N. 225 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 settembre 2002
Ordinanza emessa il 30 settembre 2002 dalla Commissione tributaria provinciale di Pistoia sul ricorso proposto da Giada-Bet S.r.l. contro Agenzia delle entrate - Ufficio di Pescia Concorsi pronostici e scommesse - Scommesse sportive - Quote di prelievo da destinare al Coni - Determinazione con decreto ministeriale, in assenza di criteri e parametri legislativamente indicati - Contrasto con la riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali. - Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 231, come modificato dall'art. 24, comma 26, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. - Costituzione, art. 23. Imposte e tasse - Imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse - Aliquote relative alle scommesse sportive - Commisurazione, in percentuali prefissate, alle quote di prelievo stabilite, per ciascuna scommessa, a favore del Coni - Assenza di criteri e parametri legislativi vincolanti il decreto ministeriale di determinazione delle quote - Contrasto in via «derivata» con la riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali. - Decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, art. 4, comma 1, lett. b). - Costituzione, art. 23.(GU n.18 del 7-5-2003 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 933702 proposto da Giada-Bet S.r.l., difesa dal prof. avv. Nicolo' Zanon, dott. Mario Spezia, dott. Antonio Campanini, avv. Antonio Papi Rossi. e dott. Ivo Vannini depositato in data 2 agosto 2002 avverso l'atto n. 26572/2002 Agenzia delle entrate - Ufficio di Pescia relativo all'imposta unica sui concorsi pronostici e le scommesse, di cui al d.lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, Svolgimento del processo - Oggetto della domanda Con ricorso depositato in data 2 agosto 2002 n. 933/2002 Giadabet S.r.l. (codice fiscale n. 01422790475) ricorre contro l'atto n. 26572/2002, dell'Agenzia delle entrate Ufficio di Pescia notificato in data 10 luglio 2002 e relativo all'imposta unica sui concorsi pronostici e le scommesse, di cui al d.lgs. 23 dicembre 1998, n. 504. La contestazione di omesso versamento riguarda il periodo dal 29 maggio 2001 al 17 giugno 2001, per le quali l'importo da versare ammonterebbe, secondo l'ufficio delle entrate a lire 3.214.790. Nello stesso atto e' stata irrogata la sanzione pari ad Euro 6.517,36 per omessi e ritardati versamenti. Dal fascicolo del processo risulta che l'emissione del suddetto atto sia stata preceduta dai seguenti atti istruttori dell'Agenzia delle entrate: richiesta di copia della polizza fideiussoria; processo verbale in data 11 giugno 2002 da cui risulta la richiesta di attestazione di versamenti di imposta unica risultanti carenti o omessi dal controllo incrociato tra imposta dovuta ed imposta versata, risultante da documentazione di provenienza del Ministero delle finanze. La ricorrente sostiene che la pretesa impositiva dovrebbe essere annullata per i seguenti motivi: in primo luogo per l'illegittimita' derivata dell'atto dall'illegittimita' costituzionale (violazione dell'art. 23 Cost.) delle norme di legge che disciplinano l'imposta unica; in secondo luogo, perche' risulterebbe ancora in vigore il regime di sospensione della riscossione della imposta unica, disposto con d.m. 28 maggio 2001 (essendo da disapplicare il d.m. 13 dicembre 2001, che disponeva il pagamento dell'imposta in data 17 dicembre 2001, poiche' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale in data 21 dicembre, e cioe' successivamente alla scadenza del termine per l'adempimento); in terzo luogo per difetto di motivazione, derivante dall'omessa esposizione dei criteri di calcolo e dei conteggi da cui sono stati ricavati gli importi delle somme intimate. Sostenendo la configurabilita' di un periculum in mora, oltreche' del fumus boni iuris, la ricorrente ha formulato altresi' istanza di sospensione ai sensi dell'art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992. L'Agenzia