N. 32 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 marzo 2003
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 27 marzo 2003 (della Regione Emilia-Romagna) Impiego pubblico - Piano di formazione del personale delle pubbliche amministrazioni - Dovere di predisposizione annuale secondo contenuti predeterminati, obbligo di trasmissione al Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia, e limitazione della possibilita' di interventi formativi per esigenze sopravvenute - Denunciata invasione della potesta' legislativa regionale residuale in materia di organizzazione delle Regioni e degli enti locali, ed in materia di formazione - Esorbitanza dalla competenza statale relativa al coordinamento della finanza pubblica. - Legge 16 gennaio 2003, n. 3, art. 4 (che aggiunge l'art. 7-bis al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165). - Costituzione, art. 117, comma quarto. Impiego pubblico - Norme in materia di mobilita' del personale delle pubbliche amministrazioni - Procedura per l'assegnazione di personale in disponibilita', o interessato da processi di mobilita', alle amministrazioni statali e regionali che intendono bandire concorsi per la copertura di posti vacanti - Obbligo di dare preventiva comunicazione dell'esigenza di nuove assunzioni, sospensione delle procedure concorsuali, obbligo di assumere il personale assegnato e nullita' delle assunzioni effettuate in violazione delle suddette prescrizioni - Denunciata esorbitanza dalle competenze legislative e di coordinamento finanziario spettanti allo Stato - Invasione di potesta' legislativa regionale residuale (in materia di organizzazione delle Regioni e degli enti locali) e concorrente (in materia di tutela del lavoro) - Compressione dell'autonomia organizzativa delle Regioni - Violazione dell'affidamento dei partecipanti a concorsi cui conseguono assunzioni sanzionate da nullita'. - Legge 16 gennaio 2003, n. 3, art. 7, comma 1 (che aggiunge l'art. 34-bis al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165). - Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto. Impiego pubblico - Norme in materia di utilizzazione degli idonei di pubblici concorsi - Prevista fissazione di criteri e modalita' con successivo regolamento ministeriale - Possibile riferibilita' alle amministrazioni regionali, anziche' ai soli enti pubblici nazionali - Denunciata invasione del potere regolamentare delle Regioni nelle materie ad esse spettanti. - Legge 16 gennaio 2003, n. 3, art. 9, comma 1. - Costituzione, art. 117, comma sesto. Amministrazione pubblica - Disposizioni in materia di innovazione tecnologica nella pubblica amministrazione - Prevista emanazione di regolamenti ministeriali per l'introduzione di norme finalizzate all'uso delle firme elettroniche e della posta elettronica, all'erogazione di servizi in via telematica, ed alla diffusione di procedure informatiche nelle amministrazioni - Denunciata invasione delle competenze regionali in materia di organizzazione interna delle Regioni e degli enti locali, ed in materia di formazione del personale regionale. - Legge 16 gennaio 2003, n. 3, art. 27, comma 8. - Costituzione, art. 117, comma quarto. Ricerca scientifica - Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico - Delega al Governo per il riordino - Previsione finalizzata all'emanazione di norme statali di dettaglio, anziche' alla determinazione dei principi fondamentali per l'attuazione del riordino da parte delle Regioni - Denunciata invasione della potesta' legislativa regionale concorrente in materia di tutela della salute e di ricerca scientifica - Esorbitanza sia dalla legislazione di principio, sia dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento degli «enti pubblici nazionali» - Assenza di ragioni che giustifichino l'ulteriore legiferazione statale in forma di decreto legislativo. - Legge 16 gennaio 2003, n. 3, art. 42 (nel suo complesso). - Costituzione, art. 117, commi secondo , lett. g), e terzo. Ricerca scientifica - Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico - Delega al Governo per il riordino - Principi e criteri direttivi riguardanti la «trasformazione» degli istituti di diritto pubblico in fondazioni di rilievo nazionale soggette a vigilanza ministeriale, l'organizzazione dei nuovi enti, la composizione del consiglio di amministrazione e la nomina del direttore scientifico responsabile della ricerca, il trasferimento del personale ai nuovi enti, il collegamento con altre strutture di ricerca e con le universita', la valorizzazione della proprieta' dei risultati scientifici, l'assegnazione alle fondazioni di progetti di ricerca finalizzata, le modalita' con cui «applicare» i suddetti principi agli istituti di diritto privato, le modalita' con cui le fondazioni possono concedere ad altri soggetti compiti di gestione «anche di assistenza sanitaria», i criteri di riconoscimento delle nuove fondazioni e di eventuale revoca dei riconoscimenti gia' concessi, la devoluzione del patrimonio, in caso di estinzione, ad enti pubblici con finalita' analoghe, l'adeguamento della disciplina degli istituti «non trasformati» - Denunciata violazione delle potesta' legislative e amministrative regionali - Disparita' di trattamento fra dipendenti regionali - Contraddittorieta' - Carattere dettagliato delle previsioni censurate - Riduzione delle competenze delle Regioni rispetto alla normativa vigente - Lesione del principio di certezza del diritto. - Legge 16 gennaio 2003, n. 3, art. 42, comma 1, lett. a), b), c), d), e), f), g), i), m), n), p). - Costituzione, artt. 3, 117, comma terzo, e 118. Ricerca scientifica - Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico - Attribuzione al Ministro della salute (sentita la Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni) del potere di individuare l'organizzazione a «rete» degli istituti dedicati a particolari discipline - Denunciata invasione della potesta' legislativa regionale concorrente in materia di tutela della salute - In subordine: invocata necessita' che il decreto ministeriale sia adottato previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni. - Legge 16 gennaio 2003, n. 3, art. 43. - Costituzione, art. 117, commi terzo e sesto, e 118. Farmacia - Norme di semplificazione in materia di sedi farmaceutiche - Farmacie convenzionate in gestione provvisoria - Conseguimento della titolarita' da parte del gestore in presenza di determinati requisiti - Disciplina dettagliata della relativa procedura - Denunciata invasione della potesta' legislativa esclusiva delle Regioni in materia di commercio, ovvero della potesta' regionale concorrente in materia di tutela della salute. - Legge 16 gennaio 2003, n. 3, art. 46. - Costituzione, art. 117, commi terzo e quarto.(GU n.21 del 28-5-2003 )
Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 426 del 17 marzo 2003 (doc. 1), rappresentata e difesa - come da procura rogata dal notaio dott. Federico Stame in data 18 marzo 2003, n. rep. 47041 (doc. 2) - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma nello studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri n. 5. Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 16 gennaio 2003, n. 3, recante «Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20 gennaio 2003, Suppl. ordinario n. 5, con riferimento agli articoli 4, 7, 9, comma 1; 27, comma 8; 42, 43 e 46, per violazione degli articoli 3, 117 e 118 Cost., e dei principi costituzionali di ragionevolezza e proporzionalita', nei modi e per i profili di seguito indicati. F a t t o Nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20 gennaio 2003 e' stata pubblicata la legge 16 gennaio 2003, n. 3 «Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione». La legge contiene disposizioni riguardanti materie diverse, ma tutte attinenti all'organizzazione o all'attivita' della pubblica amministrazione. Le norme impugnate con il presente ricorso si possono dividere in due gruppi: il primo riguarda piu' direttamente e piu' generalmente l'organizzazione della pubblica amministrazione, mentre il secondo attiene piu' specificamente all'ambito della salute. Sotto il primo profilo, vengono qui in rilievo (in quanto, ad avviso della Regione Emilia-Romagna, lesivi delle proprie competenze costituzionali), innanzi tutto, gli articoli 4, 7 e 9, compresi nel capo I, intitolato «Disposizioni in materia di pubbliche amministrazioni». L'art. 4 apporta modifiche al d.lgs. n. 165/2001 (t.u. in materia di pubblica impiego), aggiungendo l'art. 7-bis (Formazione del personale), che regola in dettaglio i piani di formazione del personale delle Regioni, degli enti locali e degli enti da essi dipendenti, violando la competenza regionale in materia di organizzazione e di formazione; l'art. 7 (Disposizioni in materia di mobilita' del personale delle pubbliche amministrazioni) aggiunge l'art. 34-bis sempre al d.lgs. n. 165/01, regolando in dettaglio l'assegnazione di personale in disponibilita' alle Regioni che vogliano avviare procedure concorsuali, in violazione dell'art. 117, commi 3 e 4; infine, l'art. 9 disciplina l'Utilizzazione degli idonei di concorsi pubblici, prevedendo un regolamento statale in materia di competenza regionale, in contrasto con l'art. 117, sesto comma, Cost. Nell'ambito del capo VI, concernente l'«innovazione», risulta poi lesivo l'art. 27, recante «Disposizioni in materia di innovazione tecnologica nella pubblica amministrazione». Sotto il secondo profilo, vengono in rilievo le norme del capo IX, «Disposizioni in materia di tutela della salute», e precisamente - oltre all'art. 46, riguardante le sedi farmaceutiche - gli articoli 42 e 43, rispettivamente disciplinanti «Delega per la trasformazione degli istituti di ricovero e cura o carattere scientifico in fondazioni e organizzazione a rete di istituti di ricovero e cura a carattere scientifico dedicati a parti colori discipline». Si tratta di disposizioni che, come risulta gia' dalla rubrica dello stesso capo IX, Incidono inequivocabilmente su materie di competenza regionale. In effetti, le disposizioni volte al riordino degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, anziche' tenere conto della potesta' legislativa concorrente sia in tema di assistenza sanitaria che in tema di ricerca scientifica, stabilita dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione, affidano al Governo l'integrale disciplina della materia. Con riferimento specifico agli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, puo' essere qui ricordato che gia' l'art. 28, comma 8, della legge n. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002) - avversa il quale la ricorrente Regione ha ugualmente presentato ricorso a a codesta ecc.ma Corte costituzionale - aveva conferito al Governo il compito di riordinare la materia per il tramite di un regolamento di delegificazione. Ora, lo strumento del regolamento era di per se' incostituzionale - essendo pacifico che non e' ammessa la disciplina regolamentare di materie regionali (v. da ultimo la sentenza n. 376 del 2002); ma da un punto di vista contenutistico la lesivita' sostanziale non e' dissimile neppure per il nuovo strumento del decreto legislativo ora previsto. Infatti, la lesione deriva dal fatto che il Governo viene delegato non a stabilire «principi fondamentali» per il riordino di tali istituti da parte delle Regioni, ma a provvedere esso stesso al riordino. Che tale sia il senso della delega nella nuova legge appare evidente sin dal comma 1 dell'art. 42, secondo il quale «il Governo e' delegato ad adottare ... un decreto legislativo recante norme per il riordino della disciplina degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, di cui al decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 269», ma e' reso poi ulteriormente evidente dai singoli principi e criteri direttivi di seguito dettati, sui quali ci si soffermera' nella parte in diritto. Puo' essere qui ricordato che, in corrispondenza al dovere di leale collaborazione cui tutte le articolazioni della Repubblica devono ispirare il proprio comportamento, le Regioni hanno in questi anni piu' volte sollecitato il Governo ad un confronto sul futuro assetto della materia degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, anche con particolare attenzione al tema dell'organizzazione a «rete» degli istituti stessi; e che il Governo, anziche' corrispondere a tale richiesta (pienamente conforme agli impegni assunti con l'intesa interistituzionale sancita tra Stato, regioni ed enti locali dall'Accordo in sede di Conferenza unificata 20 giugno 2002, nella Gazzetta Ufficiale n. 159 del 9 luglio 2002), ha semplicemente posto in essere prima la normativa dell'art. 28 della menzionata legge n. 448/2001, poi le disposizioni qui impugnate. Tutte le disposizioni sopra indicate risultano illegittime e invasive per la seguenti ragioni di D i r i t t o A) Illegittimita' delle disposizioni comprese nel capo I e nel capo VI. 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 4 per violazione dell'art. 117, comma 4, Cost. L'art. 4 della legge n. 3/03 inserisce nel corpo del d.lgs. n. 165/01 un nuovo art. 7-bis. In base a tale nuova disposizione, «le amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, con esclusione delle universita' e degli enti di ricerca, nell'ambito delle attivita' di gestione delle risorse umane e finanziarie, predispongono annualmente un piano di formazione del personale, compreso quello in posizione di comando o fuori ruolo, tenendo conto dei fabbisogni rilevati, delle competenze necessarie in relazione agli obiettivi, nonche' della programmazione delle assunzioni e delle innovazioni normativa e teonologiche»; si precisa anche che «il piano di formazione indica gli obiettivi e le risorse finanziarie necessarie, nei limiti di quelle, a tale scopo, disponibili, prevedendo l'impiego delle risorse interne, di quelle statali e comunitarie, nonche' le metodologie formative da adottare in riferimento ai diversi destinatari» (Comma 1). Il comma 2, poi, prevede che «le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, nonche' gli enti pubblici non economici, predispongono entro il 30 gennaio di ogni anno il piano di formazione del personale e lo trasmettono, a fini informativi, alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze». Tuttavia, «decorso tale termine e, comunque, non oltre il 30 settembre, ulteriori interventi in materia di formazione del personale, dettati da esigenze sopravvenute o straordinarie, devono essere specificamente comunicati alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze indicando gli obiettivi e le risorse utilizzabili, interne, statali o comunitarie»; e si prevede altresi' che ai predetti interventi formativi si da' corso qualora, entro un mese dalla comunicazione, non intervenga il diniego della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze». Il comma 1, con tutta evidenza, interviene nelle materie dell'organizzazione delle Regioni, degli enti locali e degli enti da essi dipendenti, e della formazione, entrambe materie spettanti alla potesta' piena delle Regioni ai sensi dell'art 117, comma 4, Cost. In tali materie nessuna potesta' legislativa compete allo Stato, ove non vi sia un titolo di intervento a termini dell'art. 117, comma secondo: ed a maggior ragione risulta lesiva una disciplina quale quella del comma 1, che regola addirittura in dettaglio i piani di formazione del personale delle Regioni, degli enti locali e degli enti da essi dipendenti. Quanto al comma 2, esso e' letteralmente riferito a tutti gli enti pubblici, compresi dunque le Regioni, gli enti locali e gli enti comunque regionali: mentre la competenza statale, a termini dell'art. 117, comma secondo, lett. g), e' limitata agli «enti pubblici nazionali». In questi termini, esso e' lesivo (sempre per violazione dell'art. 117, comma 4, la' dove condiziona gli interventi in materia di formazione al limite del 30 settembre e al mancato diniego «della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze»: organi che nessuna competenza hanno e possono avere in materia. Si noti che la disposizione in questione non potrebbe essere giustificata invocando la competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica. Il potere di diniego statale non e' limitato a ragioni di equilibrio finanziario (del resto, se fosse cosi', non si vede perche' tale potere sussisterebbe solo dopo il 30 gennaio) e, comunque, il «coordinamento della finanza» legittima lo Stato a tutelare l'equilibrio complessivo della finanza stessa, non ad incidere sulle singole politiche delle Regioni. 