N. 208 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 gennaio 2003

Ordinanza  emessa  il  30   gennaio 2003 dal tribunale di Firenze nel
procedimento penale a carico di Staicu Gheorghe

Straniero  -  Espulsione  amministrativa - Reato di trattenimento nel
  territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento,
  entro  il  termine  di cinque giorni, impartito dal questore - Rito
  direttissimo  -  Impossibilita'  per  il  giudice  di  emettere una
  pronuncia  di  merito (in conseguenza dell'obbligo del rilascio del
  nulla  osta  all'espulsione,  per  l'inapplicabilita'  della misura
  della  custodia  cautelare  in  carcere)  -  Lesione del diritto di
  accesso  ad  un giusto processo e del diritto di difesa - Contrasto
  con   la  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
  dell'uomo   e  delle  liberta'  fondamentali  -  Restrizione  della
  liberta'  personale  -  Violazione  del principio di soggezione del
  giudice soltanto alla legge.
- Codice di procedura penale, art. 558, in combinato disposto con gli
  artt.  13  e  14 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come modificato
  dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, artt. 2, 3, 10, 13, 24, 101 e 111.
(GU n.17 del 30-4-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  su richiesta di convalida di
arresto (artt. 391 e 558 c.p.p.).
    Vista   la  richiesta  di  convalida  dell'arresto,  operato  nei
confronti  di Gheorghe Staicu, in atti generalizzato; considerato che
il difensore ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale
della norma da applicare, richiamando le ordinanze di rimessione gia'
emesse  dal  giudicante  e  da  altri  giudici  monocratici di questo
tribunale;

                            O s s e r v a

    In  forza  del  combinato  disposto  degli artt. 558 c.p.p. e 14,
comma  5-quinquies,  d.lgs.  25 luglio 1998 n. 286 (testo unico delle
norme  sull'immigrazione  e la condizione giuridica degli stranieri),
come   modificato   dalla  legge  30 luglio  2002  n. 189,  l'arresto
dell'imputato,  effettuato  in relazione al reato di cui all'art. 14,
comma  5-ter t.u. cit., dovrebbe essere convalidato da questo giudice
e si dovrebbe provvedere a giudizio direttissimo.
    Si  ritiene  tuttavia  che  la novella alle norme del testo unico
presenti dei profili di incostituzionalita' rilevanti gia' nella fase
della  convalida,  in  quanto attinenti alla stessa costituzionalita'
della  previsione dell'arresto obbligatorio per la fattispecie di cui
si  tratta,  e  che  pertanto  la  questione  relativa  debba  essere
sollevata gia' in questa sede.
    Infatti,   la   novella   prevede  l'arresto  -  in  questo  caso
obbligatorio,  in  altri  facoltativo  -  per reati contravvenzionali
puniti  nel  massimo  con un anno di arresto, dunque con pena massima
edittale  lontana  per  difetto  da  quella  generale prevista per le
contravvenzioni,  il  che  e' significativo di una valutazione di non
eccessiva  gravita'  della  condotta  da  parte  del legislatore. Nel
codice  di  procedura penale, invece, l'arresto in flagranza - misura
fortemente  restrittiva  della  liberta'  personale  - in generale, e
salvi  i casi tassativamente previsti al secondo comma dell'art. 381,
non  e'  consentito per i delitti puniti con la pena della reclusione
pari  o inferiore, nel massimo, a tre anni. Ancor piu' ristretti sono
i  casi  di arresto obbligatorio previsti dall'art. 380 c.p.p., con i
quali  occorre  istituire il raffronto in questo caso, dato che, come
s'e  gia'  detto,  la  novella  prevede tale categoria di arresto. Il
sistema  penale,  in altri termini, prescrive l'obbligatorieta' della
misura restrittiva della liberta' personale solo per reali, obiettive
situazioni  di singolare gravita' 1); ma in questo caso, derogando in
maniera   evidente  alla  disciplina  generale,  introduce  l'arresto
obbligatorio per una contravvenzione neppure particolarmente grave.