delle entrate - Ufficio di Pescia - ha formulato le proprie controdeduzioni con atto depositato in data 28 agosto 2002 in occasione della discussione collegiale dell'istanza di sospensione dell'atto impugnato. Sostiene in via preliminare l'ufficio che l'atto impugnato non sarebbe un atto impositivo, ovvero ne' di liquidazione ne' di accertamento ne' di irrogazione di sanzioni. Quindi, non rientrando tra quelli tassativamente previsti dall'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, il ricorso non sarebbe proponibile, anche perche' l'atto impugnato non sarebbe in grado di incidere sul piano patrimoniale nella sfera del contribuente. Il ricorso potrebbe percio' essere presentato solo contro la cartella esattoriale. Nel merito, l'ufficio nega che la normativa che disciplina l'imposta unica sia in contrasto con l'art. 23 Cost., giacche' la riserva di legge prevista da tale norma per le prestazioni patrimoniali sarebbe soddisfatta dal complesso della normativa in questione. Inoltre, nega che la sospensione della riscossione dell'imposta sia perdurante, giacche' essa non e' stata disposta sine die e si e' esaurita indipendentemente dalle vicende del d.m. 13 dicembre 2001. Nega infine che l'atto sia afflitto da un difetto di motivazione, giacche' esso, al contrario, recherebbe tutte le indicazioni necessarie per individuare il debito d'imposta. Alla Camera di consiglio del 28 agosto 2002, per la trattazione dell'istanza di sospensione, la parte ricorrente - preso atto della costituzione in giudizio dell'ufficio - ha domandato la riunione della trattazione della domanda incidentale con il merito. L'ufficio e' risultato remissivo a giustizia. In un'ulteriore memoria illustrativa, depositata il 19 settembre 2002, la parte ricorrente ha esposto le ragioni per le quali ritiene che l'atto impugnato sia immediatamente impugnabile ed ha illustrato le modalita' di funzionamento dell'imposta nel periodo di riferimento. Alla pubblica udienza del 30 settembre 2002, la parte ricorrente e l'ufficio hanno ribadito le proprie conclusioni. Osserva la Commissione D i r i t t o 1. - La controversia riguarda l'applicazione dell'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, oggetto del provvedimento di riordino di cui alla legge 3 agosto 1998 n. 288, contenente delega al Governo che ha dato luogo all'emanazione del decreto legislativo 23 dicembre 1998 n. 504. Nel periodo cui la controversia si riferisce, la liquidazione dell'imposta doveva essere effettuata giornalmente dal Ministero delle finanze (totalizzatore nazionale), comunicata ai soggetti passivi (i concessionari), pagata da quest'ultimi con le modalita' previste dalle norme in materia di contabilita' dello Stato. L'accertamento degli eventuali insufficienti versamenti doveva essere effettuato dall'ufficio dell'Agenzia delle entrate competente per territorio, al quale il Ministero delle finanze avrebbe dovuto inviare i prospetti giornalieri di liquidazione. Le sanzioni amministrative per ritardato pagamento dovevano essere richieste dall'ufficio competente, sempre sulla base dei dati forniti dal Ministero delle finanze. Il d.lgs. 8 marzo 2002 n. 66, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 91 del 18 aprile 2002 ed entrato in vigore il 3 maggio 2002, emanato in forza l'art. 6 decreto legislativo 23 dicembre 1998 n. 504, innova radicalmente il sistema normativo vigente e trasforma l'imposta unica, da imposta liquidata dal Ministero delle finanze, in un'imposta che ora deve essere autoliquidata dal soggetto passivo. Quest'intervento normativo relativo agli adempimenti dei contribuenti costituisce l'implicita conferma che fino alla data dell'entrata in vigore della nuova disposizione l'imposta era liquidata dal Ministero delle finanze. Ritiene preliminarmente questa Commissione di dover affermare l'ammissibilita' del ricorso. Infatti, le incertezze della stessa amministrazione finanziaria nella qualificazione dell'avviso impugnato (che in casi