N. 291 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 marzo 2003

Ordinanza  emessa  il  6  marzo  2003  dalla  Corte di cassazione sul
ricorso proposto da Gennuso Giuseppe contro Sbona Sebastiano ed altri

Elezioni  - Regione Sicilia - Ineleggibilita' alla carica di deputato
  regionale   dei  capi  servizio  di  uffici  statali  che  svolgono
  attivita' nelle Regioni - Ritenuta genericita' ed elasticita' della
  formulazione   della  norma  censurata  -  Violazione  del  diritto
  all'elettorato  passivo  -  Riferimento  alla  sentenza della Corte
  costituzionale n. 166 del 1972.
- Legge Regione Sicilia 20 marzo 1951, n. 29, art. 8, secondo comma.
- Costituzione, art. 51, primo comma.
(GU n.16 del 23-4-2003 )
                       LA CORTE DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso
proposto da: Gennuso Giuseppe, elettivamente domiciliato in Roma, Via
Flaminia n. 79, presso l'avvocato Filippo Lubrano, che lo rappresenta
e  difende unitamente all'avvocato Girolamo Rubino, giusta mandato in
calce al ricorso, ricorrente;
    Contro  Sbona  Sebastiano, elettivamente domiciliato in Roma, Via
Antonio   Gramsci   n. 20,   presso   l'avvocato   Paolo   Salvatori,
rappresentato  e  difeso  dall'avvocato  Giovanni Pitruzzella, giusta
procura a margine del controricorso, controricorrente; nonche' contro
Assemblea   Regione   Siciliana,  Ufficio  centrale  circoscrizionale
tribunale,  Presidenza  Regione  Sicilia, procuratore generale presso
procura  generale  Corte  d'appello  di Palermo; procuratore generale
presso  Cassazione,  intimati;  avverso la sentenza n. 671/2002 della
Corte d'appello di Palermo, depositata il 28 giugno 2002;
    Udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
24 gennaio 2003 dal consigliere dott. Carlo De Chiara;
    Uditi per il ricorrente, gli avvocati Rubino e Lubrano, che hanno
chiesto l'accoglimento del ricorso;
    Udito  per  il resistente, l'avvocato Pitruzzella, che ha chiesto
il rigetto del ricorso o in subordine eccezione di costituzionalita';
    Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore generale dott.
Ennio  Attilio  Sepe, che ha concluso per il rigetto del ricorso o in
subordine  eccezione di legittimita' costituzionale in relazione alla
norma n. 7, art. 81, legge regionale n. 29/51.

                            O s s e r v a

    1.  -  Con  ricorso  depositato  il  24 settembre  2001, Giuseppe
Gennuso,  primo  dei  non  eletti  della lista avente il contrassegno
"CDU" alle elezioni per il rinnovo dell'Assemblea Regionale Siciliana
svoltesi  il 24 giugno 2001, chiedeva dichiararsi l'ineleggibilita' a
deputato  regionale  di  Sebastiano Sbona (dichiarato eletto), avendo
quest'ultimo,  sia  prima,  sia  durante la candidatura, ricoperto la
carica  di capo area della Sicilia sud orientale del settore medicina
legale  dell'I.N.A.I.L.,  nonche'  svolto  le  funzioni  di direttore
sanitario  dello stesso istituto presso la sede di Siracusa. Deduceva
il  ricorrente  che  da cio' conseguiva l'ineleggibilita' dello Sbona
sotto  tre profili: ai sensi dell'art. 3, comma 9, d.lgs. 30 dicembre
1992,  n. 502  (applicabile per effetto del rinvio di cui all'art. 13
della  legge  12  giugno  1984,  n. 222,  e  all'art. 47  della legge
23 dicembre  1978,  n. 833);  ai sensi dell'art. 8, n. 7, della legge
regionale  siciliana  20 marzo  1951,  n. 29;  ai sensi dell'art. 10,
n. 4, della medesima legge regionale.
    Resisteva  in  giudizio  lo Sbona, mentre non si costituivano gli
altri intimati (Ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale
di  Siracusa, Assemblea Regionale Siciliana, Presidenza della Regione
Siciliana), e l'adito Tribunale di Palermo rigettava il ricorso.
    La  decisione del tribunale, gravata dal Gennuso con appello, cui
ha resistito lo Sbona, e stata confermata dalla Corte palermitana con
sentenza del 28 giugno 2002.
    Ha ritenuto (per quanto qui ancora rileva) la Corte di appello:
        che   non   sia   applicabile   all'appellato   la  causa  di
ineleggibilita' di cui all'art. 3, comma 9, d.lgs. n. 502 del 1992 su
richiamato,   prevista   per   dirigenti  (direttore  amministrativo,
direttore  sanitario)  delle AUSL, in quanto, seppure l'art. 13 della
legge  n. 222  del  1984,  preveda  l'estensione ai medici degli enti
previdenziali della disciplina prevista per i medici delle AUSL dalle
norme   di  cui  all'art. 47  della  legge  n. 833  del  1978,  cosi'
equiparando   il   trattamento   giuridico  ed  economico  delle  due
categorie,  non puo', tuttavia, estendersi ai dirigenti I.N.A.I.L. la
causa  di ineleggibilita' in questione, prevista esclusivamente per i
direttori  delle  AUSL, attesa la natura eccezionale delle previsioni
di  ineleggibilita,  le quali sono dunque di stretta interpretazione,
onde  va  privilegiata,  tra diverse soluzioni interpretative, quella
che meno sacrifica il diritto di elettorato passivo del cittadino;
        che,  del  pari,  sia  da escludere la ineleggibilita' per la
causa  di cui all'art. 10, n. 4, della legge regionale n. 29 del 1951
(relativa ai "direttori generali e centrali di enti pubblici soggetti
per legge alla vigilanza o tutela della regione"), non piu' in vigore
ai sensi dell'art. 13 della legge regionale 20 giugno 1997, n. 19, il
quale  ha  sancito  il permanere delle fattispecie di ineleggibilita'
previste dagli artt. 8 (con esclusione del n. 4), 9 e 10 della citata
legge  regionale  n. 29  del  1951,  ma  soltanto nei limiti e con la
disciplina  stabilita  dagli  artt. 2,  3  e  4 della legge (statale)
23 aprile  1981,  n. 154: la fattispecie invocata dall'appellante non
e',   appunto,   prevista   dalla   legge   statale   come  causa  di
ineleggibilita',  bensi  come causa di incompatibilita' (art. 3 della
legge n. 154 del 1981);
        che,   infine,   neppure   sia   applicabile   la   causa  di
ineleggibilita'  di cui all'art. 8, n. 7, della legge regionale n. 29
del  1951  su richiamata (relativa ai "capi servizio ... degli uffici
statali  che  svolgono  attivita'  nella  regione"), essendo stata la
stessa  -  considerato  il  tenore  del  citato  art. 13  della legge
regionale  n. 19 del 1997 - sostanzialmente abrogata perche' prevista
dalla  sola  legge  regionale, e non anche dalla legge statale n. 154
del  1981,  su  richiamata; senza considerare che la Corte cost., con
sentenza  n. 166 del 22 novembre 1972, ha dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  della  disposizione  di  cui  all'art. 5, n. 7, delIa
legge  (statale)  17 febbraio 1968, n. 108, concernente i "capi degli
uffici  regionali, provinciali e locali dello Stato nella regione", a
causa  della  estrema  genericita'  ed  elasticita'  della  causa  di
ineleggibilita' delineata.
