N. 231 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 dicembre 2002

Ordinanza  emessa  il  11 dicembre  2002  dalla  Corte  di appello di
Venezia nel procedimento penale a carico di Ayari Monder Ben Boubaker
ed altri

Processo penale - Giudizio abbreviato - Limiti all'appello - Sentenza
  di  condanna  -  Proposizione  di  appello incidentale da parte del
  pubblico  ministero  -  Esclusione  -  Violazione  del principio di
  parita' tra accusa e difesa.
- Cod. proc. pen., artt. 443, comma terzo, e 595.
- Costituzione, art. 111, comma secondo.
(GU n.18 del 7-5-2003 )
                         LA CORTE D'APPELLO

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Il  p.g.  ha  proposto  appello  incidentale  in  relazione  alla
sentenza  pronunciata  in  data 22 aprile 2002, a seguito di giudizio
abbreviato,  dal  giudice  per l'udienza preliminare del Tribunale di
Verona nei confronti di Farhat Zouhaueir Ben Ahmed ed altri, sentenza
ora  sottoposta  al giudizio di questa Corte in ragione degli appelli
principali proposti da tutti gli imputati che, a diverso titolo e con
diversi profili, sono stati condannati dal primo giudice.
    In    tale    atto   il   p.g.   ha   preliminarmente   sostenuto
l'ammissibilita'  della proposta impugnazione sotto il profilo che le
radicali  modifiche  introdotte al giudizio abbreviato dalla legge 16
dicembre  1999,  n. 479,  renderebbero  superata  e, quindi, non piu'
applicabile  la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui,
in  ragione del coordinato disposto degli articoli 443, terzo comma e
595,  c.p.p., l'esclusione per il p.m. della possibilita' di proporre
appello  nel  giudizio  abbreviato contro le sentenze di condanna (ad
eccezione  di quelle che modificano il titolo del reato) riguarda sia
l'appello principale che quello incidentale.
    Ne  consegue  -  secondo  il  p.g.  -  che  l'appello incidentale
proposto dovrebbe ritenersi ammissibile.
    Nel  caso  in  cui,  viceversa,  questa  Corte  non  ritenesse di
accedere   a  tale  tesi  e  tenesse  attuali  (almeno  alcune  delle
argomentazioni  avanzate  dalla  citata decisione a sezioni unite, il
p.g.  ha  prospettato  questione di legittimita' costituzionale - per
contrasto  con  l'art. 111 della Costituzione - dell'art. 595, c.p.p.
nella  parte  in  cui  non  consente al rappresentante della pubblica
accusa di proporre appello incidentale nel giudizio abbreviato.
    Osserva,   anzitutto,  questa  Corte  che  l'interpretazione  del
combinato disposto dell'art. 443 e dell'art. 595, c.p.p. proposta dal
p.g. - che, se accolta, renderebbe priva di rilevanza la questione di
costituzionalita'  -  non  puo'  essere  condivisa  alla  luce  della
costante  giurisprudenza in senso contrario della Corte di cassazione
a  partire  dalla  sentenza delle sezioni unite penali 18 giugno 1993
imp. Rabiti.
    Tale  indirizzo,  anche  dopo le modifiche al regime del giudizio
abbreviato introdotte con la legge n. 479/1999, non e' mutato e trova
fondamento  nella formulazione del terzo comma dell'art. 443, c.i.p.,
il  quale,  limitando  radicalmente  la  possibilita'  per il p.m. di
proporre  appello  nel  giudizio  abbreviato, non consente di operare
alcuna distinzione tra appello principale ed appello incidentale.
    Lo  stesso p.g., del resto, pur sottolineando come la S.C. avesse
focalizzato  la  ragione  ultima  del limite all'appello del p.m. nel
giudizio  abbreviato  nella  volonta'  delle  parti  ed  nel consenso
prestato  dal  rappresentante della pubblica accusa all'instaurazione
del  rito  speciale  (e  dunque  su  elementi ora venuti totalmente a
cadere),  non manca di ricordare le ulteriori argomentazioni, fondate
su dati letterali e sistematici, contenute nella citata decisione.
    Tanto  premesso  la  Corte non puo', dunque, ritenere ammissibile
l'impugnazione.
    Cio'   posto,   ritiene   questa   Corte   che  la  questione  di
costituzionalita' prospettata dal p.g. sia fondata.
