N. 139 ORDINANZA 9 - 24 aprile 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Esecuzione  penale  -  Affidamento  in  prova  al  servizio sociale -
  Sopravvenienza di un titolo di esecuzione di altra pena detentiva -
  Prosecuzione  della misura alternativa alla detenzione, subordinata
  al  mero  computo  della  pena e non anche alla valutazione di ogni
  altro  elemento  di  meritevolezza  -  Lamentato  contrasto  con il
  principio  della  finalita'  rieducativa  della  pena  -  Manifesta
  infondatezza della questione.
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 51-bis.
- Costituzione, art. 27, comma terzo.
(GU n.17 del 30-4-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Guido  NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco
BILE,  Giovanni  Maria FLICK, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Alfio
FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 51-bis della
legge  26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e
sulla  esecuzione delle misure privative e limitative della liberta),
promosso,   nell'ambito  di  un  procedimento  di  sorveglianza,  dal
Tribunale  di sorveglianza di Messina con ordinanza in data 11 maggio
2002,  iscritta  al  n. 362  del registro ordinanze 2002 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 34, 1ª serie speciale,
dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 26 febbraio 2003 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto   che   il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Messina  ha
sollevato,   in   riferimento   all'art. 27,   terzo   comma,   della
Costituzione,     questione     di     legittimita'    costituzionale
dell'art. 51-bis   della   legge   26 luglio   1975,   n. 354  (Norme
sull'ordinamento   penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
privative  e limitative della liberta), nella parte in cui in caso di
«sopravvenienza  di  un  titolo di esecuzione di altra pena detentiva
subordina  la  prosecuzione della misura dell'affidamento in prova al
servizio  sociale  al  mero  computo  della  pena  e  non  anche alla
valutazione di ogni altro elemento di meritevolezza»;
        che  il rimettente espone che il condannato era stato ammesso
dal  Tribunale  di  sorveglianza  di  Firenze alla misura alternativa
dell'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  in  relazione  al
segmento  conclusivo  di  una esecuzione protrattasi per quasi dodici
anni,  sulla base della valutazione positiva del percorso rieducativo
seguito;
        che successivamente il Magistrato di sorveglianza di Messina,
a  seguito  di  ordine  di carcerazione emesso per un nuovo titolo di
esecuzione   di   altra  pena  detentiva,  aveva  disposto  ai  sensi
dell'art. 51-bis   dell'ordinamento   penitenziario   la  provvisoria
sospensione   della   misura   alternativa   in   corso   e  ordinato
l'accompagnamento  in  carcere  del  condannato, in quanto il residuo
pena  da scontare superava il limite stabilito dall'art. 47, comma 1,
del medesimo ordinamento;
        che  il rimettente, chiamato a pronunciarsi in via definitiva
sulla  prosecuzione  o  cessazione della misura, osserva che ai sensi
dell'art. 51-bis   dell'ordinamento  penitenziario  il  giudice  deve
«tenere  conto  esclusivamente del cumulo delle pene» e sulla base di
questo  solo elemento disporre la cessazione della misura alternativa
(nella  specie,  l'affidamento in prova), anche quando la valutazione
positiva   circa   l'adeguatezza  della  misura  gia'  concessa  «sia
suscettibile di essere confermata sulla base dei complessivi elementi
di  osservazione  rilevati  in  sede  di  esecuzione  e  acquisiti al
giudizio»;
        che  l'impossibilita'  di valutare ai fini della prosecuzione
della  misura  «se permanga la prospettiva reale della rieducazione e
della  risocializzazione  gia'  avviata  in  sede  di concessione del
beneficio»   determinerebbe   l'illegittimita'  costituzionale  della
disciplina  censurata  per contrasto con il principio della finalita'
rieducativa  della  pena  sancito  dall'art. 27,  terzo comma, Cost.,
fermo  restando  che  «il  legislatore  e'  certamente  sovrano nella
identificazione dei presupposti e delle condizioni d'ordine edittale»
di accesso alle misure alternative;
        che   la  valutazione  circa  la  prosecuzione  della  misura
dovrebbe invece basarsi su «tutti i criteri di giudizio fissati dalla
legge»  e  sui  risultati  dell'osservazione  della  personalita' del
condannato sia in ambito intramurario che extramurario;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la Corte dichiari la questione manifestamente
inammissibile o infondata;
        che  secondo l'Avvocatura la questione sarebbe inammissibile,
tra l'altro, per difetto di motivazione sulla rilevanza, in quanto il
giudice  a  quo  si limita a prospettare genericamente il superamento
del  limite  edittale  dei  tre  anni  previsto per l'ammissione alla
misura, senza indicare quale sia il residuo periodo di affidamento in
prova,  quale l'entita' della nuova condanna e se questa sia divenuta
irrevocabile;
        che,  nel  merito,  l'Avvocatura rileva che dall'accoglimento
della   questione   deriverebbe   l'«inaccettabile   corollario»   di
sottoporre  la concessione della misura alternativa nei confronti del
soggetto  condannato  per  la  prima volta a condizioni piu' rigorose
rispetto  alla  situazione  di  chi, essendo gia' in esecuzione della
misura  alternativa,  potrebbe  beneficiarne  a  diverse e piu' ampie
condizioni,    con    il    rischio   di   ulteriori   «sperequazioni
consequenziali».