    Avverso  tale  sentenza  Giuseppe  Gennuso  propone  ricorso  per
Cassazione  articolato  in  tre  motivi.  Resiste  con  controricorso
Sebastiano  Sbona.  Il  ricorrente  ha  inoltre  depositato  memoria,
nonche'   documentazione,  proveniente  dall'I.N.A.I.L.,  concernente
l'attivita'  di  istituto  svolta  dal  dott. Sbona nel periodo della
campagna  elettorale  (documentazione non depositata nelle precedenti
fasi  di  merito,  ne'  con  il  ricorso, in quanto ottenuta soltanto
successivamente,  a  seguito  di  giudizio  di  accesso  ai documenti
amministrativi),  a dimostrazione dell'effettivo "rilievo elettorale"
di  tale attivita', per l'influenza esercitabile, mediante la stessa,
sugli elettori. Gli altri intimati non svolgono difese.
    2. - I tre motivi del ricorso deducono tutti violazione di legge.
    2.1.  -  Con il primo motivo il riconente lamenta che la Corte di
appello  abbia  escluso  l'applicabilita' allo Sbona, quale capo area
della   Sicilia   sud   orientale   del   settore   medicina   legale
dell'I.N.A.I.L. e direttore sanitario dello stesso istituto presso la
sede   di   Siracusa,   della   causa   di  ineleggibilita'  prevista
dall'art. 3,  comma  9,  d.lgs.  n. 502 del 1992 su richiamato, per i
direttori  sanitari delle aziende sanitarie locali. Sostiene che tale
disposizione   sia   direttamente   e   strettamente   -   non   gia'
analogicamente   o   estensivamente   -   applicabile  ai  dipendenti
dell'I.N.A.I.L.  aventi  le stesse funzioni, in dipendenza del rinvio
agli  istituti normativi previsti per i medici delle unita' sanitarie
locali  dalle  norme  dell'art. 47,  della  legge n. 833, del 1978 su
richiamata,   operato  dall'art. 13  della  legge  n. 222,  del  1984
richiamata,   che  realizza  la  piena  equiparazione  del  direttore
sanitario  dell'ente  previdenziale  rispetto  all'omologo  direttore
sanitario dell'unita' sanitaria locale.
    2.2.  -  Con  il secondo motivo censura la sentenza impugnata per
aver  negato  la  vigenza  della  causa  di  ineleggibilita' prevista
dall'art. 8,  secondo  comma,  n. 7,  della legge regionale n. 29 del
1951  gia'  nichiamata, per "i capi servizio ... degli uffici statali
che  svolgono  attivita'  nella  regione". Richiama, a tal proposito,
Cass.  6 luglio 2002, n. 9831, la quale esclude che possano ritenensi
abrogate  le norme di ineleggibilita' della legge regionale del 1951,
atteso   che   l'art. 13  della  legge  regionale  del  1997,  n. 19,
stabilisce che le stesse "rimangono", ancorche' con le diverse regole
di attuazione previste dalla legge statale n. 154 del 1981. Soggiunge
che  neppure  puo'  affermarsi  che il citato art. 8, n. 7, sia stato
travolto  dalla  dichiarazione di illegittimita' (con sentenza n. 166
del 22 novembre 1972, della Corte costituzionale) della diversa norma
di  cui  all'art. 5, n. 7, della legge n. 108 del 1968, relativa alla
ineleggibilita'  ai  consigli  delle  regioni a statuto ordinario dei
capi  degli  uffici regionali, provinciali e locali dello Stato nella
regione. Osserva, infine, nella memoria illustrativa del ricorso, che
l'art. 8,   n. 7,   cit.,   non   prevede,  comunque,  una  causa  di
ineleggibilita'  dai  contorni  generici  ed  elastici, individuando,
invece,  ipotesi  piu'  circoscritte  (rispetto a quelle dell'art. 5,
n. 7,  della  legge n. 108 del 1968 su richiamata) di ineleggibilita'
"per  particolari  categorie  di funzionari che svolgendo funzioni di
coordinamento  e  direzione  (capi  servizio) nell'ambito dei diversi
settori  degli  uffici  statali nella regione, possono influire sulla
volonta'  dell'elettorato o determinare ipotesi di conflitto rispetto
alle funzioni connesse alla carica elettiva regionale".
    2.3.  -  Con il terzo motivo il ricorrente critica la esclusione,
da   parte  della  Corte  di  appello,  della  prospettata  causa  di
ineleggibilita'  fondata  sull'art. 10,  n. 4,  della legge regionale
n. 29  del 1951, il quale ha - secondo il ricorrente - riferimento ai
"dirigenti  di  enti pubblici e privati soggetti a vigilanza o tutela
della regione o dello Stato". Osserva che l'I.N.A.I.L., espletando in
Sicilia  un  servizio rientrante nella competenza primaria regionale,
ai  sensi  dell'art. 17,  lett.  f), dello Statuto di autonomia, puo'
correttamente  definirsi  ente  pubblico  soggetto  a vigilanza della
regione;  afferma,  inoltre,  che erroneamente la Corte di appello ha
ritenuto  che,  in forza dell'art. 13 della legge regionale n. 19 del
1997,  la causa di ineleggibilita' in questione sia stata trasformata
in  causa  di incompatibilita' per essere la fattispecie disciplinata
come tale dall'art. 3 della legge n. 154 del 1981 su richiamata: vero
invece - ad avviso del ricorrente - che il legislatore regionale, con
l'art. 13  richiamato,  ha  inteso  rinviare  alla  normativa statale
esclusivamente  per  la  disciplina  degli  aspetti procedurali della
ineleggibilita',    lasciando   inalterata   la   definizione   delle
fattispecie,   compiuta   dalla  legge  regionale  nell'esercizio  di
potesta' legislativa primaria.
    Dal  carattere  primario della potesta' legislativa della Regione
Sicilia  in  materia  di  elezioni dell'Assemblea Regionale deriva la
prevalenza,  in  caso  di  contrasto, delle norme regionali su quelle
statali,  con  l'ulteriore conseguenza che le ipotesi in cui la legge
nazionale  si applica anche per la Sicilia sono limitate ai soli casi
in  cui  la  volonta'  del  legislatore  regionale  in  tal senso sia
espressa   ed   inequivoca,   mentre  invece,  nei  casi  in  cui  la
ricostruzione  di  tale volonta', non immediatamente percepibile, sia
"frutto  di  un'operazione  di  esegesi  normativa  o  di  un'analisi
semantica",  occorre  adottare  un'interpretazione  che  valorizzi  e
tuteli, nella sua forma piu' lata, la potesta' legislativa regionale.
    2.4. - Con   riguardo  al  secondo  motivo,  il  controricorrente
solleva la questione della illegittimita' costituzionale dell'art. 8,
secondo  comma,  n. 7,  della  legge  regionale  n. 29  del 1951, per
contrasto  con gli art. 3 e 51 Cost. (questione accennata, del resto,
anche  dalla sentenza impugnata, ma non formalmente sollevata perche'
considerata  non  rilevante  nel  giudizio,  alla luce della ritenuta
abrogazione della norma sospetta di incostituzionalita).