2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, per violazione dell'art. 117, commi 3 e 4 Cost. L'art. 7, legge n. 3/03 aggiunge l'art. 34-bis (Disposizioni in materia, di mobilita' del personale) nel d.lgs. n. 165/01. La nuova disposizione stabilisce che tutte le amministrazioni, «prima di avviare le procedure di assunzione di personale, sono tenute a comunicare ai soggetti di cui all'art. 34, commi 2 e 3, l'area, il livello e la sede di destinazione per i quali si intende bandire il concorso nonche', se necessario, le funzioni e le eventuali specifiche idoneita' richieste» (comma 1). I «soggetti» richiamati sono quelli che formano e gestiscono gli elenchi del personale in disponibilita' (per il personale statale o parastatale, si tratta del Dipartimento della funzione pubblica, per il restante personale si tratta delle «strutture regionali e provinciali» di cui al d. lgs. n. 469/1997). Il comma 2 dispone come segue: «La Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e le strutture regionali e provinciali di cui all'art. 34, comma 3, provvedono, entro quindici giorni dalla comunicazione, ad assegnare il personale collocato in disponibilita' ai sensi degli articoli 33 e 34, ovvero interessato ai processi di mobilita' previsti dalle leggi e dai contratti collettivi. Le predette strutture regionali e provinciali, accertata l'assenza negli appositi elenchi di personale da assegnare alle amministrazioni che intendono bandire il concorso, comunicano tempestivamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, le informazioni inviate dalle stesse amministrazioni. Entro quindici giorni dal ricevimento della predetta comunicazione, la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, provvede ad assegnare alle amministrazioni che intendono bandire il concorso il personale inserito nell'elenco previsto dall'art. 34, comma 2, nonche' collocato in disponibilita' in forza di specifiche disposizioni normative». Il comma 4, poi, prevede che «le amministrazioni, decorsi due mesi dalla comunicazione di cui al comma 1, possono procedere all'avvio della procedura concorsuale per le posizioni per le quali non sia intervenuta l'assegnazione di personale ai sensi del comma 2», mentre il comma 5 stabilisce che «le assunzioni effettuate in violazione del presente articolo sono nulle di diritto». Tale disciplina presenta diversi profili: attiene senz'altro e principalmente all'organizzazione delle Regioni, degli enti locali e degli da essi dipendenti (materia di potesta' piena delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, comma 4), riguarda anche la tutela del lavoro (materia di potesta' concorrente) ed e' animata da un fine di contenimento della spesa pubblica, imponendo l'utilizzo del personale in disponibilita' in luogo di nuove assunzioni. Dunque, al massimo, la legge statale doveva limitarsi a dettare principi fondamentali in materia di tutela del lavoro e di coordinamento della finanza: in particolare, il principio della previa verifica della possibilita' di coprire i posti vacanti con personale posto in disponibilita', prima di avviare la procedure selettive. In questi termini, alle Regioni sarebbe rimasta la possibilita' di disciplinare, nell'esercizio della propria potesta' primaria in materia di organizzazione e nel rispetto del principio fondamentale di cui sopra, le modalita' con cui procedere a tale verifica (prevedendo, ad es., che essa riguardi prima il personale presente nell'elenco di cui all'art. 34, comma 3, d.lgs. n. 165/01 e poi il personale compreso nell'elenco di cui all'art. 34, comma 2) e le modalita' di selezione del personale disponibile. Al contrario, la disposizione qui impugnata detta norme di dettaglio sulla procedura da seguire, prevedendo l'assegnazione «d'autorita» del personale alle Regioni, senza che queste possano selezionare in alcun modo il personale, e addirittura la nullita' delle assunzioni effettuate in violazione della disposizione stessa. Ne risulta una rilevante compressione dell'autonomia legislativa ed organizzativa della Regione, nient'affatto giustificata da esigenze di coordinamento della finanza, che potevano essere soddisfatte - come detto - dal semplice principio della necessaria verifica del personale in disponibilita' (in questo senso, gia' l'art. 34, comma 6, d.lgs. n. 165/01, prevede che, «nell'ambito della programmazione triennale del personale di cui all'art. 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni, le nuove assunzioni sono subordinate alla verificata impossibilita' di ricollocare il personale la disponibilita' iscritto nell'apposito elenco»). Particolarmente lesiva risulta poi la sanzione della nullita' della assunzione fatta in violazione delle disposizioni ora esposte, prevista dal comma 5. In effetti, posto che le amministrazioni assumono sulla base di concorsi pubblici a cio' finalizzati, e' del tutto inconcepibile, prima ancora che costituzionalmente illegittimo, che sia considerata nulla l'assunzione del concorrente vincitore del concorso bandito appositamente in vista di tale assunzione. Infatti, il problema della legittinta' si pone, semmai, in relazione al bando di concorso, e non puo' porsi isolatamente in relazione alla assunzione che consegue al concorso. E' dunque evidente che la sanzione della nullita' della assunzione da un lato vanifica l'attivita' amministrativa compiuta, dall'altro palesemente viola l'affidamento che i concorrenti hanno riposto nella possibilita' di assunzione all'atto della partecipazione al concorso, a maggiore ragione una volta che essi siano risultati vincitori. In questi termini, la norma qui contestata costituisce una impropria sanzione di presunte illegittimita' dei procedimenti selettivi di assunzione delle Regioni e degli enti ai quali si estende la potesta' legislativa regionale. 3. - Illegittimita' costituzionale dell'art 9, comma 1, per violazione dell'art. 117, comma 6, Cost. L'art. 9 legge n. 3/03 riguarda l'Utilizzazione degli idonei di concorsi pubblici. Esso stabilisce che, «a decorrere dal 2003,... con regolamento emanato ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti le modalita' i criteri con i quali le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e gli enti pubblici non economici possono ricoprire i posti disponibili, nel limiti della propria dotazione organica, utilizzando gli idonei, delle graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del medesimo comparto di contrattazione» (comma 1). Il comma 2 precisa, poi, che «le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle finalita' del presente capo secondo le rispettive competenze previste dai relativi statuti e dalle norme di attuazione». Quest'ultima disposizione non risulta chiara: da un lato, perche' essa sembra far salve le competenze delle Regioni in riferimento a tutte le norme «del presente capo», ma e' collocata nel secondo comma di una singola disposizione, dall'altro perche' menziona le «Regioni» in genere ma poi richiama le competenze «previste dai relativi statuti e dalle norme di attuazione», il che puo' valere solo per le Regioni speciali. E' dunque incerto quale sia la portata del comma 2, mentre e' certo il fatto che il comma 1 istituisce un potere regolamentare in materia di potesta' regionale piena (organizzazione regionale, degli enti locali e degli enti da essi dipendenti), in violazione dell'art. 117, comma 6. La conclusione, naturalmente, non cambierebbe volendo dare rilievo al profilo della tutela del lavoro, che ricade nell'art. 117, comma 3, e dunque non e' disciplinabile da regolamenti statali. La censura, invece, verrebbe meno se l'art 9, comma 1, fosse da riferire ai soli enti pubblici nazionali. 