    Considerato che il rimettente dubita, in riferimento all'art. 27,
terzo  comma,  della  Costituzione, della legittimita' costituzionale
dell'art. 51-bis   della   legge   26 luglio   1975,   n. 354  (Norme
sull'ordinamento   penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure
privative e limitative della liberta), nella parte in cui, in caso di
sopravvenienza  di  un  titolo di esecuzione di altra pena detentiva,
impone  al  tribunale  di sorveglianza, ai fini della decisione sulla
prosecuzione o sulla cessazione dell'affidamento in prova al servizio
sociale,  di tenere conto esclusivamente del limite di pena stabilito
dall'art. 47,  comma 1,  del medesimo ordinamento per l'ammissione al
beneficio, e non gli permette di valutare se permangano le condizioni
per proseguire il percorso di rieducazione e di recupero sociale gia'
avviato con la concessione della misura;
        che,  in  sostanza,  il  rimettente  chiede  alla  Corte  una
pronuncia  che  gli consenta di disporre la prosecuzione della misura
malgrado il nuovo titolo esecutivo comporti il superamento del limite
di   pena   previsto   in   via   generale   dall'art. 47,   comma 1,
dell'ordinamento penitenziario;
        che,  ai fini della rilevanza della questione, l'eccezione di
inammissibilita'  prospettata dall'Avvocatura dello Stato e' priva di
fondamento,  in quanto il rimettente ha dato atto che il nuovo titolo
di esecuzione comporta il superamento del limite di pena previsto per
l'ammissione al beneficio;
        che  la  norma  censurata  e'  stata  introdotta  dalla legge
10 ottobre  1986,  n. 663,  al  fine  di  colmare  una  lacuna  della
precedente  disciplina, che non conteneva alcuna disposizione in caso
di  sopravvenienza di un nuovo ordine di esecuzione di pena detentiva
a carico del condannato ammesso ad una misura alternativa;
        che,  in  ossequio  al  principio  della funzione rieducativa
della  pena,  la  nuova  disciplina  tiene conto dell'esigenza di non
interrompere  automaticamente,  quale che sia l'entita' della pena da
espiare  a seguito della sopravvenienza di un nuovo titolo esecutivo,
la misura alternativa in corso, ferma restando la condizione generale
di  ammissibilita' dell'affidamento in prova rappresentata dal limite
di  pena  ancora  da  espiare  stabilito  nella  misura  di  tre anni
dall'art. 47, comma 1, dell'ordinamento penitenziario;
        che  la  soluzione  prospettata  dal  rimettente porrebbe nel
nulla  tale  condizione  di  ammissibilita'  in  ogni  caso in cui il
condannato  affidato  in  prova venga raggiunto da un nuovo titolo di
esecuzione,  vanificando  una  precisa scelta operata dal legislatore
nell'esercizio della sua discrezionalita';
        che   il   limite   di   pena   previsto   per   l'ammissione
all'affidamento in prova sarebbe quindi operante nei confronti di chi
si trovi ad espiare una pena detentiva per la prima volta e non anche
nei  confronti di chi sia gia' affidato in prova quando interviene un
nuovo  titolo  esecutivo,  si'  che  solo  a  tale  soggetto verrebbe
paradossalmente riservato un trattamento piu' favorevole;
        che,  inoltre,  tra  soggetti  raggiunti da piu' di un titolo
esecutivo risulterebbe irragionevolmente discriminato chi si trovi ad
espiare  una  nuova  condanna  sopravvenuta  in un momento successivo
all'esaurimento  del  primo rapporto esecutivo rispetto al condannato
affidato  in  prova  che  sia  ancora  in  esecuzione  della  pena al
sopravvenire del nuovo titolo;
        che    la   questione   deve   pertanto   essere   dichiarata
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 51-bis  della legge 26 luglio
1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle  misure  privative  e  limitative  della  liberta'  personale),
sollevata,   in   riferimento   all'art. 27,   terzo   comma,   della
Costituzione,   dal   Tribunale   di  sorveglianza  di  Messina,  con
l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 aprile 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                     Il redattore: Neppi Modona
                      Il cancelliere:Fruscella
    Depositata in cancelleria il 24 aprile 2003.
                      Il cancelliere:Fruscella
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