diversi, da altri uffici dell'Agenzia delle entrate, e' stato definito esplicitamente come atto impugnabile entro il termine decadenziale di 60 giorni), e, ancor piu', le istruzioni contenute nella circolare ministeriale del 6 dicembre 2001 n. 102/E, portano a ritenere che l'atto impugnato non costituisce un atto istruttorio bensi' un atto che contiene l'accertamento e la liquidazione della maggiore imposta dovuta con contestuale irrogazione della sanzione. e rientra pertanto nel novero dell'art. 19, primo comma del d.lgs. n. 546/1992. I principi di diritto affermati in giurisprudenza ed in dottrina definiscono l'accertamento tributario come «atto efficace nei confronti del soggetto passivo d'imposta, conclusivo di un procedimento, cioe', che accerta e dichiara la sussistenza, in tutto o in parte, dell'obbligazione tributaria o di un suo elemento e che l'accertamento di siffatto obbligo e' in ogni caso impugnabile dinanzi ai giudici, in ispecie le Commissioni tributarie, qualunque sia la forma e la denominazione che ha l'atto che lo contiene» (Corte costituzionale, 6 dicembre 1985, n. 313), o «ogni atto o provvedimento che, a prescindere dalla sua denominazione, spieghi efficacia nei confronti del soggetto passivo, accertando o dichiarando il debito d'imposta». (Cass. civ. Sez. I, sentenza 14 novembre 1990, n. 11006). Non e' la qualificazione formale dell'atto quello che conta, bensi' la sua efficacia nei confronti del soggetto passivo. Nel caso all'esame l'atto impugnato costituisce, secondo le indicazioni del Ministero, la premessa sufficiente per l'escussione della garanzia prestata dal contribuente. In tale situazione, la dichiarazione d'inammissibilita' del ricorso costituirebbe un ingiusto diniego della tutela giurisdizionale prevista e garantita dall'art. 24 della Costituzione. Il fatto che l'atto non contenga in calce le modalita' ed i termini per il ricorso alla Commissione tributaria, non preclude certamente al contribuente il diritto di impugnarlo, ma costituisce piuttosto una irregolarita' dell'atto che puo' consentire la remissione in termini ai fini dell'instaurazione del giudizio (cfr. Cons. Stato 30 marzo 2002, n. 1814; Tribunale amministrativo regionale Sicilia 3 maggio 1995, n. 1267; Cass. civ, 4 giugno 1999, n. 5453; Cass. civ. 25 luglio 2000, n. 9725; Cass. civ. Sez. unite 18 maggio 2000, n. 362). La Commissione rileva che l'atto impugnato non presenta, poi, alcuna analogia con il c.d. «Avviso bonario» previsto per le imposte sui redditi I.R.P.E.F. e I.R.P.E.G. dagli artt. 36-bis, e 36-ter del d.P.R. n. 600/1972 (come modificati dal d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 1, comma 1), in quanto detta comunicazione e' emessa dal fisco ad esito dei controlli formali aventi ad oggetto i dati dichiarati dal contribuente, per tributi che sono oggetto di liquidazione da parte del contribuente stesso. L'«avviso bonario» deve precedere l'iscrizione a ruolo per consentire ai contribuenti di addurre ulteriori elementi non risultanti dalla dichiarazione, evitare la reiterazione di errori nella successiva dichiarazione, ed eventualmente ravvedersi con il beneficio della riduzione della sanzione amministrativa. 2. - Nel merito, quanto ai vizi dell'atto, ritiene questa Commissione che l'amministrazione finanziaria abbia fatto corretta applicazione delle norme di legge e di regolamento che disciplinano l'imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, che l'atto sia sufficientemente motivato e che, d'altro canto, non si possano ritenere rilevanti nella specie le vicende relative al d.m. 13 dicembre 2001. 