di argomento» con precedenti dichiarazioni rese in sede istituzionale (delle quali peraltro non si fa alcuna menzione nella delibera che si contesta), non valgono di per se' ad integrare la necessaria connessione con le funzioni tipiche e con l'espletamento del mandato elettorale, quale potrebbe invece ravvisarsi laddove l'attivita' extraparlamentare fosse rivolta a diffondere e illustrare il contenuto e le ragioni di atti tipici parlamentari, anche individuali (es. interpellanze ed interrogazioni). Nel caso concreto, invece, non solo nelle dichiarazioni televisive dell'on. Sgarbi, ma anche nel parere espresso a maggioranza dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere e recepito dall'Assemblea (sopra riportato per esteso) manca qualunque richiamo ad attivita' istituzionale tipica (o atipica, prodromica o consequenziale a quella tipica) del parlamentare, giacche' ci si limita a genericamente rilevare che «le affermazioni dell'onorevole Sgarbi si inseriscono nel contesto della perdurante polemica politica nel nostro Paese inerente al modo di procedere della magistratura e in particolare nella forte critica politica manifestata dal deputato Sgarbi nei confronti dell'operato di taluni magistrati» e ad evidenziare (elementi che ai fini del giudizio di insindacabilita' non rilevano) il grande scalpore suscitato dalla vicenda nell'opinione pubblica e la sussistenza di elementi di fatto che - si dice - legittimamente destano perplessita' e suscitano «la critica dell'onorevole Sgarbi», e quindi concludendo: «Proprio su questi profili si e' incentrato l'esercizio del diritto di critica del collega Sgarbi, le cui riflessioni rientrano pertanto nel contesto della costante e intensa battaglia politica che egli svolge in Parlamento e al di fuori di esso su tali tematiche». E' dunque evidente che la stessa Camera dei deputati, limitandosi ad evidenziare la rilevanza politica dei temi oggetto delle reiterate osservazioni critiche pronunciate dall'on. Sgarbi quale conduttore del programma televisivo «Sgarbi quotidiani» (e dunque evidentemente non in sede istituzionale) e a genericamente richiamare «la battaglia politica» svolta dall'on. Sgarbi in Parlamento sulla tematica dell'«operato di taluni magistrati» (senza specificamente richiamare alcun atto istituzionale dell'on. Sgarbi o del suo gruppo sul tema), non fornisce alcun elemento dal quale desumere «l'identificabilita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare», nei termini indicati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale sopra richiamata. E' appena il caso di aggiungere che in vicenda del tutto analoga alla presente, concernente dichiarazioni offensive della reputazione di altra persona espresse dall'onorevole Sgarbi quale conduttore del medesimo programma televisivo, la Corte costituzionale ha annullato la delibera di insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati facendo espressa applicazione dei principi sopra menzionati: «Rispetto ad alcune interrogazioni e interventi ad opera di altri deputati (cui fa riferimento la difesa della Camera) - a prescindere dalla considerazione che manca nelle dichiarazioni contestate al deputato Sgarbi qualsiasi riferimento, anche indiretto, a tali atti tipici (...) - vi e' una semplice parziale comunanza generica di tematiche relative alla persona offesa dalle dichiarazioni, per cui non e' ravvisabile, neppure sotto questo ulteriore profilo, una corrispondenza sostanziale di contenuti e significati con un atto parlamentare (cfr. sentenze n. 58 e 11 del 2000), e, quindi, un carattere divulgativo» (sentenza 13 ottobre 2000 n. 420). Per tutto quanto esposto, impregiudicata ogni valutazione sulla ricorrenza nella specie dell'esercizio del diritto di critica (trattandosi di questione riservata al giudizio di merito e estranea ai fini che in questa sede rilevano), deve concludersi che le opinioni espresse dall'on. Sgarbi nel corso delle trasmissioni televisive in esame, non costituiscono riproduzione e illustrazione del contenuto di atti parlamentari, e non sono, comunque, specificamente riferibili ad alcun atto compiuto in sede istituzionale (e va del resto sottolineato che soli atti rilevanti potrebbero essere quelli in ipotesi compiuti sullo specifico tema della falsificazione del passi ad opera del sostituto procuratore dott. Gherardo Colombo, e non qualsivoglia «battaglia politica» «sul modo di procedere della magistratura» o sullo stesso «operato di taluni magistrati», ai quali si fa genericamente rinvio nella delibera che si contesta): le opinioni espresse dall'on. Sgarbi nel corso della trasmissione Sgarbi quotidiani dei giorni 3, 11 e 12 febbraio 1997, non costituiscono dunque espressione dell'attivita' parlamentare ai fini dell'applicazione dell'art. 68 della Costituzione, cosicche' la delibera 8 febbraio 2001 della Camera dei deputati, che inibisce allo stato ogni contraria pronuncia dell'autorita' giudiziaria, impone il ricorso e l'invio degli atti alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato ai sensi dell'art. 37 della legge costituzionale n. 87 del 1953, con conseguente necessaria sospensione del presente procedimento, anche con riguardo alla posizione del direttore di rete Gori Giorgio, necessariamente connessa per la natura sostanziale e non processuale dell'immunita' prevista dall'art. 68 comma 1 della Costituzione. 