    Va   premesso  che  l'appello  del  p.g.  riguarda  la  posizione
dell'imputato Fahrat Zouhaier, condannato in primo grado) in ordine a
vari  capi d'imputazione, per diversi titoli di reato (in particolare
per  quelli  previsti ex art. 609-bis, c.p., in danni di una minore e
73,  d.P.R.  n. 309/1990  per  cessioni  di  sostanza  stupefacente a
diverse  persone,  tra  cui  la  minore  stessa)  ed investe il punto
relativo   all'applicazione,  effettuata  dal  primo  giudice,  delle
attenuanti generiche e la concreta determinazione della pena.
    In relaziome allo «spessore criminale dell'imputato» ed «all'arco
di  tempo  che  copre  i  numerosi delitti per i quali e' intervenuta
condanna» - secondo il p.g. che ha proposto l'appello incidentale «le
attenuanti generiche vanno escluse con conseguente aumento della pena
inflitta».
    Si  tratta, dunque, di motivi di merito che, una volta esclusa la
possibilita'   dell'appello   incidentale,   non  potrebbero  trovare
ingresso in diverse forme di impugnazione.
    Sotto  altro  aspetto  ed ai limitati fini che qui interessano in
punto  di  concreta  rilevanza della questione proposta, va osservato
che  non  appaiono  esistere  profili di inammissibilita' ulteriori e
diversi  rispetto  a  quanto  sinora  esaminato  e  che  i motivi non
appaiono  ictu oculi infondati (in modo tale da escludere in nuce una
effettiva rilevanza nel caso in esame).
    In  punto di fondatezza della questione proposta va ricordato che
la  Corte  costituzionale  ha  avuto  gia'  modo di esaminare in piu'
occasioni  questioni  relative  alla  costituzionalita'  dell'attuale
disciplina del giudizio abbreviato.
    In  particolare  con  ordinanza  n. 421  del  3 dicembre  2001 ha
dichiarato  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale   -   sollevata   in  riferimento  all'art. 111  della
Costituzione - dell'art. 443, terzo comma, c.p.p., nella parte in cui
non   prevede  la  possibilita'  per  il  p.m.  di  proporre  appello
principale  avverso  le  sentenze  di condanna pronunciate in sede di
giudizio  abbreviato. In tale decisione la Corte costituzionale, dopo
aver   ricordato   che   nel   nostro  sistema  il  doppio  grado  di
giurisdizione  non  forma  oggetto  di  garanzia  costituzionale,  ha
affermato che la preclusione all'appello della parte pubblica avverso
le  sentenze  di  condanna  emesse  a  seguito di giudizio abbreviato
continua  a  trovare  giustificazione «nell'obiettivo primario di una
rapida  e  completa  definizione dei processi svoltisi in primo grado
secondo  il  rito  alternativo  di cui si tratta, rito che - sia pure
oggi  per  scelta  esclusiva  dell'imputato  -  implica una decisione
fondata, in primis, sul materiale probatorio raccolto dalla parte che
subisce   la   limitazione   censurata,   fuori  dalle  garanzie  del
contraddittorio».
    Sennonche'  proprio  tale motivazione, riferendosi all'ipotesi di
appello  principale del p.m., non solo lascia aperta la questione per
quanto  concerne  l'appello  incidentale  (la Corte costituzionale ha
chiaramente   pronunciato  nel  merito  solo  in  ordine  all'appello
principale),  ma  pare dar origine a decisivi argomenti per affermare
la fondatezza della questione di costituzionalita' oggi sollevata.
    Infatti  se  la  giustificazione  della  preclusione dell'appello
principale   corrisponde   a   quella   messa  a  fuoco  dalla  Corte
costituzionale appare evidente che essa non puo' valere per l'appello
incidentale   la  cui  proposizione  non  contrasta  con  l'obiettivo
primario  della  rapida  e  completa  definizione  dei processi per i
limiti   che  ne  accompagnano  inderogabilmente  lo  sviluppo  e  ne
condizionano  la  stessa  efficacia (art. 595, c.p.p., in particolare
quarto comma).
    Mentre  nel  caso  di appello principale il sacrificio del doppio
grado  di  giurisdizione  per  il  (solo)  rappresentante della parte
pubblica  puo' trovare ragione nell'obbiettivo primario di una rapida
e completa definizione del processo operato dal legislatore, nel caso
di  impugnazione  incidentale il giudizio in sede di appello dovrebbe
comunque   essere   celebrato   in   conseguenza  della  proposizione
dell'appello   principale   dell'imputato   che,   anzi,   di  quello
incidentale costituisce necessario presupposto e costante limite.