    Osserva  il  controricorrente,  anche  sulla  scorta  della  gia'
richiamata  Corte  cost.  n. 166  del  22 novembre 1972, che la norma
regionale  in  questione,  nel prevedere una causa di ineleggibilita'
dai  contorni  estremamente  generici  ed  elastici,  viola l'art. 51
Cost.,   che   rimette   alla  legge  di  stabilire  i  requisiti  di
eleggibilita',  e quindi anche le cause di ineleggibilita', le quali,
pero',  costituendo  eccezioni  al  principio  del libero accesso dei
cittadini,  in  condizioni  di  uguaglianza,  alle  cariche elettive,
devono  necessariamente  essere  adeguatamente  tipizzate dalla legge
medesima,   onde  evitare  incertezze  lesive  della  pari  capacita'
elettorale  passiva  dei  cittadini;  la  stessa norma, a suo avviso,
viola,  altresi',  l'art. 3 Cost., per il contrasto con la disciplina
prevista  per le regioni a statuto ordinario e per le altre regioni a
statuto  speciale,  con conseguente disparita' di trattamento, quanto
alla  eleggibilita'  a  consigliere  regionale  nelle  altre regioni,
rispetto   alla  elezione  alla  carica  di  deputato  dell'Assemblea
Regionale    Siciliana.    Afferma,   pertanto,   che   una   lettura
costituzionalmente  orientata  della norma imporrebbe di considerarla
abrogata   e   solleva,   comunque,   in   subordine,   eccezione  di
illegittimita' costituzionale della stessa norma.
    3.  -  Ritiene  questa  Corte  che la questione sia rilevante nel
presente  giudizio,  giacche'  - per quanto appresso si dira' - da un
lato  il  primo  ed  il  terzo  motivo  del ricorso (i quali, facendo
rifenimento   ad   autonome   cause   di  ineleggibilita',  sarebbero
suscettibili  di  definire  il  giudizio  prescindendo dall'esame del
secondo  motivo)  appaiono  non  accoglibili; dall'altro neppure puo'
affermarsi  che  la  citata  disposizione dell'art. 8, secondo comma,
n. 7,  della legge regionale n. 29 del 1951, sia stata abrogata (come
invece   afferma   la  sentenza  impugnata)  o  sia  suscettibile  di
interpretazione   costituzionalmente   orientata  (come  sostiene  il
controricorrente).
    3.1.  -  Il  primo  motivo  del ricorso muove dal presupposto che
l'art. 13  legge  n. 222 del 1984, gia' richiamato, realizzi la piena
equiparazione,  ad  ogni  effetto  giuridico,  dei direttori sanitari
degli enti previdenziali a quelli delle unita' sanitarie locali.
    Invero  non puo' non osservarsi, gia' sul piano letterale, che la
norma  citata, rubricata "personale medico degli enti previdenziali",
si   limita   a   stabilire  che  "al  personale  medico  degli  enti
previdenziali si applicano integralmente" non gia' tutti gli istituti
normativi  riguardanti  i  medici  delle  USL,  bensi'  gli "istituti
normativi  previsti  per  i medici dalle norme di cui all'articolo 47
della legge 23 dicembre 1978, n. 833".
    L'art. 47  della  legge  di  riforma  sanitaria  n. 833 del 1978,
rubricato  "personale  dipendente",  reca disposizioni concernenti lo
stato   giuridico   ed   economico  del  personale  delle  USL.  Esso
stabilisce,  al primo comma, che "lo stato giuridico ed economico del
personale delle unita' sanitarie locali e' disciplinato, salvo quanto
previsto  espressamente  dal  presente  articolo,  secondo i principi
generali e comuni del rapporto di pubblico impiego".
    Per   quanto   attiene   in  generale  all'ineleggibilita',  puo'
ritenersi    acquisito    alla    nostra    cultura   giuridica   che
"l'ineleggibilita  trova  il suo logico fondamento nella volonta' del
legislatore  d'impedire a persone rivestite di una determinata carica
pubblica,   o   legate   da   vincoli   di  interessi  alla  pubblica
amministrazione, l'utilizzazione, ai fini di una loro elezione, delle
condizioni  di  particolare favore in cui esse si trovano, condizioni
che, in riferimento alla nostra Costituzione, violano di fatto sia il
principio  della  liberta'  di  voto  degli  elettori  (art. 48 della
Cost.),   sia   quello   dell'accessibilita'  alle  cariche  elettive
pubbliche  in  condizioni  di  uguaglianza  (art. 51 della Cost.)". E
questo  per  limitare il tempo di indagine al periodo successivo alla
promulgazione  della  Costituzione  della  Repubblica, senza risalire
cioe'  alle  prime  previsioni  legislative  (che  risalgono  al r.d.
10 marzo  1904,  n. 108, all'art. 144 del T.U. che approvava la legge
comunale  e  provinciale  21  maggio  1908,  n. 269  -  significativo
l'art. 102  -.  A questo proposito, altrimenti, si potrebbe ricordare
l'art. 89  della  legge  15 febbraio  1925, n. 122, che modificava il
r.d.  13 dicembre  1923,  n. 2694,  che cosi' prevedeva: "Non possono
essere  eletti  deputati  al Parlamento i funzionari, gli impiegati e
chiunque  riceva  uno  stipendio  sul  bilancio di qualsiasi pubblica
amministrazione, se non abbiano fatto cessare tale impedimenti ...").
    E'  del  pari  certo che il legislatore ha ripetutamente, e sotto
forme  diverse,  sancito  la  ineleggibilita'  di  soggetti svolgenti
funzioni  pubbliche  che  versavano  per cio' stesso nelle condizioni
legislativamente   fissate   (art. 122   della   Cost.   cosi'   come
successivamente modificato con l'art. 2 della legge costituzionale 22
novembre  1999,  n. 1,  il  quale,  nell'introdurre la modificazione,
precisava:  "nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge
della  Repubblica"),  come  tali da essere suscettibili di costituire
una  situazione  oggettiva  d'invalidita'  dell'atto  elettorale. Qui
basti ricondare, limitandoci alle elezioni degli enti territoriali:
        a)   con  riferimento  all'elezione  dei  consigli  comunali,
l'art. 15 del d.P.R. 5 aprile 1951, n. 203;
        b)  per  le regioni a statuto ordinario, l'art. 5 della legge
17 febbraio 1968, n. 108, in particolare lettera a) del quarto comma;
        c)  con  riferimento  alle  elezioni  regionali, provinciali,
comunali  e  circoscrizionali,  gli artt. 2 e 3 della legge 23 aprile
1981, n. 154;
        d) per i comitati regionali di controllo art. 43, della legge
8 giugno 1990, n. 142;
        e)   per   gli  amministratori  straordinari  della  gestione
transitoria  delle  unita'  sanitarie locali secondo il comma settimo
dell'art.1  del  d.l.  6 febbraio 1991, n. 35, cosi' come convertito,
con modificazioni, dalla legge 4 aprile 1991, n. 111;
        f)  specificamente  con  riguardo  al  direttore generale, al
direttore  amministrativo  ed  al  direttore  sanitario  della unita'
sanitaria  locale,  secondo  il  comma  nono  dell'art. 3  del d.lgs.