    Ne'  puo'  obiettarsi  che  il principio di ragionevolezza, prima
implicitamente   richiamato,   che   trova  la  sua  fonte  normativa
costituzionale  nell'art. 3 della carta fondamentale, non puo' venire
in  rilevo in quanto si tratta di normativa dettata solo in relazione
agli stranieri, dal momento che lo stesso art. 3 limita il suo ambito
di  applicazione  ai cittadini. Infatti, e' del tutto pacifico che la
norma   richiamata  deve  coordinarsi  con  gli  artt. 2  Cost.,  che
garantisce  i  diritti  inviolabii  dell'uomo indipendentemente dalla
nazionalita', e con l'art. 10 secondo comma Cost., che prevede che la
condizione  giuridica  dello  straniero  e'  regolata  dalla legge in
conformita' delle norme dei trattati internazionali. Ne consegue che,
ove  la  disciplina  giuridica  applicabile  allo straniero attenga a
diritti  inviolabili,  o  comunque  a  materie  oggetto  di  trattati
internazionali,  il  diverso  trattamento  deve  garantire  i diritti
inviolabili  dell'uomo  ed essere rispettoso dei principi dettati dai
trattati.  Ora,  ampie  garanzie  in  materia di processo penale e di
arresto  sono  oggetto  degli  artt. 5  e  6 della convenzione per la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali,
ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848, per cui appare
inammissibile  la discriminazione dello straniero in relazione a tale
materia.
    Dubbi ancor piu' evidenti e gravi di incostituzionalita' emergono
in  relazione  al  rito direttissimo che dalla convalida dell'arresto
originerebbe.
    Infatti,   secondo   quanto   disposto  dal  legislatore,  appare
ineluttabile  una  pronuncia non di merito nei confronti dell'odierno
imputato.  Cio' emerge coordinando varie norme della novella, secondo
l'iter  logico che si passa ad illustrare. Il giudice monocratico non
puo' applicare allo straniero arrestato in flagranrza per il reato di
cui  si  giudica  la  misura della custodia cautelare in carcere, non
prevista per le contravvenzioni. Dunque, lo straniero potra' - o, per
meglio    dire,    dovra',   dati   i   ristrettissimi   margini   di
discrezionalita'  dell'autorita'  amministrativa - essere espulso, in
quanto   dall'art. 13   terzo  comma  del  testo  unico,  cosi'  come
novellato,  risulta  evidente  che  solo  l'applicazione della misura
cautelare  indicata  costituisce  impedimento assoluto all'espulsione
disposta  dal  questore;  in  caso  di  mancata applicazione di essa,
invece,  opera  il  regime  del  nulla  osta  dei giudice. Orbene, il
giudice  ha  uno  spazio di discrezionalita' minimo nel rilasciare il
nulla  osta:  «puo' negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze
processuali    valutate    in    relazione   all'accertamento   della
responsabilita'  di  eventuali  concorrenti  nel  reato o imputati di
procedimenti  connessi,  e  all'interesse  della  persona offesa» 2);
oppure  se si tratta dei reati previsti dall'art. 407, secondo comma,
lettera a) c.p.p.. Nell'assoluta maggioranza dei casi, e comunque per
il  reato per il quale si procede, in cui sembra difficile ipotizzare
forme  di  concorso  il  cui accertamento richieda la deposizione del
coimputato,  ne'  e'  individuabile  una persona offesa, l'attuazione
dell'espulsione  - che quale provvedimento amministrativo costituisce
lo  stesso  presupposto  del  reato  -  non  puo' essere impedita dal
giudice  ed  e'  dunque certa. In caso di espulsione, il giudice, «se
non  e' ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio»
- come avviene nel caso di giudizio direttissimo monocratico, che non
conosce  tale provvedimento, ben diversa essendo la forma e la natura
del  decreto  di  presentazione  dell'arrestato da parte dei pubblico
ministero   di   cui   all'art. 558  c.p.p.  -  «acquisita  la  prova
dell'avvenuta  espulsione  (...)  pronuncia  sentenza  di non luogo a
procedere» 3).