4. - Illegittimita' costituzionale dell'art 27, comma 8, per violazione dell'art. 117, comma 4, Cost. L'art. 27, comma 8, 1egge n. 3/03 stabilisco che «entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge sono emanati uno o piu' regolamenti, ai sensi dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione e dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per introdurre nella disciplina vigente le norme necessarie ai fini del conseguimento dei seguenti obiettivi: a) diffusione dei servizi erogati in via telematica ai cittadini e alle imprese, anche con l'intervento dei privati, nel rispetto dei principi di cui all'art. 97 della Costituzione e dei provvedimenti gia' adottati; b) diffusione e uso della carta nazionale dei servizi; c) diffusione dell'uso delle firme elettroniche; d) ricorso a procedure telematiche da parte della pubblica amministrazione per l'approvvigionamento di beni e servizi, potenziando i servizi forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze attraverso la CONSIP S.p.a. (concessionaria servizi informativi pubblici); e) estensione dell'uso della posta elettronica nell'ambito delle pubbliche amministrazioni e dei rapporti tra pubbliche amministrazioni e privati; f) generalizzazione del ricorso a procedure telematiche nella contabilita' e nella tesoreria; g) alfabetizzazione informatica dei pubblici dipendenti; h) impiego della telematica nelle attivita' di formazione dei dipendenti pubblici; i) diritto di accesso e di reclamo esperibile in via telematica da parte dell'interessato nei confronti delle pubbliche amministrazioni». Tale disposizione incide - come mostrato dalla stessa rubrica della disposizione, «Disposizioni in materia di innovazione tecnologica nella pubblica amministrazione» - essenzialmente sulla materia dell'organizzazione interna delle Regioni, degli enti locali e degli enti pubblici di carattere regionale; inoltre, essa riguarda anche la materia della formazione (lettere g e h). Comunque, si tratta di materie di competenza regionale. Dunque, risulta illegittima la previsione di un regolamento statale (ex art. 117, comma 6, Cost.), e non si comprende a quale competenza esclusiva statale intenda riferirsi il comma qui impugnato, quando richiama l'art. 117, comma 6, e, dunque, indirettamente, l'art. 117, comma 2. Sembra evidente che la disciplina del regolamento dovra' invece valere per lo Stato e per gli enti pubblici nazionali, mentre spetta alle Regioni la disciplina per le amministrazioni cui si riferisce la legislazione regionale. B) Illegittimita' delle disposizioni comprese nel capo IX. Occorre ora illustrare l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni comprese nel capo IX, rubricato come «Disposizioni in materia di tutela della salute». Vengono in rilievo, in primo luogo, gli articoli 42 e 43, riguardanti, come gia' visto, gli IRCCS. Premessa la disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e la sua evoluzione. Secondo la definizione legislativa codificata nell'art 42 della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre 1978, n. 833), gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico sono enti, con personalita' giuridica di diritto pubblico o di diritto privato, «che insieme a prestazioni sanitarie di ricovero e cura svolgono specifiche attivita' di ricerca scientifica biomedica». Proprio la compresenza di assistenza e ricerca fu, storicamente, la ragione addotta per escludere l'assimilazione di tali istituti al regime proprio degli enti e dei presidi ospedalieri. Poiche' l'assistenza competeva alle Regioni e la ricerca competeva allo Stato, si decise, con l'entrata in vigore del Servizio sanitario nazionale, di attribuirne il regime giuridico-amministrativo alla competenza statale e la «parte assistenziale» alle competenze regionali (come gia' si esprimeva l'art. 1 della legge 12 febbbraio 1968, n. 132, c.d. legge Mariotti, ripreso sul punto dall'art. 28, comma 2, del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616): secondo la formulazione originaria della legge n. 833 tali istituti «per la parte assistenziale sono considerati presidi multizonali delle unita' sanitarie nel cui territorio sono ubicati»; secondo la formulazione poi codificata dall'art. 8-bis, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992 (nel testo introdotto dal d.lgs. a 229/1999), di essi la Regione si avvale per l'erogazione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza. In effetti, i vari successivi interventi di «riordino» hanno conservato l'assetto ora descritto, rafforzando pero' progressivamente, sotto il profilo organizzativo, l'assimilazione degli istituti ai corrispondenti enti svolgenti attivita' ospedaliera. Un passo particolarmente importante in questa direzione e' stato compiuto con il decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 269, recante riordinamento degli Istituti nel quadro della piu' generale delega contenuta nella legge 23 ottobre 1992, n. 421, il quale ha disposto un sostanziale allineamento degli istituti stessi, quanto a organizzazione, compiti, personale, patrimonio e contabilita', alle neocastituite Aziende sanitarie pubbliche - in particolare alle Aziende ospedaliere - qualificandone espressamente le strutture ed i presidi ospedalieri come «ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione» ed assoggettandoli alla disciplina per questi prevista, con lo finalita' peculiari di ciascun istituto (art. 1, comma 3 del citato d.lgs. n. 269/1993). Peraltro, la mancata emanazione dei regolamenti di attuazione delle disposizioni del d.lgs. n. 269/1993 ha fatto si che tale riordino non divenisse mai operativo, con la conseguenza che gli Istituti sono rimasti assoggettati alla disciplina contenuta nel d.p.r. 31 luglio 1980, n. 617 (emanao a suo tempo in forza del menzionato art. 42 della legge n. 833/1978), del quale il d.lgs. n. 269 aveva bensi' disposto (all'art. 8) l'abrogazione espressa, condizionandola tuttavia all'approvazione di detti regolamenti. Da allora si e' aperto per gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico un periodo di grande incertezza e precarieta' normativa e un vero e proprio «stallo istituzionale», formalizzato a partire dal decreto-legge 30 giugno 1994, n. 419, in una situazione di commissariamento che, sulla base di ulteriori provvedimenti nominato d'urgenza emanati allo scopo, perdura tuttora (si veda da ultimo il decreto-legge 19 giugno 1997, n. 171). La gia' accentuata tendenza alla assimilazione alle strutture del servizio sanitario e' confermata in tempi piu' recenti dal decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (c.d. riforma-ter del Servizio sanitario nazionale), che ha modificato l'art. 4 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, prevedendo la possibilita' di costituire o confermare gli Irccs in aziende, cui applicare la disciplina organizzativa generale delle aziende del Servizio sanitario nazionale, «con le particolarita' procedurali e organizzative previste dalle disposizioni attuative dell'art. 11, comma 1, lettera b) della legge 15 marzo 1997, n. 59» (peraltro anche in tal caso non adottate) e prevedendo comunque che, sino all'emanazione ditali disposizioni attuative, agli istituti stessi si applichino «le disposizioni generali relative alla dirigenza sanitaria, ai dipartimenti, alla direzione sanitaria e amministrativa aziendale e al collegio di direzione». La stessa tendenza ha poi trovato ulteriore conferma, sotto il profilo del finanziamento, nell'art. 10, comma 1, lett. a) della legge n. 133/1999, come modificato dall'art. 83, comma 1, della legge n. 388/2000. L'esame dell'evoluzione della disciplina legislativa degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico mostra dunque con chiarezza la loro progressiva attrazione nell'ambito del servizio sanitario, e dunque verso la competenza regionale, con la sola perdurante eccezione del profilo dell'attivita' di ricerca, materia nella quale le Regioni non avevano competenza costituzionale. Tuttavia, la competenza anche in tale materia e' stata data alle Regioni dalla nuova versione dell'art. 117 Cost, ove essa si trova inserita nell'elenco delle materie in cui la Regione ha potere legislativo, entro i principi fondamentali» definiti dalla legge dello Stato. 