1) Si riportano estratti delle dichiarazioni contestate, come riportate nel testo delle denunce-querele e nelle trascrizioni allegate: 8 febbraio 1999: «ma quell'avviso di garanzia come arriva? Ecco la storia. Arrivo' quando finalmente dopo mesi di indagine appare un passi. Noi abbiamo parlato a lungo. Nessuno ha querelato noi. Quel passi che cosa attesta? Attesta che un signore, un avvocato - Berruti - incontra Berlusconi. Si presume per concordare una versione di comodo da dare ai magistrati. Questo sarebbe il reato. Se c'e' il passi, c'e' la certezza di quell'incontro. Senza il passi non si puo' mandare l'avviso di garanzia a Berlusconi. Questa la storia. Per mesi e mesi cercano il passi nell'agenda di Berruti: non c'e', non lo trovano. L'11 dicembre finalmente immediatamente prima di mandare l'avviso di garanzia a Berlusconi, appare un passi. Io ho i documenti e, l'ho dimostrato, ho i documenti, che confermano che quel passi non e' mai esistito e che e' stato fabbricato de un magistrato di Milano. Non e' Di Pietro? Sara' Colombo. Non e' Di Pietro? Sara' Colombo. Non temo denunce. Ho le carte. [...] Un magistrato che falsifica un atto, fa un crimine che non ha confronto, fa un crimine infame [...] Ma soltanto se quel documento c'e', ed e' come se l'hanno falsificato si puo' incriminare Berlusconi. Altrimenti come fa, il processo si basa su un incontro che ha un elemento di riscontro preciso. Non c'e'. Allora lo fabbrichiamo. Questi i metodi della Procura di Milano [...]». 11 febbraio 1997: «io continuo a dire, e nessuno denuncia me, che il passi falso per incastrare Berlusconi e' una realta', e' ... qualcuno lo ha fatto [...]. Qualcuno l'ha fatto. Non e' stato Di Pietro? E' stato un suo collega. Denunciate me. E' stato un suo collega. Per me e' lo stesso. E' gravissimo.» 12 febbraio 1997: «[...] Il passi e' stato falsificato. Ultimo elemento, di chi lo ha falsificato. Qualche sospetto. Nell'`interrogatorio, la segretaria di Berruti, che dice di non aver mai visto quel passi, che era assurdo che il passi fosse rimesso nell'agenda, che l'agenda e' stata guardata durante la prima perquisizione dal ... da chi? Del pubblico ministero Colombo, che non ha trovato assolutamente niente. Dopo un po' Colombo dice che un maresciallo gli ha dato un passi che avrebbe trovato nell'agenda dopo tre mesi di perquisizioni, una cosa di duecento pagine, il maresciallo nega e dice no, non io l'ho dato a Colombo, Colombo lo ha dato e me. Colombo lo ha dato a me. Ecco il documento dell'interrogatorio della segretaria di Berruti dove vengono fuori cose agghiaccianti, nella piena consapevolezza che Colombo ha visto tutto, subito, ha avuto in mano l'agenda e non ha trovato il passi Non lo ha trovato. Dopo tre mesi il passi e' apparso [...]». 2) Cfr. Corte cost. n. 289/1998, citata, la quale, nell'accogliere il ricorso proposto dal tribunale di Bergamo avverso la deliberazione di insindacabilita' della Camera dei deputati (si trattava come nel caso in esame di opinioni fortemente critiche ai danni di un magistrato espresse da un deputato in trasmissioni televisive), evidenzia come «nei comportamenti sottoposti alla cognizione del tribunale ... non e' possibile rintracciare una connessione con atti tipici della funzione, ne' risulta possibile individuare un intento divulgativo di una scelta o di una attivita' politico parlamentare». 3) Non puo' percio' condividersi Cass. Sez. V 8 luglio 1999, n. 8742, Sgarbi, laddove sembra affermare che qualunque dichiarazione resa da un parlamentare su questione che abbia attinenza con temi di rilevanza politica e sociale, e non esclusivamente individuale, sia per cio' stesso immune ai sensi dell'art. 68, comma 1 della Costituzione, secondo principio del resto assai difforme da quello piu' volte affermato dalla Corte costituzionale.
P. Q. M. Visto l'art. 37 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87, Promuove conflitto di attribuzione in ordine al corretto uso del potere di decidere sulla sussistenza dei presupposti di applicabilita' dell'art. 68, comma primo Cost., come esercitato dalla Camera dei deputati, con la delibera adottata l'8 febbraio 2001 relativamente alle opinioni espresse dall'onorevole Vittorio Sgarbi in data 8, 11 e 12 febbraio 1997, nel corso delle trasmissioni televisive «Sgarbi quotidiani», in relazione alle quali e' pendente, avanti questo tribunale, procedimento penale per il delitto di diffamazione aggravata in danno del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano dott. Gherardo Colombo; Chiede pertanto l'annullamento di detta delibera 8 febbraio 2001 della Camera dei deputati, per violazione dell'art. 68 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone la sospensione del presente processo sino a risoluzione del conflitto; Dispone che, a cura della cancelleria, il presente ricorso, ai sensi degli artt. 37 e 23 comma 4, legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87, sia notificato al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicato al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Letto alle parti del procedimento penale nel corso dell'udienza dibattimentale 31 ottobre 2001. Il giudice: Luciano Ambrosoli 03c0340