    Emerge  quindi l'obbligatorieta', nella maggior parte dei casi di
reati commessi da immigrati espulsi e comunque - e' bene ripeterlo ai
fini  della  rilevanza  dell'eccezione  di costituzionalita' - per il
reato   contestato  all'odierno  imputato,  della  pronuncia  di  una
sentenza   di   improcedibilita'   dell'azione   penale  nei  giudizi
direttissimi   monocratici   a  carico  di  tali  soggetti.  Infatti,
interviene  a  rendere  obbligatoria la pronuncia la mera circostanza
estrinseca  dell'esecuzione  dell'espulsione  prima della conclusione
del giudizio, condizione che si realizza automaticamente, ad esempio,
a  seguito di richiesta di termini a difesa. Lo straniero viene cosi'
privato del diritto di accedere ad un giusto processo quanto ai fatti
contestati,   con  chiara  violazione  dell'art. 111  Cost.,  nonche'
dell'art. 24  Cost.  quanto  al  diritto  di  difesa, ed ancora degli
artt. 5  e  6  della  convenzione  per  la  salvaguardia  dei diritti
dell'uomo   gia'  citata  -  che  pacificamente  ha  rango  di  norma
costituzionale  in  forza  di quanto s'e' poc'anzi osservato circa il
richiamo  dell'art. 10,  secondo comma Cost.-, articoli che prevedono
il  diritto  per  ogni  persona privata della propria liberta' con un
arresto a presentare ricorso davanti ad un tribunale affinche' decida
sulla  legittimita'  della propria detenzione, ed ancora il diritto a
che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente ed in un
tempo ragionevole da parte di un tribunale indipendente ed imparziale
costituito  per legge quanto al fondamento di ogni accusa penale. Nel
meccanismo creato dalla novella, invece, la richiesta di un termine a
difesa,  che  realizza un altro dei diritti sanciti dall'art. 6 della
convenzione,  quello  dell'arrestato  di  «disporre del tempo e delle
facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa», previsto dalla
lettera  a)  del terzo comma, finisce con l'impedire una decisione di
merito,  con  evidente  contrasto con il diritto a provare la propria
innocenza:   infatti,   senza   chiedere  un  termine  a  difesa,  e'
impossibile  per  l'arrestato  in  flagranza  dimostrare  che  la sua
permanenza  nel  territorio dello stato e' legittima, giacche' non ha
modo di recuperare e produrre la documentazione necessaria alla prova
o  di  ottenere la citazione di testi a difesa. Il contrasto di tutto
cio'  con  l'art. 24  Cost.,  norma  che  tutela  «tutti», non solo i
cittadini italiani, appare evidente.
    Se  poi  si vuol dare dell'espressione «provvedimento che dispone
il   giudizio»   un'interpretazione   estensiva,   comprensiva  della
presentazione  del  pubblico  ministero  o dell'ordinanza del giudice
monocratico   che,   convalidato   l'arresto,   da'  inizio  al  rito
direttissimo,  si  risolverebbe il problema del contenuto necessitato
della  pronuncia,  ma  non  quello  della compressione del diritto di
difesa:  in  tal  caso,  infatti, non si verificherebbe la condizione
temporale  che  costituisce presupposto necessario della pronuncia di
non  doversi procedere, ovvero l'esecuzione dell'ordine di espulsione
prima  dei  provvedimento  che  dispone  il  giudizio,  dato  che  lo
straniero  verrebbe  espulso dopo l'inizio del giudizio direttissimo;
tuttavia,  se  solo  il giudizio direttissimo non si concludesse, per
qualsiasi  ragione,  in  una  sola udienza, l'imputato sarebbe subito
espulso e non avrebbe modo di difendersi. Sarebbe cioe' processato in
absentia   per   un   fatto   esterno,  l'esecuzione  dell'ordine  di
espulsione,  che  in  nessun  modo  puo' equipararsi alla contumacia,
situazione  che  deriva dalla volonta' dell'imputato. Anche in questo
caso,  dunque,  il diritto di difesa viene, piu' che compresso, quasi
impedito:   lo  straniero  potrebbe  tentare  di  dimostrare  la  sua
innocenza solo nel caso in cui il processo si concludesse in una sola
udienza, subito dopo la convalida; se invece, per sua richiesta o per
altra  ragione, il processo viene rinviato, egli viene espulso, sulla
base del provvedimento che gli viene contestato di aver violato.