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, nel suo complesso, per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. in quanto delega il Governo al riordino degli Istituti anziche' fissare i principi fondamentali per l'attuazione del riordino da parte delle Regioni. Come sopra esposto, dell'art. 42 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo recante norme per un riordino della disciplina degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Si tratta di disciplina rientrante sia nella materia tutela della salute - alla quale l'attivita' degli istituti e' in larghissima e crescente misura finalizzata - sia nella materia ricerca scientifica. Entrambe tali materie sono individuate dall'art. 117, comma 3, della Costituzione, quali materie di legislazione concorrente. Ed in tali materie, a termini della stessa disposizione, «spetta alle regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». Ne deriva, di conseguenza, che la legislazione statale, sia espressa direttamente dal Parlamento, sia eventualmente posta nella forma del decreto legislativo, sulla base di apposita delega, deve avere quale proprio oggetto la determinazione dei principi fondamentali, al cui interno le Regioni sono chiamate a dettare la disciplina specifica ed operativa. La disposizione impugnata delega invece il Governo al riordino della disciplina degli istituti suddetti, e non alla sola determinazione dei nuovi principi fondamentali. Inoltre, i principi e criteri direttivi costituiscono gia' essi i principi fondamentali della materia (pur se, come si dira', ad avviso della ricorrente Regione in parte essi stessi incostituzionali): sicche' il Governo e' in realta' delegato a porre la disciplina di dettaglio di competenza delle Regioni. Di piu', l'esistenza stessa della competenza legislativa regionale in tale materia risulta estranea al complessivo impianto della delega. Cosi', se anche non si volesse interpretare la formula legislativa per quello che appare dal suo tenore letterale («riordino della disciplina», appunto), ma intendere tale espressione come se si riferisse ai «principi fondamentali per il riordino della disciplina», tale interpretazione «adeguatrice» non troverebbe poi riscontro concreto nei singoli criteri e principi della delega, come si evince facilmente dai compiti affidati al legislatore delegato e dal tenore stesso delle parole impiegate dal legislatore statale delegante per indirizzarne l'attivita': disciplinare, individuare misure, prevedere strumenti, rendere provvedimenti ministeriali, disciplinare modalita', regolamentare procedimenti, trasferire patrimonio e personale, e cosi' via. Del resto, i principi e criteri direttivi che il legislatore delegante ha posto per l'esercizio della delega sono in molti casi, come si dira' appresso, di natura tale da consentire uno sviluppo solo mediante una normativa di mero dettaglio, la quale costituisce la soglia minima di cio' che spetta alle Regioni. Quanto qui affermato non e' certo smentito dalla circostanza che la lettera a) del comma 1 disponga che la trasformazione degli Istituti (peraltro, come si dira', da parte del Ministro e in un regime di vigilanza ministeriale) avvenga «nel rispetto delle attribuzioni delle regioni». Invero, a parte il fatto che tale rispetto avrebbe ovviamente dovuto essere riferito all'intera delega e non solo a un suo pur importante principio, tale formula, letta sistematicamente nel contesto di una delega all'emanazione di disciplina dettagliata in un quadro di gestione accentrata, costituisce una mera formula di stile, smentita dal contenuto stesso della delega e dunque insuscettibile di guidare l'azione del legislatore delegato. Non varrebbe poi apporre che la riserva allo Stato della disciplina degli Istituti scientifici di ricovero e' tradizionale nell'ordinamento italiano. Infatti, la ragione per la quale tali istituti non erano stati riportati alla competenza piena delle Ragioni consisteva, come detto, nell'intersecazione di due attivita', quella di ricerca e quella di assistenza, rientranti la prima (secondo le ricostruzioni prevalenti) nella competenza anche amministrativa statale e la seconda fra le funzioni legislative e amministrative regionali in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera. Ne consegue che oggi, ricondotta anche la ricerca scientifica nel novero delle materie di legislazione concorrente, la disciplina dell'assetto degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico va considerata come compresa interamente nella competenza regionale, fermi restando ovviamente i principi fondamentali posti dalla legislazione statale. Ne' a tale inevitabile conclusione puo' fare ostacolo la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa degli «enti pubblici nazionali», di cui all'art. 117, comma 2, lett. g). E' chiaro, infatti, che tale competenza non si riferisce a tutti gli enti che nel precedente riparto costituzionale fossero soggetti alla potesta' legislativa statale, ma esclusivamente a quelli che, anche nell'ambito del nuovo riparto, non possano che continuare a vivere quali enti nazionali: o perche' operano in materie esse stesse riservate allo Stato (come ad esempio accade per la previdenza sociale), o perche' fonti legittimate prevedano in altre materie l'esistenza di enti nazionali, a tutela di interessi infrazionabili. Questo non e' certamente il caso degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, che al contrario hanno sempre operato su base marcatamente territoriale. La qualifica di «nazionali» che talora e' stata ad essi data (ad esempio, dall'art. 1 del citato d.lgs. n. 269/1993, mentre l'art. 1, comma 1, lett. t) della legge delega n. 421/1992 parlava di «istituti di rilievo nazionale»), dipendeva dalla loro natura di enti di ricerca, funzione all'epoca esclusivamente statale-nazionale. D'altronde, che le funzioni statali concernenti il regime giuridico-amministrativo degli Irccs si giustificassero proprio in forza della competenza in tema di ricerca e' stato affermato a chiare lettere da codesta ecc.ma Corte costituzionale nella sent. n. 338 del 1994 (punto 3, in fine, del «considerato in diritto»; in senso conforme v. altresi' la sent. n. 285 del 1974): in piena armonia, sulla questione, con quanto affermato sia da parte regionale che da parte statale. Tale qualifica non era peraltro ripresa dall'art. 121 del d.lgs. n. 112/1998, il quale al contrario si occupa al primo comma delle funzioni dello Stato nei confronti degli enti che operano su scala nazionale, mentre al secondo comma affianca gli Irccs agli istituti zooprofilattici sperimentali, pacificamente non rientranti tra gli enti pubblici nazionali. Dunque, il carattere «nazionale» degli Irccs non solo si ricollegava, del tutto pacificamente, all'idea che la ricerca scientifica spettasse esclusivamente allo Stato (competenza ribadita dagli art. 121 e 125 del menzionato decreto legislativo 112/1998), ma era gia' stato superato dalla legislazione di rango primario ancor prima della riforma costituzionale operata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001. Del resto, lo stesso art. 42, comma 1, lett. a), della legge qui impugnata qualifica le fondazioni che verrebbero a risultare dalla trasformazione degli IRCCS come «fondazioni di rilievo nazionale» e non come enti nazionali. Ma in denitiva, come sopra accennato, al di la' delle qualificazioni legislative, e' chiaro che ai sensi dell'art. 117, comma secondo, gli enti nazionali sono esclusivamente quelli che abbiano necessariamente un ambito di operativita' e una organizzazione di carattere nazionale; e che non possono essere qualificati, al contrario, come enti nazionali enti che vivono ed operano in un ambito territoriale localizzato. Neppure varrebbe obiettare che, essendo stati finora gli IRCCS soggetti alla sola disciplina statale, il legislatore statale puo' intanto porre in essere una disciplina completa di riordino, fondata sia su norme di principio che di dettaglio, e che le Regioni potranno in futuro sostituire norme proprie a quelle statali di dettaglio. In primo luogo, infatti, va ricordato che l'attuale testo dell'art. 117, comma terzo, espressamente limita il potere legislativo dello Stato alla posizione dei principi. In secondo luogo, l'obiezione potrebbe avere consistenza, se si superasse quanto ora detto, se i principi fondamentali posti dalla legge statale fossero concepiti come principi regolatori di un sistema regionale, con norme di dettaglio comunque adeguate a tale sistema: mentre quelli posti dalle disposizioni qui impugnate sono al contrario principi regolatori di un sistema a legislazione e in larga misura anche ad amministrazione statale centralizzata. In terzo luogo, nel momento