30 dicembre  1992,  n. 502,  cosi'  come aggiornato dall'art. 1 della
legge  23  ottobre 1992, n. 421, e tenuto conto del d.lgs. 7 dicembre
1993, n. 517, e dell'art. 26, comma nono, del d.lgs. 3 febbraio 1993,
n. 29;
        g)  con  riguardo  alla  elezione del sindaco, del presidente
della    provincia,   del   consigliere   comunale,   provinciale   e
circoscrizionale il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 60.
    L'art. 47  della  legge  n. 833 del 1978, al terzo comma, invero,
conferisce  una  delega  al  Governo  per l'emanazione di "uno o piu'
decreti  aventi  valore  di  legge  ordinaria per disciplinare ... lo
stato  giuridico  del  personale  delle  unita' sanitarie locali" nel
rispetto  di principi e criteri direttivi indicati nello stesso comma
e  nei  commi  seguenti.  In  nessun  luogo, pero', esso fa esplicito
riferimento alla disciplina dell'ineleggibilita'. Ne' tale disciplina
per  il personale delle USL e' contenuta nel d.P.R. 20 dicembre 1979,
n. 761,   attuativo  della  delega  in  questione  (anche  in  virtu'
dell'art. 1  della legge 22 ottobre 1979, n. 510, che ha prorogato al
20  dicembre  1979  la  scadenza  della  delega  stessa,  maturata il
30 giugno  1979, ai sensi dell'art. 471, n. 833 del 1978); ed infatti
il  d.lgs. n. 502 del 1992 su richiamato, contenente la previsione di
ineleggibilita'  invocata  dal  ricorrente,  non ha alcun riferimento
alla  delega  di  cui  all'art. 47  cit.,  essendo  stato  emanato in
esecuzione  di  una  diversa  delega,  quella  conferita  al  Governo
dall'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421.
    Di  conseguenza, posto che e' problematico annoverare la causa di
ineleggibilita'  in  esame,  tra  "i  principi  generali e comuni del
rapporto  di  pubblico  impiego", almeno ai fini del rinvio di cui al
primo  comma dell'art. 47 della legge di riforma sanitania n. 833 del
1978  su  richiamata:  ancorche',  come si e' visto, nell'ordinamento
giuridico  si  rinvengano  numerose  norme limitative dell'elettorato
passivo,   specialmente  con  riguardo  a  funzioni  apicali  statali
esercitate  nel  territorio  interessato  dalla  tornata  elettorale,
tuttavia  deve  concludersi  che,  in  presenza  della  normativa che
richiede  che  la  causa di ineleggibilita' sia prevista dalla "legge
della  Repubblica"  (art. 122  della  legge  costituzionale  n. 1 del
22 dicembre  1947),  e  poi  -  come  si  e' visto - "con legge della
regione"  (art. 2  legge  cost.le  22 novembre  1999, n. 1), essa non
rientra  tra  gli istituti normativi previsti dalle norme di cui allo
stesso articolo.
    Tale conclusione puo' ritenersi confermata sul piano sistematico,
nei limiti che di seguito sono esposti.
    L'art.  13  della  legge  n. 222  del  1984, infatti, e' inteso a
disciplinare   il  contenuto  del  rapporto  di  impiego  dei  medici
dipendenti   dagli  enti  previdenziali,  ossia  il  complesso  delle
posizioni  giuridiche  soggettive  reciprocamente intercorrenti tra i
medici  e  l'ente  da  cui  dipendono, ed il richiamato art. 47 della
legge   n. 833   del  1978  contempla,  appunto,  istituti  giuridici
(disciplina  dei ruoli del personale, tabelle di equiparazione per il
personale  proveniente  da  altre  amministrazioni,  esercizio  della
libera  attivita'  professionale  dei  medici  dipendenti,  attivita'
didattiche  e  scientifiche  degli stessi, comandi, ecc.) aventi tale
funzione   e   sinteticamente   richiamati   dall'espressione  "stato
giuridico",  che  vi figura; l'ineleggibilita' a una carica pubblica,
invece,  almeno  di  norma, riguarda l'accesso alla stessa (mentre la
qualita'  rivestita  dall'interessato  nell'ambito  del  rapporto  di
servizio ne costituisce, in genere, il presupposto) e, dunque, di per
se'  non  incide sui diritti dell'impiegato, ma concerne la posizione
del  cittadino  che  si  candida  a tale carica, al quale e' posto un
impedimento  giuridico  a  divenire  soggetto  passivo  del  rapporto
elettorale, cioe' ad essere eletto.
    Cio',  malgrado  sia  tutt'altro  che eccezionale il fatto che il
legislatore  disciplini  promiscuamente lo stato giuridico e le cause
di ineleggibilita'; basti a questo riguardo ricordare:
        a) la legge istitutiva dei Tribunale amministrativo regionale
6 dicembre  1971,  n. 1034,  nella  quale  all'art. 13  si disciplina
contemporaneamente   la   equiparazione  dello  stato  giuridico  dei
magistrati  del  Tribunale  amministrativo  regionale  a  quello  dei
magistrati  del  Consiglio  di  Stato, e la previsione delle cause di
ineleggibilita';
        b)  l'ordinamento  della  giurisdizione  amministrativa e del
personale   di   segreteria   27 aprile   1982,  n. 186,  nel  quale,
all'art. 28,  si  estendono  ai magistrati amministrativi le cause di
ineleggibilita' dei magistrati ordinari;
        c)  l'art. 4  del d.lgs. 7 dicembre 1993 n. 517, che modifica
proprio  l'art. 3 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e che al comma
7,  tratteggia  elementi dello stato giuridico del direttore generale
delle U.S.L. e, al comma 9, ne prevede i casi di ineleggibilita';
        d) altrettanto vale per l'art. 26 del d.lgs. 3 febbraio 1993,
n. 29 che concerne le qualifiche e le attribuzioni dei dirigenti;
        e)  l'art. 31  della legge 3 agosto 1999, n. 265, che prevede
il  testo  unico in materia di ordinamento degli enti locali, con una
disciplina sia "sullo stato giuridico", sia su "l'ineleggibilita'".
    E'  peraltro  problematico  che il legislatore intendesse, con il
rinvio  di  cui all'art. 13 della legge n. 222 del 1984, disciplinare
anche  il  tema  dell'ineleggibilita',  e,  per ragioni sistematiche,
appare preferibile non interpretare oltre i limiti sopra individuati,
la portata dello stesso rinvio.
    La  riferibilita'  della  previsione  di cui all'art. 3, comma 9,
d.lgs.  n. 502 del 1992, su richiamato, ai "direttori sanitari" degli
enti previdenziali (e, ove tale qualifica non esista nell'ordinamento
di  detti  enti, ai dirigenti con qualifica corrispondente), non puo'
fondarsi  sulla  diretta  applicazione  della norma. Peraltro, non si
versa  neppure  in  ipotesi di estensione analogica della stessa, che
deriverebbe  secondo  la impugnata sentenza dal carattere eccezionale
delle  previsioni  di  ineleggibilita' (ex multis: Corte cost. n. 141
del  23  aprile  1996,  n. 344,  dell'11  giugno  1993, nonche' Cass.