    Ulteriore   violazione   costituzionale   ravvisabile  in  questa
disciplina  attiene a quanto previsto dall'art. 13 Cost. Infatti - se
si  da'  dell'espressione  «provvedimento  che  dispone  il giudizio»
quell'interpretazione  restrittiva di cui s'e' detto, che sola appare
fondata  -  si  configura  un  caso  di  restrizione  della  liberta'
personale,  cioe'  un  arresto  obbligatorio,  che  non  trova il suo
naturale  sbocco  nell'esercizio dell'azione penale e nel conseguente
vaglio   giurisdizionale   sul  merito  dell'accusa,  vaglio  cui  si
sostituisce  una  pronuncia  di  non  luogo  a  procedere conseguente
all'avvenuta  esecuzione  dell'espulsione  che  consegue al rilascio,
come  s'e'  visto  quasi sempre obbligatorio ed automatico, del nulla
osta  da  parte  dell'autorita' giudiziaria. Il giudice finisce cosi'
con l'essere espropriato dell'esercizio della giurisdizione e diviene
soggetto  non  alla legge, bensi' ad una decisione amministrativa del
questore,  dalla  quale  deriva  il  contenuto  necessitato della sua
pronuncia, con violazione anche dell'art. 101 secondo comma Cost.
    Alla rilevanza di tutti questi dubbi in questo procedimento si e'
gia'  accennato,  ma e' bene ulteriormente sottolineare che l'arresto
di  cui  si  tratta dovrebbe essere convalidato in forza di una norma
che  si  ritiene  sospetta  di  incostituzionalita'  e  che,  dopo la
convalida,   si   dovrebbe  procedere  ad  un  giudizio  direttissimo
decisamente   anomalo,   che   presenta   gli  ulteriori  profili  di
incostituzionalita'   poco   sopra   argomentati.   Conseguentemente,
l'incidente  di costituzionalita' dev'essere sollevato gia' in questa
fase,  come  richiesto dal difensore, con la sospensione dello stesso
giudizio di convalida. Ne deriva che non puo' farsi luogo al giudizio
direttissimo,  la  cui  celebrazione  presuppone l'avvenuta convalida
dell'arresto,  che  in questo caso manca, in forza della sospensione.
Ulteriore   conseguenza,   ad   avviso   di  questo  giudice,  e'  la
restituzione  degli atti al pubblico ministero perche' proceda con il
rito  ordinario.  Non sembra infatti che si possa sospendere anche il
giudizio direttissimo, che non e' ancora instaurato.
          1)  Cosi'  la  Corte costituzionale nella sentenza 11 marzo
          1970 n. 39, dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale
          dell'art.  220  del  testo  unico  delle  leggi di pubblica
          sicurezza   nella   parte   in   cui   prevedeva  l'arresto
          obbligatorio  in  flagranza di chi contravveniva al divieto
          di comparire mascherato in luogo pubblico.
          2)  Art. 13  terzo  comma,  richiamato dal comma tre-bis in
          relazione all'arresto in flagranza.
          3) Art. 13 comma tre-quater.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art. 23  legge 11 marzo 1953 n. 87, ritenutala rilevante
per  la  decisione  di  questo  giudizio  di convalida e del giudizio
direttissimo   da   iniziare,   solleva   questione  di  legittimita'
costituzionale del combinato disposto dagli artt. 558 c.p.p., 13 e 14
d.lgs..    25 luglio   1998   n. 286   (testo   unico   delle   norme
sull'immigrazione  e  la  condizione giuridica degli stranieri), come
modificato  dalla legge 13 luglio 2002 n. 189, nelle parti menzionate
in  motivazione,  per  contrasto  con  gli artt. 3, 10, 24, 101 e 111
Cost.;
    Sospende  il  giudizio  ed  ordina l'immediata trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale.
    Ordina la notifica, a cura della cancelleria, di questa ordinanza
al  Presidente  del  Consiglio dei ministri e la sua comunicazione ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Ordina  restituirsi  gli  atti  al  pubblico  ministero affinche'
proceda con rito ordinario.
    Ordina  l'immediata  liberazione  dell'imputato se non detenuto o
ristretto per altra causa.
        Firenza, addi' 30 gennaio 2003
                        Il giudice: Lamberti
03C0399