in cui il legislatore pone norme che costituiscono in realta', come detto, concrete e specifiche scelte organizzative - e che dunque sono gia' eccessivamente dettagliate e concrete rispetto alla attribuzione in materia di «tutela della salute» - non vi e' alcuna ragione che possa giustificare una ulteriore fase di legislazione statale (nella forma del decreto legislativo) anziche' direttamente la fase della attuazione regionale. Una simile ragione non puo' trovarsi neppure in una eventuale urgenza di realizzare il nuovo ordinamento degli istituti: perche' un termine non dissimile a quello concesso per l'esercizio della delega puo' essere ugualmente dato alle Regioni per la loro disciplina, all'interno dei principi stabiliti dalla legge statale. Se dunque gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico sono semplicemente enti pubblici operanti in materia ormai di competenza concorrente delle Regioni, ne consegue la piena fondatezza della censura qui rivolta all'art. 42, comma 1, della legge n. 3 del 2003, di avere delegato il Governo a dettare la disciplina integrale del riordino di tali istituti, anziche' dettare i principi fondamentali tenendo conto della potesta' legislativa concorrente delle Regioni: come emerge dal tenore dei singoli principi e criteri direttivi, e dalla mancanza, tra essi, di un criterio rivolto al rispetto dei limiti derivanti dalla potesta' legislativa delle Regioni. In sostanza, la legge pone per il Governo quegli stessi principi fondamentali che avrebbe dovuto porre per le Regioni, e li pone con il contenuto proprio di un sistema legislativo, e in parte persino amministrativo, centralizzato anziche' conformarsi ai principi costituzionali. 2. - Specifica illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera a), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost. Secondo l'art. 42, comma 1, lettera a) della legge 16 gennaio 2003, n. 3, il Governo dovra', come primo principio e criterio direttivo della delega, «prevedere e disciplinare, nel rispetto delle attribuzioni delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, le modalita' e le condizioni attraverso le quali il Ministro della salute, d'intesa con la regione interessata, possa trasformare gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, in fondazioni di rilievo nazionale, aperte alla partecipazione di soggetti pubblici e privati e sottoposte alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze, ferma restando la natura pubblica degli istituti medesimi». La formulazione, che riprende quella del menzionato art. 28 della legge n. 448/2001 (che peraltro ai riferiva ad un regolamento di delegificazione), e' in primo luogo oscura e contraddittoria. Essa dispone che si faccia salva la «natura pubblica degli istituti», ma nel contempo altre lettere (vedi le lett. e ed l) qualificano le neoistituite fondazioni come enti aventi una natura no-profit. E' previsto il «rispetto delle attribuzioni delle Regioni», ed e' altresi' prevista una «intesa con la regione interessata». Ma l'uno e l'altra si riferiscono soltanto alla determinazione delle modalita' e delle condizioni attraverso le quali il Ministro della salute provvederebbe a «trasformare gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, in fondazioni di rilievo nazionale, aperte alla partecipazione di soggetti pubblici e privati e sottoposte alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze». Il presunto «rispetto» e' dunque contraddetto dal tenore stesso del criterio direttivo. E' palese che, anziche' disporre che il decreto legislativo delegato stabilisca i principi per la legislazione regionale, la lett. a) illegittimamente dispone la competenza del Ministro della salute alla «trasformazione» e non meno illegittimamente dispone che le nuove fondazioni pubbliche siano soggette alla vigilanza dello stesso Ministero della salute oltre che a quella del Ministero dell'economia e delle finanze, per vero del tutto estraneo ad ogni competenza in materia. Si noti che la disposizione, oltre che violare il riparto di competenze legislative previsto dall'art. 117, comma terzo, viola anche i criteri dati ai legislatori per la disciplina della titolarita' delle funzioni amministrative dall'art. 118 Cost, posto che - se pure vi fosse in materia una competenza statale alla disciplina diretta - e' fuori di dubbio che la Regione sarebbe il livello adeguato per deliberare e gestire l'eventuale trasformazione casi come per esercitare la vigilanza, in connessione con i propri compiti generali in materia di tutela della salute e di gestione del servizio sanitario. 3. - Illegittimita' costiluzionale dell'art 42, comma 1, lettera b), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost. Secondo l'art. 42, comma 1, lettera b), il Governo dovrebbe «prevedere che i nuovi enti adeguino la propria organizzazione al principio di separazione tra le funzioni di indirizzo e controllo, da un lato, e gestione e attuazione dall'altro, garantendo, nell'organo di indirizzo, composto dal consiglio di amministrazione e dal presidente eletto dal consiglio di amministrazione, la presenza maggioritaria di membri designati dalle istituzioni pubbliche, Ministero della salute, regioni e comuni, con rappresentanza paritetica del Ministero della salute e della regione interessata, e assicurando che la scelta di tutti i componenti del consiglio sia effettuata sulla base di idonei requisiti di professionalita' e onorabilita', periodicamente verificati; dell'organo di gestione fanno parte il direttore generale-amministratore delegato, nominato dal consiglio di amministrazione, e il direttore scientifico responsabile della ricerca, nominato dal Ministero della salute, sentita la regione interessata». Si tratta, tipicamente, di un indirizzo che dovrebbe essere dato non al Governo per la emanazione di un decreto legislativo, ma alle Regioni per l'esercizio della potesta' legislativa loro spettante nella materia: sicche' anche qui si manifesta quella generale illegittimita' della delega di cui si e' detto al punto 1). Premesso dunque che l'intero principio dovrebbe essere rivolto al legislatore regionale e non al Governo, illegittimo poi nel contenuto e' il vincolo posto di assicurare la rappresentanza paritetica del Ministero della salute e della Regione «interessata» (in realta' competente), che rappresenta una indebita ingerenza del Ministero in compiti di gestione locali. Illegittima altresi', in quanto non costituisce affatto norma di principio in materia di «tutela della salute», la disciplina della composizione degli organi di amministrazione, compresa la riserva della nomina del «direttore generale amministratore delegato» al consiglio di amministrazione, ed evidentemente ancora piu' illegittima la previsione che «il direttore scientifico responsabile della ricerca» sia «nominato dal Ministero della salute, sentita la regione interessata», anziche' dalla Regione competente. Il mero ruolo consultivo della Regione in ordine alla nomina del direttore scientifico, se poteva poi avere una qualche, sia pur discutibile, giustificazione nel precedente assetto costituzionale, non appare piu' rispondente all'inclusione della ricerca scientifica tra le materie di legislazione concorrente. Si tratta comunque, in generale, di norma di dettaglio sulla composizione degli organi degli Irccs, che appare lesiva delle competenze regionali. 4. - Specifica illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera c), per violazione degli artt. 3, 117, comma 3, e 118 Cost. L'art. 42, comma 1, lettera c) della legge 16 gennaio 2003, n. 3 stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di «di trasferire ai nuovi enti, in assenza di oneri, il patrimonio, i rapporti attivi e passivi e il personale degli istituti trasformati». Inoltre «il personale gia' in servizio all'atto della trasformazione puo' optare per un contratto di lavoro di diritto privato, fermi restando, in ogni caso, i diritti acquisiti». La previsione del trasferimento del personale ai nuovi enti con disciplina statale concretizza un'evidente lesione di attribuzioni regionali, tenuto conto che si tratta di personale regionale e il cui stato giuridico e' del tutto assimilabile a quello del restante personale delle aziende sanitarie regionali. Inoltre, la previsione derogatoria di un diritto del personale in servizio ad un «contratto di lavoro di diritto privato» - previsione davvero originale se si considera che si tratta di personale gia' «privatizzato» - non puo' che significare un'opzione per la fuoriuscita dall'ambito disciplinato dal d.lgs. n. 165/2001. Sembra evidente che si tratta non di un principio, ma di un privilegio che si vorrebbe dare ad una specifica categoria di personale regionale, in violazione dell'autonomia legislativa delle Regioni e dello stesso art. 3 Cost. In ogni modo, nella misura in cui si trattasse di una differenziazione legittima, si tratterebbe di una scelta operativa e organizzativa necessariamente da riservare alla Regione, anche considerato il riverbero che essa verrebbe ad avere sul restante personale del Servizio sanitario regionale. 