25 gennaio  2001,  n. 1073,  7  aprile  1992  n. 4266,  9 aprile 1982
n. 2212), poiche' cio' che si invoca e' l'applicazione del coordinato
disposto  degli  art. 47 della legge n. 833 del 1978 e 13 della legge
n. 222  del  1984  su  richiamate;  le  diverse  (ed invero sommarie)
argomentazioni  svolte  in  proposito nella sentenza impugnata, sono,
quindi,  da  rettificare  ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod.
proc. civ.
    Le  conclusioni  cui  si  e'  pervenuti,  infine,  assorbono ogni
considerazione  sul  tema  in  discussione, compresa, in particolare,
quella   effettivita'  del  "rilievo  elettorale"  dell'attivita'  di
istituto  svolta  dal dott. Sbona durante la campagna elettorale, che
il  ricorrente  aveva  chiesto  di  provare  e  cui  si riferiscono i
documenti  depositati  per  la  prima  volta  dal ricorrente presente
giudizio   di  legittimita'  (con  la  conseguenza  che  la  relativa
produzione  documentale  e'  irrilevante,  oltre che inammissibile ai
sensi dell'art. 372 cod. proc. civ.).
    3.2.   -   Il   secondo   e   il  terzo  motivo  vanno  esaminati
congiuntamente,  per  la  loro  connessione,  derivante  dalla comune
necessita'  di  affrontare  il  tema  della disciplina delle cause di
ineleggibilita'  a  membro  dell'Assemblea  Regionale  Siciliana  nel
coordinamento  delle norme di cui alla legge regionale n. 29 del 1951
ed   alla   legge   statale  n. 154  del  1981,  entrambe  richiamate
dall'art. 13 della legge regionale n. 19 del 1997.
    Sul  punto  questa  Corte  ha  gia'  avuto modo di esprimersi, in
particolare,  e  piu'  di  recente,  con  la  sentenza 6 luglio 2002,
n. 9831, richiamata sia dal ricorrente, sia dal controricorrente, nei
rispettivi  scritti  difensivi.  Detta sentenza, pur dando atto della
imperfetta  tecnica  normativa  seguita  dal  legislatore  regionale,
chiarisce  che  l'art. 13  della  legge  regionale  n. 19  del  1997,
rubricato  "modifiche  alla  legge  regionale  20 marzo 1951, n. 29 e
successive   modifiche  e  integrazioni",  nello  stabilire  che  "le
condizioni  di  ineleggibilita'  previste dall'art. 8, con esclusione
del  n. 4, dall'art. 9 e dall' art. 10 della legge regionale 20 marzo
1951, n. 29, e successive modifiche e integrazioni rimangono regolate
dagli  articoli  2,  3  e  4  della legge 23 aprile 1981, n. 154", ha
inteso  disporre  che le condizioni di ineleggibilita' previste dalla
legge  regionale  restano  ferme,  ossia permangono ("rimangono"), ma
sono  regolate secondo la legge statale. La legge regionale del 1997,
dunque  -  si  legge  nel  precedente  qui  richiamato - "modifica la
"regolamentazione"   di   alcune   delle   cause  di  ineleggibilita'
dell'art. 8  della  legge  del  1951,  che restano tali e sono spesso
indicate  anche  dalla  legge  statale  n. 154  del 1981, anche se in
qualche caso regolate come cause di incompatibilita'".
    Tra   le   cause   di   ineleggibilita'   trasformate,  in  forza
dell'art. 13 cit., in cause di incompatibilita', ai sensi dell'art. 3
della  legge  n. 154  del  1981,  la  sentenza espressamente annovera
quella,  appunto, di cui all'art. 10, n. 4, della legge regionale del
1951  su  richiamata,  riguardante  "i  commissari,  i liquidatori, i
presidenti,  i componenti di consigli di amministrazione o di collegi
sindacali,  i direttori generali o centrali di enti pubblici soggetti
per legge alla vigilanza o tutela della regione ..." (questo il testo
vigente   della   norma,  come  modificato  dall'art. 2  della  legge
regionale 18 febbraio 1958, n. 6 e confermato dall'art. 1 della legge
regionale    13    luglio   1972,   n. 33:   testo   richiamato   dal
controricorrente  -  che  ammette  di  aver rivestito la qualifica di
dirigente medico-legale di II livello, ex primario, dell'I.N.A.I.L. -
a  rettifica  della  errata  riproduzione  dello  stesso da parte del
ricorrente,  che riporta il testo originario della norma del 1951, il
quale  comprendeva  anche  "i  dirigenti  di  enti pubblici e privati
soggetti a vigilanza o tutela della regione o dello Stato").
    La  trasformazione  di  cause  di ineleggibilita', previste dalla
legge regionale n. 29 del 1951 (e successive modificazioni), in cause
di  incompatibilita',  ai sensi della legge n. 154 del 1981, in forza
dell'art. 13 della legge regionale n. 19 del 1997, e' affermata anche
dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 11 ottobre 1999, n. 11368
e Cass. 21 luglio 1998 n. 7123).
    La  richiamata Cass. 6 luglio 2002, n. 9831, chiarisce, altresi',
che  non  puo'  operarsi  la  sostituzione delle fattispecie previste
dalla  legge  regionale  del  1951  con  quelle  previste dalla legge
statale  del  1981, su richiamate, osservando che cio' "farebbe venir
meno condizioni d'ineleggibilita' assolutamente logiche", come quelle
di  cui  all'art. 8,  primo  comma,  nn. 5  e  6,  della  prima legge
(segretario  generale  della  presidenza  della  regione e segretario
particolare   del   presidente   della   regione  e  degli  assessori
regionali),    nonche'    "espressioni   di   valutazioni   riservate
all'assemblea  regionale,  nella sua potesta' legislativa", come, tra
le  altre,  quella  prevista  dall'art. 8,  secondo comma, n. 7 della
stessa legge.
    Le  fattispecie  di  ineleggibilita',  dunque,  rimangono  quelle
previste dalla legge regionale (sia pure, in alcuni casi, trasformate
in  fattispecie  di  incompatibilita',  come  sopra si e' visto), ivi
compresa quella da ultima citata, che resta causa di ineleggibilita'.
    Tale  orientamento questo Collegio fa proprio, non avendo ragione
di discostarsene.
    In   particolare,  non  sono  convincenti  i  rilievi  mossi  dal
ricorrente    alla    ritenuta    trasformazione   delle   cause   di
ineleggibilita',   previste   dalla  legge  regionale,  in  cause  di
incompatibilita' previste dalla legge statale.
    Che   la   Regione   Sicilia   abbia   in   materia  di  elezioni
dell'Assemblea Regionale potesta' legislativa primaria e che, dunque,
in  tale  materia  le  disposizioni  di legge regionali prevalgano su
quelle  statali,  non  e'  controverso. Ma qui si tratta, appunto, di
interpretare  il  disposto  di  una norma regionale - l'art. 13 legge
regionale  n. 19  del  1997  -  che  ha  espressamente  innovato alla
precedente  normativa,  sempre regionale. Il fatto che l'art. 13 anzi
richiamato,  faccia  rinvio  al  contenuto di norme statali non muta,
all'evidenza,  la natura della fonte normativa, che rimane pur sempre
quella  regionale,  e  il riferimento alle norme statali e' puramente
accidentale  e  strumentale,  espressione,  cioe',  di  mera  tecnica
legislativa,   fermo   restando  che  la  disciplina  risultante  dal
complesso meccanismo dei rinvii, in concreto adottato, e' a tutti gli
effetti disciplina regionale.