3 - Cio' posto, dovrebbe la Commissione rigettare il ricorso, accogliendo le ragioni dell'Agenzia delle entrate. Tuttavia, la Commissione ritiene di considerare non manifestamente infondate le prospettate violazioni dell'art. 23 della Costituzione da parte dell'art. 3, comma 231, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (come modificato dall'art. 24, comma 26, della legge 27 dicembre 1997, n. 449), e dell'art. 4 del d.lgs. 23 dicembre 1998, n. 504. La questione di legittimita' costituzionale riferita alle due citate norme e sicuramente rilevante nel giudizio, giacche' l'esito dello stesso e' condizionato dall'esito dello scrutinio di costituzionalita' che dovra' essere svolto dalla Corte costituzionale, dipendendo l'accoglimento o il rigetto del ricorso dalla conformita' - o meno - alla Costituzione delle norme che regolano l'imposta unica. 4. - Quanto alla non manifesta infondatezza, ritiene la Commissione di formulare le seguenti osservazioni. Si deve procedere dal d.lgs. 23 dicembre 1998, n. 504 in cui si stabilisce, all'art. 4, che le aliquote per le scommesse non vengano stabilite in modo fisso ma siano rapportate alle quote di prelievo stabilite per ciascuna scommessa. In particolare per le scommesse diverse dalla TRIS e da altre tipologie ad essa assimilabili quanto a modalita' di accettazione e di totalizzazione, l'aliquota e' il 20,20% della quota di prelievo stabilita per ciascuna scommessa. Ne deriva che l'aliquota relativa alle scommesse non puo' essere determinata se non per relationem: ad essa si giunge attraverso un riferimento a un dato che non riguarda gli elementi dell'imposta unica in se', ma che deve essere ricavato aliunde. E la questione diventa percio' quella di stabilire se la riserva di legge posta dalla Costituzione sia soddisfatta dalle disposizioni normative che consentono di determinare l'ammontare delle quote di prelievo. Tale giudizio, incentrato sulle quote di prelievo, non puo' non «reagire» anche sulla disciplina legislativa in tema di imposta unica, quanto meno per la parte che fa esplicito rinvio - per la determinazione delle aliquote sulle scommesse - alle quote stesse. 5. - La norma di rango legislativo che disciplina i prelievi sull'introito lordo delle scommesse sportive a favore del C.O.N.I e' contenuta nell'art. 3, comma 231 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, cosi' come sostituito dall'art. 24, comma 26, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Essa si limita a prevedere che «con decreto del Ministro delle finanze sono stabilite le quote di prelievo sull'introito lordo delle scommesse, da destinarsi al C.O.N.I. al netto dell'imposta unica di cui alla legge 22 dicembre 1951, n. 1379, con aliquota del 5%, e delle spese relative all'accettazione e alla raccolta delle scommesse medesime e alla gestione del totalizzatore nazionale». Il decreto del ministro delle finanze e' effettivamente intervenuto ed e' il decreto 15 febbraio 1999. Esso, in premessa, si riferisce ad alcuni criteri che dovrebbero aver guidato l'amministrazione nella determinazione dell'ammontare del prelievo. In particolare, si dice che «la rimodulazione dei prelievi, effettuata tenendo conto della propensione degli scommettitori ai diversi tipi di scommesse, risponde a un criterio volto a garantire che l'ammontare dei prelievi stessi a favore del C.O.N.I. sia determinato in proporzione e in relazione al crescere delle difficolta' del tipo di scommessa». Inoltre, si fornisce un giudizio di congruita' circa il fatto che l'ammontare delle quote, cosi' come determinato, garantisca al C.O.N.I. l'espletamento dei suoi compiti istituzionali e consenta il raggiungimento di un congruo livello di gettito erariale derivante dall'effettuazione delle scommesse, scoraggiando nel contempo il ricorso alle scommesse clandestine. Infine, si sottolinea la necessita' di rideterminare le quote sulle scommesse predette in modo tale da assicurare un tendenziale equilibrio con le quote di prelievo sulle scommesse relative alle corse dei cavalli. Tali criteri portano alla determinazione contenuta nell'art. 2 del decreto, ove le quote di prelievo sull'introito lordo delle scommesse a totalizzatore e a quota fissa, sono stabilite con percentuali crescenti in base al numero degli eventi (dal 10% su scommesse a due eventi, fino al 40% su scommesse con oltre 2.700 eventi). 