5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera d), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost. L'art. 42, comma 1, lettera d) della legge 16 gennaio 2003, n. 3, stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di «individuare, nel rispetto della programmazione regionale, misure idonee di collegamento e sinergia con le altre strutture di ricerca e di assistenza sanitaria, pubbliche e private, e con le universita', al fine di elaborare e attuare programmi comuni di ricerca, assistenza e formazione». La disposizione concerne materia chiaramente rientrante nelle competenze regionali di assistenza sanitaria e di ricerca e pertanto spetta alla Regione l'esercizio dei compiti di coordinamento con le altre strutture di ricerca e sanitarie locali. D'altronde, non si vede come l'individuazione di «misure idonee di collegamento e sinergia» possa concretizzarsi nella fissazione di un principio fondamentale da attuarsi dalla legge regionale, laddove invece proprio quanto disposto dalla lett. d) e' suscettibile di valere direttamente quale principio guida della legge regionale attuativa. 6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42. comma 1, lettera e), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost. L'art. 42, comma 1, lettera e) della legge 16 gennaio 2003, n. 3, stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di «prevedere strumenti che valorizzino e tutelino la proprieta' dei risultati scientifici, ivi comprese la costituzione e la partecipazione ad organismi ed enti privati, anche aventi scopo di lucro, operanti nel settore della ricerca biomedica e dell'industria, con modalita' atte a salvaguardare la natura no-profit delle fondazioni». Si tratta, a tutta evidenza, di un oggetto rientrante nella potesta' regionale concorrente. Si noti infatti che non si tratta qui della disciplina civilistica della proprieta' intellettuale scientifica, ma degli strumenti organizzativi per la incentivazione e la migliore utilizzazione delle proprieta' dei risultati scientifici. Anche in questo caso, la disposizione puo' valere direttamente come principio di indirizzo per la legislazione regionale, mentre l'individuazione concreta degli strumenti organizzativi e delle modalita' e' cio' che spetta alla legislazione regionale. Tenuto conto che a tali «fondazioni» andrebbe pur sempre assicurato un rilevante margine di autonomia gestionale, non appare residuare alcuno spazio, per scelte ulteriori «di principio» del legislatore delegato, le quali non potrebbero che occupare lo spazio della legge regionale. 7. - Illegittimita' costituzionale dell'art 42. comma 1, lettera f), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost. L'art. 42, comma 1, lettera f) della legge 16 gennaio 2003, n. 3 stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di «prevedere che il Ministro della salute assegni a ciascuna fondazione, o a fondazioni aggregata a rete, diversi e specifici progetti finalizzati di ricerca, anche fra quelli proposti dalla comunita' scientifica, sulla base dei quali aggregare scienziati e ricercatori considerando la necessita' di garantire la qualita' della ricerca e valorizzando le specificita' scientifiche gia' esistenti o nelle singole fondazioni ovvero nelle singole realta' locali». A parte l'oscurita' e la genericita' del riferimento alle «singole realta' locali» (se si riferisse anche alle aziende sanitarie, per le quali e' pacifico che la competenza oggetto di tale principio di delega sia regionale, sarebbe certamente invasivo di competenze gia' in essere in capo alle Regioni), la disposizione conferisce compiti amministrativi allo Stato in sede di assegnazione di progetti che gia' attualmente sono assegnati sulla base di appositi bandi il cui testo e' definito mediante Accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (si veda, a titolo di esempio, il verbale della seduta della suddeta Conferenza in data 18 aprile 2002). Una siffatta previsione, oltre a contrastare con la situazione in atto, non tiene minimamente in considerazione la circostanza che, in seguito alle modificazioni del sistema di finanziamento del Fondo sanitario nazionale, la ricerca finalizzata, compresa quella svolta dagli Irccs, e' oggi finanziata prevalentemente su fondi di provenienza regionale e che pertanto si impone una revisione della relativa disciplina in senso esattamente apposto a quello del principio di delega in esame. La disposizione censurata, in altre parole, viene a ridurre le competenze dei livelli di governo regionali, rispetto a procedimenti gia' attualmente in essere: mentre il compito del legislatore era invece quello di dettare i principi in base ai quali le Regioni possano esercitare la loro competenza legislativa e quella amministrativa di coordinamento del sistema locale della ricerca finalizzata agli obiettivi di salute. 8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera g), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost. L'art. 42, comma 1, lettera g), della legge 16 gennaio 2003, n. 3, stabilisce, tra i pricipi e criteri direttivi, quello di «disciplinare le modalita' attraverso le quali applicare i principi di cui al presente articolo agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto privato, salvaguardandone l'autonomia giuridico-amministrativa». Al pari della precedente lettera f), anche questo criterio di delega invade direttamente le competenze legislative delle regioni, come si evidenzia dalla stessa formula impiegata: «applicare i principi» anziche' dettare o stabilire i principi. Si tratta in realta' anche in questo caso di un principio di indirizzo che e' suscettibile di essere attuato direttamente dal legislatore regionale, mentre ogni ulteriore specificazione uscirebbe dall'ambito della potesta' legislativa statale. 9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera i), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost. L'art. 42, comma 1, lettera i), della legge 16 gennaio 2003, n. 3, stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di «disciplinare le modalita' attraverso le quali le fondazioni, nel rispetto degli scopi, dei programmi e degli indirizzi deliberati dal consiglio di amministrazione, possono concedere ad altri soggetti, pubblici e privati, compiti di gestione, anche di assistenza sanitaria, in funzione della migliore qualita' e maggiore efficienza del servizio reso». Qui l'invasione del campo regionale e' per cosi' dire dichiarata (ed enfatizzata, anche rispetto all'assetto precedente la riforma costituzionale, dall'inciso «anche di assistenza sanitaria»). In tali campi il legislatore statale deve limitarsi a porre una disciplina di principio, che esclude in quanto tale la «disciplina delle modalita». La disposizione potrebbe semmai valere direttamente quale principio di indirizzo per il legislatore regionale. 10. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera m), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost. L'art. 42, comma 1, lettera m), della legge 16 gennaio 2003, n. 3, stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di «regolamentare i criteri generali per il riconoscimento delle nuove fondazioni e le ipotesi e i procedimenti per la revisione e la eventuale revoca dei riconoscimenti gia' concessi, sulla base di una programmazione nazionale riferita ad ambiti disciplinari specifici secondo criteri di qualita' ed eccellenza». Il riconoscimento delle nuove fondazioni e la revoca dei riconoscimenti concessi possono al piu' essere oggetto di principi legislativi statali di livello generale, al cui interno trovi spazio la legislazione specifica regionale. Inoltre, spetta alle Regioni, come sembra evidente, tanto il riconoscimento di nuovi enti quanto la revoca di tale riconoscimento. Inoltre, la mancata menzione del rispetto delle attribuzioni regionali consente che il ruolo delle Regioni venga persino ridotto rispetto alla normativa vigente. Infatti, l'art. 2 del d.lgs. n. 266/1993 prevede, nel testo risultante dalla sentenza interpretativa di accoglimento n. 338 del 1994 di codesta ecc.ma Corte, che per il riconoscimento del carattere scientifico degli Irccs e la relativa revoca sia almeno sentita la Regione interessata. 11. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera n), per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. L'art. 42, comma 1, lettera n), della legge 16 gennaio 2003, n. 3, pone, tra i principi e criteri direttivi, quello di «prevedere, in caso di estinzione, la devoluzione del patrimonio in favore di altri enti pubblici disciplinati dal presente articolo aventi analoghe finalita». Si tratta di per se' di un criterio quasi ovvio, cui si ispira la legislazione di altri settori, ad esempio nel campo della assistenza. Come altri principi, esso potrebbe essere considerato legittimo in quanto lo si considerasse come guida della legislazione regionale, ma non certo come base di ulteriori disposizioni di dettaglio statali. Va invece osservato che nella sua formulazione il principio irrazionalmente gia' troppo rigido: sembra evidente infatti che, in caso di estinzione di un istituto, sara' da valutare in concreto la convenienza che le strutture maggiormente legate all'assistenza sanitaria conservino tale destinazione nell'ambito del Servizio sanitario generale, senza il vincolo alla devoluzione esclusiva in favore di altri Istituti scientifici. 12. - Illegittimita' costituzionale dell'art 42, comma 1, lettera p), per violazione dell'art 117, comma 3 Cost. L'art. 42, comma 1, lettera p) della legge 16 gennaio 2003, n. 3, stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di «prevedere che gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, non trasformati ai sensi della lettera a), adeguino la propria organizzazione e il proprio funzionamento ai principi, in quanto applicabili, di cui alle lettere d), e), h) e n), nonche' al principio di separazione fra funzioni di cui alla lettera b), garantendo che l'organo di indirizzo sia composto da soggetti designati per la meta' dal Ministro della salute e per l'altra meta' dal presidente della regione, scelti sulla base di requisiti di professionalita' e di onorabilita', periodicamente verificati, e dal presidente dell'istituto, nominato dal Ministro della salute, e che le funzioni di gestione siano attribuite a un direttore generale nominato dal consiglio di amministrazione, assicurando comunque l'autonomia del direttore scientifico, nominato dal Ministro della salute, sentito il presidente della regione interessata». La disposizione si occupa degli istituti «non trasformati». Sia consentito in primo luogo osservare che per «istituti non trasformati» si puo' intendere quelli non ancora trasformati o quelli che non sono oggetto di trasformazione. Nel primo caso si tratterebbe di un regime transitorio in attesa della trasformazione, nel secondo di una stabile categoria di enti, peraltro priva di precisi riferimenti normativi. In entrambi i casi sembra violato il principio della certezza del diritto. Cio' premesso, la disposizione risulta illegittima sia in quanto non pone un principio che possa essere sviluppato dalla legislazione regionale, sia in quanto riserva al Ministro della salute la designazione della meta' dei membri del consiglio di amministrazione e in quanto attribuisce al Ministro la nomina del direttore scientifico, in violazione sia dell'art. 117, comma terzo, sia dell'art. 118 della Costituzione. 13. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 43 per violazione degli artt. 117, comma 3 e comma 6, e 118 Cost. L'art. 43 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, stabilisce che, «al fine di favorire la ricerca nazionale e internazionale e poter acquisire risorse anche a livello comunitario, il Ministro della salute, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, individua, con proprio decreto, l'organizzazione a rete degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico dedicati a particolari discipline». La disposizione censurata conferisce un potere di natura sostanzialmente regolamentare e praticamente di contenuto indeterminato, in violazione dell'art. 117, sesto comma, della Costituzione. In subordine, il decreto dovrebbe essere assunto, trattandosi di materia rientrante nella potesta' legislativa concorrente, in ogni modo d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni (e non sulla base di un mero parere): come era prescritto per gli atti di indirizzo e coordinamento nel vigore del precedente Titolo V. 14. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 46, per violazione dell'art 117, commi terzo e quarto Cost. L'art. 46 e' dedicato alla Semplificazione in materia di sedi farmaceutiche. Precisamente, secondo il comma 1, i farmacisti che gestiscono in via provvisoria una sede farmaceutica, «anche se hanno superato il limite di eta' di cui all'art. 4, comma 2, della legge 8 novembre 1991, n. 362, hanno diritto a conseguire per una sola volta la titolarita' della farmacia, purche' alla data di entrata in vigore della presente legge risultino assegnatari della gestione provvisoria da almeno due anni e non sia stata pubblicata la graduatoria del concorso per l'assegnazione della relativa sede farmaceutica». Il comma 2 esclude dal beneficio «il farmacista che, alla data di entrata in vigore della presente legge, abbia gia' trasferito la titolarita' di altra farmacia da meno di dieci anni ai sensi del quarto comma dell'articolo 12 della legge 2 aprile 1968, n. 475, nonche' il farmacista che abbia gia' ottenuto, da meno di dieci anni, altri benefici o sanatorie». I commi 3 e 4 disciplina addirittura il procedimento per la concessione del beneficio, prescrivendo, rispettivamente, che «le domande devono pervenire, a pena di decadenza, alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge», e che «l'accertamento dei requisiti e delle condizioni previste dai commi 1, 2 e 3 e' effettuato entro un mese dalla presentazione delle domande». Tutte tali disposizioni sono lesive delle prerogative costituzionali della Regione Emilia-Romagna, e disciplinano oggetti dei quali solo la legge regionale puo' disporre. La materia incisa e', essenzialmente, il commercio, che ricade nella competenza piena regionale. Infatti, nonostante la collocazione della disposizione, non si puo' dire che la disciplina statale abbia a che fare con la «tutela della salute», nella quale pure spetta allo Stato la sola determinazione dei principi fondamentali della materia. Sembra evidente, infatti, che la tutela della salute non e' suscettibile di essere incisa dalla circostanza che determinati farmacisti ottengano o non ottengano la titolarita' della farmacia di cui hanno la provvisoria gestione. Comunque, se pure si trattasse di una materia di potesta' concorrente, e' altresi' evidente che non si tratta di una disciplina che detti alcun principio fondamentale in materia. Si tratta invece di disciplina dettagliata di un aspetto particolare, rimesso ormai alla competenza piena delle Regioni: alle quali, invece, la disposizione qui impugnata riconosco solo il compito della gestione amministrativa della legge statale, per di piu' stabilendo i termini della presentazione delle domande, e persino i termini per la risposta da parte delle Regioni. La disposizione risulta dunque in tutte le sue parti illegittimamente invasiva della competenza regionale.
P. Q. M. Chiede voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' delle disposizioni sopra indicate in epigrafe, nei termini e per i profili esposti nei motivi di diritto del presente ricorso. Padova-Roma, addi' 20 marzo 2003 Avv. prof. Giandomenico Falcon - avv. Luigi Manzi 03C0342