    Non  si  tratta, dunque, di comporre un conflitto o contrasto tra
legge  regionale e legge statale (operazione in cui il criterio delle
rispettive  competenze  delle  due  fonti torna di indubbia utilita),
pacifico  essendo  che  la norma statale richiamata in tanto opera in
quanto  sia  effettivamente  richiamata  dalla norma regionale, sulla
quale  soltanto  si  incentra l'operazione ermeneutica. E il "dubbio"
dell'interprete  va  risolto  alla luce del testo e della ratio della
norma  regionale:  cio'  che  ha  fatto,  appunto,  in  concreto,  la
richiamata  Cass.  6 luglio 2002 n. 9831. Non ha invece fondamento la
tesi  del  ricorrente,  secondo  cui l'interprete dovrebbe arrestarsi
davanti  a  tale  dubbio,  essendo  necessario  che  la  volonta' del
legislatore regionale sia immediatamente percepibile e non "frutto di
un'operazione  di  esegesi normativa o di un'analisi semantica": tale
impostazione,  invero,  nega  la  stessa  funzione dell'interprete (e
quindi  del  giudice)  e non trova riscontro nella disciplina e nella
teoria della interpretazione normativa.
    Deve  allora concludersi che la causa di ineleggibilita' prevista
dall'art. 10,   n. 4,   della  legge  regionale  n. 29  del  1951  (e
successive modificazioni) e' stata, in forza dell'art. 13 della legge
regionale n. 19 del 1997, trasformata in causa di incompatibilita', e
che  la causa di ineleggibilita' prevista dall'art. 8, secondo comma,
n. 7,  della  stessa  legge  regionale  n. 29  del 1951, non e' stata
abrogata  dal  citato  art. 13, ma e' tuttora vigente (e la contraria
affermazione  della  sentenza impugnata, errata, e' da rettificare ai
sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.).
    La  prima  delle  predette considerazioni conclusive, che assorbe
ogni  altra  considerazione  svolta  dalle  parti  in merito al terzo
motivo di ricorso, rende non accoglibile quest'ultimo.
    La  seconda  considerazione  da'  ragione  della  rilevanza,  nel
presente  giudizio,  della  questione  di legittimita' costituzionale
dell'art. 8,  secondo  comma,  n. 7,  della legge regionale n. 29 del
1951,  il  quale,  persistendo nel suo vigore, e' applicabile ai fini
della  decisione  sul  secondo  motivo  del  ricorso e sulla causa di
ineleggibilita' corrispondentemente prospettata.
    3.3.   -  La  valutazione  di  rilevanza,  tuttavia,  per  essere
completa, abbisogna ancora di ulteriori considerazioni.
    3.3.1. - La prima riguarda la eventualita' di una interpretazione
costituzionalmente     orientata     della    norma    sospetta    di
incostituzionalita'  (che  renderebbe inutile la sottoposizione della
questione  al giudice delle leggi), prospettata dal controricorrente,
in  termini,  invero, del tutto generici, sulla base della precedente
pronunzia  della  Corte  costituzionale  n. 166 del 22 novembre 1972,
nonche'  dell'effetto  abrogativo  derivante dal citato art. 13 della
legge regionale n. 19 del 1997.
    Ritiene   il  Collegio  che,  malgrado  l'"analoga"  formulazione
dell'art. 5, n. 7, della legge n. 108 del 1968 e dell'art. 8, secondo
comma,  n. 7,  della  legge  regionale n. 29 del 1951 (come meglio si
vedra'  in  seguito),  resta  il fatto che la richiamata pronuncia di
incostituzionalita'  riguarda esclusivamente la prima norma, distinta
dalla  seconda,  qui  in discussione (la prima concerne i "capi degli
uffici regionali, provinciali e locali dello Stato nella regione", la
seconda   "i   capi  servizio  degli  uffici  centrali  e  periferici
dipendenti o vigilati dalla regione, nonche' degli uffici statali che
svolgono  attivita' nella regione"), che dunque non e' stata travolta
da  quella pronuncia; si e' gia' spiegato, inoltre, per quali ragioni
non  possa neppure ritenersi realizzata l'abrogazione di quest'ultima
disposizione per effetto dell'art. 13 della legge regionale n. 19 del
1997.
    3.3.2.  -  La  seconda  considerazione  da  svolgere, in punto di
rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, riguarda un
profilo  non  evidenziato  dalle  parti, ma rilevabile di ufficio. La
disposizione    sospetta   di   incostituzionalita'   stabilisce   la
ineleggibilita'  dei  "capi  servizio  ...  degli  uffici statali che
svolgono attivita' nella regione". E' necessario, allora, chiarire se
tra  gli uffici "statali" rientrino anche gli uffici dell'I.N.A.I.L.,
essendo  il  dott.  Sbona,  appunto,  dirigente  di  detto  ente: se,
infatti,  si  ritenesse  che  gli  uffici dell'I.N.A.I.L. non sono da
considerare  "statali"  nel  senso  voluto dalla norma, vi sarebbe la
impossibilita'  di  ricondurre,  comunque,  la fattispecie concreta a
quella  astratta,  con conseguente non decisivita' della questione di
legittimita' costituzionale.
    L'I.N.A.I.L.,  come  noto,  fu  istituito  con r.d. 23 marzo 1933
n. 264,  assorbendo i vari enti, che sino ad allora erano autorizzati
a  gestire  l'assicurazione  contro  gli  infortuni sul lavoro, in un
unico  istituto,  amministrato  per  conto dello Stato e sotto la sua
vigilanza, oltre che delle categorie rappresentate; e' stato definito
come  ente  "parastatale"  o,  anche,  come ente autarchico in quanto
titolare  di poteri pubblici di certificazione, di autorganizzazione,
di autotutela in ordine ai propri atti, di imposizione. E' certamente
ente  strumentale  dello  Stato,  in quanto istituito dallo Stato, il
quale   altresi',   secondo   autorevole   dottrina,   "ne  determina
l'ordinamento,  ne  prevede  e  nomina  gli  organi  direttivi, fissa
l'indirizzo politico-amministrativo della sua attivita', precisando i
limiti e i modi in cui deve essere realizzata la tutela, li sottopone
al   suo   controllo.   L'attivita'   dell'Ente  e'  ridotta  a  pura
amministrazione,  intesa come mera esecuzione degli indirizzi e delle
scelte individuati dal legislatore".
    La  legge 21 dicembre 1978, n. 845 (con il d.P.R. 18 aprile 1979)
e  la legge 23 dicembre 1978, n. 833 hanno trasferito alle regioni ed
ai   comuni   gran   parte   delle   funzioni   assistenziali  svolte
dall'I.N.A.I.L.