    Al  riguardo  va  osservato che non pare certamente che confligga
con  la  rapida  definizione  dei  processi  una  situazione  che non
comporta  alcuna  attivita'  processuale  ulteriore rispetto a quella
richiesta  da  quella  gia' prevista per l'appello principale e che a
questa  e' strettamente legata, nei termini sopra ricordati, quanto a
punti investiti e cadenze processuali.
    Non  pare,  in  altri termini, che nel parametro di una «rapida e
completa  definizione  dei  processi»  sia possibile far rientrare un
dato eventuale, non rapportabile a cadenze e durate predeterminabili,
ed  imponderabile  -  per  non  dire  evanescente  -  come il maggior
dispendio di energie intellettuali.
    Il  caso  in  esame  appare,  del  resto, paradigmatico di quanto
osservato.
    L'appello  principale,  infatti, riguarda (anche) la misura della
pena, quello incidentale, come si e' detto, pure. Il limite originato
dalla  stretta  interdipendenza  logica  tra  devolutum  dell'appello
principale  ed  impugnazione incidentale permette di evidenziare come
quest'ultima non si profili come realmente pregiudizievole ai fini di
speditezza,  tenendo presente che si tratterebbe di mero allargamento
dell'ambito   del   decidere   che   passa  attraverso  una  semplice
bidirezionalita'  dell'unica  valutazione della congruita' della pena
che  gia'  e'  all'esame  e  che,  comunque, si dovrebbe compiere. Ne
consegue  che l'esclusione dell'appello incidentale del p.m. prevista
dall'art. 443,   terzo  comma  c.p.p.  non  puo'  essere  considerato
comportare  una  «piu' rapida» definizione del processo per il quale,
comunque,  dato  l'appello  principale  dell'imputato, e' in concreto
previsto il doppio grado di giurisdizione.
    D'altro  canto  non puo' essere trascurata nemmeno la circostanza
che  la  Corte  costituzionale, investita della specifica tematica in
questione,  ha affermato, con la sesntenza 24 maggio 1994, che doveva
ritenersi  legittima  una  disciplina  che  «preveda  in  alcune fasi
processuali  talune  posizioni di vantaggio per l'organo dell'accusa,
il  che  non  fa  apparire  irragionevole che il legislatore, per ...
ristabilire  la parita' processuale, munisca in altre fasi l'imputato
di   altri  poteri  cui  non  debbono  necessariamente  corrispondere
simmetrici poteri per il p.m.».
    Tale  argomentazione  appare,  peraltro,  collocata  e fortemente
radicata nello specifico contesto normativo, anche costituzionale, in
cui ha trovato origine.
    Il   parametro   di   riferimento   costituzionale  era  infatti,
all'epoca,  in  primo luogo l'art. 24 della Carta ed invero la citata
decisione espressamente ha affermato che il trattamento che risultava
in  tal  modo  diversificato  relativamente  alle  parti del processo
penale,  avrebbe  avuto  rilevanza  soltanto  se tosse stato messo in
discussione  l'art. 24  della  Costituzione  il  quale  non riguarda,
pero', i poteri del p.m.».
    I  poteri  di  tale  organo  rimanevano, in allora, affidati alla
legge   ordinaria   che   avrebbe   potuto   «essere   censurata  per
irragionevolezza   solo  se  i  poteri  stessi,  nel  loro  complesso
dovessero  risultare  inidonei  all'assolvimento dei compiti previsti
dall'art. 112, Cost.», cosa che - ha argomentato la Corte - non era.
    In  sintesi  la  Corte,  nella  predetta  sentenza n. 98/1994, ha
richiamato proprie precedenti decisioni nelle quali aveva escluso che
il  potere  d'impugnazione  potesse  configurarsi  in modo totalmente
simmetrico   rispetto   al   diritto   di  difesa  dell'imputato.  In
particolare  mentre  il primo non puo' essere sacrificato ad esigenze
deflattive,  tale  riconoscimento  e tale forza non caratterizzano di
necessita' il secondo.
    Ora,   pero',   il   parametro  costituzionale  che  sostiene  la
prospettata  eccezione  di  incostituzionalita'  della  norma  e'  il
principio  -  costituzionalizzato  nel  frattempo  - di parita' delle
parti nel processo penale.