6. - Le quote di prelievo possono essere classificate quali prestazioni patrimoniali imposte, e ricadono quindi anch'esse nella sfera di applicabilita' dell'art. 23 Cost. Cio' si desume applicando al caso delle quote di prelievo gli indici che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha ampiamente elaborato attraverso una giurisprudenza ormai risalente. Nell'intento di precisare gli essenziali elementi per individuare le prestazioni patrimoniali imposte che giustificano la garanzia della riserva di legge prevista dall'art. 23 della Costituzione e i consequenziali limiti alla discrezionalita' della pubblica amministrazione, la Corte aveva originariamente fatto riferimento solo alla natura autoritativa dell'atto che costituisce la prestazione, in quanto emesso indipendentemente dalla volonta' del soggetto passivo (sentenze nn. 4, 30, 47 e 122 del 1957; n. 36 del 1959; nn. 51 e 70 del 1960; n. 65 del 1962; n. 55 del 1963. Successivamente, pero', la Corte ha ravvisato la natura di prestazione imposta anche nelle ipotesi in cui la prestazione stessa, pur nascendo da un contratto privatistico volontariamente stipulato dall'utente col titolare del bene o del servizio e quindi dando luogo a un rapporto negoziale di diritto privato si riferisca a un servizio che, in considerazione della sua particolare rilevanza, venga riservato alla mano pubblica e l'uso di esso sia da considerare essenziale ai bisogni della vita. In tale situazione, il cittadino e' certo libero di stipulare o non stipulare il contratto, ma questa liberta' si riduce alla possibilita' di scegliere fra la rinuncia al soddisfacimento di un bisogno essenziale e l'accettazione di condizioni e di obblighi unilateralmente e autoritativamente prefissati (sentenza n. 72 del 1969, in tema di tariffe del servizio telefonico; sentenza n. 127 del 1988, che qualifica prestazione patrimoniale imposta il pagamento del diritto di approdo da parte dell'utente del bene demaniale). Nel complesso, la giurisprudenza costituzionale ha qualificato prestazioni patrimoniali imposte (oltre ai casi gia' citati) i canoni per la derivazione dai bacini imbriferi montani (sentenza n. 122 del 1957), quelli per le pubbliche affissioni (sentenza n. 36 del 1959), per lo sconto obbligatorio sui prezzi dei medicinali (sentenza n. 70 del 1960), per l'occupazione di suolo pubblico (sentenza n. 2 del 1962) per i contributi ad un consorzio di bonifica (sentenza n. 55 del 1963). Da questa giurisprudenza complessiva la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 236 del 1994) ha infine estratto alcuni principi, che servono ad individuare le prestazioni patrimoniali imposte: non e' elemento determinante, ma secondario e supplementare, la formale qualificazione della prestazione; non e' elemento determinante la fonte negoziale o non negoziale (legislativa) dell'atto costitutivo dell'obbligazione; non rileva in modo decisivo l'inserimento di obbligazioni ex lege in contratti privatistici, ovvero la maggiore o minore valenza sinallagmatica delle prestazioni rispettive. Cio' che conta ed e' decisivo, dice la Corte, sono gli aspetti pubblicistici dell'intervento delle autorita'. In particolare, cio' che conta e' la disciplina della destinazione e dell'uso di beni o servizi, per i quali - in considerazione della loro natura giuridica, della situazione di monopolio pubblico o della essenzialita' di alcuni bisogni di vita soddisfatti da quei beni o servizi - accade che la determinazione della prestazione sia unilateralmente imposta con atti formali autoritativi, che, incidendo sostanzialmente sulla sfera dell'autonomia privata, giustificano la previsione di una riserva di legge. Ora, non e' difficile riscontrare la presenza degli elementi ricordati nella complessiva disciplina che impone ai concessionari del servizio di scommesse il versamento delle quote: vi e' una situazione di monopolio, giacche' l'organizzazione, la gestione e l'esercizio delle scommesse e' riservato in principio all'autorita', e puo' essere