    A questo riguardo si deve ricordare, per sottolineare i diversi e
penetranti  momenti di collegamento tra l'attivita' istituzionale sia
dello  Stato,  sia  della regione, con quella dell'I.N.A.I.L., che il
d.lgs.  19 giugno  1999,  n. 229,  all'art. 7,  modificando  l'art. 7
proprio  del  d.lgs.  n. 502  del  1992  su  richiamato,  introduceva
l'art. 7-octies  (Coordinamento  delle  attivita'  di prevenzione nei
luoghi   di   lavoro)   che  stabiliva:  "Con  atto  di  indirizzo  e
coordinamento,  emanato  ai  sensi  dell'art. 8  della legge 15 marzo
1997,  n. 59, sono definiti, sulla base dei principi e dei criteri di
cui  agli  artt. 7-bis  e  7-ter.  gli  indirizzi per un programma di
azione nazionale per la prevenzione degli infortuni e la tutela della
salute   nei   luoghi   di  lavoro,  con  particolare  attenzione  al
coordinamento  delle  competenze  ispettive  delle  unita'  sanitarie
locali,  cui  spetta  la  vigilanza sull'ambiente di lavoro, e quelle
degli  ispettorati  del lavoro e dell'I.N.A.I.L., nonche' delle altre
strutture di vigilanza, fermo restando quanto previsto in materia dal
d.lgs.  19 settembre  1994,  n. 626, e, in particolare gli artt. 25 e
27".
    E   l'art. 42  della  legge  regionale  3 novembre  1993,  n. 30,
disciplinava  proprio  la  tutela  della  salute nei luoghi di lavoro
specificando   le   attribuzioni   dell'assessorato  regionale  della
sanita',  confermando  la  specifica  competenza delle U.S.L. secondo
quanto  stabilito  dalla  legge  istitutiva  del  servizio  sanitario
nazionale agli artt. 20 e 21. Si ricordi altresi', piu' recentemente,
il d.l. 25 settembre 2001, n. 351, convertito nella legge 23 novembre
2001, n. 410, e l'art. 15 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38.
    Pertanto,  tenuto conto della evoluzione storica dell'Istituto ed
anche  dei  compiti  e delle attribuzioni, ritiene il Collegio che il
termine  "statali"  di  cui  all'art. 8  della legge regionale, possa
riferirsi  anche all'I.N.A.I.L. e vada, cioe', in questo caso, inteso
in senso lato: si' da comprendere non soltanto gli uffici dello Stato
in  senso  stretto,  ma  anche  quelli di altri enti - come, appunto,
l'I.N.A.I.L.  - formalmente dotati di personalita' giuridica distinta
da   quella   dello   Stato,   ma  comunque  definibili  "statali"  o
"parastatali"  in  quanto  completano  l'organizzazione  dello Stato,
rispetto   alla   quale   sono   direttamente  strumentali,  con  una
organizzazione  a  carattere nazionale, per la realizzazione dei fini
fondamentali  che  la  Costituzione assegna alla Repubblica (artt. 1,
primo  comma,  2,  35, e, soprattutto, per quanto qui rileva, secondo
comma dell'art. 38).
    E' inoltre da rilevare, come gia' si e' ricordato, che al momento
della  istituzione  del  servizio  sanitario nazionale, tra i compiti
fondamentali  delle  U.S.L.  era inclusa tutta la attivita' rivolta a
promuovere  la  sicurezza nei luoghi di lavoro, che e' certamente tra
le    finalita'    indirette,   ma   preminenti,   della   disciplina
dell'I.N.A.I.L..
    La  ratio  della  ineleggibilita'  in  questione,  ove  la  norma
superasse  lo  scrutinio  di  legittimita',  si coglierebbe anche con
riferimento  a tali enti statali e parastatali, per lo stretto legame
che li unisce allo Stato in virtu' dei penetranti poteri di ingerenza
che  quest'ultimo ha nella loro gestione; a titolo esemplificativo si
possono ricordare:
        a)  L'art. 1,  comma  trentaduesimo,  della legge 24 dicembre
1993,  n. 537,  prevede  la  delega  al  Governo per la emanazione di
decreti  delegati  riguardanti  "l'incorporazione  delle  funzioni in
materia  di  infortunistica  nell'I.N.A.I.L.";  il successivo art. 9,
comma  9,  stabilisce  per  l'I.N.A.I.L.  la "dismissione del proprio
patrimonio   immobiliare".   Seguiva  il  d.l.  n. 351  del  2001  su
richiamato e tutti i decreti attuativi.
        b)  L'art. 55  della legge 17 maggio 1999, n. 144, prevede la
delega   al  Governo,  tra  l'altro,  della  disciplina  ("riordino")
dell'I.N.A.I.L.,  con  una  vasta  e  minuziosa  predeterminazione di
principi e criteri direttivi.
        c)  L'art. 12,  comma  primo,  legge  11 marzo  1988,  n. 67,
riguardante  la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato  prevedeva  che, in deroga all'art. 14, terzo comma, lettera q,
della  legge  23  dicembre  1978, n. 833, "l'I.N.A.I.L. provvede agli
accertamenti,  alle certificazioni e ad ogni altra prestazione medico
legale sui lavoratori infortunati e tecnopatici". Al secondo comma di
detto  art. 12,  erano  poi previste le convenzioni delle regioni con
l'I.N.A.I.L.
        d) L'art. 95 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, prevede le
convenzioni stipulate secondo uno schema tipo approvato dal Ministero
della  sanita'  di  concerto  con  il  Ministero  del  lavoro e della
previdenza  sociale,  su  proposta dell'I.N.A.I.L. e della conferenza
permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province
autonome  di  Trento e di Bolzano; esse inquadrano l'erogazione delle
prestazioni  nell'ambito  della  programmazione sanitaria nazionale e
regionale.
    3.3.3.  -  La terza, ed ultima, considerazione riguarda ancora la
riconducibilita'   della   fattispecie  concreta  a  quella  astratta
delineata  dalla  norma.  Ad avviso del controricorrente, infatti, la
norma  farebbe riferimento esclusivamente ai soggetti "che dirigono e
rappresentano  l'ufficio  statale che opera nella regione", e dunque,
in  concreto,  "al rappresentante legale dell'I.N.A.I.L. di Siracusa,
ossia  al  direttore amministrativo (dirigente generale)", carica non
ricoperta  dal  dott.  Sbona,  che  ha svolto soltanto le funzioni di
dirigente del servizio medico-legale dell'I.N.A.I.L. di Siracusa.
    E'  pero'  del  tutto  arbitraria  tale limitazione della portata
della  norma,  la  quale  non contiene alcun riferimento al potere di
rappresentanza  legale, onde non puo' escludersi che la stessa, nella
sua formulazione ampia, sia riferibile anche a ruoli dirigenziali con
caratteristiche  apicali,  e,  nel  caso in esame, con riguardo ad un
intero  "servizio"  (quello  medico  legale), quale quello svolto dal
dott. Sbona.
    4.  - Passando, a questo punto, alla verifica di fondatezza, deve
osservarsi   che  la  questione  sollevata  dal  controricorrente  e'
manifestamente  infondata  con  riferimento  all'art. 3 Cost., avendo
gia'  da  tempo  la  Corte  costituzionale chiarito che e' "lo stesso
sistema  costituzionale  che,  richiedendo  leggi  particolari per le
singole  regioni a statuto speciale (secondo i casi legge regionale o
statale)  da  un  lato  e  una  legge  (statale) per quelle a statuto
ordinario,     implica    necessariamente    la    possibilita'    di
regolamentazioni  differenziate  anche  per quanto riguarda i casi di
ineleggibilita'" (Corte cost. n. 134 del 14 giugno 1975; nello stesso
senso  le  successive sentenze della Corte n. 20 del 24 gennaio 1985,
n. 130 dell'8 aprile 1987, n. 276 del 3 giugno 1997).