    La  verifica  ed  il confronto non vanno, pertanto, piu' compiuti
alla luce dei soli articoli 24 e 112 della Carta, ma tenendo presente
la  nuova  formulazione  dell'art. 111 che ad una reale parita' delle
parti  ha  dato  - incontestabilmente - una pregnanza maggiore ed una
«resistenza» ben piu' forte.
    Ne',  sotto  altro  profilo,  sembra  potersi ritenere - mutuando
dalle citate argomentazioni in tema di «giustificata disparita» - che
esista  ancora,  negli  stessi  termini,  la  situazione, considerata
all'epoca,  secondo  la  quale  ad  una soverchiante prevalenza della
figura  del  rappresentante  della  pubblica  accusa nella fase delle
indagini    preliminari    (e   dunque   nella   raccolta   e   nella
«predisposizione» delle fonti di prova) ben poteva corrispondere, per
ragioni di sostanziale e piu' ampia simmetria la previsione «in altre
fasi [per] l'imputato di altri poteri cui non debbono necessariamente
corrispondere simmetrici poteri per il p.m.».
    La  normativa  in  tema  di  indagini difensive (legge 7 dicembre
2000)   quantomeno,   sta   a  provare  quanto  appena  affermato  in
considerazione  della  sua  ampia  ed  articolata previsione, affatto
incommensurabile  con  la  precedente  normativa  sul punto (art. 38,
disp. att., c.p.p).
    Il  materiale probatorio presente agli atti ed in ordine al quale
al  solo  imputato  e  senza  la  necessita' del consenso della parte
pubblica e' dato di scegliere il rito alternativo puo', ora, formarsi
in modo ben diverso da prima.
    La disparita' delle parti, con riferimento all'attivita' non solo
di iniziativa, ma anche di impulso in tema di impugnazione, mentre si
profila,  in  tal modo, palese, non risulta «bilanciare», nei termini
totalizzanti  in  cui  attualmente viene a consistere, una situazione
analoga,  ma  opposta  (e cioe' quella della predisposizione da parte
del  p.m.  del  materiale  probatorio) in modo tale da essere (se non
richiesta) almeno consentita dal complessivo sistema.
    In  altri  termini  nell'attuale  sistemazione normativa del rito
abbreviato  non  si  rinviene,  per  aspetti  diversi  da  quello ora
specificamente  considerato,  una  disimmetria  cosi' marcata, da far
configurare  come necessari o quantomeno tollerati per un complessivo
armonico    bilanciamento    delle    situazioni   tutti   i   limiti
all'appellabilita' da parte del p.m. ed in particolare proprio quello
ora in esame.
    Una   ragionevole   ed   equa   erosione  delle  possibilita'  di
svolgimento  dell'azione  della  parte  pubblica  del processo ed una
disparita'  tra  questa parte e l'imputato nell'esercitare il diritto
all'impugnazione  (che non e' costituzionalmente tutelato per nessuna
di  esse)  trovano  nel  citato  fine  della  rapida  definizione dei
processi  (che  solo per la parte pubblica puo' prevalere sul diritto
all'impugnazione  -  v.  la  motivazione della sent. n. 98/1994 della
Corte    costituzionale,    sopra    citata    una    giustificazione
costituzionalmente accettabile.
    Anche  tale  esigenza,  pero',  come  si  e'  visto, non e' (piu)
presente nella situazione in esame.
    In  questa  complessiva  situazione  la  preclusione dell'appello
incidentale  del  p.m. non sembra, dunque, trovare alcuna ragionevole
giustificazione venendo a sacrificare in modo del tutto irragionevole
il principio della parita' tra accusa e difesa inserito nell'art. 111
della Costituzione.
    In  definitiva  si  e'  in  presenza  di  una situazione che pare
collidere  inevitabilmente  con  il  portato costituzionale dell'art.
111, Cost.
    La proposta questione di costituzionalita' appare, percio', oltre
che rilevante nel presente processo, anche fondata.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
    Dichiara  rilevante  e  manifestamente  infondata la questione di
costituzionalita'   dell'art. 443,   terzo  commna  e  dell'art. 595,
c.p.p.,  nella  parte in cui escludono l'appello incidentale del p.m.
nel  giudizio  abbreviato  in  caso  di  sentenza  di  condanna,  per
contrasto con l'art. 111, comma 2, della Costituzione.
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la
notifica  della  presente ordinanza alla Presidenza del Consiglio dei
ministri ed ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato.
    Ordina la sospensione del procedimento.
        Venezia, addi' 11 dicembre 2002.
                       Il Presidente: Mariani
            Il consigliere estensore: Apostoli Cappello
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