affidato a privati solo tramite concessioni. Si osservi che l'attivita' di raccolta, accettazione e intermediazione di scommesse, in assenza di concessione, e' vietata penalmente (art. 4, legge 13 dicembre 1989, n. 401; art. 37, comma 4, legge 23 dicembre 2000, n. 388); dal canto suo, il privato che aspira alla concessione e' certo libero di sottoscrivere o non sottoscrivere la convenzione (che fa parte integrante della concessione stessa), ma questa liberta' si riduce alla scelta fra la rinuncia alla gestione del servizio di scommesse e l'accettazione di condizioni e di obblighi unilateralmente e autoritativamente imposti. Sul contenuto della convenzione - e in particolare sulle obbligazioni di versare le quote in essa previsto - il privato non puo' infatti incidere: la percentuale di prelievo non e' contrattabile da parte del concessionario, ma e' imposta dalle fonti pubblicistiche che abbiamo ampiamente esaminato. Ne' rileva che l'importo complessivo del prelievo vari al variare dell'ammontare totale delle scommesse (elemento che, in principio almeno, non e' del tutto sottratto all'influenza del concessionario), giacche' quel che conta e' la determinazione autoritativa della percentuale; non varrebbe ad escludere la natura di prestazione imposta la qualifica delle quote di prelievo quali corrispettivi della concessione: come si e' visto, la Corte non attribuisce rilievo alla qualificazione formale della prestazione, ne' alla natura negoziale o non negoziale della fonte dell'obbligazione, ne' alla circostanza che l'obbligazione imposta ex lege si inserisca entro uno schema negoziale. Quel che conta, alla fine, per qualificare le quote di prelievo quali prestazioni patrimoniali imposte, e' proprio e solo la determinazione autoritativo-pubblicistica della percentuale - differenziata per tipi e fasce di scommesse - utile al calcolo delle quote di prelievo. Trattandosi di prestazione patrimoniale imposta, ne deriva che la disciplina sulle quote di prelievo deve essere assoggettata allo scrutinio di legittimita' costituzionale alla luce dell'art. 23 Cost. 7. - Secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza costituzionale, il principio della riserva di legge ex art. 23 Cost. va inteso in senso relativo, ponendo l'obbligo per il legislatore di determinare preventivamente e sufficientemente criteri direttivi di base e linee generali di disciplina dell'attivita' amministrativa (cfr. da ultimo Corte cost., sentenza n. 157 del 1996, e ordinanze nn. 7 e 323 del 2001). Detto altrimenti, il principio enunciato nell'art. 23 Cost., secondo cui l'imposizione di prestazioni patrimoniali e' autorizzata solo «in base alla legge», esprime una riserva di legge solo relativa, nel senso che non impedisce l'assegnazione ad organi amministrativi di compiti non meramente esecutivi (compiti esecutivi potrebbero essere il fissare forme e termini per il pagamento di un'imposta), ma in qualche sorta integrativi come, ad esempio, la determinazione di elementi, presupposti o limiti, variamente individuabili, di una prestazione imponibile, in base a dati e apprezzamenti tecnici: unica condizione come si diceva, e' che nella legge siano preventivamente indicati - e in modo sufficiente - criteri direttivi di base o linee generali idonee a limitare la discrezionalita' nella produzione di fonti secondarie (cfr. Corte cost. n. 129 del 1969, n. 27 del 1979). Con riferimento alle quote di prelievo sulle scommesse sportive, spettanti al C.O.N.I., i criteri direttivi di base e le linee generali di disciplina non sono effettivamente contenute in legge o, comunque, in una fonte primaria. Come gia' evidenziato, la legge (art. 3, comma 231, legge 28 dicembre 1995, n. 549, come modificato) si limita a stabilire che le quote di prelievo sono stabilite con decreto del Ministro delle finanze. Ma l'identificazione dell'Ente competente alla decisione non e' sufficiente, perche' ovviamente non costituisce un criterio direttivo di base ne' una linea generale