    Opposta  conclusione,  invece, potrebbe trarsi con riferimento al
parametro  dell'art. 51  Cost., sulla scorta, di nuovo, di un arresto
del  giudice  delle  leggi:  la sentenza n. 166 del 1972, richiamata,
come  si  e'  gia'  visto,  dal  controricorrente  e  dalla impugnata
sentenza.
    Con tale decisione, la Corte cost. ha dichiarato illegittimo, per
contrasto con l'art. 51 Cost., l'art. 5. n. 7, della legge n. 108 del
1968,  recante  "norme  per  la elezione dei Consigli regionali delle
regioni   a   statuto   normale",   nella   parte  in  cui  disponeva
l'ineleggibilita'  a  consigliere  regionale per i "capi degli uffici
regionali, provinciali e locali dello Stato nella regione, coloro che
ne fanno le veci per disposizione di legge o di regolamento".
    La  Corte  ha  motivato  osservando  che, sebbene l'art. 51 Cost.
rimetta alla legge di stabilire i requisiti di eleggibilita', i quali
possono  essere  sia  positivi,  sia  negativi  od ostativi, tuttavia
questi   ultimi   -   risolvendosi  in  cause  di  ineleggibilita'  e
costituendo,  dunque  eccezioni  al principio generale e fondamentale
del   libero   accesso   di  tutti  i  cittadini,  in  condizioni  di
uguaglianza,  alle  cariche  elettive,  sancito  dall'art. 51,  primo
comma, Cost. - devono essere tipizzati dalla legge con determinatezza
e   precisione   sufficienti   ad  evitare,  quanto  piu'  possibile,
situazioni  di  incertezza che finirebbero, in concreto, per incidere
sulla  proclamata  pari  capacita'  elettorale passiva dei cittadini.
Mentre,  invece,  "la norma denunciata stabilisce - oltre tutto senza
precedenti  e  senza  attuale  riscontro  nella  intera  legislazione
elettorale   italiana,   se  si  prescinde  da  taluna  disposizione,
sostanzialmente analoga, della legge regionale siciliana del 20 marzo
1951,  n. 29  - una causa di ineleggibilita' dai confini estremamente
generici  ed  elastici,  suscettibile  di  essere  dilatata  in  sede
interpretativa  sino a ricomprendere le situazioni piu' diverse, come
invece  all'opposto  di applicazioni pratiche variamente restrittive,
circoscritte  ad  una  parte  soltanto  delle  ipotesi che potrebbero
egualmente,    in    astratto    giustificare    ragionevolmente   la
ineleggibilita'  a  consigliere regionale". E cio' perche' "ne' nella
legge  in questione, ne' in altro testo legislativo e' dato rinvenire
norme  che  definiscano  l'"ufficio"  o che definiscano la nozione di
"capo" di un ufficio".
    Il dubbio di legittimita' costituzionale, prospettato, come si e'
ricordato,  sia  dalla  impugnata sentenza, sia dal controricorrente,
trae  motivo, secondo ogni evidenza, proprio dal richiamo fatto dalla
Corte  costituzionale,  nella  su  richiamata  sentenza  n. 166, alla
"disposizione,   sostanzialmente   analoga,   della  legge  regionale
siciliana del 20 marzo 1951, n. 29".
    E, appunto percio', tali argomentazioni sono, almeno formalmente,
riproponibili,  come  eccepito  dal controricorrente, con riferimento
alla disposizione di cui all'art. 8, secondo comma, n. 7, della legge
regionale siciliana n. 29 del 1951.
    Per  completezza di indagine va, peraltro, considerato che, nella
legislazione  successiva della regione Sicilia, e' stata approvata la
legge  regionale  6 gennaio  1981,  n. 6,  "ordinamento  interno  dei
servizi  sanitari  ed  attuazioni del sistema informativo sanitario e
dell'osservatorio  epidemiologico  regionale.  Modifiche  alla  legge
regionale  12 agosto  1980  n. 87,  riguardante  la istituzione delle
unita'  sanitarie  locali",  la  quale  all'art. 5, premesso al primo
comma, che "il servizio e' l'unita' organizzativa fondamentale per il
conseguimento  degli  obbiettivi della unita' sanitaria locale", reca
appunto  la  dettagliata  previsione dei diversi "servizi dell'unita'
sanitaria locale", con la precisazione per alcuni di essi dei compiti
specifici,  e  tra questi, in particolare e per quanto qui interessa,
quello di "medicina legale".
    Dal secondo comma dell'art. 5, invero, si evince inoltre che ogni
servizio   "in   conformita'   del   regolamento  delle  U.S.L.  puo'
articolarsi  nel  proprio  interno  in  uno o piu' uffici omogenei di
intervento,   tenuto   conto   della  dimensione  dell'U.S.L.,  della
complessita'  delle funzioni da svolgere, nonche' delle indicazioni e
delle  prescrizioni  contenute  nel  piano  sanitario  regionale". Il
quinto comma, inoltre, stabilisce che a "ciascun servizio e' preposto
un  responsabile  che  provvede  alla  direzione  degli  uffici ed al
coordinamento  dell'attivita'  dei  presidi, dipartimenti e distretti
per  le  materie  di competenza ed allo svolgimento delle funzioni di
promozione e di vigilanza, nell'ambito del servizio, per l'attuazione
del  programma".  Il  comma successivo, infine, determina il rapporto
esistente   tra  numero  dei  servizi  istituendi  ed  entita'  della
popolazione rientrante nella U.S.L.
    E', pertanto, appunto sul carattere sufficientemente definitorio,
o  no,  del "servizio" da parte della richiamata legge regionale, che
l'art. 8,  secondo  comma n. 7, della legge regionale n. 29 del 1951,
deve essere sottoposta allo scrutinio della Corte costituzionale.
    5. - Deve quindi ritenersi rilevante nel presente giudizio e, non
manifestamente     infondata,    la    questione    (sollevata    dal
controricorrente  e  rilevata  anche  dalla  sentenza  impugnata)  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 8, secondo comma, n. 7, della
legge  della  Regione  Siciliana 20 marzo 1951, n. 29, nella parte in
cui  prevede la ineleggibilita' alla carica di deputato regionale dei
"capi  servizio ... degli uffici statali che svolgono attivita' nella
regione", per contrasto con l'art. 51, primo comma, Cost.
    Si  impone,  pertanto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo
1953,  n. 87,  la  sospensione del presente giudizio con trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 8, secondo comma, n. 7, della
legge  della  Regione  Siciliana 20 marzo 1951, n. 29, nella parte in
cui  prevede la ineleggibilita' alla carica di deputato regionale dei
"capi  servizio  degli  uffici  statali  che svolgono attivita' nella
regione", per contrasto con l'art. 51, primo comma, Cost.;
    Sospende  il  giudizio in corso e ordina l'immediata trasmissione
degli atti, a cura della cancelleria, alla Corte costituzionale;
    Ordina  che,  a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata alle parti in causa, al Procuratore generale presso questa
Corte  e al Presidente della Regione Siciliana, nonche' comunicata al
Presidente dell'Assemblea Regionale Siciliana.
        Cosi' deciso in Roma il 24 gennaio 2003.
                       Il Presidente: Genghini
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