di disciplina. La restante parte della norma citata si limita a dire che le quote vengono destinate al C.O.N.I., al netto dell'imposta unica e delle spese. Ma quel che conta, e' la determinazione delle percentuali che consentono di calcolare l'importo delle quote. Ora, pur se non si ritiene necessario che tali percentuali siano dettagliatamente e definitivamente indicate in legge (anche se cio' non sarebbe inopportuno), e' pero' indispensabile che la legge fornisca dei criteri e delle linee-guida che delimitino sufficientemente la discrezionalita' dell'amministrazione nella determinazione concreta di tali percentuali. Ebbene: sui criteri che conducono l'amministrazione al calcolo di tali percentuali, e che dovrebbero servire a vincolare l'amministrazione e ad impedirne l'arbitrio, la fonte legislativa tace. Non tace invece il decreto del Ministro delle finanze, il quale, in premessa, come pure si e' detto, indica una serie di criteri che dovrebbero aver guidato il Ministero nella decisione circa tali percentuali. Ora, a parte la genericita' di alcuni di tali criteri (garantire al C.O.N.I. l'espletamento delle sue funzioni istituzionali; garantire che l'ammontare dei prelievi sia determinato in proporzione al crescere della difficolta' della scommessa ecc.), il punto e' che tali criteri avrebbero dovuto essere decisi dalla legge, perche' questo e' il senso della riserva posta dall'art. 23 Cost. laddove si abbia a che fare con prestazioni patrimoniali imposte. Il fatto che, invece, tali criteri figurino nella premessa di un atto normativo secondario e' la prova decisiva dell'insufficienza - e percio' dell'incostituzionalita' - della disciplina legislativa in materia. 8. - Come si e' detto in precedenza, l'eventuale incostituzionalita' della disciplina in tema di quote di prelievo «reagisce» sulla stessa valutazione da svolgere sulla disciplina legislativa in tema di imposta unica. E, si badi, tale «reazione» si verifica anche a non accettare la tesi per cui le stesse quote di prelievo sono prestazioni patrimoniali imposte, soggette al necessario rispetto dell'art. 23 Cost.: si verifica infatti comunque la circostanza per cui la norma di legge sull'imposta unica risulta non conforme all'art. 23 Cost., dovendosi dedurre da fonti secondarie e non primarie un elemento essenziale della prestazione tributaria. Infatti, l'art. 4, comma 1, lett. b) del d.lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, prevede che le aliquote dell'imposta per le scommesse siano legate, in percentuali prefissate, alle quote di prelievo stabilite per ciascuna scommessa. Proprio in quanto le aliquote in questione siano da determinarsi con riferimento ai prelievi sulle scommesse sportive, si puo' affermare che l'incostituzionalita', per violazione dell'art. 23 Cost., della disciplina relativa a quel tipo di scommesse, «reagisca» sull'art. 4 cit. determinandone l'incostituzionalita' «derivata»: risulta alla fine che l'aliquota dell'imposta unica sulle scommesse sportive non e' determinata con riferimento a criteri e parametri chiaramente prestabiliti in legge, ma dipende di fatto da decisioni amministrative (sulle quote di prelievo) a loro volta non ancorate a parametri e criteri fissati in fonte primaria.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritiene rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 23 Cost., l'eccezione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1, lett. b), del d.lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, nonche' dell'art. 3, comma 231, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (come modificato dall'art. 24, comma 26, della legge 27 dicembre 1997, n. 549); Sospende il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con la prova delle notificazioni e comunicazioni di cui all'art. 23, comma 4, legge 11 marzo 1953, n. 87; Ordina che a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Pistoia, addi' 30 settembre 2002 Il Presidente: Lacava Il relatore: Giovannelli 03C0416